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Autore: Alys93    20/02/2011    1 recensioni
La vita di Alexander Fox, normale e felice diciassettene, viene improvvisamente sconvolta dalla partenza della madre, decisa a rifarsi una vita. A lui tocca il compito di risollevare il padre dal dolore, e gli nasconde ciò che prova. Ma capisce che il padre non è il solo bisognoso d'aiuto. Qualcuno ha bisogno di lui... Cecily, la sua silenziosa compagna di classe. Ma, dopo aver scoperto tutto ciò che ha passato nella sua vita, riuscirà a restutuirle la speranza ed il coraggio di vivere?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehilà! ciao a tutte! eccomi qui, cn una nuova storia. Visbs, ti avevo detto ke, prima o poi, avrei postato la storia ke ho inviato al concorso della mia prof, no? Bene, eccola qui. alcune di voi, ke mi conoscono sul sito di Inuyasha, si kiederanno, "Ma questa deve aggiornare ancora le sue storie, ne posta uan nuova?". sentivo il bisogno di farlo, è stato + forte di me. spero tanto ke la storia vi possa piacere. è un po' lunghetta, ma nn mi andava di spezzarla in capitoli. spero apprezzerete. buona lettura!
P.S.
ogni commento è gradito, dal quello minuscolo a quello ke mi avvisa di erroracci ortigrafici (ke spero di non aver commesso) bacioni! vostra Alys93

 

Il coraggio di vivere

Alexander diede un forte calcio alla lattina, mandandola a sbattere più volte conto il muro, ma questo non bastò a fargli sbollire la rabbia che sentiva dentro. Non poteva credere che la sua vita da perfetto adolescente, fosse stata stravolta in quel modo. Era assurdo! Sto sognando mormorò con voce atona Questo è solo un incubo. Quando mi sveglierò, mi accorgerò che i miei genitori stanno ancora insieme. Prese un profondo respiro ed inclinò la testa all’indietro, cercando di rilassarsi, ma, quando riaprì gli occhi, dovette prendere atto della cruda realtà. Le valigie di sua madre erano caricate nella sua auto rossa, nuova fiammante, e lei era pronta a lasciare per sempre la casa in cui aveva abitato per più di vent’anni. Non voleva nemmeno sapere chi le avesse regalato quel bolide color fuoco; il solo pensiero che sua madre avesse un altro uomo lo faceva star male. Se ne stava andando, per sempre, e lui non aveva la minima idea di come fermarla, di come convincerla a restare. Vera scosse vezzosamente la chioma nera come la notte, sorridendogli tranquilla mentre saliva a bordo della sua nuova BMW. “Vedrai, tesoro” disse allegra “Non appena mi sarò sistemata nell’appartamento di Tom, tornerò a prenderti”. Rivolse uno sguardo disgustato alla semplice dimora dove aveva vissuto ed aggiunse “Così potrai lasciare questa topaia e vivere in una casa decente”. “Non voglio venire a vivere con quel tipo!” ribatté il ragazzo, affondando le mani in tasca, “Resto con papà, non lo lascio solo”. Quella frase voleva essere un’implicita accusa contro la madre, che li stava abbandonando per un deficiente, il cui unico pregio era un portafoglio ben fornito. Voleva ferirla, farle capire che doveva restare, che non voleva che se ne andasse con quell’uomo, lasciandoli soli. Perché? Perché lo stava facendo? Perché suo padre non lottava per farla restare? Rivolse uno sguardo furioso al genitore, che fissava la scena dall’arco della porta, e subito la rabbia svanì, così com’era apparsa. Quello che aveva davanti era un uomo che aveva usato tutte le sue forze per non perdere la donna che amava e non era riuscita a fermarla. Era davvero a pezzi, non poteva accusarlo di qualcosa di cui non aveva la minima colpa. Da bambino aveva sempre ammirato il carattere indipendente della madre, che era partita dal niente ed ora gestiva la sua brillante carriera di avvocato, ma adesso… Con un sospiro amareggiato, si appoggiò alla portiera della BMW, dicendo “Mamma, per favore! Non andartene. Cos’è che ti manca, qui? Prima eravamo così felici!”. Vera scosse la testa “Sono stanca di accontentarmi, tesoro. Voglio poter vivere una vera vita, senza ristrettezze!”. “Allora è per questo che te vai?” sbottò il giovane con voce alterata “Per i soldi? Non ci sono mai mancati, anche se non viviamo nel lusso”. Fece un largo gesto con la mano, incapace di trattenere la rabbia, “C’è tanta gente, in questa stessa città, che sta peggio di noi! Ma quelle famiglie restano unite!”. Improvvisamente, sentì la mano del padre sulla spalla “Lasciala andare, Alex. Se vuole rifarsi una vita, noi non possiamo impedirglielo”. Alexander si lasciò sfuggire un sospiro e si allontanò dalla macchina, mormorando “Non tornare per me. Io resto con papà, che ti piaccia o no. La mia vita è qui”. Sentì la stretta del genitore farsi più intensa, un tacito messaggio di ringraziamento, e rivolse un ultimo sguardo all’auto rossa, che svanì rapidamente all’orizzonte. Quando fu scomparsa del tutto, il ragazzo sentì che le cose non sarebbero state più le stesse.

 
“Ehi, Alex!”. Alexander si voltò appena nel sentire la voce del suo migliore amico rimbombare nel corridoio della scuola, al di sopra del solito cicaleccio di studenti che lo affollavano. “Ehi!” lo richiamò Gabriel, arrivandogli alle spalle, “Cos’è? Hai la luna storta, oggi?”, ma tacque di colpo quando lo vide in faccia. “Accidenti, che brutta cera!” commentò allarmato, fissandolo con aria preoccupata, “Cosa ti è successo, Alexander?”. Lui scosse la testa con aria stanca “No, niente. Non preoccuparti, sono solo un po’ giù”, “Di’ la verità, tua madre se n’è andata”. L’intuizione dell’amico gli causò una fitta al cuore, mentre ripensava al giorno precedente ed al dolore che si portava dentro. “Come lo hai saputo?” chiese cupo, “La vecchia zitella del palazzo lo diceva proprio stamattina a mia madre” rispose Gabriel “Mi dispiace molto per te”. “Ormai era parecchio che lei e mio padre litigavano in continuazione…” mormorò Alexander “Forse è meglio così. Potremo ricominciare tutto da capo”. Ma non ho idea di come potremmo fare aggiunse amaramente, prendendo posto nell’aula di matematica, Niente sarà più lo stesso, per noi. Quella giornata prometteva di essere una delle peggiori della sua vita e non poté che averne la conferma quando vide una figura longilinea avanzare trafelata nella classe e sedersi davanti a lui. Se Cecily Smith, improbabile compagna di classe dal carattere chiuso, gli aveva rivolto uno sguardo incuriosito, allora le cose stavano peggio del previsto. Con una smorfia, aprì il libro che aveva davanti e cercò di concentrarsi sulla lezione, ma i suoi occhi continuavano a scivolare sulla schiena curva della ragazza davanti a lui, appena rivestita da abiti indubbiamente di seconda mano e dall’aria consunta. Quella non era una ragazza come tutte le altre, aveva qualcosa di particolare, che lo incuriosiva…  Attorno a lei non c’erano che misteri, non conoscevano neanche dove abitasse… Non che qualcuno glielo chiedesse… Cecily aveva lo strano potere di tenere tutti alla larga da lei, neanche fosse protetta da una barriera invisibile! Con il carattere freddo e chiuso che si ritrovava, non c’era da dubitarne. Gli sfuggì uno sbuffo quando si rese conto che stava cercando di sciogliere i misteri di cui si era circondata; di nuovo! Possibile che dovesse sempre chiedersi cosa passasse per la testa di quella specie di automa, che non mostrava mai cosa provasse? Il suo volto chiaro era perennemente bloccato in un’espressione impassibile… quasi vuota, come se non provasse alcun sentimento. Solo gli occhi, a volte, la tradivano; non riusciva a nascondere una scintilla impaurita, nel raro caso che qualcuno le rivolgesse la parola. Era come se avesse paura che il suo spazio venisse in qualche modo invaso, privandola di ogni difesa. Sembrava odiare tutto e tutti… mai che rivolgesse una parola, se non costretta dalla situazione. Nessuno aveva voglia di avvicinarsi a lei, neanche avesse la peste o chissà quale malattia contagiosa. Smise improvvisamente di fare congetture sullo strano carattere della compagna, quando Gabriel gli diede una lieve gomitata nel fianco. “Alexander!” lo richiamò l’amico “Smettila di sognare ad occhi aperti! La professoressa sta venendo qui!”. Il ragazzo si limitò a fargli un cenno, prima di lanciare un’occhiata alla lavagna ed iniziare a copiare gli intricati schemi che vi erano scritti. Solo su una cosa era certo; quella giornata non prometteva bene. Per niente.
Al suono della campana, Cecily raccolse velocemente la sua roba, infilandola nel logoro zaino nero, e corse verso l’uscita. Non ne poteva più! Era solo la prima ora e già desiderava fuggire da quell’edificio e dai continui sguardi che le trafiggevano la schiena. Possibile che dovessero sempre guardarla come se fosse un’aliena? Perché non riuscivano a lasciarla un po’ in santa pace? Mentre si lanciava fuori dall’aula, uno dei libri le cadde a terra e, sbuffando, si chinò per raccoglierlo, ma si bloccò di colpo quando vide Alexander Fox porgerglielo sorridendo. Fantastico! Ma certo che le cercava proprio tutte le situazioni per attaccar bottone! Non che lo trovasse fastidioso o altro, ma non le piaceva il fatto che la seguisse quasi come un’ombra! Ma non aveva proprio niente da fare? Tenendo lo sguardo basso per non lasciar trasparire nulla, afferrò il libro e, dopo aver mormorato un flebile “Grazie”, si defilò nel corridoio. Meglio allontanarsi il più velocemente possibile da quegli occhi neri come l’onice, che sembravano volerle scandagliare l’anima. Le venivano i brividi al solo pensiero che quel giovane potesse sapere qualcosa su di lei; sarebbe stato orribile. Scuotendo la testa per scacciare quella fastidiosa sensazione, si diresse velocemente nella classe successiva, sospirando sollevata quando si ricordò che non avrebbe rivisto Alexander Fox per tutta la giornata. Doveva solo resistere qualche ora, poi sarebbe corsa al Rainbow Coffee per la solita giornata di lavoro dietro al bancone. Non le piaceva versare continuamente caffè di tutti i tipi in tazzine di porcellana, che poi le toccava pulire in modo quasi maniacale, ma Robert era un uomo gentile. Lui aveva subito compreso il suo bisogno disperato di avere un lavoro, anche se sottopagato e con orari stressanti, e non le aveva fatto domande. Anche se gliel’avesse fatte, sicuramente non avrebbe risposto. Ormai si teneva tutto dentro, ma che altra scelta aveva? Nessuno doveva sapere niente di lei o della sua famiglia; era condannata a vivere una vita da ombra.
 
Alexander si appoggiò allo schienale rigido della sedia della sua scrivania, poggiandosi le mani dietro la nuca. Giocherellando con la matita, che teneva appoggiata in equilibrio tra il naso ed il labbro superiore, ripensò a come stessero trascorrendo i giorni senza sua madre. Il primo impatto con quella nuova realtà era stato terribile, tanto era sembrata desolata la casa senza la sua presenza. Non era facile compensare la sua mancanza, così allegra e ottimista, ma ce la stava mettendo tutta per tenere alto il morale a suo padre. Discuteva di ogni cosa possibile ed immaginabile con lui: il suo lavoro alla centrale di polizia, la scuola, il campionato di baseball… Eppure niente di quello che gli diceva sembrava riuscire a cancellare la scintilla di malinconia che gli incupiva lo sguardo. Ne sarebbe dovuto passare di tempo, prima che suo padre riuscisse ad uscire da quello stato di depressione. Con un sospiro, tornò a fissare il soffitto chiaro, chiedendosi cos’altro potesse fare. Niente. Niente di niente. La sua mente si rifiutava di continuare ad arrovellarsi su quel problema. Capendo che non sarebbe più riuscito a concentrarsi su niente, chiuse il libro che aveva davanti e si stese sul letto. Non desiderava altro che rilassarsi e svuotare il cervello da ogni singolo pensiero; ormai non trovava pace neanche nel sonno. Dopo qualche istante, sentì i muscoli intorpidirsi e sorrise, pensando che avrebbe potuto dormire almeno un po’. Mancavano ancora tre abbondanti al ritorno di suo padre dalla centrale ed era intenzionato a preparargli qualcosa di diverso dal solito piatto di spaghetti. Con un’espressione piena di malinconia, ripensò ai pomeriggi d’estate passati accanto alla madre, quando lei gli porgeva il ricettario, chiedendogli cosa volesse per cena. Ne aveva trascorso di tempo ad aiutarla in cucina e non se la cavava poi così male; una bella fortuna, dato che suo padre sapeva cucinare solo piatti piuttosto elementari. Almeno sa fare qualcosa mormorò cupo Il padre di Gabriel non è neanche capace di scaldare una zuppa. Come se lo avesse evocato, il telefonino iniziò a squillare sul comodino ed il giovane sospirò nel leggere il nome dell’amico sul display. “Ciao, Gab” mormorò “Come va?”, “Questo te lo dovrei chiedere io” ribatté l’altro “Come ve la state passando?”. “Sopravviviamo” sussurrò laconico Alexander “Sono giorni che cerco di strappare un sorriso a mio padre, ma il massimo che ho ottenuto è stato un lieve cenno del capo”. “Già, Victor me l’ha detto” disse Gabriel, ripensando alle parole del fratello maggiore, “C’è qualcosa che posso fare?”. “No, ma ti ringrazio per il pensiero” replicò l’amico “L’unica cosa che potrebbe risollevare mio padre è un ripensamento da parte di mia madre”. Gli sfuggì una lieve imprecazione, pensando che Vera era ancora decisa a farlo andare con lei ed il suo nuovo compagno, ma lui era determinato a non lasciare il padre da solo. “Devi essere davvero incavolato con tua madre” commentò Gabriel, capendo cosa angustiasse tanto il suo migliore amico. Se fosse successo a lui, non aveva idea di come avrebbe reagito. La sensazione che gli si agitava dentro quando s’immedesimava nel compagno lo faceva stare dannatamente male. Era tremendo. Si schiarì leggermente la voce e disse “Che ne dici di uscire un po’ da quel buco in cui ti sei rintanato? Facciamo quattro passi, così ti sfoghi un po’. Che ne pensi?”. Alexander annuì, poi, rendendosi conto che per telefono Gabriel non poteva vederlo, mormorò “Sì, credo che mi farà bene”. Interruppe la chiamata e s’infilò una felpa pesante sulla maglia nera; ormai il freddo di novembre si faceva sentire. Prima di andarsene, diede una rapida occhiata al contenuto del frigorifero e stilò una piccola lista di quello che serviva. Suo padre stava esagerando con il caffè, forse era meglio non prenderne troppo. Un’overdose da camomilla, ecco cosa gli servirebbe borbottò furioso Tutta quella caffeina finirà con il rodergli il fegato!. Senza contare che i sensi ne sarebbero stati parecchio compromessi e questo, per un agente di polizia, era una cosa da evitare assolutamente. Ogni volta che c’era una rapina o un sequestro, Kevin Fox era sempre in prima linea, a guidare i suoi uomini, quasi incurante dei rischi che correva. Alexander sospettava che non si fosse ancora lasciato uccidere solo per non lasciarlo solo, dopo che gli aveva fatto capire quanto detestasse il nuovo compagno della madre. Tom Douglas poteva anche essere un giovane ed avvenente uomo d’affari con il portafoglio strapieno, ma quel tipo non gli piaceva per niente. Gli si annodava lo stomaco solo al sentirlo nominare! Era colpa sua e delle sue maledette moine sdolcinate, se sua madre se n’era andata di casa; quell’uomo era un verme! L’aveva presa all’amo come un pesce, ma Vera Zafth non era esattamente la vittima innocente di tutta quella situazione. Se non si fosse fatta abbindolare da una promessa di vita più agiata, se solo si fosse aggrappata con più forza al valore della famiglia… Il ragazzo scosse la testa, frustrato È inutile che penso a tutti questi se. Mamma se n’è andata ed io non posso farci niente. Adesso devo solo pensare ad aiutare papà, anche se non so proprio come fare. Con un gesto secco, prese il cappotto dall’appendiabiti ed uscì fuori, rabbrividendo nell’aria fredda di fine novembre. Gabriel lo aspettava alla fine del viale, le mani affondate nelle tasche della giacca per proteggerle dal gelo. “Mi fa piacere che tu sia venuto” disse sorridendo “Credo che due passi ti potrebbero fare bene”. “Più che altro, è la tua compagnia” sorrise lui, cercando di rassicurarlo, “Dai, andiamo. Vorrei approfittarne per fare un po’ di spesa…”. “Già… Adesso, il compito è passato a te” mormorò l’amico “Beh, dato che tu e tuo padre siete ancora vivi, è segno che sai cucinare abbastanza bene”. Un leggero sorriso fece incurvare le labbra di Alexander “Qualche volta potresti venire a cena da noi. Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a tenere su il morale al mio vecchio”. “Quando vuoi” acconsentì Gabriel, prima che un refolo di vento lo facesse rabbrividire, “Però adesso andiamo! Altrimenti finirai per dovermi scongelare, prima!”. L’amico scosse la testa, ringraziando la buona sorte che gli aveva permesso di conoscere Gabriel, e si avviò verso il vicino supermercato, deciso a sbrigare la piccola commissione. Mentre cercava qualche scatolo di camomilla in bustine tra gli scaffali, l’altro gli passò una grossa barretta di cioccolato. “Ti farà bene” disse sorridendo “A te ed al tuo vecchio. Io ne mangio quintali, quando sono giù di corda”. “A mio padre ne servirebbe un camion intero” mormorò lui, “Comunque, grazie. Apprezzo molto quello che stai facendo per me e mio padre”. “Ma figurati! Altrimenti, a cosa servono gli amici?” ribatté Gabriel “Dai, muoviti con quel carrello. Ti porto in un locale piuttosto carino, giù in centro”.
 
Robert sbucò nel retro del negozio, destreggiandosi come un improvvisato giocoliere tra tazze da lavare e vassoi colmi di piattini pieni di briciole. “Mi dispiace per te, mia cara” mormorò sorridendo, poggiando il tutto sul ripiano lucido del lavello, “Ma ti toccherà sgobbare parecchio, oggi!”. Cecily si tolse una ciocca scura dal viso e sorrise appena “Beh, guardo il lato positivo della situazione. Almeno stai facendo buoni affari”. “Questo è certo” ridacchiò l’uomo, dandole un leggero buffetto sulla schiena, “Soprattutto perché ho un’aiutante davvero fantastica!”. Prese un vassoio pulito dal bancone opposto ed ignorò il solito irrigidirsi della ragazza al suo tocco; ormai ci era abituato. Poteva sorriderti, mostrarsi disponibile ad aiutarti, ma non si apriva mai, mai del tutto. Sembrava non permettere a nessuno di attraversare la barriera che si era creata attorno e, non appena qualcuno si avvicinava un po’ di più, si chiudeva a riccio, scoraggiando ogni tentativo d’instaurare un rapporto, qualunque fosse la sua natura. Dall’esperienza maturata nei suoi quarantadue anni, poteva intuire che le era successo qualcosa che l’aveva ferita nel profondo, ma non sapeva di cosa si trattasse e non voleva costringerla a parlarne. Sospirando, tornò dietro al suo bancone e si passò una mano nei capelli nel vedere quanta gente fosse arrivata. Il freddo stava convincendo molte persone a rifugiarsi nei bar, per riscaldarsi con un buon caffè e, magari, anche qualche croissant appena sfornato. Quelli del Rainbow Coffee erano molto rinomati, dato che Robert era uno dei pochissimi che li creava ancora in maniera artigianale. Il sangue italiano che gli scorreva nelle vene e la passione per la cucina tradizionale erano il suo asso nella manica, oltre ad una nuova aiutante piuttosto carina, anche se quest’ultima faceva di tutto per passare inosservata come un’ombra. Iniziò a prendere le ordinazioni e mandò Jim a prendere altri pacchi di caffè dalla dispensa, ma capì che aveva bisogno di una mano in più. Tornò nel retro del negozio e disse “Cecily, lascia perdere quei piatti. Ho bisogno di te con i clienti”. La giovane mollò il vassoio che stava lavando e gli rivolse uno sguardo sorpreso; ma allora stavano davvero facendo un pienone! “Davvero devo venire di là?” chiese incredula, “Sì, e anche in fretta! Sta entrando talmente tanta gente che non abbiamo più tavoli liberi!” borbottò Jim, trasportando diversi pacchi di caffè. Cecily si asciugò le mani con uno strofinaccio e si tolse il grembiule di plastica, sostituendolo con uno di stoffa più colorato. Non le andava di andare nel negozio a servire i clienti, anche perché di solito bastavano Robert e Jim a soddisfarli, ma si fece forza e seguì il suo datore di lavoro. Rimase sconvolta dalla massa di persone che si accalcavano nel bar, cercando un po’ di tepore dal gelo pungente che aleggiava fuori. Quell’ondata di freddo li aveva presi alla sprovvista e molti di loro non era neanche coperti nel modo giusto. Innervosita, si passò la penna tra i capelli ed iniziò ad avvicinarsi ad uno dei tavolini indicateli da Jim, dicendo “Cosa vi porto?”. Non aveva alzato gli occhi dal block-notes, pronta a ricevere l’ordinazione, quindi rimase molto sorpresa nel sentire il suo nome, piuttosto che l’ordinazione di un cornetto o di un bel caffè bollente. “Cecily?” mormorò Alexander, fissandola con un’espressione incredula sul volto, “E tu che ci fai qui?”. La ragazza divenne una statua di ghiaccio, mentre gli restituiva lo stesso sguardo sorpreso; ma, tra tutti i clienti del bar, proprio loro dovevano capitarle? Oltre ad Alexander, c’era anche il suo inseparabile amico, Gabriel York; peggio di così non poteva andarle! Adesso che quello scocciatore sapeva dove lavorava, probabilmente se lo sarebbe ritrovato tra i piedi anche dopo la scuola! Possibile che, più cercasse di evitarlo, più se lo ritrovava tra i piedi? Robert passò in quel momento con un vassoio stracarico di tazzine fumanti e disse “Cecily, sbrigati con le ordinazioni! Siamo praticamente sommersi di lavoro!”. “Sì, subito” mormorò lei, poi tornò a concentrarsi sui suoi compagni di scuola, borbottando “Avete intenzione di ordinare qualcosa, o preferite restare lì a fissarmi come due idioti?”. Gabriel scosse la testa e mormorò “Ehm… ecco… Un cappuccino, grazie”, poi guardò l’amico, che ancora se ne stava lì come un baccalà, a fissare la loro compagna di scuola. Gli diede un calcio da sotto il tavolo e lui si riscosse, dicendo “Un caffè, per favore. Bello forte”. Ne sentiva proprio il bisogno! “Ve li porto il prima possibile” disse la giovane con tono impeccabile, allontanandosi con l’ordinazione appuntata sul taccuino. Alexander lanciò uno sguardo incredulo all’amico e chiese “Tu lo sapevi che Cecily lavorava qui?”. “No” mormorò l’altro, restituendogli l’occhiata, “Non ne avevo la minima idea! Cavoli, questa sì che è stata una sorpresa coi fiocchi!”. Ma è sempre fredda come la brina sugli alberi! borbottò cupo, rivolgendo uno sguardo poco amichevole alla ragazza che continuava a prendere ordinazioni. Dopo qualche minuto, tornò da loro con due tazzine fumanti su un vassoio, che reggeva in precario equilibrio assieme ad un’altra mezza dozzina di piattini pieni di briciole. Servì le ordinazioni con un sorriso professionale e si dileguò tra la folla prima che potessero anche solo ringraziarla.
 
L’orologio del campanile batteva le undici e mezza passate, quando Cecily chiuse la porta che dava sul retro del negozio. Quella sera aveva fatto più tardi del solito, data l’impressionante mole di piatti, tazzine e vassoi che aveva dovuto lavare. Era stata costretta a fare tre carichi con la lavastoviglie, o non avrebbe finito neanche per l’una di notte. Con un sospiro, si sistemò la sciarpa attorno al collo, rabbrividendo nell’aria fredda che le condensava l’alito in nuvolette biancastre. Senza perdere altro tempo, s’incamminò a passo deciso verso casa, lanciandosi continue occhiate alle spalle per assicurarsi che nessuno la seguisse. Già una volta le era capitato di fare un brutto incontro e non aveva alcuna voglia di fare il bis. Nell’ultimo tratto, aumentò l’andatura fino a trasformarla in una corsa, fermandosi solo quando fu arrivata davanti al suo portone. Prese rapidamente le chiavi dalla tasca dei jeans ed aprì il battente, sgusciando velocemente all’interno. Sospirando sollevata, lasciò cadere lo zaino sul pavimento grezzo e si diresse in cucina, sperando di trovare qualcosa di commestibile. Sua madre aveva di nuovo lasciato un macello di piatti e bicchieri da lavare; come se non bastassero tutte le stoviglie che doveva già pulire al bar! Eppure, lei era sempre sola in casa! Com’era possibile che combinasse un tale disastro? Proprio non riusciva a spiegarselo… Con una smorfia seccata, fissò la figura addormentata sul divano, storcendo il naso nel sentire una forte puzza di alcool. Aveva bevuto ancora! Eppure era sicura di aver nascosto ogni singola bottiglia di vodka trovata in casa! Lanciò uno sguardo alla cassapanca dove aveva cercato di nascondere quel dannato liquido trasparente e sgranò gli occhi nel vedere che il lucchetto era a pezzi, sfondato con un grosso martello. Scosse la testa, ormai priva di ogni speranza; erano due anni che lottava in ogni modo con sua madre, cercando di farla smettere di bere, ma ogni sforzo era risultato vano. Di questo passo ti ammazzerai! borbottò cupa, sentendo le lacrime pungerle gli occhi, Vuoi lasciarmi totalmente sola, mamma?. Sentì una fitta colpirle il cuore, mentre ricordi dolorosi le invadevano la mente, ma si sbrigò a scacciarli nei recessi più profondi. Non poteva perdere tempo a rimuginare su un passato ormai andato; aveva una vita davanti a sé ed avrebbe fatto il possibile per renderla quanto meno accettabile. Peccato che la sua situazione non fosse esattamente rosea… Sospirando, lavò rapidamente tutti i piatti, riponendoli nel cassetto, e raccolse le bottiglie vuote, gettandole nel cassonetto che si trovava nel cortile del palazzo. A furia di buttare bottiglie vuote, era diventata piuttosto brava a centrare il cassonetto del vetro, anche al buio. Dopo essersi liberata di tutti i contenitori, prese tutte le vodka ancora sigillate che le capitarono sotto mano e le nascose in soffitta, chiudendole in un baule provvisto di un grosso lucchetto. Speriamo che stavolta non le trovi mormorò affranta, mentre si trascinava nel ripostiglio che le faceva da camera. Accese la piccola lampada, illuminando le quattro pareti, ricoperte di umidità, e si strofinò gli occhi, cercando di non lasciarsi vincere dal sonno. Doveva ancora fare i compiti per il giorno successivo e non le andava di ricevere una strigliata dagli insegnanti perché non aveva svolto il suo lavoro a casa. Sperò ardentemente che Alexander e Gabriel tenessero la bocca chiusa sul loro incontro di quel pomeriggio… Se la storia si fosse diffusa, non avrebbe più potuto alzare lo sguardo da terra per l’umiliazione. Cecily Smith era una pezzente, con una madre perennemente ubriaca di vodka, costretta a lavorare per pagarsi gli studi, i libri usati e gli abiti di seconda mano che indossava. Quante volte, al mercatino dell’usato, si guardava intorno per paura d’incontrare qualche suo compagno di scuola. Se avessero scoperto la sua misera condizione di vita, sarebbe stata un’umiliazione troppo grande da sopportare. Quel pensiero le provocò un brivido gelido lungo la schiena e si sbrigò a scacciarlo, cercando di concentrarsi sulla marea di compiti che le avevano rifilato. Sbatté un paio di volte la penna sul ripiano che le faceva da tavolo e sbuffò, imprecando tra i denti contro i professori. Perché dovevano sempre costringerla a dormire appena qualche ora, dopo la tremenda giornata che aveva sulle spalle? Cercando di contenere il nervosismo, iniziò a scrivere quel dannato saggio che l’avrebbe tenuta sveglia chissà quanto… Ma doveva sforzarsi di resistere; se non si fosse dimostrata capace di affrontare quei piccoli problemi quotidiani, non avrebbe mai potuto affrontare la vita.
Sentì l’orologio scoccare le due, quando finalmente chiuse i libri con un tonfo secco e si passò una mano sul viso, cercando di restare sveglia qualche altro minuto. Sbadigliando per la stanchezza, si stese sul letto, sprofondando velocemente nel mondo dei sogni, dove la sua famiglia era ancora unita e lei era la bambina più felice dell’intero universo.
 
Alexander rimase a fissare a lungo il soffitto chiaro della sua camera, incapace di prendere sonno. Continuava a pensare a quel pomeriggio, all’inaspettato incontro con Cecily e le sensazioni che lo avevano invaso nel vederla. Non era normale che fosse diventato improvvisamente muto, solo perché la ragazza aveva sorriso. Quello che aveva visto non era un vero sorriso, ma una copia molto cortese di quello che sarebbe dovuto essere realmente. Ma perché non era riuscito a spiccicar parola, finché Gabriel non aveva avuto l’accortezza di farlo riprendere con un calcio? Doveva esserle sembrato un vero idiota, mentre la guardava a bocca aperta. Ma che poteva farci se l’aveva trovata dannatamente carina, con quel sorriso, per quanto falso, che le illuminava il volto chiaro? Quegli occhi verdi gli erano sembrati due pezzi di giada, incredibilmente limpidi e profondi… Ma che diavolo gli stava passando per la testa? Aggrottò la fronte, ripensando al tono professionalmente gelido che aveva usato, ma non capiva il motivo di tutto quel fastidio. Che gliene importava di quella ragazzina così chiusa e fredda, che se ne stava perennemente per i fatti suoi? Sarebbe stato meglio smettere di cercare di sciogliere i misteri attorno a lei, o sarebbe diventato matto! Con un sospiro, ripensò all’espressione affranta del padre, quella sera a cena; sua madre aveva chiamato per tentare di convincerlo ad andare a vivere con lei, ma aveva opposto un netto rifiuto. Se lei voleva vivere con quel verme, che facesse pure! Ma lui non aveva la minima intenzione di abitare in quell’appartamento, il cui salotto era più grande della sua stanza. Che gli importava di avere tanti agi, quando poi non c’era un briciolo di sentimento autentico nell’aria di quella casa? Preferiva vivere più modestamente, ma restare accanto a suo padre, che aveva un disperato bisogno di rifarsi una vita. Non aveva pronunciato che poche frasi smozzicate, giusto per apprezzare gli sforzi del figlio in cucina, ma poi era tornato a rinchiudersi nel suo silenzio.Su questo è come Cecily borbottò seccato Sono proprio uguali! Così silenziosi che non ti accorgi neanche che ci sono, manco fossero fantasmi…. Il viso gli si distorse in un’espressione preoccupata, mentre ripensava alla cena di quella sera. Suo padre aveva appena assaggiato la carne alla griglia e anche a pranzo non aveva quasi toccato cibo. Possibile che l’amore potesse ridurre a quel punto? Gli sembrava così assurdo! Innervosito, si alzò in piedi e cominciò a camminare nel corridoio, rimanendo sorpreso nel vedere la luce accesa nello studio di suo padre. Possibile che anche lui fosse ancora in piedi, a quell’ora della notte? Avanzando in punta di piedi, si avvicinò alla porta e sbirciò da dietro il battente scuro, fissando il padre che sfiorava una vecchia foto di famiglia. Sentì un groppo doloroso chiudergli la gola, ma si sforzò di mandarlo giù; anche se la situazione era difficile, doveva mostrarsi forte, per tutti e due. Prese un profondo respiro e bussò cautamente, mormorando “Papà… Papà, che ci fai ancora sveglio? Sono quasi le tre di notte!”. Kevin sorrise appena “Scusami, Alexander… Ma proprio non riesco a dormire. Ho troppi pensieri per la testa, al momento”. “Non sei l’unico” ribatté il figlio, sedendosi sullo sgabello, “Capisco che la mamma ti manca da morire… È così anche per me, ma dobbiamo voltare pagina”. Lo guardò dritto negli occhi ed aggiunse deciso “Lei non tornerà qui, lo sai meglio di me. Devi smetterla di affliggerti in questo modo, papà!”. L’altro scosse la testa “Per te è facile… Ho vissuto più di vent’anni con tua madre, in questa casa. Ogni oggetto mi ricorda lei e ciò che facevamo insieme”. “Facile?” esclamò Alexander, scattando in piedi, “Facile? Secondo te è facile vedere la propria madre abbandonarti per seguire il primo idiota che incontra?”. I suoi occhi neri brillavano alla luce della lampada da scrivania “Non è facile, papà! Per niente! Ma, almeno, io sto provando a reagire, a fare qualcosa!”. Gli rivolse uno sguardo furibondo, mentre continuava “Tu te ne stai lì, a ripensare ad un passato che non tornerà più. Ti crogioli nel tuo dolore ed io non so più cosa fare!”. Innervosito, si passò una mano tra i folti capelli scuri, “Ti rendi conto che, ogni giorno che passa, diventi sempre più cupo e taciturno? Non mangi quasi e sembri perennemente su un altro pianeta!”. Un sospiro amareggiato gli sfuggì dalle labbra “Non capisci che sono preoccupato per te? Ho paura che tu compia qualche sciocchezza, pur di liberarti di questo dolore…”. Il padre annuì con aria seria, poi gli cinse le spalle con un braccio, dicendo “Hai ragione Alex. Sono ancora aggrappato ai ricordi… Devo fare qualcosa”. Gli rivolse un sorriso carico di gratitudine e sussurrò “Mi dispiace di averti fatto preoccupare in questo modo. Grazie per avermi riscosso da questo torpore”. Gli accarezzò la guancia e lo sospinse dolcemente verso la sua camera “Adesso, va’ a dormire. Hai la scuola e non credo che tu abbia molta voglia di addormentarti in classe, domani”. Il ragazzo sorrise, sentendosi più sollevato nel vedere il padre finalmente determinato a riprendere in mano le redini della sua vita. Gli fece un lieve cenno di saluto e si rifugiò tra le morbide lenzuola, dove venne presto rapito da Morfeo.
 
L’insistente trillo della sveglia da quattro soldi si fece bruscamente largo nelle orecchie di Cecily, che storse il volto in un’espressione seccata. Protese un braccio verso il ripiano, cercando a tentoni quell’oggetto infernale per spegnerlo, ma si sporse troppo e cadde sul pavimento. Il contraccolpo le tolse il fiato e lanciò una lieve imprecazione a fior di labbra, massaggiandosi il fianco contuso. Afferrò la sveglia e la spense, strofinandosi gli occhi per mandar via gli ultimi residui di sonno, ma non riuscì a trattenere un grosso sbadiglio. Cinque ore scarse di sonno erano davvero troppo poche per recuperare del tutto le energie… si sentiva uno straccio. Si passò una mano tra i capelli e si diresse in bagno, decisa a sciacquarsi la faccia con l’acqua fredda. Mentre tornava in camera sua per prendere il cappotto, vide sua madre alzarsi dal divano con un grugnito, mentre si guardava in giro con lo sguardo appannato. I capelli castani erano diventati una chioma di cespugli impossibile da districare, ma erano anni che lei non si curava più ed il tempo aveva fatto il resto. Quello che vedeva, era il fantasma della donna che l’aveva cresciuta con determinazione e coraggio; davanti a lei, ora, non c’era che una specie di relitto. “Dove sono le mie bottiglie?” chiese assonnata, “Le ho buttate” mentì la figlia “La devi smettere di bere, mamma. Di questo passo, ti ammazzerai!”. La donna le rivolse uno sguardo corrucciato “Nessuno ti ha chiesto niente. Lasciami bere in santa pace!”. Si trascinò fino alla dispensa e, da uno dei ripiani più bassi, afferrò una bottiglia di whiskey, iniziando a berne generosamente il contenuto. La ragazza gliela strappò di mano, fissandola con un’occhiata gelida “La devi smettere! Io non ho intenzione di continuare in questo modo!”. Afferrò la madre per le spalle e sbraitò “Sono due anni che non fai che bere ed io devo mandare avanti tutto! Ma ti rendi conto che ho solo diciassette anni? Ma perché non capisci che così ti ucciderai?”. Janet Walker si liberò dalla sua presa e sbottò “Piantala di scocciarmi! Puoi dirmi quello che vuoi, tanto non me ne importa un fico secco!”. Cecily sentì le lacrime riempirle gli occhi, ma riuscì a mantenere la voce ferma “Non t’importa niente di me? Non t’importa se io sto male, se mi ammazzo di fatica per sbarcare in lunario?”. Strinse i pugni e sibilò “Non t’importa se rischio di restare sola? Vuoi lasciarmi anche tu, proprio come ha fatto papà?”. Prima che potesse anche solo rendersene colto, si ritrovò riversa sul pavimento, con un dolore pulsante alla tempia destra. Intontita dal colpo, si portò una mano alla parte lesa, rimanendo sconvolta nel sentirla umida e calda. Strinse i denti per resistere al dolore ed alzò lo sguardo sulla madre, che stringeva la bottiglia di whiskey, rotta e grondante di liquido, tra le mani. Non sembrava neanche rendersi conto di quello che aveva appena fatto… Continuava a guardarla con occhi di fuoco, come se volesse vederla sparire seduta stante, così come se n’era andato suo marito. Cercando di trattenendo le lacrime che avevano preso a scorrerle sul volto, la giovane si rialzò a fatica e, presa la cartella, corse via alla massima velocità consentitele dal corpo ancora intorpidito. Non poteva crederci… Come aveva potuto farle questo? Come aveva potuto colpirla in quel modo? Perché l’aveva fatto? Lei cercava solo di aiutarla a non uccidersi con le sue stesse mani… Un forte singhiozzo la scosse da capo a piedi, mentre continuava a correre a perdifiato, senza una meta precisa. Di colpo, andò a sbattere contro qualcuno e si ritrovò di nuovo a terra, ma era troppo scossa per alzarsi. Il dolore, troppo intenso.
Alexander arretrò di qualche passo per recuperare l’equilibrio e lanciò uno sguardo sorpreso alla ragazza che gli era venuta addosso. “Cecily?” sussurrò impensierito, chinandosi accanto a lei, “Che cosa ti è…?”, ma si bloccò di colpo nel vedere il sangue che le macchiava la tempia. “Cecily!” esclamò spaventato, aiutandola a rimettersi seduta, “Come ti senti? Dimmi qualcosa, per favore!”. Lei gemette per il dolore e cercò di liberarsi dalla sua presa, decisa ad allontanarsi il più possibile, ma il giovane non la lasciò andare. “Sta’ ferma” le disse preoccupato “Hai una brutta ferita alla testa e stai sanguinando… Ma come te la sei fatta?”. Cecily gli rivolse un’occhiata furibonda “Lasciami stare! Ma perché mi stai sempre tra i piedi? Non voglio la tua pietà, Fox!”. Cercò nuovamente di liberarsi, ma senza alcun esito; la presa del suo compagno era troppo forte per lei. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra, mentre si accasciava su se stessa, “Perché non capisci che voglio stare sola? Perché fai di tutto per starmi vicino?”. “Perché vorrei capire cos’hai” rispose il ragazzo “E perché voglio aiutarti, qualunque sia il problema”. “Non puoi aiutarmi” ribatté l’altra, cercando di tenere a freno i singhiozzi che la scuotevano, “Nessuno può farlo… Tu non puoi capire!”. “Se tu mi spiegassi qualcosa, forse potrei” mormorò Alexander “Vorrei solo che ti fidassi almeno per una volta. Non si può vivere isolati dal resto del mondo”. “Tu hai una vita normale, una famiglia che ti ama” sussurrò Cecily “Che ne vuoi sapere di una povera stupida come me?”. “La mia vita non è più tanto normale” ammise lui con una smorfia “Non da quando la mia famiglia si è spezzata”. La vide alzare lo sguardo, evidentemente sorpresa da quelle parole, e rimase in silenzio, limitandosi a fissare quegli occhi verde giada che tanto lo stupivano. “Allora… è per questo che sei così giù di morale” sussurrò lei “Avevo notato qualcosa di diverso nel tuo sguardo, ma non immaginavo…”. Il ragazzo si strinse nelle spalle e l’aiutò a rimettersi in piedi, prima di prendere un fazzoletto dalla tasca e tamponarle delicatamente la ferita. “Mia madre se n’è andata con un altro” ammise con voce cupa “Non è affatto facile gestire la situazione, ma ci provo”. Un sorriso amaro gli incurvò le labbra “Dovevo avere davvero un aspetto terribile, se lo hai notato anche tu. Di solito, sembri sempre su un altro pianeta. Lontana da tutto e tutti”. La compagna abbassò lo sguardo “Solo perché non parlo con nessuno, questo non vuol dire che non mi accorgo di quello che mi succede intorno”. “Lo so, non preoccuparti” replicò l’altro, continuando a pulire il taglio, “Sto facendo del mio meglio, almeno per non far soffrire mio padre. È lui, quello che sta peggio”. “Mi dispiace” la sentì sussurrare “So cosa stai provando…”, Meglio di quanto tu creda. Alexander sospirò appena, prima di dirle “Questo è un taglio fatto con una bottiglia rotta. Chi te l’ha fatto?”. Notando le lacrime che le riempivano gli occhi, lasciò cadere la domanda nel vuoto e si limitò a dire “Sarà meglio che ti fai vedere subito in infermeria. Non vorrei che peggiorasse”. Le prese lo zaino da terra e, sorreggendola, iniziò ad avviarsi verso la scuola, deciso a portarla dritta in infermeria. Chiunque le avesse fatto quel taglio, doveva averle aperto una grossa ferita, e non si riferiva a quella che le spiccava sulla tempia. Stranamente, Cecily non si oppose a quel contatto, anzi, si aggrappò a lui come un naufrago ad un’ancora di salvezza. Anche se non lo dava a vedere, doveva sentirsi piuttosto scossa. Qualcosa si mosse a disagio, nel suo animo, mentre ripensava alle rarissime occasioni in cui le aveva parlato o rivolto uno sguardo. Lei era sempre stata sola, ignorata da tutti… Ignorò volutamente lo sguardo sorpreso di Gabriel, quando lo vide nel cortile della scuola, e si sbrigò a portare la compagna in infermeria. Avrebbe spiegato dopo la situazione all’amico; adesso aveva altro per la testa. Miss Stewart rimase sorpresa nel ritrovarsi una paziente già a quell’ora del mattino, ma non perse tempo in congetture e la fece sedere su uno dei lettini. “Cosa ti è successo, cara?” le chiese preoccupata, mentre prendeva il disinfettante, “Sei caduta da qualche parte, per caso?”. La vide annuire appena, prima di storcere il viso in un’espressione di dolore, e si sbrigò a pulirle il taglio. Aggrottò le sopracciglia bionde quando vide un piccolo frammento di vetro nella ferita e lo tolse con un paio di pinze. Chissà come si è ferita in questo modo… mormorò tra sé Sembra che qualcuno le abbia dato un colpo con una bottiglia rotta. Dopo pochi minuti di lavoro, le mise un cerotto sul taglio e disse “Non fare sforzi, per oggi. Il colpo potrebbe aver compromesso leggermente il tuo senso dell’equilibrio”. Cecily annuì, suo malgrado, e si alzò lentamente in piedi, restando immobile per qualche istante mentre la stanza le girava attorno. L’infermiera aveva perfettamente ragione, era uno straccio; non riusciva neanche a camminare in linea retta! Con una smorfia, si appoggiò alla parete e proseguì nel corridoio, restando spiazzata nel ritrovarsi di fronte Alexander. L’aveva aspettata lì per tutto il tempo? Il ragazzo sorrise nel vederla e chiese “Come va la testa? Ti fa male?”, “Il dolore è sopportabile” rispose l’altra. Chiuse gli occhi per un breve istante, poggiando la schiena contro il muro, e sperò che il dolore svanisse in fretta. Al diavolo il fatto che non doveva fare sforzi; se non lavorava, non veniva pagata, e lei aveva un bisogno disperato di ogni singolo centesimo della sua paga. Un lieve sospiro le sfuggì dalle labbra “Grazie di avermi accompagnata. Se non ti avessi incontrato, non so dove sarei andata…”. “Non preoccuparti, l’ho fatto con piacere” replicò lui, infilandosi le mani in tasca, “E poi… avevi bisogno di una mano. Quindi, non devi ringraziarmi”. La vide sorridere riconoscente e sentì il cuore battergli stranamente forte contro le costole; perché doveva reagire in quel modo solo perché gli aveva rivolto un vero sorriso? Sentendosi improvvisamente molto stupido, si appoggiò alla parete e rimase a guardare il paesaggio fuori dalla finestra. “Ti ringrazio, Alexander” sussurrò Cecily “Molti non avrebbero fatto quello che hai fatto tu… Sei bravo a sollevare il morale agli altri, in qualunque momento”. “Vorrei essere altrettanto bravo ad aiutare mio padre” mormorò il giovane, abbassando lo sguardo “Non so proprio come fare. È ancora molto innamorato di mia madre, non riesce a farsi una ragione che lei se ne sia andata”. Reclinò il capo contro la parete, sussurrando “Eravamo una bella famiglia, fino a qualche mese fa. Mia madre ha fatto velocemente carriera, nel suo studio di avvocato, e pensavo che saremmo stati meglio…”. Un sospiro amareggiato si fece largo tra le sue labbra “E, invece, la nostra normale vita le stava stretta. Voleva di più, ma sapeva che, con noi, non sarebbe stato possibile. Non avrebbe potuto avere ciò che voleva”. “Una bella casa, dei mobili pregiati, abiti firmati…” mormorò sospirando “Con una famiglia a carico, non avrebbe mai potuto spendere i suoi soldi come desiderava”. “Così, ha colto al volo la prima occasione che le si è parata davanti e se n’è andata, su due piedi” aggiunse cupo “Con il primo imbecille che le ha promesso una vita più agiata”. “Ed ora, insiste perché vada a vivere con lei ed il suo nuovo compagno” borbottò, sempre più amareggiato, “Non capisce che non voglio e non posso lasciare da solo mio padre”. “Se non ci fossi io, sono sicuro che commetterebbe una follia, pur di mettere fine a questa situazione” sussurrò appena “Non posso permettere che accada. E, inoltre…” Diede un lieve calcio al muro con il tallone, mentre storceva il viso in una smorfia “Non andrò mai a vivere con quell’idiota con cui sta mia madre. Se lo può scordare”. Più parlava e più i suoi occhi scuri tradivano l’enorme sofferenza che si teneva dentro e Cecily non tardò ad accorgersene. “Mi dispiace per la tua situazione… davvero” mormorò con un filo di voce “Posso immaginare quanto sia dura per te, che devi fare forza a tuo padre…”. Gli rivolse uno sguardo comprensivo “A volte, è difficile essere forte per qualcun altro. Non sai mai cosa fare per aiutarlo, ogni gesto ti sembra stupido…”. Alzò lo sguardo al soffitto ed aggiunse “Non fai che chiederti se stai facendo la cosa giusta, o se, invece, stai solo peggiorando la situazione. Non augurerei a nessuno di trovarsi in una situazione simile”. “Parli come se l’avessi vissuta in prima persona” commentò Alexander “Sai esattamente come mi sento… Neanche lo vivessi tu, ogni giorno”. La vide irrigidirsi di colpo ed aggrottò la fronte, chiedendosi cosa avesse detto di sbagliato; ma che le era preso? La compagna afferrò il proprio zaino da terra e mormorò “Sarà meglio che andiamo in classe. Le lezioni saranno cominciate, ormai”. “Sei sicura di farcela a seguire sei ore ininterrotte di lezione?” le chiese l’altro “Il mal di testa potrebbe essere un’ottima scusa per evitare di sorbirsi quella noia mortale…”. La vide scuotere lievemente la testa, mentre continuava a camminare verso l’aula, “Sarebbe bello, ma… Non credo ci convenga”. Un leggero rossore le invase le guance perlacee, mentre mormorava “Potrei chiederti un favore, Alexander?”, “Sì, dimmi pure”. Cecily iniziò a tormentarsi una ciocca scura, avvolgendola intorno al dito; che era a disagio era più che evidente. “Ehi, non ti mangio mica se mi chiedi qualcosa” mormorò sorridendo, nel tentativo di metterla più a suo agio. “Se non ti crea problemi…” iniziò lei, continuando a tenere lo sguardo fisso sulle sue scarpe, “Più tardi, potresti accompagnarmi al Rainbow Coffee? Non mi va di fare la strada da sola e tu…”. Un leggero sospiro le sfuggì dalle labbra “Tu sei l’unico con cui so di poter parlare, senza troppi problemi”. Il giovane sorrise “Mi farebbe piacere. Un po’ di compagnia farà bene ad entrambi”.
 
Robert stava lavando uno dei tanti bicchieri che aveva davanti, quando vide due figure arrivare dalla strada principale e si preparò ad accogliere i probabili clienti. Un sorriso sorpreso gli incurvò le labbra quando vide Cecily aprire la porta a vetri, seguita da un ragazzo che aveva già visto un paio di volte. Quella sì che era una sorpresa! Lei non era mai arrivata in compagnia, da quando l’aveva conosciuta, quasi un anno prima. Forse la sua cara aiutante stava iniziando ad aprirsi maggiormente al mondo… Salutò entrambi con un sorriso e mormorò “Sei sempre la più puntuale, Cecily! Tu sì che prendi sul serio la parola lavoro!”. La ragazza ricambiò il sorriso e sparì nel retro del negozio, ritornando con un grembiule candido legato in vita. “Sono pronta a mettermi all’opera” disse risoluta “Hai un bel carico di stoviglie per me?”, “Meno del solito, oggi” ridacchiò lui “Ho già fatto io il primo turno, dato che stamattina Jim non si è fatto vedere”. Lanciò uno sguardo al giovane, che era rimasto vicino ad uno dei tavolini, e chiese “Posso portarti qualcosa, ragazzo?”. Alexander sorrise “Un caffè, grazie. Con questo freddo, ho proprio bisogno di una buona tazza di caffè bollente”. Prima che Robert potesse aprire bocca, Cecily prese una tazzina dal ripiano e la sistemò sotto uno dei beccucci della macchinetta del caffè. Inserì una cialda nell’apposito scomparto e, in pochi minuti, un dolce aroma orientale si diffuse in tutto il locale, mentre la ragazza poggiava la tazzina fumante su un piattino, assieme ad una bustina di zucchero. “Però, che servizio!” ridacchiò il compagno, prendendo la tazzina tra le mani per assaporarne il tepore, “Sei davvero rapida, Cecily”. “Questione di abitudine” replicò lei con un lieve sorriso “Ancora grazie per avermi accompagnato, Alexander”. “Di nulla” disse l’altro, sorseggiando il caffè; ci voleva proprio qualcosa di caldo per contrastare il gelo che aleggiava all’esterno. Lanciò un’occhiata all’orologio da polso e mormorò “Mi tratterrei volentieri un po’ di più, ma devo andare a fare alcune commissioni per mio padre”. Posò la tazzina sul bancone e vi lasciò accanto i soldi, dicendo “Ci vediamo domani, Cecily. Cerca di non stancarti troppo”, poi sparì in strada. Robert si lasciò sfuggire un fischio, “Però, complimenti! Ti sei fatta bel ragazzo, mia cara! Ha un bel carattere… Allegro e protettivo”. La giovane scosse la testa, sorridendo indulgente, “Non è come credi tu, Robert. Siamo solo compagni di classe, niente di più”. “Però ti ha accompagnato” le fece notare l’altro, sorridendo più ampiamente, “Di solito, vieni sempre da sola… È una passo avanti, non trovi?”. “Pensala come vuoi” mormorò lei, portando diversi vassoio nel retro del negozio, “Adesso vado a lavare queste. Se hai bisogno di me, sai dove trovarmi”. Stava per andarsene nell’altra stanza, quando venne urtata da un trafelato Jim, in ritardo come suo solito. I vassoi caddero a terra con un fracasso tremendo, mentre Cecily riusciva ad afferrarsi appena in tempo al bordo del bancone. Jim, invece, scivolò sul pavimento lucido e sbatté la testa contro uno dei tavolini, lasciandosi sfuggire un lieve gemito. Robert scosse la testa, mentre continuava a pulire la vetrine del bancone, “Jim, fattelo dire. Sei davvero un caso disperato!”. Lanciò uno sguardo alla ragazza e chiese “Come stai, Cecily? Va tutto bene?”, “Sì” mormorò lei “Ma credo che dovrò procurarmi un casco. Ne ho abbastanza di colpi in testa”.
 
Nelle settimane che seguirono, Cecily ed Alexander si videro sempre più spesso, intrecciando un rapporto di amicizia che diventava ogni giorno più saldo. La ragazza apprezzava molto il carattere allegro e solare del suo compagno che, nonostante la difficile situazione in cui si trovava, cercava sempre di affrontare ogni giorno con un sorriso. “Voglio essere fiducioso nel futuro” le ammise un giorno “So che la vita è tutt’altro che facile, ma credo che pensare positivo sia un buon modo di vivere meglio. Tu che ne pensi?”. Le venivano i brividi al ricordo di come l’aveva guardata quel giorno; il suo sguardo, scuro e brillante come l’onice, incatenato al suo per un istante che le era sembrato eterno… Era felice di averlo conosciuto e, soprattutto, di essere riuscita a liberarsi, almeno in parte, di quella corazza gelida che indossava sempre. Quando era con lui, riusciva ad essere se stessa, senza sentire il bisogno di nascondersi dietro una maschera. Eppure… non era ancora riuscita a confessargli la verità sulla sua vita. Alexander le aveva raccontato tutto di sé e di quello che passava, ma lei non riusciva ad aprirsi; temeva che si fosse allontanato, se avesse saputo la verità sulla vita che faceva. Non l’aveva fatta sentire umiliata perché lavorava tutti i giorni al Rainbow Coffee e non le aveva mai chiesto niente al riguardo, ma non conosceva il motivo per cui era costretta a sobbarcarsi le responsabilità di un adulto. Per sua fortuna, sua madre non aveva più toccato una bottiglia nell’ultima settimana e questo non poteva che sollevarle il morale. Se però, da una parte, la cosa le dava un grosso sollievo, dall’altra la insospettiva un po’; erano anni che cercava di convincerla a smettere di scolarsi bottiglie, e poi, di punto in bianco, lei smetteva da sola? Qualunque sia il motivo, glielo chiederò più tardi mormorò, afferrando rapidamente il cappotto, Adesso devo andare. Sono sicura che Alexander mi sta già aspettando… Un sorriso le fiorì sulle labbra, pensando al volto del ragazzo che era riuscito a crearsi una breccia nella sua gelida difesa, mostrandole i lati belli della vita, quelli che lei aveva quasi dimenticato. Scese le scale a rotta di collo e si fiondò fuori dal palazzo, correndo verso la piazza che collegava casa sua a quella di Alexander. Una volta arrivata, rallentò per riprendere fiato ed iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca dell’amico. Lo trovò appoggiato ad un vecchio castagno, che fissava il cielo plumbeo con uno sguardo altrettanto cupo. “Ciao, Alexander” mormorò avvicinandosi “Scusa, stamattina ho fatto tardi… Ehi, tutto bene?”. Il ragazzo sembrò accorgersi solo in quel momento della sua presenza e fece un grosso sforzo per riprendersi e riuscire a sorridere. “Ciao, Cecily. Scusami, ero sovrappensiero…” disse con voce tranquilla, ma ormai la ragazza lo conosceva abbastanza da sapere che c’era qualcosa che lo turbava. Rimase in silenzio per un istante, chiedendosi se fosse il caso di chiedergli quale fosse il suo problema e se poteva aiutarlo, ma decise di far finta di niente. Il compagno non l’aveva mai costretta a dire niente e lei non voleva forzarlo a sua volta; se avesse voluto confidarsi, sarebbe stata più che felice di dargli una mano. Iniziarono a camminare verso la scuola, scambiandosi qualche parola di tanto in tanto, ma l’atmosfera non era quella serena di tutti i giorni. Cecily rabbrividì nel vedere un cielo così cupo e carico di pioggia e si passò le mani sulle braccia per scacciare la pelle d’oca. Qualcosa si mosse a disagio, dentro di lei, facendole temere che quello fosse solo l’inizio di una giornata ben peggiore.
Alexander rimase in silenzio per tutta la durata delle lezioni e Gabriel notò subito che qualcosa non andava per il verso giusto. “Cosa ti è successo?” chiese preoccupato “Qualche problema con tuo padre? O Cecily è tornata a rinchiudersi nel suo bunker?”. “No, no…” borbottò lui con aria cupa “Mio padre si sta abituando all’idea che ormai ci siamo solo io e lui a casa”. “Sei preoccupato per Cecily?” chiese l’amico, ma lo vide scuotere la testa; no, il problema non era neanche quello. “Alex, hai una faccia troppo strana” disse serio “Se posso aiutarti, in qualunque modo…”. Vedendolo così preoccupato, il ragazzo lasciò andare un grosso sospiro; non ce la faceva a tenersi tutto dentro. “Mia madre è venuta a casa, ieri sera” ammise infine “Ha iniziato a prendermi i vestiti e li ha messi in una valigia, tutto questo mentre ero fuori a fare commissioni”. La rabbia gli fece stringere i pugni “Quando sono tornato a casa, l’ho vista che urlava contro mio padre, dicendo che doveva lasciarmi andare da lei e farmi vivere in una vera casa”. Gabriel fece una smorfia comprensiva “Cavoli, dev’essere stato tremendo! E tuo padre? Come ha reagito?”. Dallo sguardo del compagno, capì che ne era seguita una lite a dir poco furiosa e rimase in silenzio, fissandosi le mani. “Mio padre le ha detto che mi doveva lasciare stare. Che sono abbastanza grande da decidere cosa fare della mia vita” mormorò Alexander “Che non ho bisogno di una madre che mi tratta ancora come se avessi appena tre anni”. Una scintilla di rabbia gli brillò negli occhi scuri “A quel punto, io sono entrato nel salotto ed ho preso la valigia, svuotandola in camera mia. Mia madre ha iniziato ad urlare… È stata una serata tremenda”. “Posso immaginarlo” sussurrò l’amico “Mi dispiace che tu stia vivendo tutta questa situazione, Alex. Dev’essere maledettamente difficile per te”. Il giovane scosse la testa “Io faccio del mio meglio per andare avanti, ma non è così semplice… A volte mi sembra di combattere una guerra persa in partenza”. Un leggero sorriso gli apparve in volto “Chissà perché, riesco a parlare di tutto questo solo con te e Cecily. Siete gli unici che potete aiutarmi. Che sapete esattamente come mi sento…”. “Beh, gli amici servono a questo” sorrise Gabriel, cingendogli le spalle con un braccio, “Anche se penso che la tua amicizia con Cecily possa diventare qualcosa di più”. Lo vide arrossire e gli sfuggì una risata, “Tu sei l’unico che è riuscito a fare breccia nella sua barriera. Questo vuol dire che puoi sperare”. “Più che altro, spero che mia madre non si faccia più vedere” replicò Alexander “Non ne posso più delle sue scenate. Mi fanno infuriare e mi ci vuole un bel po’ per smaltire tutta la rabbia”. “L’importante è che tu sai di poter contare su di noi, ogni volta che ti serve” disse l’amico “Anche per la più grossa scemenza che ti possa venire in mente, noi siamo qui”. “Grazie, Gabriel” sussurrò lui “Non immagini quanto sia importante per me”.
 
Cecily sospirò di nuovo, mentre l’ennesimo refolo di vento faceva turbinare le foglie secche che ricoprivano la strada. Quell’inverno prometteva di essere dannatamente freddo e si ritrovò a sperare di riuscire a trovare qualcosa di più adatto nel mercatino di quartiere. Odiava doverci andare, ma i vestiti che aveva erano ormai troppo leggeri per quel periodo così freddo. Si strinse nel cappotto e continuò a camminare a testa bassa, cercando di opporsi al vento gelido che continuava ad aggredirla. I capelli si muovevano come dotati di vita propria e cercò inutilmente di sistemarli con le dita. Rabbrividì ancora ed aumentò il passo per raggiungere il Rainbow Coffee, dove avrebbe trovato un po’ di tepore, oltre ad una mole di lavoro. Preferiva sudare sette camicie nel pulire una montagna infinita di stoviglie, che patire il freddo per la strada. Fortuna che il periodo dello stipendio si avvicinava, ormai nel frigo non c’era quasi più niente da mangiare e sua madre non faceva che comprare altre bottiglie. Dopo un breve periodo di stallo, in cui aveva osato sperare che si fosse finalmente convinta a smettere, Janet si era attaccata alla bottiglia con più foga di prima. Se non trovava un posto sicuro dove nascondere il suo stipendio, così faticosamente guadagnato, si sarebbe ritrovata a dover chiedere l’elemosina per sopravvivere. Un’espressione frustrata le distorse i lineamenti del volto, mentre pensava a che razza di vita stava vivendo, con un padre sparito chissà dove ed una madre perennemente ubriaca. Se tu non te ne fossi andato in quel modo… sussurrò cupa, pensando al padre, sparito quando aveva solo otto anni, Forse mamma non si sarebbe ridotta in questo stato. Forse avrebbe continuato a lavorare nella boutique che adorava. Forse…. Scosse la testa e sussurrò “Basta. Il passato è passato, adesso devo solo pensare a sbarcare in lunario ancora un po’…”. Nervosa com’era, non si accorse di aver sbagliato strada, né della persona che stava tranquillamente uscendo dalla propria abitazione. La ragazza cadde a sedere, sibilando una leggera imprecazione tra i denti, ed alzò lo sguardo per vedere con chi si fosse scontrata. Il fiato le si mozzò bruscamente in gola, mentre il cuore prendeva a batterle furiosamente contro le costole. No, non poteva essere… Era assurdo! “Non… Non è possibile!” sussurrò a stento, cercando di mantenere la calma “È… semplicemente impossibile! Sto sognando…”. L’uomo le rivolse la stessa espressione incredula e la giovane sentì i ricordi invaderle la mente come un fiume in piena. I suoi sorrisi, le battute scherzose, le gite che avevano fatto insieme, divertendosi a scovare i nidi degli uccelli… Tutto spazzato via da un’improvvisa decisione e da una partenza, avvenuta nel cuore della notte, sotto un temporale, nove anni prima. Non riusciva a credere che la persona che aveva davanti fosse davvero suo padre! Stava per sussurrare quella parola che le era tanto mancata in tutti quegli anni, nei quali era stata costretta a prendersi responsabilità più grandi di lei, quando una voce trillante la precedette. “Papà! Hai dimenticato la borsa dei documenti!” esclamò una bambina, trascinandosi dietro una ventiquattrore più grande di lei. A giudicare dai lineamenti del viso, doveva essere ancora piccola; non poteva avere più di nove anni… L’uomo si inginocchiò accanto a lei, restando in equilibrio sui talloni, e le arruffò i capelli rossicci “Grazie, Marion”. La bambina sorrise felice, poi notò la sconosciuta che guardava ancora il suo papà con uno sguardo incredulo. Si strinse alla gamba del genitore e, indicandola con il dito, chiese “Papà, chi è quella? Perché ti sta guardando così?”. Il padre tornò a fissare la ragazza, che gli rivolgeva uno sguardo a metà tra l’incredulo ed il sofferente; conosceva bene quegli occhi verdi. Non avrebbe mai potuto dimenticarli, né avrebbe mai dimenticato l’ultimo sguardo che le aveva rivolto. Se non fosse stato per quello sguardo di giada, probabilmente non sarebbe mai riuscito a riconoscerla.
Cecily si rialzò lentamente in piedi e, tenendo lo sguardo basso, sussurrò “E così… Tu eri solo a pochi isolati di distanza. Così vicino…”. Una risata, che sembrava più un singhiozzo, le invase la gola, facendole sussultare le spalle esili. “Così vicino, eppure irraggiungibile” aggiunse con voce rotta “Non avrei mai pensato di rivederti, papà… Forse.. Forse sarebbe stato meglio”. Marion guardò l’estranea con gli occhi spalancati e si strinse ulteriormente al padre “Perché lo chiami papà? Lui è il mio papà! Che cosa vuoi da lui?”. L’altra le rivolse uno sguardo carico di sofferenza, mentre diceva “Una volta, era anche il mio papà. Ma è stato molti anni fa”. La bambina le rivolse uno sguardo confuso e corse dalla madre, che si era affacciata dalla porta, preoccupata nel non vederla tornare. Si aggrappò alla sua gonna e disse “Mamma! Quella ragazza chiama papà come se fosse il suo! Mandala via!”. La donna aggrottò la fronte e si avvicinò al marito “Lucas, ma che succede? Chi è questa ragazza?”. Cecily fissò entrambi con gli occhi pieni di lacrime “Ti sei fatto un’altra famiglia, non è così? Quando ti sei stancato di me e della mamma, te ne sei andato via senza una parola”. Indicò la piccola Marion, sibilando “Sei sparito nel nulla, senza un solo perché, quando io avevo la stessa età di quella bambina!”. La rabbia si stava velocemente facendo largo nella sua voce, aumentandone il volume, e Marion si rannicchiò dietro la madre, lanciandole uno sguardo spaventato. La donna la strinse tra le braccia per rassicurarla e mormorò “Lucas, vuoi spiegarmi cosa sta succedendo? Questa ragazzina… È tua figlia?”. Lui annuì, prima di rivolgersi alla sua primogenita “Sei cambiata parecchio, dall’ultima volta che ti ho visto. Sei cresciuta, Cecily”. “Non grazie a te!” esclamò la ragazza, ormai incapace di controllare il proprio dolore, “Ho imparato a dover contare solo su me stessa”. Gli rivolse uno sguardo furibondo, mentre aggiungeva “Per anni, ho atteso invano che tu tornassi a casa, che la nostra famiglia tornasse quella di prima! E tu? Ti sei dimenticato di noi e ti sei fatto una nuova famiglia!”. “Ti sei risposato, dimenticandoti della mamma, ed hai avuto un’altra figlia, dimenticandoti di me” sussurrò con la voce rotta dai singhiozzi. Lucas fece un passo verso di lei, ma la vide arretrare come davanti ad un pericolo, “Cecily… Smettila di gridare. Non merito queste accuse”. “Non fare la vittima con me, papà!” gridò la giovane “Avrei potuto comprendere, se tu fossi venuto qualche volta per il mio compleanno. O a Natale. O ad una qualunque festa! E invece…”. Un singhiozzo le impedì di continuare, ma cercò di farsi forza “Te ne sei andato senza neanche salutarmi, senza un addio! Senza spiegarmi perché ci lasciavi! Come posso restare impassibile, vedendo come hai fatto in fretta a dimenticarti di noi?”. “Come posso chiamarti ancora padre, dopo che ci hai lasciate sole, senza nemmeno preoccuparti di spiegare la tua decisione?” aggiunse a stento. Vide Marion abbracciare l’uomo che una volta chiamava papà ed una nuova fitta le trafisse il petto. “Quella bambina si stringe a te e sa che le resterai accanto” sussurrò con voce rotta “Ricordi quando tenevi me, in quel modo? Quando mi addormentavo tra le tue braccia e mi riportavi a letto?”. La donna le rivolse uno sguardo pieno di compassione, chiedendosi come avesse vissuto quella povera ragazza per tutti quegli anni. “Non voglio la vostra pietà. Non voglio essere compatita da nessuno” mormorò Cecily, accorgendosi del suo sguardo, “E non voglio niente nemmeno da te, Lucas”. Vedendo l’espressione sbalordita del padre, disse “Sì, Lucas. Perché non posso più chiamarti padre, dopo quello che mi hai fatto patire”. “Cecily, ascolta…” iniziò lui, cercando di spiegarle cosa lo avesse spinto ad andarsene. “No!” gridò lei “Ascolta tu! Per colpa tua, ho dovuto imparare a sopravvivere da sola! A saper contare solo su me stessa! Perché tu non sei più tornato!”. L’uomo sgranò gli occhi “Tua madre non sarà…”, “No, mia madre è ancora in vita, ma è come se non ci fosse” replicò la figlia, rivolgendogli uno sguardo cupo. “Ha resistito per anni, cercando di non farmi vedere quanto soffrisse per il tuo abbandono” sussurrò gelida “Non appena sono stata in grado di cavarmela da sola, è come se fosse svanita anche lei”. Fissò il gelido asfalto, accorgendosi appena delle lacrime che le rigavano il viso, “Ha iniziato a bere, e non semplice birra”. “Si scola bottiglie intere di vodka, cercando di dimenticarti” aggiunse flebile “Ma non ci riesce. Basta pronunciare la parola papà o il tuo nome, per farle perdere il controllo”. Con un gesto frustrato, si scoprì la tempia e mostrò il taglio non ancora rimarginato “Questo me l’ha fatto quando l’ho implorata di smettere di bere, perché non volevo che mi abbandonasse come hai fatto tu”. “Sono io a mandare avanti tutto, perché mamma non lavora più” mormorò cupa “Passo i pomeriggi a rompermi la schiena per sopravvivere ancora un altro mese. Non so più cosa vuol dire avere una vita normale”. Un singhiozzo più forte la scosse da capo a piedi, ma riuscì a rivolgergli uno sguardo gelido e carico di sofferenza, mostrandogli cos’avesse patito in tutto quel tempo. “Non voglio che tu mi ritenga una povera stupida che implora un briciolo di affetto” mormorò fredda “Io non voglio niente da te… Ormai, per me sei morto”. Prima che il padre potesse richiamarla, gli voltò le spalle e cominciò a correre, lasciandosi alle spalle quella famiglia che non avrebbe mai voluto incontrare.
 
Alexander si guardò in giro, cercando un segno di Cecily. È vero che non si erano incrociati per quasi tutta la giornata, ma pensava di trovarla all’uscita ad aspettarlo. Ormai andavano sempre insieme al Rainbow Coffe, era diventata una piacevole abitudine per entrambi. Una smorfia gli contrasse il viso, quando ripensò al proprio atteggiamento silenzioso di quella mattina. Forse aveva frainteso la rabbia che aveva intravisto nel suo sguardo e pensava di esserne responsabile… Che cosa assurda. Se non fosse stato per lei e per Gabriel, probabilmente si sarebbe chiuso a tutto il resto del mondo. Sospirando, decise di andare a controllare se fosse già arrivata al bar, sorridendo appena nel vedersi superare da un affannatissimo Jim. Sempre in ritardo, quello lì mormorò tra sé Mi chiedo perché non riesca ad arrivare mai puntuale. Eppure non abita così lontano…Anzi, Cecily abita più lontano di lui!. Improvvisamente, si rese conto che non sapeva ancora dove abitasse esattamente la sua amica; la vedeva sempre all’incrocio tra i loro quartieri, ma non riusciva a capire da dove venisse. Decise che l’avrebbe accompagnata fino al suo portone, quando avesse finito il turno al bar; almeno avrebbe capito qualcosa di più… Con un sospiro, pensò al fatto che, nonostante si fosse aperta con lui e gli avesse dato tutto il proprio appoggio, non sapeva quasi niente di quella ragazza. C’era ancora qualcosa che gli nascondeva, come se si vergognasse della propria vita tra le mura domestiche. Un altro mistero da svelare… ma sarebbero mai finiti? Dopo pochi minuti, arrivò al Rainbow Coffe e salutò Robert, che aveva appena finito di dare una bella lavata di capo a Jim in quanto all’essere puntuali sul posto di lavoro. “Oh, buongiorno, Alexander. Tutto bene?” mormorò l’uomo, poi, rivolgendogli uno sguardo sorpreso, chiese “E Cecily, dov’è? Di solito, arrivate sempre insieme!”. Il ragazzo inarcò un sopracciglio “Non è ancora arrivata? Che strano… Eppure, non l’ho vista nella piazza dove c’incontriamo per venire qui”. Un’espressione preoccupata gli comparve in viso “Di solito è sempre così puntuale! Non è da lei comportarsi in questo modo…”. “Quelle poche volte che non è venuta, mi avvertiva sempre per telefono. Sempre” disse Robert, che iniziava a stare in pensiero, “Che le sia successo qualcosa?”. A quelle parole, Alexander si fiondò fuori dal bar, correndo a tutta velocità verso la strada dove abitava l’amica. Sentiva il cuore battergli violentemente contro le costole ed avvertiva una fitta al petto al solo pensiero che potesse esserle accaduto qualcosa. Scrutava ogni bivio, ogni inizio di un nuovo quartiere, sperando di vederla arrivare da lontano, ma sembrava non esserci alcun segno di lei. Sempre più preoccupato, fece il giro della grande piazza dove solevano incontrarsi, ma senza alcun risultato. Non poteva essere sparita nel nulla, accidenti! Perché non riusciva a trovarla? Dov’era finita? Cercando di tenere a bada l’ansia che provava, continuò a camminare per i viali ricoperti di foglie, continuando a cercare un segno del suo passaggio. Il cuore gli diede un tuffo per il sollievo, quando finalmente la vide, seminascosta da un grosso cespuglio. “Cecily!” esclamò raggiungendola “Cecily, ma dove ti eri cacciata? Mi hai fatto preoccupare a morte, quando Robert mi ha detto che non eri ancora arrivata!”. Improvvisamente, si accorse che la ragazza stava singhiozzando ed aveva il volto nascosto tra le mani, nel tentativo di non far vedere le lacrime. L’aiutò a rimettersi in piedi e la strinse a sé, sussurrando “Ehi, va tutto bene. Ci sono io con te”. La compagna si aggrappò a lui con la forza della disperazione, incapace di trattenere l’immenso dolore che sentiva dentro. “Cosa ti è successo, Cecily?” chiese il giovane, accarezzandole i capelli nel tentativo di calmarla, “Cosa c’è? Non ti ho mai vista così, prima d’ora…”. Cecily continuò a singhiozzare, il volto affondato nella sua felpa, “Non volevo… non volevo vederlo” sussurrò con un filo di voce “Non così! Mi ha dimenticata… Ha dimenticato la sua famiglia!”. Il ragazzo le rivolse uno sguardo sorpreso “Cecily… Dimmi cosa ti è successo. Chi ti ha dimenticata?”. La vide sforzarsi nel trattenere le lacrime, prima che mormorasse “C’è una cosa di me che non sai, Alexander… Non l’ho mai detta a nessuno, prima d’ora, ma.. so che tu puoi capirmi”. Deglutì per mandar via il groppo che le bloccava la gola e sussurrò “Mio padre… se n’è andato di casa quando io avevo appena otto anni. Ha abbandonato me e mia madre, senza un perché”. Gli strinse la mano tra le proprie, cercando in lui comprensione e fiducia, “Tu sai cosa vuol dire vedere la propria famiglia dividersi dall’oggi al domani, ma sei riuscito ad aiutare tuo padre. Lo hai sostenuto, sei riuscito a non farlo cadere in un baratro senza ritorno. Io non ero che una bambina, non ho potuto fare niente per mia madre…”. Un singhiozzo le impedì di continuare e Alexander la strinse con più forza, cercando di rassicurarla come poteva. “Lei ha resistito per alcuni anni, cercava di nascondermi il suo dolore” continuò lei “Ma adesso… Non fa che bere bottiglie su bottiglie, è sempre ubriaca e non lavora più. Per questo lavoro tutti i giorni al Rainbow Coffe. Sono io che devo mandare avanti tutto…”. Sentì le braccia di Alexander stringerla con dolcezza ed avvertì il cuore darle un tuffo nel petto. Da quando lo aveva conosciuto, la sua vita era radicalmente cambiata; era diventata più bella, più luminosa… più dolce di quanto lo fosse mai stata. Le aveva permesso di vedere la luce in quel mondo oscuro e privo di amore in cui aveva vissuto fino ad allora. Era grazie a lui, alla sua presenza che le infondeva coraggio, che era riuscita ad andare avanti nei momenti peggiori. Se non ci fosse stato lui… Non voleva nemmeno pensare cosa le sarebbe successo. “L’ho appena visto… Con una bambina tra le braccia” mormorò affranta “Si è fatto una nuova famiglia… Ci ha dimenticate”. Un nuovo singhiozzo la scosse “Avrei preferito non vederlo mai più! Non posso più chiamarlo padre, dopo quello che ha fatto a me e alla mamma… Per me, è come morto”. Il ragazzo le prese il mento con una mano, facendole alzare lo sguardo “So come ti senti… Quello che ti è successo è orribile. Non so come avrei reagito io, al tuo posto”. Un’espressione cupa gli comparve in volto “Almeno so perchè i miei genitori si sono lasciati, anche se questo non migliora molto la situazione. Per te dev’essere stato terribile…”. Incapace di trattenere oltre i propri sentimenti, la strinse con forza, mormorando “Non devi piangere, Cecily. Non voglio che tu soffra, per nessuna ragione al mondo”. Una scintilla nuova gli illuminò lo sguardo e la ragazza sentì il cuore partirle in quarta, sbattendo furiosamente contro le costole. “Ti giuro che farò sempre tutto ciò che posso per farti sorridere” sussurrò Alexander “E ti resterò vicino, qualunque cosa succeda”. Cecily deglutì a fatica, pervasa da un sentimento così forte da non riuscire a descriverlo. Ormai era totalmente legata a quel ragazzo, che era riuscito a vedere al di là delle apparenze, creando una breccia nel buio di cui si era circondata. “Alexander” sussurrò a fatica “Ti prego… giurami che non te ne andrai, come ha fatto mio padre. Tu sei l’unica persona che mi permette di andare avanti. Senza di te, io…”. Non riuscì a completare la frase, perché il giovane le prese il viso tra le mani, avvicinandolo al proprio. “Non ti lascerò mai, Cecily” promise, con una scintilla di decisione nello sguardo, “Mai, te lo giuro”.
 
Una nutrita folla di persone si stava accalcando sulle aiuole ancora bagnate di pioggia, creando un coro di bisbigli senza fine. Gli abiti scuri spiccavano contro l’erba lussureggiante e le lapidi di marmo bianco, su cui erano affisse tante foto di persone ormai scomparse. Sembrava che anche il cielo stesse dando l’ultimo saluto alla nuova anima che aveva accolto, silenzioso nel suo abito di nubi grigiastre. Cecily riconobbe solo alcuni volti conosciuti, in mezzo a quella folla di perfetti estranei, ma non se ne curò; non era andata lì per rivedere la gente di quella cittadina. Un mazzo di gigli bianchi le teneva occupato il braccio sinistro, il cui delicato candore risaltava sul semplice completo grigio scuro che indossava. Ascoltò in disparte la funzione funebre orata dal prete, osservando quanto fosse cambiato quel posto in tutti quegli anni. Quasi non riconosceva più le strade che aveva percorso tante volte da ragazza, assieme ad Alexander. Il tempo passa in modo inesorabile, anche per le città sussurrò tra sé, fissando gli alberi secolari che abbellivano il cimitero. Con un sospiro, attese pazientemente che il sacerdote finisse di predicare e che tutti i presenti se ne tornassero alle proprie case. Tra loro, scorse la chioma imbiancata di suo padre, sorretto amorevolmente da una ormai diciottenne Marion. I capelli rosso fuoco erano l’unica nota di colore in quella figura vestita di nero; cosa fosse andata a fare lì, era un vero e proprio enigma. Scosse la testa, pensando che, molto probabilmente, aveva solo accompagnato il padre a dare l’ultimo saluto alla defunta. Cosa poteva importare alla sua sorellastra di sua madre? Mentre ripensava al loro primo ed unico incontro, sentì una mano poggiarsi sulla spalla e si voltò per vedere chi fosse. “Robert!” esclamò sorpresa “Che cosa ci fai qui?”, “Mi è sembrato giusto venire a salutare tua madre” replicò l’uomo, passandosi una mano tra i cappelli brizzolati. Un sorriso gli incurvò le labbra “E poi, sapevo che ti avrei rivista. Era un bel po’ che non ci vedevamo. Sei diventata una splendida donna, Cecily”. “Ti ringrazio. Tu, invece, non sei cambiato per niente. Ti mantieni bene” sorrise lei “Come stai? E il Rainbow Coffee? Gli affari vanno bene?”. L’altro alzò le spalle “Non mi lamento, ma, da quando te ne sei andata, non sono più riuscito a trovare un’aiutante degna di tale nome. Sei insostituibile”. Cecily scosse appena la testa “Ma dai, non esagerare! Io mi limitavo a lavare i piatti! Mica facevo chissà che…”. “Sarà, ma da quando sei andata via, il bar è diventato molto più triste” mormorò l’uomo “Una cosa sola non è cambiata: Jim è perennemente in ritardo!”. “Che vuoi farci. È sempre stato un caso disperato” ridacchiò la giovane, stringendo appena il mazzo di gigli. “Comunque, non sono l’unico che sperava di rivederti” disse Robert “Ho intravisto Gabriel, poco fa”. “E, infatti, sono qui” disse il diretto interessato, arrivando alle loro spalle “Ciao, Cecily. Come vanno le cose?”. “Tutto bene, ti ringrazio” rispose l’altra “Alexander non è potuto venire, ma mi ha chiesto di salutarti”. “Digli che spero di rivederlo presto” mormorò Gabriel “Se sono fortunato, riesco a fare un salto da voi, questo week-end”. “Speriamo” sorrise lei, “Mi dispiace per tua madre, Cecily” disse improvvisamente l’amico, riportandola al motivo per cui era tornata, “Dev’essere stato un brutto colpo”. “Noi siamo solo di passaggio, su questa terra” mormorò saggiamente la giovane “Prima o poi, tocca a tutti. Sapevo che sarebbe successo abbastanza presto, con tutte le bottiglie che beveva”. Nonostante tutti i miei tentativi per farla smettere e l’associazione degli Alcolisti Anonimi, ha continuato a bere pensò cupa Ho fatto tutto ciò che potevo per lei… Non devo sentirmi in colpa. Si riscosse da quei pensieri, quando si sentì tirare per la manica e rivolse un sorriso a Daniel, che la guardava con i suoi occhioni scuri, “Mamma, per chi sono quei bei fiori?”. Quel piccolo miracolo era la sua gioia più grande, un Alexander in miniatura che le rivolgeva lo stesso sguardo dolce e penetrante di suo padre. “Sono per la mia mamma” spiegò, chinandosi fino ad incrociare i suoi occhi, “Un piccolo regalo che le ho portato”. “Andiamo a darglielo?” chiese il bambino, portandola verso la tomba appena scavata, “Così la nonna sarà contenta! A lei piacciono tanti i fiori!”. “Certo, tesoro. Adesso glieli diamo” sorrise lei, avviandosi lentamente tra le lapidi bagnate di pioggia. Erano trascorsi quasi dieci anni dal giorno in cui era finalmente riuscita a dare una svolta alla sua esistenza, ma non ce l’avrebbe mai fatta senza l’aiuto di Alexander. Se non fosse stato per lui, probabilmente si sarebbe ritrovata sola, a continuare a combattere per ottenere una vita quantomeno decente. Porse i fiori candidi al figlio, che li infilò nel vaso scuro davanti alla foto di Janet, una delle poche che ancora mostravano il suo viso tranquillo, prima che cadesse nel baratro dell’alcool. “Ciao, nonna” mormorò Daniel, sfiorando la fotografia, “Ti abbiamo portato dei fiori, quelli bianchi che ti piacciono tanto”. Cecily sentì un sorriso commosso fiorirle sulle labbra, mentre guardava il suo bambino parlare con la nonna ormai scomparsa. Janet, negli ultimi anni di vita, aveva donato a quella creaturina di quattro anni tutto l’amore che non era riuscita a dare alla figlia. Almeno sei riuscita ad amare lui mormorò, rivolta alla madre, Nonostante tutto, gli hai dimostrato calore e ti sei sforzata di volergli bene. Accarezzò i capelli scuri del piccolo e disse “Vai a cercare nonno Kevin con Gabriel. Sono sicura che sarà molto contento di vederti”. Il bambino sorrise allegro e corse verso lo “zio Gab”, come soleva chiamarlo. La giovane rimase inginocchiata accanto alla lapide, fissando il volto di sua madre, cristallizzato in eterno in quella foto. Scusami se non riesco a perdonarti del tutto, mamma mormorò tra sé Ma, dopo l’abbandono di papà, non sei più riuscita a riprenderti e mi scaricavi sempre addosso tutta la tua rabbia. Un amaro sospiro le sfuggì dalle labbra Non hai più saputo dimostrarmi un po’ affetto. Per te, ero il ricordo di un uomo che non sarebbe più tornato e, in certi momenti, ho creduto che mi odiassi. Lanciò uno sguardo a Daniel, che rideva spensierato, trascinandosi dietro Gabriel, e sorrise, ripensando alla gioia che aveva provato nel tenerlo tra le braccia, la prima volta. Ma non sarebbe mai accaduto, non avrebbe mai potuto provare quelle emozioni così intense, se non avesse incontrato Alexander e non fosse riuscita a fidarsi di lui. L’incontro che aveva avuto con il padre, nove lunghi anni prima, aveva segnato una svolta nella sua vita e doveva tutto ad Alexander ed al suo amore. Le era sempre rimasto vicino, con dolcezza e costanza, senza mai chiederle niente. Non avrebbe mai dimenticato la sua gioia, quando appena cinque anni prima, le aveva chiesto di sposarlo. Era stato il giorno più bello della sua vita, anche se non aveva avuto suo padre ad accompagnarla all’altare. Appena un anno dopo, la sua felicità era diventata ancora più grande, quando era diventata madre a sua volta ed aveva finalmente compreso l’indescrivibile affetto che si provava per un figlio. Anche se so che Alexander mi ama con tutto il cuore, se mi capitasse quello che è successo a te, non potrei mai odiare mio figlio sussurrò, fissando la fotografia sulla lapide. Daniel è la mia gioia più grande, la cosa più preziosa che ho aggiunse con un sorriso, mentre lo vedeva correre sul prato,Lo amo più di qualsiasi altra cosa. Non potrei mai farlo soffrire come ho sofferto io. Sfiorò il nome della madre, inciso nel gelido marmo Ti voglio bene, mamma, ma non posso perdonarti. È stato solo grazie ad Alexander che sono riuscita a crearmi una vera vita. Grazie a lui, ho riscoperto il coraggio di vivere e di amare. Lentamente, si rialzò in piedi, fissando il luogo dove ora Janet riposava in pace, e mormorò un ultimo saluto Addio, mamma. Spero che, quando ci rincontreremo, sarò riuscita a cancellare tutti i ricordi amari della mia adolescenza. Poi, strinse a sé Daniel, che le era venuto incontro con un mazzo di violette profumate, e si avviò verso la strada, mentre un timido raggio di sole rischiarava il cielo.
  

   
 
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