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Autore: Mafra e Adrienne    19/02/2011    2 recensioni
Erin e Rain. Due ragazzi diametralmente diversi. Un ragazzo e una ragazza che non sanno nulla dell'altro, ma che nel bene e nel male, per forza o per piacere - verranno a incontrarsi e scontrarsi. L'amore può essere un sentimento più forte di tutto? Più forte degli obblighi, degli inganni, delle forze oscure?
Si fece forza e continuò nel suo muto ignorare l’altro. Sotto sotto, voleva essere desiderata, le sarebbe piaciuto che lui continuasse a guardarla come a pregarla di girarsi. Bramava attenzioni lei, del tipo che non aveva mai ricevuto.
D'altronde, con una sorellastra come la sua, chiunque avesse avuto un minimo interesse in lei, al minimo confronto con l’altra, sarebbe svanito.
Per questo, amava il pensiero Rain fosse lì per lei, perché la voleva, e non perché la calca l’aveva costretto a starle vicino. Si sentiva così orribilmente sola.
Nessun suono venne a reclamare la sua presenza, solo un brutale silenzio in cui lentamente annegare.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Out on your own

Out on your own
cold and alone again
can this be what you really wanted, baby?

Blame it on me
set your guilt free
nothing can hold you back now

Now that you're gone
I feel like myself again
grieving the things I can't repair and willing...

To let you blame it on me
and set your guilt free
I don't want to hold you back now love

I can't change who I am
not this time, I won't lie to keep you near me
and in this short life,
there's no time to waste on giving up
my love wasn't enough

And you can blame it on me
just set your guilt free, honey
I don't want to hold you back now love



Evanescence - Lacrymosa

Prologo

 

Il cielo era coperto di nuvole, come la tradizione Londinese voleva.

Quel ragazzo dagli occhi neri - come l'abisso - prese un elastico per capelli che portava sempre al polso sinistro e legò i capelli scuri lunghi fino alle spalle in una piccola coda. Guardò fuori dalla finestra, triste per il brutto tempo; era leggermente meteropatico. E il fatto che dovesse recarsi a scuola fra poco meno di un'ora, non lo aiutava per niente. Quel tempo gli metteva addosso voglia di non fare niente: sarebbe volentieri rimasto sotto le coperte a poltrire.

Se fosse rimasto ancora molto tempo davanti la finestra a contemplare l'immagine di una Londra grigiastra che andava svegliandosi, però, avrebbe sicuramente fato tardi.

Era del tutto assurdo, per uno come lui, odiare quel tempo. Il suo nome ispirava tutto tranne che il sole, il cielo azzurro, o la primavera.

Rain. Pioggia.

Avrebbe dovuto amarla, invece lo rendeva enormemente triste; alcune volte arrivava persino ad odiare la sua presenza. Sospirando, Rain distolse malvolentieri il suo sguardo dalla finestra e decise di farsi una doccia calda. Una volta finito - era decisamente tardi; si era lasciato prendere dai vapori e dal calore dell'acqua - schizzò giù un cucina, diede un rapido saluto ai genitori e ingollò a tutta velocità una tazza di latte e cereali. Afferrò lo zaino con i libri, che giaceva all'ingresso di casa, e sperò con tutte le sue forze di non perdere la metropolitana, che ogni mattina prendeva per arrivare a scuola.

Lo sapeva. Lo sapeva che avrebbe fatto tardi!

 

Erin camminava piano, mentre la pioggia le bagnava il viso. Non aveva l'ombrello, adorava passeggiare e lasciare che l'acqua le passasse sul volto. La faceva sentire meglio, come se quelle gocce riuscissero a purificarla. Guardò l'orologio, constatando, che era davvero tardi. Affettò il passo: non doveva assolutamente fare tardi, non quel giorno. Se avesse tardato anche di soli pochi minuti la professoressa l’avrebbe uccisa. Gliel’aveva detto chiaramente: un altro ritardo e l’avrebbe mandata dalla preside.

Rabbrividì all’idea, e iniziò praticamente a correre.

Quasi, sentiva i secondi e i minuti che passavano più velocemente appena lei accelerava l’andatura.

Rallentò solamente quando arrivò alla Metropolitana, che l’avrebbe portata dritta di fronte alla scuola. Tra sé, pregò di non aver perso il treno.

Scese le scale; per poco non inciampò in un barbone che non aveva trovato niente di meglio da fare che ostacolare il cammino a chi, come lei, aveva una fretta allucinante.

Si introdusse in quel labirinto in cui solo un esperto avrebbe potuto non perdersi, e, finalmente, giunse al luogo dove la metro avrebbe dovuto fermarsi e far salire i passeggeri.

Sentì il lungo fischio che annunciava quel trabiccolo infernale e, appena le porte si aprirono, fu travolta da un miriade di persone. Con forza, di fece avanti, spingendo e sgomitando come tutti per riuscire a crearsi un varco nel quale passare. Sospirò, entrando, e si appoggiò alla parete, mentre il treno si preparava a partire.

Fu proprio in quel momento che vide lui. Capelli neri, occhi scuri come la brace:era il fidanzato della sua sorellastra.

 

Mezzo sudato, col fiatone e con la preoccupazione che sprizzava da tutti i pori, Rain riuscì a raggiungere la Metro e a prendere il suo treno. Si aggrappò ad un bracciolo per reggersi durante il viaggio, maldicendosi mentalmente perché aveva dimenticato il suo Ipod a casa. Quindi, non avendo nient'altro da fare, si limitò a guardarsi attorno, osservando la moltitudine di gente che usciva ed entrava dal vagone. Donne, uomini, belli o brutti; ragazzi e ragazze con zaini, come lui, diretti verso le varie scuole della città. Si divertiva ad osservarli e ad immaginare la vita di ognuno di loro.

Quella donna dai capelli biondi diventava una manager in carriera. L'uomo con i baffi davanti a lui era, invece, uno spazzino.

Il treno rallentò ad una fermata. Rain si girò verso la porta d'ingresso, curioso di immaginare ancora altre ed altre vite, quando vide un viso a lui familiare. La figuretta era entrata sul vagone con non pochè difficoltà, e una volta riuscita sospirando si appoggiò ad una delle pareti.

Era la sorella della sua ragazza. Sorellastra, con più precisione. Non ricordava esattamente come si chiamasse... Del resto le aveva parlato pochissime volte. L'aveva incontrata quando lui era andato a casa della sua fidanzata e si erano scambiati veloci saluti e qualche chiacchera. Rain si chiese se dovesse salutarla; ma d'altronde lei non guardava dalla sulla parte e a lui seccava farsi avanti per primo.

Mentre lui era perso nei suoi pensieri il treno aveva ripreso la sua corsa ma ancora una volta rallentò. Le porte del vagone si aprirono per lasciare entrare un fiume di gente. Rain fu violentamente spinto da un signore molto robusto e fu costretto a lasciare il bracciolo, perdendo l'equilibro. Si ritrovò in mezzo alla folla, come una sardina. Mentre era già pronto ad imprecare sottovoce, vide che la sorellastra della sua ragazza era proprio vicino a lui, ma non sembrava essersi ancora accorta della sua presenza. Rain notò che la ragazza aveva la cerniera dello zainetto chiusa male e che un libro stava pericolosamente per suicidarsi fuori. Così decise che non poteva più ignorarla e - sempre nel suo metro quadrato di spazio - le picchiettò in una spalla e disse:

- Ehi, hai lo zaino aperto! –

 

La ragazza si girò, sorpresa.  Quella voce, così profonda e dolce, era rivolta a lei. Del tutto dimentica dell’avvertimento, si perse negli occhi tanto intensi del suo interlocutore, totalmente incapace di proferire parola.

- Hai sentito quello che ti ho detto? “Hai lo zaino aperto!” –

Un lampo di coscienza la  svegliò dal suo sogno ad occhi aperti. Si fece scivolare dalle spalle la sacca e provvide a chiuderla bene.

Biascicò sottovoce un grazie e si girò. Odiava quella sua maledetta timidezza, eppure ne era perseguitata: semplicemente, non poteva farne a meno.

Sentiva gli occhi allibiti del ragazzo puntati sulla sua schiena, stupiti.

Si fece forza e continuò nel suo muto ignorare l’altro. Sotto sotto, voleva essere desiderata, le sarebbe piaciuto che lui continuasse a guardarla come a pregarla di girarsi. Bramava attenzioni lei, del tipo che non aveva mai ricevuto.

D'altronde, con una sorellastra come la sua, chiunque avesse avuto un minimo interesse in lei, al minimo confronto con l’altra, sarebbe svanito.

Per questo,  amava il pensiero Rain fosse lì per lei, perché la voleva, e non perché la calca l’aveva costretto a starle vicino. Si sentiva così orribilmente sola.

Nessun suono venne a reclamare la sua presenza, solo un brutale silenzio in cui lentamente annegare.

 

Il ragazzo osservò lo zaino di lei, ora perfettamente chiuso, sbigottito dalla freddezza - o timidezza, non l'aveva mica capito - della ragazza. Riflettè un attimo sul fatto che Miss Senza Nome, tutte le volte che l'aveva vista, non era mai stata particolarmente loquace. Spesso si limitava ad osservarlo da lontano, e la sua ragazza gli aveva assicurato che era una tipa molto taciturna e strana. Rain si era chiesto cosa ci potesse essere di male nell'essere strani, ma non riusciva proprio a giustifcarsi il comportamento della ragazza.

Forse avrebbe dovuto continuare a parlare cercando d'essere gentile, ma in fondo chi era quella ragazza per lui? Era già stato fin troppo carino, del resto!

Distolse lo sguardo dalla schiena della ragazza, incrociando le braccia al petto. Guardò fuori dal finestrino e capì che erano quasi arrivati.

Infatti, dopo una manciata di secondi, le porte del vagone si aprirono di nuovo, e il treno si fermò. Lui sospirò.

- Ci vediamo - bisbigliò alla ragazza, anche se non era per niente certo che si sarebbero visti di nuovo.

Non aspettò una sua risposta, e si precipitò fuori dal vagone in un lampo, prima che la folla lo immergesse.

La giornata era appena iniziata.

  
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