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Autore: Aine Walsh    21/02/2011    3 recensioni
Il trombettista lo fissò negli occhi, serio, incuriosito anche lui come in principio ne fu Louis della sua persona e con una certa meraviglia.
«Saresti disposto a fare cosa per lei?» domandò.
«Tutto» rispose deciso il ragazzo.
«Saresti anche disposto a vendere l’anima al diavolo pur di mantenerla viva?».
«Assolutamente».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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New Orleans, 1915

 


 

New Orleans, la città della musica.

La città del jazz.

Delle trombe, dei sax, dei contrabbassi, dei bassi e dei pianoforti.

Forse, uno dei primi centri ad aver dato luogo ad una importante svolta, non solo musicale, questo è certo, ma anche sociale.

Perché spesso, la gente, pur avendo le capacità per attuare qualcosa di innovativo, deve essere incoraggiata, spinta.

E quale strumento migliore della musica?

 

Louis adorava quel luogo.

L’aveva sempre adorato, anche più della sua stessa città natale.

Molto probabilmente influisce il fatto di essersi trasferito a New Orleans quando aveva solo tre anni, motivo per cui ricordava poco o nulla del paesino di campagna dove era nato.

Inoltre, l’amore per la città dove si era trasferito era stato ulteriormente accresciuto dalla sua passione (e anche incredibile propensione, data la sua età) per la musica, che definiva la sua unica, vera, sostanza.

New Orleans era per lui il luogo più adatto che fosse presente sulla Terra dove poter crescere.

 

«Mamma, io esco!» esclamò il ragazzo scendendo velocemente le scale.

«E dove vai, si può sapere?».

«In giro» rispose semplicemente Louis.

«Sono solo le nove! Cosa vai a fare in giro a quest’ora?» lo riprese sua madre.

«Vado a prendere aria» dissimulò il ragazzino. E prima che si potesse aggiungere altro corse fuori di casa, chiudendosi la porta alle spalle esclamando ancora «Ciao!».

Da dietro la finestra, la donna sorrise. Anche se cercava di nasconderlo, riuscendoci abbastanza, sapeva benissimo quali fossero le intenzioni del figlio e ne era felice.

 

Louis uscì in strada e si immerse nel centro ancora quasi addormentato.

Era una domenica mattina di inizio estate, e, finalmente dopo tanti giorni di agonia, era tornato a splendere il sole su New Orleans.

Un sole caldo e luminoso, proprio come la città che illuminava e che si addiceva completamente alla vita che vi si svolgeva.

Era tornato tutto alla normalità.

Il ragazzo fiancheggiò per buona parte le vie principali della città, fino ad arrivare al Woldenberg Park, il suo preferito, sia perché situato proprio di fronte al canale, sia perché era il luogo di riunione principale degli artisti di strada e di coloro che si cimentavano a suonare per allietare i passanti, specie la domenica e specie in estate.

Costeggiò per qualche altro minuto la riva prima di andare a sedersi al suo solito posto, la panchina sotto la grande quercia.

Louis adorava andare lì. Quella postazione aveva per lui qualcosa di curioso e affascinante.

Probabilmente, o magari sicuramente, per gli altri quella panchina di fronte al canale che dava sull’altro lato della città non sarebbe stato nulla di eccezionale, un posto come un altro, per pochi, forse, c’era un significato un po’ diverso.

Ma per Louis no.

Non riuscì mai a spiegarsi cosa avesse poi di così tanto speciale, neppure una volta divenuto adulto ne fu in grado; sapeva solo che, ogni qualvolta che vi si sistemava (il che avveniva quando se ne presentava l’occasione, e quindi molto spesso), prendeva a fantasticare su di sé e sul proprio futuro.

Come è stato già detto, quel ragazzino mostrava un grande interesse e un grande amore nei confronti della musica, tanto che il suo sogno era quello di diventare un famoso sassofonista.

Sognava di suonare come principalmente come solista, anche se entrare a fare parte di una banda non gli dispiaceva affatto; immaginava, inoltre, di essere richiesto in tantissimi posti, nei locali più ambiti della città e pure del mondo.

Prima, però, avrebbe dovuto comprare una tromba.

E questo era il suo grande problema.

Conosceva la condizione in cui viveva la sua famiglia ed era ben capace di comprendere che comprare un sassofono, o qualsiasi altro strumento, non fosse la cosa migliore da fare, perlomeno in quel momento.

Ragion per cui, certe volte si distoglieva dai quei pensieri e da quelle fantasticherie con un po’ di mestizia.

 

Doveva essere passata quasi un’ora dal suo arrivo, quando Louis sentì una musica provenire da un punto indefinito del parco.

Tra la curiosità e la felicità di udire finalmente qualcuno suonare, si alzò e andò alla ricerca del punto da cui proveniva la musica.

Non molto lontano da dove era rimasto seduto, quasi nascosto tra gli alberi stava un uomo, intento a suonare una grossa tromba scintillante.

Era alto, di corporatura robusta, ma non troppo, e portava un berretto ben calcato sulla testa.

Ammirato, il ragazzino non osò avvicinarsi, preferendo restare nascosto tra i cespugli.

Era un suono gradevole, quell’uomo sapeva suonare con maestria; tuttavia, eccetto Louis, nessuno lo ascoltava. La gente gli passava davanti indifferente.

Quando lo sconosciuto terminò, ripose lo strumento dentro un borsone e se ne andò via.

Attirato da quello strano personaggio, Louis tornò al parco anche la mattina seguente e si posizionò proprio nello stesso punto in mezzo agli arbusti. Non dovette aspettare molto che il trombettiere tornò, suonò lo stesso identico brano e, una volta finito, se ne andò di nuovo.

E, anche quel giorno, nessuno si era fermato ad ascoltarlo o dargli un dollaro.

Il ragazzo fece la stessa cosa per più mattine. La terza, la quarta, la quinta… Ma niente. Non cambiava proprio nulla.

L’uomo veniva, eseguiva con la sua fedele tromba uno e un solo brano e poi andava nuovamente per la sua strada senza che nessuno gli dicesse qualcosa.

 

Era strano. Davvero abbastanza strano.

Louis non riusciva a capacitarsi di quella situazione.

L’anonimo trombettista era bravo, bravissimo. Ci metteva passione, e si vedeva.

Eppure nessuno sembrava accorgersene e lui stesso non faceva nulla per farsi notare.

 

Un giorno, finalmente, Louis si decise ad avvicinarsi, a farsi avanti, per mostrare a quell’uomo che qualcuno lo seguiva ed ammirava.

Così deciso, il ragazzo aspettò pazientemente l’arrivo del suo idolo e, quando questo arrivò, assistette.

La canzone era sempre la stessa (di cui però Louis non riuscì mai a sapere il titolo), ma ogni volta era suonata diversamente, c’era qualcosa in più.

Era eseguita meglio ogni giorno che passava.

 

Terminata l’esecuzione, Louis prese i suoi tre dollari dalla tasca dei pantaloni e li allungò allo sconosciuto, che prese a fissarlo stranito, con un ambiguo sorriso sulle labbra.

Si fissarono reciprocamente per qualche minuto.

Il ragazzino non riusciva a comprendere perché il trombettiere lo fissasse senza prendere i soldi e andare via ancora una volta. Si sentiva in imbarazzo, abbassava anche lo sguardo per pochi secondi in certi momenti, ma tuttavia non ritirava il braccio, che restava testo in avanti e con l’offerta bene in vista.

Infine, l’uomo si decise a parlare.

«Tu mi stai pagando?».

Aveva una voce profonda, un timbro davvero particolare.

«Ehm… Si…» rispose intimorito il ragazzo.

L’uomo lo fissò tra lo stupito e il divertito, prima di scoppiare, appunto, in una grassa risata.

Louis lo fissò stranito, iniziando a credere che, forse, quel bravo trombettista non fosse poi così sano di mente come gli era apparso in principio. E del resto, questo spiegava il motivo del suo strano atteggiamento.

Quando finì di ridere, lo sconosciuto riprese la parola, serio «Stai pensando che io sia pazzo?».

Al ragazzo venne un colpo. Come faceva a saperlo?

«No, non me lo permetterei mai, signore» mentì.

Al che, questo cominciò di nuovo a ridere.

Louis stava iniziando a provare noia di quel comportamento. In un istante, tutta la stima e l’ammirazione che aveva provato in quei giorni nei confronti di quell’uomo, svanì, dissolvendosi nel nulla e lasciando spazio all’amareggiato e deluso.

«Sai, è proprio strano che tu sia qui, oggi» riprese il suonatore, una volta per tutte «Immagino che tu voglia sapere il perché, no?».

Louis scosse il capo in segno di approvazione.

«Lo sapevo» sussurrò questo soddisfatto «Vedi, ogni giorno da più di due anni, vengo qui e suono. Tutti i giorni. Da sempre. All’inizio ricevevo qualche mancia, ma quando dissi che non era quello il motivo per cui suonavo, la gente iniziò a dire che io sia pazzo. Bè, accontentiamoli!».

Il ragazzo non riuscì a comprendere bene. Cosa voleva dire quell’accontentiamoli finale?

«Dì un po’, tu… Com’è che ti chiami?».

«Louis», fu la semplice risposta.

«Dì un po’, Louis, a te piace la musica?».

«Signore, è tutta la mia vita» rispose serio e sicuro.

«Tutta la tua vita dici, eh? Non ti sembra un po’ esagerato, ragazzo? In fondo, quanti anni hai? Undici? Dodici?».

«Quattordici, signore».

«Diamine! Solo quattordici! Cosa puoi saperne tu della musica? Della vera musica?» enfatizzò l’uomo con fare derisorio.

Louis si sentì offeso. Si chiese il motivo che lo aveva costretto a restare lì e a non andarsene ai primi segni di squilibrio da parte del trombettista. Gli venne in mente di andarsene e di lasciarlo in presa alla sua follia. Ma, mezzo secondo dopo, si smentì. E non perché fosse una cosa maleducata da fare, ma perché doveva fargli capire che per lui la musica era davvero e che per questa avrebbe dato tutto.

Così rispose: «Potrei saperne anche più di lei, signore».

Era sicuro che l’uomo ricominciasse una di quelle sue strane e fastidiose risate, ma così non fu.

Il trombettista lo fissò negli occhi, serio, incuriosito anche lui come in principio ne fu Louis della sua persona e con una certa meraviglia.

«Saresti disposto a fare cosa per lei?» domandò.

«Tutto» rispose deciso il ragazzo.

«Saresti anche disposto a vendere l’anima al diavolo pur di mantenerla viva?».

«Assolutamente».

Ci fu una pausa.

I due si fissarono restando in silenzio.

In religioso silenzio.

Il suono che intercorreva tra di loro proveniva dalla gente che passeggiava al parco.

Louis si chiese cosa stesse pensando, dato che lo osservava in un modo che non riuscì mai a spiegarsi. Era uno sguardo strano.

«Sai perché la gente ha iniziato a giudicarmi matto?».

Louis scosse la testa.

«Perché non accettavo mai di essere pagato. Vedi, ragazzo, per me la musica è qualcosa che devi avere dentro, qualcosa che devi amare e sentire tua. Io non vengo qui ogni giorno a suonare per i soldi, ma solo perché mi piace farlo. Molti dissero che fosse un controsenso e mi presero per pazzo. E’ incredibile dove possa arrivare l’ignoranza e l’incomprensione della gente. Adesso ti faccio una domanda. Lasciando perdere tutte quelle smancerie e cose romantiche tipo l’amore e l’amicizia; sai qual è la vera forza che muove il mondo? Lo sai? E’ la musica, Louis, la musica! Fino a quando questa vivrà non avremmo nulla da temere».

Adesso il ragazzo era impressionato.

Ancora una volta cambiò opinione su quell’uomo.

Era strabiliante. Da ammirare.

Aveva una concezione della musica pazzesca, come del resto l’aveva lui.

E da qui, nel giro di pochi secondi, il suo cervello iniziò ad elaborare un’infinità di domande: chi era quell’uomo? Da quanto tempo suonava? E quali erano i suoi gusti musicali? Come aveva reagito alle dicerie della gente?

Tutte domande, però, che restarono senza risposta.

Louis si pentì più e più volte, in seguito, di non essere assolutamente riuscito a proferir parola in quel momento, quando ne ebbe la possibilità.

 

Non appena finì di parlare, il trombettista disse: «Ehi, ragazzino, adesso avrei bisogno di chiederti un favore. Vedi quella bottega lì di fronte? Si, esatto, quella. Devo andare a comprare il tabacco per la pipa, ci metterò un secondo. Tutto quello che devi fare è tenermi questa, va bene?» e, detto ciò, passò la borsa dalle sue mani a quelle di Louis.

Accadde tutto troppo velocemente.

Louis vide l’uomo allontanarsi e si rese conto di avere lo strumento tra le mani.

Aprì la borsa e osservò la tromba.

Proprio di fronte ai suoi occhi, in bella grafia sulla superficie liscia e scintillante era scritto Jack.

 

Il ragazzo aspettò pazientemente il ritorno di Jack.

Passarono dieci minuti, mezz’ora, un’ora, tre giorni, una settimana, due mesi.

E Jack non fece più ritorno.

 

 

Alan's Corner: Bè, lunghetta questa storia, no? Però spero che almeno un po' sia piaciuta...

Grazie a chiunque abbia anche solo aperto la pagina ;D

Ps. Ho scelto proprio Armstrong perchè, secondo me, è proprio l'icona della musica jazz...

 

 

  
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