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Autore: Guitarist_Inside    20/02/2011    4 recensioni
Eccomi.
Here I am.
Finalmente, potrei aggiungere.
Finalmente posso lasciarmi alle spalle un uragano di fottutissime bugie a cui non appartengo.
Finalmente posso prendere in mano la mia vita.
[...] E quindi, eccomi qui, che non ne posso più, e che cerco di lasciarmi alle spalle tutto ciò, questa terra di false credenze che non crede in me e in cui nemmeno io credo. Anzi, me ne frego altamente, o almeno così tento di fare.
Eccomi qui, dunque, che cerco di scappare da tutto questo, diventato fin troppo opprimente, per provare a trovare quello in cui IO credo.
...Direte che ho fatto una scelta fin troppo drastica, che ho esagerato, che sono pazza, o altre cazzate del genere. Ma voi non siete me. Voi non abitate nei contorti meandri della mia mente. Voi non avete vissuto quello che ho vissuto io. Voi non potete capire assolutamente niente di tutto ciò, quindi non fate i finti saccenti che si prodigano a dire le solite, ennesime, boiate. [...]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehm… Hi everybody! :)
Che ci faccio qui? Beh, me lo sto chiedendo anch’io. Più precisamente, mi sto chiedendo per quale ragione, con una long-fic (o meglio “Sclero Mentale Formato Famiglia”) non ancora terminata né tantomeno in fase finale, dati i miei tempi d’aggiornamento non proprio “brevi” dovuti a 2571586 cause (tra cui la mancanza d’ispirazione, il torchio sotto cui la sQQuola ci tiene quasi costantemente, il mio “caaaaro” PC mattoide che spesso e volentieri finisce per impallarsi, la mia fottuta pigrizia, e altre 1039 varie ed eventuali), mi sto accingendo a postare un’altra fic – Sclero Mentale Formato Famiglia…
Il motivo principale è che quest’idea mi ronzava in testa da fin troppo tempo, chiedendo sempre più insistentemente di essere sviluppata e messa per iscritto… E alla fine, su “consiglio” della cara ShopaHolic, ho ceduto (xD). So, here I am.
Detto ciò, mi auguro (come mio solito) di non stare per pubblicare una Boiata con la B maiuscola, o qualcosa di troppo scontato/stereotipato, o cose così… (And, obviously, I hope you like it…)
Fatemi sapere che ne pensate ;)




Soundtrack: Jesus of Suburbia (Green Day)

CAPITOLO 1
And I leave behind this hurricane of fuckin’ lies /
Introduction. Or something like that…


Eccomi.
Here I am.
Finalmente, potrei aggiungere.
Finalmente posso lasciarmi alle spalle un uragano di fottutissime bugie a cui non appartengo.
Finalmente posso prendere in mano la mia vita.

Ho percorso quella stramaledetta strada un milione ed una fottutissima volta, ma ora basta, questa volta non sarà più così.
Ho vissuto senza respirare per troppo tempo, e non ho intenzione di continuare a farlo, in una tragica situazione di morte mascherata da vita.
E quindi, beh, eccomi. Eccomi qui, che fuggo da quel mondo di cazzate ed ipocrisia, che vuol farti credere solo e soltanto ciò che più aggrada un dannatissimo Sistema, che tutto ciò che vuole da te è sfruttarti e renderti incapace di pensare con la tua testa. Un Sistema per il quale se osi ribellarti ad esso diventi una minaccia, o qualcosa del genere, e di conseguenza vieni quindi isolato da quella massa di pecoroni che lo seguono senza porsi troppe domande e tentano di farti credere che sei tu quello sbagliato.
E quindi, eccomi qui, che non ne posso più, e che cerco di lasciarmi alle spalle tutto ciò, questa terra di false credenze che non crede in me ed in cui nemmeno io credo. Anzi, me ne frego altamente, o almeno così tento di fare.
Eccomi qui, dunque, che cerco di scappare da tutto questo, diventato fin troppo opprimente, per provare a trovare quello in cui IO credo.

Direte che ho fatto una scelta fin troppo drastica, che ho esagerato, che sono pazza, o altre cazzate del genere. Ma voi non siete me. Voi non abitate nei contorti meandri della mia mente. Voi non avete vissuto quello che ho vissuto io. Voi non potete capire assolutamente niente di tutto ciò, quindi non fate i finti saccenti che si prodigano a dire le solite, ennesime, boiate.
Ah, ma ora è finita. Ora si cambia.
Ora decido io quel che voglio fare oppure no, non lascerò più che qualcosa mi venga imposto.
E questo è il primo passo.

Vedo che alcuni qui mi guardano in modo strano. Vedo che molti tengono gli occhi puntati su di me, su quella che vedono come una ragazza strana, incomprensibile, per loro.
Già, perché certo loro non possono comprendere una diciottenne stufa marcia di una società completamente basata sull’ipocrisia, sull’apparire, sul “vita mea morte tua”, sull’adattarsi ad un fottutissimo Sistema, come tanti pecoroni senza cervello che si bevono ogni cosa che il Potente e i mass media vogliono far loro credere.
Non possono comprendere una diciottenne che s’è rotta definitivamente di dover sopportare una situazione familiare, perfettamente adeguata a questo sistema, che non sente come sua (e a guardar bene neanche lo è…) e che cerca di imporle ciò che deve e non deve fare.
Non possono comprendere una diciottenne che non può più sopportare di essere guardata dall’alto in basso o giudicata solo per il suo anticonformismo, solo perché ha il coraggio di usare il proprio cervello, di dire ciò che realmente pensa, di non omologarsi al Sistema, ai pregiudizi e a tutto il resto. Non che di questo me ne freghi più di tanto, ormai ho imparato ad essere me stessa nonostante quello che possa dire o pensare la fottutissima Maggioranza. Ma, paradossalmente, tutto ciò mi irrita assai. Mi irrita essere sempre la unica e sola pecora nera, e mi irrita come tutti gli altri si ritengano dannatamente superiori. Cosa che, tra l’altro, non sono affatto, a mio parere.
Non possono comprendere come mai la Maggioranza mi isoli, chi per ribrezzo, chi per paura, chi per vattelappesca cosa. E non possono comprendere come a me della loro falsa compagnia non possa fregarmene di meno.
Non possono comprendere la frustrazione, la rabbia che alberga in me.
Non possono comprendere nemmeno l’amore che talvolta fa capolino nella mia mente, a fianco della rabbia. Già, amore e rabbia, la storia della mia vita potrebbe essere completamente ricollegata a queste due parole…
Ma ora non devo dilungarmi su questo, se no finirei di scrivere domattina data l’immensità di cose che potrei dire su questo argomento… ma domattina certamente non sarò ancora qui, mi auguro!
No, non devo perdere, come al solito, il filo del discorso.
Dunque, tornando a ciò che stavo dicendo prima, non possono certamente comprendere come una tale diciottenne, coi capelli spettinati neri e blu, una maglia della sua band preferita, un paio di jeans strappati (per il tanto utilizzo), un paio di Converse consumate e scribacchiate con frasi tratte da canzoni che riescono a comprenderla più di molte altre persone, un paio di cuffie nelle orecchie, una matassa di sogni infranti e non, tanta rabbia repressa, e un milione di altre cose, possa avere così tante cose da scrivere su questo benedetto/maledetto quadernetto.
Non possono comprendere come mai questa diciottenne, sola, con un paio di valigie, uno zainetto ed una chitarra elettrica, abbia deciso di prendere un last minute diretto a San Francisco.
In sintesi, non possono capire un benemerito nulla.
Ma, a detta loro, non sono LORO quelli che non possono capire, no. Sono IO quella pazza, quella anormale. Sono IO il problema. Oh, sì, è molto più semplice attribuire il problema ad un singolo individuo che si ribella al Sistema, piuttosto che al Sistema stesso. È più facile, più irresistibilmente comodo, riversare la “colpa” su una singola persona che non si omologa, rispetto che all’intera massa comandata a bacchetta da mode, tendenze e “pacchetti di vita preconfezionati”, che vende il proprio cervello, sopprime i propri gusti e le proprie idee per adeguarsi al gregge, da cui altrimenti non verrebbe accettato…
Fottuti ipocriti.

***


Amy lasciò cadere la penna tra le pagine e chiuse il quadernetto che aveva eletto a suo personale diario.
Era da parecchi anni che non ne teneva uno, e si stava chiedendo perché diavolo avesse deciso di ricominciare proprio in quel momento, su quell’aereo.
Forse perché era ad un punto di svolta radicale nella sua vita.
Forse perché aveva bisogno di sfogare, scrivendo su un quaderno oltremodo personale, ciò che le attraversava la mente, ciò che la turbava, ciò che desiderava, e molte altre cose, per non far esplodere il suo cervello affollato.
Forse perché voleva far chiarezza tra i suoi pensieri.
Forse perché aveva bisogno di confidare queste cose, ma non voleva o poteva farlo con un amico fidato.
Un amico fidato, già.
Amy, con la sua indipendenza, la sua trasgressività, la sua rabbia, i suoi ideali, le sue fantasie, la sua brillante intelligenza mischiata ad uno stravagante senso d’originalità e rifiuto verso ogni forma d’ipocrisia e di autoritarismo, il suo inconfutabile rifiuto ad omologarsi al Sistema, il suo carattere particolare che quasi nessuno sapeva prendere per il cosiddetto verso giusto, e mille altre qualità abbinate ad altrettanti difetti, era quello che poteva essere definito un tipo solitario.
Saul, l’unico vero amico che Amy si era fatta, conosciuto quando avevano entrambi 11 anni, anch’egli una sorta di pecora nera, con cui la ragazza avrebbe quindi potuto confidarsi e psicanalizzare i suoi pensieri, i suoi ricordi e i suoi progetti, purtroppo tre anni prima aveva dovuto trasferirsi con la famiglia in Australia, dall’altra parte del globo, da dove proveniva la madre e dove il ragazzo aveva vissuto i primi anni della sua infanzia. Inutile dire quanto entrambi avevano sofferto e ancora soffrivano per questo distacco, e nonostante avessero continuato a sentirsi frequentemente tramite Internet, avvertivano molto la mancanza del “contatto” fisico.
Ad ogni modo, Amy doveva moltissimo ad Internet. Perché era grazie al suo computer e alla sua connessione, entrambi autofinanziati dalla ragazza, che questa poteva comunicare, ridere e sfogarsi con persone che potessero capirla. E, per lei, queste persone rappresentavano davvero molto. E tra queste, quelle a cui era più legata, quelle con cui aveva stabilito una relazione di intendimento reciproco, erano, appunto, Saul, e Alexander (Alex). Quest’ultimo, l’aveva conosciuto quasi per caso due anni addietro, grazie ad un forum in lingua Inglese-Americana (altra passione della ragazza, dovuta forse anche a parte delle sue origini) che trattava di musica, in particolar modo di Rock, Punk, Metal e derivati vari; generi molto amati da Amy. Lì, la ragazza aveva iniziato a “parlare” (o meglio, scrivere) con Alex, un ragazzo americano di tre anni più grande di lei che le era sembrato condividere con lei svariate passioni. Le sue impressioni si erano rivelate esatte, e i due si erano scoperti veramente simili. Pian piano, avevano iniziato a confrontarsi su argomenti sempre più personali, fino ad arrivare ad una situazione di estrema fiducia e disponibilità, di straordinaria comprensione reciproca, in cui i due parlavano senza problemi di ogni cosa.
E così, Alex era diventato come una specie di fratello maggiore per Amy.
Un giorno, qualche mese prima della partenza della ragazza, Alex le aveva detto che, se lei non fosse più riuscita a sopportare la situazione in cui si trovava suo malgrado immersa, le avrebbe potuto offrire “asilo politico” (come lo aveva definito, scherzando) a casa sua. Amy era rimasta un attimo stupita da così tanta e gratuita disponibilità, e aveva iniziato a chiedergli ripetutamente se non fosse un disturbo, un problema, per lui, se non lei fosse stata d’impiccio, eccetera, perché non voleva approfittarne né nulla di simile. Il ragazzo allora si era fatto serio, confutando ogni suo dubbio, terminando il discorso con uno scherzoso obbligo con cui chiedeva ad Amy di fuggire da tutto ciò che la opprimeva e trasferirsi lì da lui.
Alex era residente a Berkeley, nella East Bay di San Francisco, in California. Ed era lì, appunto, che Amy era diretta.

   
 
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