e vennero giù dal cielo
col loro videogioco di guerra
non avevamo pietà o inganno
ardevamo tra le nostre fiamme.
so che ci hai visto, signore della vita comune
posso ben ricordare
e lei riesce ancora a immaginare
non fummo uccisi per niente
non combattemmo per una cosa qualsiasi.
tutte le persone sedute in platea
stavano a contrappesare le motivazioni
dell'una o dell'altra parte della battaglia
cercando di decidere chi aveva più torto e più ragione
proprio nell'attimo in cui sciogliemmo il nostro abbraccio
e gridando l'anima fuori dai polmoni
alzammo le nostre braccia, le nostre voci
e i piedi iniziarono a correre.
e so, signori miei, che voi stavate a guardare
la mia lancia si alzò e colpì, ogni colpo al cuore loro e al mio
le sue braccia come lampi e i suoi capelli a sfidare il vento,
impazzito dalle loro pale di mulini da battaglia,
e noi nella nostra danza di guerra,
e loro, nel loro gioco di mitraglia e bombe e razzi,
tanti e tanti da far illuminare a giorno i vostri schermi.
i nostri occhi ardevano di lacrime di fuoco
il nostro cuore batteva l'ultima danza del tamburo
che ha scelto di non languire nel morire
di non piegarsi nel patire
di non indietreggiare nel vendere noi e ciò che con noi vive.
signori e signore, fu un bello spettacolo per voi, valeva il biglietto pagato?
mentre quegli schermi brillavano di bombe, era la vostra festa dei fuochi artificiali?
so che voi vedeste, so che voi udiste, ma io non vi ho udito
io non vi sento, ma il mio spirito muto ancora rimane a guardarvi
e non capisce, non capisce la morte nel vostro limbo personale e generale.
noi che fummo vivi morendo, voi che sembrate morti vivendo
spiegateci ora, che ci avete studiato
come eravamo, le nostre storie e tradizioni, le nostre battaglie perse
spiegateci il senso della vittoria, che non volemmo imparare
spiegateci la vostra giustizia, che rifiutammo quando ce l'abbatteste addosso
spiegateci il senso delle vostre catene, a cui fuggimmo e che spezzammo
il senso dei vostri benefici, che quando rifiutammo, ce li faceste pagare comunque
a cara pelle, signori e signore miei
a cara pelle, non vi vendemmo la nostra, né vi chiedemmo d'averci a che fare
e la squoiaste, calpestaste e bruciaste, la ingannaste, seppelliste e riesumaste in museo.
non è una colpa, forse, ma potrebbe essere una responsabilità.
e potrei sputare sulle lacrime dei vostri figli che rinnegano ciò che faceste
perché bruciavano le parole al vento, mentre non ascoltavate
e potrei continuare a volervi capire, ma non volevate raccontare se non per vendere
ma non volemmo comprarvi, non volemmo venderci,
e riguardo a ciò ci processaste e sterminaste
senza saper combattere con il coraggio della parità e del viso aperto
e certamente figuriamo ancora un po' come barbari sul vostro odierno menù.
ma tenetevi dunque il vostro cielo
ma tenetevi dunque le vostre parole
ma tenetevi dunque le vostre terre
ma tenetevi dunque le vostre risorse naturali
che a noi non appartennero mai
perché ci convivevamo e rispettavamo
ci sfidavamo e dimostravamo di esserci reciprocamente all'altezza.
ma tenetevi dunque i vostri schiavi e le vostre prigioni
ma tenetevi dunque le vostre buone e ragionevoli motivazioni
ma tenetevi le vostre celebrazioni e proprietà
ma tenetevi dunque le vostre amorevoli pietà
ma tenetevi il vostro pentimento e le vostre confessioni
le vostre scienze e religioni
che a noi non servirono mai, né ci servono ora
che noi non le volemmo né chiedemmo mai
che mai ci mancarono né ci mancheranno.
se noi morimmo, voi non cresceste mai.
se voi progrediste nel vostro brodo
noi ce ne andammo con gli occhi in alto
e tutto ciò che avevamo con noi, chiuso nel nostro cuore.
per sempre, qualsiasi cosa possa ciò significare.
ciò che fu fu. a mai più.