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Autore: Fey    06/01/2006    0 recensioni
Ho scritto questa storia di getto ma spero vi piaccia nonostante la sua semplicità.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I GENITORI SONO UGUALI IN TUTTO IL MONDO “ IN QUEL PERIODO… NON PENSAVO CHE A MA STESSA/O …NON TI CAPIVO NON VOLEVO CAPIRTI…NON MI RENDEVO NEANCHE CONTO DI FERIRTI. TI PREGO PERDONAMI” I GENITORI SONO UGUALI IN TUTTO IL MONDO, PRIMA PRENDONO UNA DECISIONE IRREVOCABILE E POI CHIEDONO AI FIGLI.

- Giulia, ci ho pensato molto e sono arrivata alla conclusione che sia meglio per tutti che tu vada a vivere con tuo padre.

Fu come buttare una bomba a cielo sereno, quello l’effetto che quella frase ebbe su di me. Ultimamente in casa le cose non erano andate molto bene ma che avevo fatto io per meritarmi questa punizione, spedirmi da colui che più odiavo al mondo. Non poteva farmi cattiveria peggiore. Di certo a convincerla doveva essere stato il suo nuovo fidanzato nonché capoufficio, un tipo dall’aria austera irritante che si era insinuato lentamente ma inesorabilmente tra noi due. Ed io adesso non potevo più fare niente, fui scaricata alla stazione come un pacco vecchio.

Il ballare del vagone era insostenibile, il treno viaggiava verso la mia nuova destinazione e i mie pensieri fendevano l’aria calda di quello scompartimento. La mia città natale non era lontana da quella di mio padre ma quella distanza bastò a tenerci separati sino ad allora, ed ora dovevo rivederlo e addirittura vivere sotto il suo stesso tetto. Oh no, non poteva essere, avrei trovato il modo di andarmene, di tornare a casa, lo avrei trovato. Quando infine scesi dal treno, lui l’uomo che tanto disprezzavo era già lì ad attendermi.. Notai subito il suo atteggiamento insicuro e timoroso, non feci nulla per metterlo a suo agio bensì mi crogiolai del suo male. Non ricordo cosa mi disse mentre eravamo in macchina, parlava a raffica sperando in una qualche mia reazione mentre io impassibile guardavo dal finestrino il nuovo paesaggio pregando di far cessare quella mia agonia, desiderando la mia vecchia casa, rincuorata solo dalla sofferenza che sentivo provenire da lui. Mio padre viveva in un appartamentino non lontano dal lungo mare di Napoli, mi accorsi subito di una stranezza in tutta l’abitazione non trovai il marchio del mio genitore. Infatti quest’uomo da me così disprezzato era solito circondarsi della sua collezione di quadri grotteschi dalle raffigurazioni più svariate.

- E’ questa la mia camera?!- chiesi entrando in una stanzetta tutt’altro che femminile in cui si ergeva un robusto letto a castello.

Lì sul lenzuolo scorsi ed afferrai di scatto un boxer blu scuro arrotolato come una palla.

- Lasci la tua roba dappertutto?!- chiesi, infine, non celando il mio disgusto.

- No ecco……

Il rumore della serratura lo interruppe, poi dei passi percorsero il corridoio procedendo spediti verso di noi.

- Ah, Kevin sei già qui!

- La partita è durata più poco del previsto.

Sgranai gli occhi di fronte a quel giovane che mi era piombato davanti Chi era e cosa ci faceva lì, lo squadrai da capo a piedi, e lui innervosito, distolse lo sguardo. Indossava una giacca a vento di tipo militare, consumata ai polsi , e un paio di jeans stappati alle ginocchia; mi chiesi come facesse a non avere caldo.

- Lei è Giulia- disse mio padre come fummo di fronte .- te ne ho già parlato ricordi?!

- Dovremmo dividere la camera?!- chiese il ragazzo con aria stizzita.

- Non vorrai farmi dormire davvero con lui?!- gridai io turbata.

- E che ci sarebbe di male!- protesto il giovane.

- Se non te ne sei accorto io sono una ragazza.

- Già ma sei anche mia sorella.

- ………co…cosa vuol dire?- spalancai gli occhi, sbiancai muovendo alcuni passi indietro.

- Lui è il figlio di Angey.

- E questo cosa centra con me?!

- E’ anche mio figlio,…- disse mio padre facendosi avanti e tentando di accarezzarmi-… loro vivono con me.

- No, non toccarmi.

- Giulia io…

- Esci, esci , uscite tutti e due, fuori!!!- gridai con tutto il fiato che avevo in corpo.
Se ne andarono, chiusi a chiave la porta della cameretta e restai lì in silenzio a riflettere.

Sentii Angey rientrare, bisbigliare qualche cosa con lui, col padre che non avevo mai avuto a causa sua. Cerca di immaginare come era diventata. In vita mia l’avevo vista solo due volte, nei miei sogni la ricordavo come una strega dai capelli di fuoco e la voce da serpe. Era stata lei proprio lei a rubarmi tutto prima ancora di venire al mondo. Quella donna, quella straniera arrivata dall’America era diventata la sua amante un anno prima della mia nascita e dopo di essa se lo era portato via, anzi cosa dico melo aveva strappato quello stesso giorno. Fu mia nonna a raccontarmelo lui era scappato via dall’ospedale come una furia un attimo dopo che io avevo visto la luce per raggiungere un'altra clinica qui a Napoli. Per raggiungere lei….loro. Quel giorno capii perché la mamma non mi parlava mai di lui, era corso tra le braccia di un’altra e del frutto incestuoso del loro amore nel giorno che sarebbe dovuto essere il più felice della loro vita. Lo odiai, odiai l’oscena donna che l’aveva portato via, odiai il loro frutto. Non avevo più pensato a mio padre se non per brevi istanti, ed anche in quelli ero riuscita a cancellare l’esistenza di suo figlio e di quella americana, di quella donna di facili costumi che di certo ottenuto tutto quello che voleva da lui, sicuramente lo avrebbe abbandonato portandosi dietro quel bambino, come mi diceva sempre la nonna. Ed ora il muro di difesa che avevo creato era crollato quella realtà che mi aveva aiutato ad andare avanti si era rivelata la fantasticheria di una bambina arrabbiata .

Uscii fuori dalla stanza e mi diressi in cucina Angey era lì e fino alla mia apparsa aveva intrecciato una fitta conversazione col mio genitore.

- Giulia!

- Volevo scusarmi per prima, signore- gli dissi con aria fredda e distaccata- mia madre mi ha chiesto di comportarmi bene ed è quello che farò dora in poi, le prometto che non sarò un ospite inopportuno.

- Ma cosa dici questa è anche casa tua…perciò…..

- Mi scusi ma io una casa c’è lo già e non ne voglio altre, ora se non le dispiace vorrei uscire per prendere un po’ d’aria.- Così dissi e me ne andai ma quando finalmente ebbi chiuso la porta di quell’appartamento la sentii riaprire dietro le mie spalle.

Il ragazzo dallo sguardo acuto color ardesia mi aveva seguito ed ora mi fissava seccato.

- Allora andiamo?!- disse soltanto, ed io lo seguii.

Percorremmo via Caracciolo lentamente, l’odore del mare era inebriante. In prossimità di un giardinetto ci sedemmo a riposare. Si vedeva benissimo sul suo volto che la mia presenza non lo rallegrava ma non aveva il coraggio di dirmi ciò che bramava. Mi alzai e lui vedendomi mi chiese:- Dove vai?

- Ho sete.- risposi indicando la fontanella a due passi, bevvi e lasciai che l’acqua mi bagnasse il volto.

Ritornando a sedere accanto a lui vidi dei ragazzi sugli scogli, forse mi scorsi un po’ troppo nel tentativo di vedere cosa stavano catturando quando improvvisamente mi sentii mancare l’appoggio da sotto i piedi, fu un attimo mi sentii afferrare un braccio e mi ritrovai nuovamente in una posizione stabile.

- Sei matta…- gridò- … potevi ammazzarti ?!

Non risposi lo fissai senza guardarlo la mia mente fu attraversata da un pensiero che mai prima di allora era stato cosi reale, davvero quella sarebbe stata una pazzia…….?

Kevin mi guardava, immobile, l’espressione tesa, mentre mi fissava negli occhi per la prima volta. Per un attimo l’intensità di quello sguardo mi provoco una violenta vertigine. Mi ribellai al gelo che sentivo invadere il mio corpo, a quel freddo che accompagna lugubri presagi.

- Voglio tornare a casa…- affermai in un tono che rasentava la minaccia.

- E questo cosa vuol dire ricordati che adesso vivi qui.- replico lui interrompendomi..

- …lo so benissimo, intendevo che voglio tornare al tuo appartamento.

Quando rientrammo la cena era già pronta ma ogni boccone che mi sentivo scendere nella gola mi piombava dentro come un ferro incandescente, mangiai tutto poi corsi in camera e mi sdraia sul mio letto, Kevin mi raggiunse dopo poco.

- Non ti senti bene?- chiese per pura cortesia.

- Sono solo un po’ stanca.

Non avevamo più nulla da dirci e non lo facemmo. Non ricordo cosa sognai quella notte so solo che mi risvegliai tutta accaldata. Avevo portato un libro con me, lo divorai, mi teneva la mente impegnata ed era tutto quello che volevo.

- Sbrigati tra due minuti usciamo?- mi disse il mio fratellastro entrando in camera. Dal suo sguardo non ci volle molto a capire che il mio caro coinquilino doveva aver avuto l’onore di farmi uscire un po’ di casa.

- Non mi va- gli risposi voltandogli la faccia.

- Dovrai vedere di fartela andare, non posso fare tardi agli allenamenti per te.

- E allora vattene, non ti trattengo. – gli risposi stizzita.

- Senti mi hai annoiato, o vieni o….

- …o?!

- …O ti porterò fuori di qui per i capelli.

Pronunciò quella frase con un tono così deciso e serio che quasi ne rabbrividii. Non mi restò altro che fare ciò che mi chiedeva. Infilai la giacca continuando a pensare che l’odiavo e odiare qualcuno che si ha di fronte permette di creare una gran forza dentro di se che ti prende tutta e che ti rende pronta a tutto.

- Carina tua sorella- gli disse un amico durante qualche passaggio, osservandomi appoggiata al muro bianco sporco dei loro spogliatoi, dove Kevin mi aveva gentilmente chiesto di restare ad aspettarlo.

- Sta zitto e gioca!- lo rimbecco lui.

Se Kevin mi era insopportabile a lui io non ero da meno.

Mi annoiavo, non volevo guardare il figlio di mio padre, fissavo il bruno terreno strofinandovi sopra la scarpa destra, un gattino rosso spunto all’improvviso, aveva il pelo lucido e folto, il ventre lievemente rigonfio.

- Micio.- lo salutai inchinandomi al suo livello, lui mi guardò qualche secondo con grande altezzosità e snobbandomi continuo il suo cammino. – Mi abbandoni anche tu?

Quelle parole mi uscirono naturali ma solo come ebbi terminato di pronunciarle le capii. Era proprio così, tutti mi abbandonavano io ero sbagliata da sempre, nessuno mi avrebbe mai amato, mai ,io ero sbagliata eppure, cosa avevo fatto di male io, perché, perché non ero mai stata giusta; io non ero giusta. Il volto mi si riempì di lacrime che presero a bagnare il terreno sottostante .

- Stai bene?…- mi chiese un ragazzo facendosi avanti ma io non gli risposi, tentavo di fermare le lacrime ma quelle continuavano a sgorgare-… Kevin corri, tua sorella ha qualcosa che non va!

Il semplice sentire il suo nome scatenò in me qualcosa di strano, di colpo i miei occhi finirono la loro lacrimazione, lui era già di fronte a me, io mi alzai come se niente fosse e la guardai fisso.

- Non è nulla.. -dissi- ..avevo solo qualcosa negli occhi.

Mentii clamorosamente ma fu più forte di me. Tornati a casa mi buttai sul letto, ormai vivevo così. Mio fratello dal canto suo si adagiò sull’uscio della porta chiusa prendendo a fissarmi incessantemente con le braccia conserte, senza muoversi. In breve prese a darmi fastidio quel suo sguardo:

- Cosa vuoi?!- gli chiesi irritata.

- Chi ti fa pensare che io voglia qualcosa.

- Allora smettila di fissarmi.

- Oggi non avevi nulla negli occhi.- disse solo, uscendo prima che potessi controbattere.

Quella sua aria superba e arrogante mi opprimeva, lo odiavo sempre di più volevo distruggerlo, farlo soffrire, schiacciarlo come un insetto, cominciai a pensare su come vendicarmi ma nulla era abbastanza per me. Se mia madre mi avesse vista in quei giorni non mi avrebbe più potuta riconoscere ero diventata un mostro e questo era quello che loro avevano fatto di me .

Durante la colazione del giorno dopo ardevo a dir poco dalla rabbia, Angey e suo marito mi facevano qualche domanda alle quali rispondevo a monosillabi con forte astio. Alla fine feci per tornare in camera mia, quando sentii il telefono squillare, mi chiamarono, era mia madre. La sua prima telefonata da quando si era sbarazzata di me. .

“Come stai tesoro, ti trovi bene?!” seppe solo dirmi

- Mamma quando potrò tornare a casa

“Ti prego tesoro smettila, ne abbiamo già parlato, ora ti lascio mi raccomando si buona”

- Mamma…ma io…

“Ora devo andare ci sentiamo presto cara”

La mia voce al telefono preannunciava il pianto ma io non volevo, qualche goccia cadde bagnando la cornetta che paralizzata stringevo tra le mani. La giornata era ancora lunga ed io volevo solo che finisse. Aprii la porta della stanzetta dal letto a castello, volevo stendermi un po’ sul letto ma Kevin era già nella stanza, la sua sola visione mi disgustava. Volevo stare sola. In casa non c’era nessun altro, erano andati ad un matrimonio. Accesi la televisione nel salotto e per un po’ la mia mente sparì in un film, finche qualcuno non si venne a sedere al mio fianco. Rimanemmo in silenzio a fissare lo schermo, solo quando, essendo il pomeriggio appena nato, lo stomaco comincio a “brontolare”, il giovane antipatico si alzò, lo sentii entrare nella cucina alle mia spalle, quando ne uscì portò con se due piatti straripanti di lasagne precotte . Credo di avergli rivolto qualche strano sguardo quando me le porse, perché disse:

- Mia madre ci ha lasciato solo questo ed io non so cucinare perciò sarà meglio che ti accontenti.

- Io non ho detto nulla- lo rimbeccai.

- Meglio così.

Quello che avevo avanti era il mio piatto preferito eppure lo mangiai con disgusto, posato il piatto tornai a sedere. Mentre in televisione davano un giallo mi addormentai. Dormii per più di due ore, quando mi ripresi ero sdraiata sul divano, ero sola. Mi sentivo completamente intorpidita nel corpo e nell’animo. Mi spogliai meccanicamente, aprii l’acqua, sembrava bollire ma non importava, entrai nella doccia senza troppe esitazioni. L’acqua scorrendo mi provocava un dolore caustico , la pelle non aveva mancato di arrossarsi, non so quanto rimasi alla mercé di quel liquido so solo che quando ne uscii un malessere improvviso mi assali, vomitai il pranzo come mi inchinai sul lavabo. Ripulitami chiusi, in malo modo, i capelli, in un fermaglio e senza curarmi delle umide gocce che scorrevano per il mio corpo, mi infilai la mia leggera camicia da notte. Mi ero appena poggiata sul letto quando lui entrò. Aveva lo sguardo contorto da quella visione. La sua “adorata sorella” stesa sul letto completamente bagnata e col volto terribilmente accaldato.

- Sei pazza!- grido facendosi avanti e afferrandomi con forza.

- Smettila!- gridai- mi stai facendo male.

Mi afferrò alla meglio per tirarmi verso di lui, quando udimmo il rumore della porta d‘ingresso che si apriva e lui sobbalzò strappandomi incautamente la camicia. Fu un istinto più che un idea folgorante quella che ebbi all’ora, cominciai a gridare con tutto il fiato che avevo in gola, mio padre entro nella stanza. Solo a quello Kevin lasciò la presa. Piangevo senza rendermene conto, ero letteralmente sconquassata da forti tumulti. Non ricordo con esattezza cosa accadde dopo; i pensieri si fanno sfocati, butto giù fiumi di parole, accuso Kevin di aver tentato di violentarmi, c’è una gran confusione nella mia testa, uscirono tutti e poi cosa accade non so. Per tutta la notte rimasi nel letto con gli occhi sbarrati, qualcuno sbirciò dalla porta ma io finsi di dormire. Se all’inizio la mia mente era stata offuscata da un gaudio spaventoso nell’accusare il mio fratellastro, nel fargli provare un po’ di quella sofferenza che avevo dentro dall’infanzia; ora al tutto si era sostituito un’esasperante vuoto. Nella mattinata entrò in camera Angey, si sedette sul letto accanto a me e prese a parlarmi di lei, di papà e di me del mio dolore. Le sue parole mi passavano sopra senza sfiorarmi se non in frammenti, brandelli che fecero nascere nuova rabbia che si raggelo nelle mie vene, buttai a terra la colazione che mi aveva portato. Rimase pietrificata mentre la mia furia scoppiava presi ad insultarla con parole che non sapevo neanche di conoscere, nel frattempo mio padre che era accorso al forte frastuono mi schiaffeggiò. Rimasi esterrefatta, terrorizzata tanto da perdere l’equilibrio nello slancio dell’alzarmi e caddi ferendomi una mano col vetro del bicchiere frantumato.

Mio padre mi si butto addosso chiedendomi scusa, stringendomi la mano insanguinata, sembra spaventato, turbato. Mi curarono ed io ero stanca, terribilmente stanca dormii a lungo, al mio risveglio mio padre sedeva accanto al mio letto e mi fissava con lo sguardo più dolce che gli avrei mai visto. Non parlai e non lo fece neanche lui. Mi abbraccio ed io piansi, piansi disperatamente.

  
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