La prima volta che lo vide pensò che fosse pazzo.

Aveva occhi grandi da bambino ritardato, i modi di un teppista iracondo e nessun interesse nei suoi confronti. Tutto sommato, considerando la sua giovane età con relativa, indomabile indole, lo avrebbe ammazzato entro due o tre giorni.

“Sei tu il mio compagno?”. non si mosse dalla sua posizione, limitandosi a girare il viso verso di lui. Stava piegato sulle ginocchia, con la schiena contro il muro, tra le mani una grossa falce dalla lama dipinta di rosso.

“Sì”, rispose. Il ragazzo prese atto della notizia con un sorriso. “Sembri vecchio”.

“Non m’importa cosa ti sembro”.

Smise di guardarlo dopo pochi secondi.

Strisciò l’indice della mano destra sul filo della sua lama, assorto, lo sollevò poi per osservare la caduta di una goccia di sangue sul pavimento. Ne cadde soltanto una.

Non soddisfatto ripeté il gesto, ed ancora una volta fuoriuscì dalla ferita una sola goccia di sangue. “Che hai da guardare?”, chiese, non più molto amichevole, concentratissimo sul precipitare frenetico della goccia. Non esplicitò la sua domanda, il ragazzo la comprese da sé e tornando a sorridere disse: “Non sono bravo a sanguinare”.

Come se sanguinare fosse una capacità. Sbuffò, dando a vedere che non gliene importava.

“Non è bellissimo?”.

“Cosa?”.

“Il sangue”.

“Non ci ho mai pensato”.

“Mi hanno detto che è prezioso…”, rise, tagliandosi nuovamente la carne. “Le persone non vivono senza”.

“Così mi hanno detto”.

Si formò una pozza rossa che riluceva. Catturava il suo sguardo, lo faceva respirare più velocemente, contrarre il piccolo collo bianco, dilatare gli occhi violacei.

Se davvero lo eccitava così tanto, lo avrebbe ucciso trafiggendolo al cuore, facendone sgorgare una cascata. Era pazzo, perché solo i pazzi potevano permettersi la sua compagnia… e lui lo era a livelli eccelsi. “Il mio non lo è… posso versarne quanto voglio. M’invidi, eh? È prezioso ed io posso gettarne a fiotti, ovunque io voglia”. Non rise più, si abbracciò il ventre, sembrando spaesato. Farlo fuori non sarebbe stato semplice. Il piccolo pazzo allucinato che era stato scaraventato in mezzo a loro aveva sangue da versare ed una debolezza da sfruttare. “Potrei essere più forte di te, eh vecchio?”.

“Vedremo”.

Ridacchiò, mettendosi in piedi, del tutto a suo agio, confortato dalla rossa macchia che non voleva calpestare. Con un espressione di derisione rimase a fissarlo, costringendolo a sospirare.

“Come ti chiami?”.

“Hidan”. Non sapeva neanche perché lo aveva chiesto.

Fece per andarsene, già irritato dalla nuova, forzata collaborazione a cui era stato costretto, quando si sentì tirare la manica.

“E tu, vecchio?”. chiese il piccolo pazzo, con l’aria di esser deciso ad ottenere una risposta.

“Kakuzu”.

Ghignò, divertito. Si sentì imprigionato da quella morsa, come non gli accadeva da decenni.

“Non è bellissimo il mio sangue, Kakuzu?”.