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Autore: _Syn    20/02/2011    3 recensioni
8059
[...]Si era persino dimenticato di togliere gli occhiali da vista quando erano usciti da scuola, dopo il compito di inglese. E aveva ancora i capelli legati in una piccola coda, abbastanza scompigliati da farlo somigliare – insieme agli occhiali – a uno di quei geni sul punto di risolvere il problema della trisezione del triangolo a due anni e mezzo. Questo agli occhi di uno sconosciuto. Ma Yamamoto lo conosceva abbastanza bene da sapere che, in quel momento, Gokudera avrebbe potuto trisezionare uno dei loro vari nemici per poi appenderli per le mutande al piano più alto di un grattacielo.[...]
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note di Alexiel: Note all'inizio perché mi va :D

Oggi avevo tanta voglia di 8059 e ho sfornato questa piccola shot, sperando di non aver perso la mano con loro. Perché sono bellissimi e si meritano qualcosa di più che OOC e insensatezze.


Buona lettura!

AlexielFay.


Il problema sono i biscotti


Quando Gokudera non si accorgeva di aver finito le sigarette e frugava a vuoto, quasi isterico, nelle tasche dei jeans, significava che qualcosa non andava.

In realtà quasi niente andava, a partire dalla presenza di Yamamoto alle urla lontane della stupida mucca. Per non parlare del Decimo, che sembrava essere caduto in uno stato catatonico da quando Reborn aveva convenuto che era giunto il momento di sottoporlo a un allenamento, se possibile, più duro di tutti quelli che aveva sostenuto in passato.

Per quanto riguardava lui... Be', Gokudera, al momento, credeva che non ci fosse niente di peggio che respirare la stessa aria di Yamamoto-idiota del baseball-Takeshi, perciò aveva bisogno di una dannata sigaretta, all'istante. Ma dopo aver esaminato minuziosamente ogni tasca dei jeans, del cappotto, della camicia si arrese, chiedendosi se fosse così disperato da tentare di fumare dinamite. Probabilmente no.

“Hai perso qualcosa, Gokudera?” domandò Yamamoto, accanto a lui. Gokudera scrollò le spalle, irritato, perso nell'astinenza.

“Sembri nervoso.” continuò. Non c'era bisogno di essere esperti nel decifrare il linguaggio del corpo per capirlo: si stava schioccando le dita da quando erano usciti da scuola, calciava ogni lattina che incontrava per strada – o rovesciava bidoni per cercare lattine, visto che quello sembrava il quartiere più schifosamente pulito della città – e borbottava tra sé e sé parole strane, probabilmente in italiano. In definitiva, Gokudera avrebbe potuto staccargli la testa da un momento all'altro.

“E allora sono nervoso.” concesse, la voce più acuta del solito.

“Ma le lattine non ti hanno fatto niente, perciò...” si chinò a raccogliere un bidone, ributtandoci dentro tutta la spazzatura che Hayato aveva rovesciato con un calcio molto “casuale” e si soffermò a osservare l'amico dal basso.

Si era persino dimenticato di togliere gli occhiali da vista quando erano usciti da scuola, dopo il compito di inglese. E aveva ancora i capelli legati in una piccola coda, abbastanza scompigliati da farlo somigliare – insieme agli occhiali – a uno di quei geni sul punto di risolvere il problema della trisezione del triangolo a due anni e mezzo. Questo agli occhi di uno sconosciuto. Ma Yamamoto lo conosceva abbastanza bene da sapere che, in quel momento, Gokudera avrebbe potuto trisezionare uno dei loro vari nemici per poi appenderli per le mutande al piano più alto di un grattacielo. In realtà Gokudera era una brava persona, attento, generoso e ingenuo, solo che aveva questo problema del controllo e della rabbia. E Yamamoto era più o meno la persona più adatta a trattare con lui quando questo problema si manifestava. Sapeva quali erano le parole giuste, anche se finiva quasi sempre col rischiare la vita, e alla fine Gokudera si calmava, senza affermarlo. A quel punto diventava il solito scorbutico di sempre, solo un po' più Gokudera.

“Che schifo...” commentò, mentre Yamamoto tirava su il bidone.

“E' solo spazzatura... Eheh, solitamente maneggio interiora di pesce.” ridacchiò e si portò una mano dietro la testa, mentre osservava attentamente la reazione di Gokudera. Sembrava sul punto di rimettere, perciò mise da parte le interiora di pesce.

Hayato riprese a camminare e lui lo seguì, pulendosi le mani con un fazzoletto.

“Come è andato il compito?” domandò. Lui aveva sbagliato almeno la metà delle domande, ne era sicuro, ma che ci poteva fare se in anni di inglese era riuscito a ricordare perfettamente solo la parola “thank you”? Era la parola più utile secondo lui: ringraziare. Lui ringraziava tutti, anche la vecchietta che invece di buttare la scontrino del negozio di sushi, come tutti facevano, lo conservava nella borsa. Ecco, sì, magari era solo un feticismo – e non sarebbe carino entrare in una casa tappezzata di scontrini – ma Yamamoto si sentiva grato la maggior parte del tempo. Per questo adorava la parola grazie. Era un modo per essere sicuro che la gente lo sapesse e, ancora di più, che lui lo sapesse. Sicuramente avrebbe potuto bastare la sensazione di gentile calore che lo colpiva ogni volta, ma Takeshi era fermamente convinto che il linguaggio fosse importante allo stesso modo. Le sensazioni danno il via a tutto, aumentano la sicurezza, e il linguaggio aiuta a concludere l'opera. L'ultima pennellata dell'artista che decide di dare qualcosa di bello all'umanità, come un quadro. Anche se poi la maggior parte delle volte certe opere d'arte ti lasciano di stucco, senza una parola, ed era più o meno quello che succedeva quando Gokudera faceva qualcosa di sbalorditivo, come preoccuparsi per lui. Mica lo diceva.

“Benissimo.” rispose, telegrafico e senza voltarsi. Di tanto in tanto si guardava in tasca e reprimeva un gemito di frustrazione.

“Beato te... Io credo dovrò rifarlo.”

“Idiota.”

Yamamoto rise. Gokudera ci aveva provato a insegnare a lui e a Tsuna quella lingua, spendendo un pomeriggio intero solo spiegando il presente e facendo loro memorizzare una decina di parole, ma erano due testoni entrambi, perciò niente di fatto.

“Speriamo che a Tsuna sia andata meglio.”

“Certo che sì! Il Decimo non fallirà stavolta.” si infervorò. Gokudera credeva in Tsuna al punto di diventare cieco, ma era bello, finché riusciva a distinguere tra le due figure di Tsuna e del Decimo. Infatti, anche se insisteva con quell'atteggiamento cerimonioso Yamamoto era convinto che Gokudera fosse migliorato parecchio dall'inizio e che ora fosse in grado di capire quando Tsuna aveva bisogno di un amico e quando aveva bisogno di un Guardiano.

“Bravo, Gokudera! Se crediamo in lui riuscirà in tutto.” lo incoraggiò. Anche lui credeva in Tsuna, ma probabilmente non gli avrebbe affidato il suo compito di matematica – forse non l'avrebbe affidato neanche a se stesso.

“E' il Decimo e...”

“Ed è nostro amico.”

“Ogni tanto dici cose sensate.” disse Gokudera, ricevendo un sorriso enorme in risposta. Scosse il capo e rivolse lo sguardo alla strada davanti a lui. Tirò un sospiro di sollievo, senza farsi vedere da Yamamoto – che lo notò comunque – e dimenticò per un attimo la questione sigarette. Se Yamamoto diceva che Tsuna era suo amico – d'accordo, loro amico – allora doveva essere vero. Yamamoto capiva più di lui le “cose dell'amicizia” e solitamente non sbagliava, tranne quando diceva che loro erano amici. Oh no, anche se facevano la strada insieme, usava la maglietta di Yamamoto per pulirsi gli occhiali, passava quasi tutte le sere al negozio di sushi e faceva sgridare Yamamoto da suo padre per le pause interminabili che si prendeva, andava, solo qualche volta, alle sue partite, lo proteggeva durante i combattimenti, urlava il suo nome quando credeva che fosse spacciato o in pericolo, lo prendeva a pugni quando cercava di fare l'eroe rischiando la vita e anche se non l'aveva ancora ucciso. O mandato al diavolo. Non erano amici. No e poi no.

“Figurarsi...” borbottò a bassa voce.

“Che hai detto?” quello sembrava giapponese, pensò Yamamoto, e non sembrava così irritato.

“Che ho fame.” rispose Gokudera, ficcando le mani nelle tasche del cappotto, senza pensare che fossero “vuote di sigarette”.

“Oggi papà fa il suo piatto migliore. Vuoi venire?”

Gokudera si fermò un secondo a soppesare la situazione. Il signor Yamamoto-padre era un cuoco eccezionale e il negozio era sempre così caldo che rendeva impossibile pensare al freddo di fuori, e anche a un sacco di altre cose. Come il nervosismo immotivato che l'aveva buttato giù dal letto quella mattina e non l'aveva fatto dormire tutta la notte. Insomma, perché non avrebbe dovuto dormire? Aveva passato una serata normale il giorno prima: era stato da Tsuna insieme a Yamamoto e Ryohei e la signora Sawada aveva cucinato la cena migliore del mondo. Certo, la mucca l'aveva colpito due volte con il bazooka dei dieci anni ed era tornato bambino, si era beccato un pugno da I-Pin che stava cercando di colpire Lambo, e poi... Niente, accidenti, poi era uscito insieme a Yamamoto e Ryohei, Ryohei li aveva lasciati a un certo punto della strada e se n'era andato saltellando e lanciando pugni al vuoto e alla fine Yamamoto l'aveva ringraziato per le ripetizioni di inglese, sorridendo come un idiota. Poi forse era arrossito – no, era solo il caldo invernale – ed era entrato in casa imprecando contro di lui e sbattendo la porta. Dopo essersi scolato due litri di latte e aver mangiato una busta di biscotti era andato a letto e la mattina dopo aveva realizzato che non aveva dormito non a causa del mal di stomaco e dei tre viaggi in bagno, ma per qualcos'altro. Qualcosa che non aveva motivo di esistere e che non doveva esistere.

Sbuffò. E ora di nuovo. Probabilmente erano i biscotti che non era ancora riuscito a digerire che gli davano quella sensazione – sì, tra un attimo avrebbe vomitato in un bidone – perciò, cercando di non balbettare, rispose:

“Basta che la smetti di toccare spazzatura e di parlare di interiora... Idiota.” dio, non avrebbe mai più mangiato biscotti. E il latte era un nemico da abbattere e riempire di dinamite.

Yamamoto gli diede una pacca sulla spalla e lui quasi inciampò. In quel momento qualcosa gli cadde da dietro l'orecchio. Guardò per terra e vide una sigaretta.

Si fermò solo un attimo, il tempo che Yamamoto impiegò per mettergli un braccio intorno alle spalle e trascinarlo via, dicendo che dovevano sbrigarsi se volevano mangiare per bene. Il tempo, effettivamente, che servì a lui per capire che non aveva bisogno di quel cilindro di carta e tabacco – solo perché lui non raccoglieva le cose cadute per terra.

 

  
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