The
way we were
XVII
Oltremanica
There
are times that walk from you like some passing afternoon,
Summer
warmed the open
window of her honeymoon
«Pans?»
si affacciò la voce di Blaise
dall’interno.
Pansy
sollevò pigramente la testa dai
fiori di oleandro che stava osservando da lunghi minuti.
«Sono
sulla terrazza» avvertì.
Tre secondi dopo
Blaise fece la sua
apparizione, lanciandosi occhiate guardinghe alle spalle.
«Metti
la fede» disse sbrigativo,
lasciando perdere le proprie spalle e affacciandosi dalla terrazza, per
scrutare l’orizzonte.
Pansy non
partecipò minimamente alla
sua agitazione, limitandosi ad uno sguardo piuttosto critico.
«Ci
risiamo?» domandò soltanto,
facendo apparire la fede sul proprio palmo, richiamandola dal suo
comodino.
Blaise la infilò al suo dito sottile, con un sorriso di
scuse e di
compiacimento di sé, a volerle ricordare che l’ars
amatoria non va mai in
pensione.
«Non
dovrebbe costarti molta fatica»
le disse, facendo apparire un anello anche al proprio anulare. Come
sempre il
solo contatto del cerchio metallico con la pelle della sua mano gli
procurò
brividi di fastidio. «Hai
una certa
esperienza in matrimoni fittizi, tu».
«Devo
dare ragione al tuo amico,
Blaise» replicò Pansy, preparandosi ad accogliere
l’ennesima donzella in visita
al loro maniero, nella speranza di apprendere la notizia della
vedovanza
improvvisa di Monsieur Zabinì. «Sei
decisamente uno stronzo.»
-
Negli anni del periodo francese, come aveva preso a
definirlo Blaise, nel
tentativo di dare un tono alla loro innegabile disfatta, Draco era
tornato nel
cassetto in cui Pansy lo aveva tenuto negli anni dopo Hogwarts, prima
di
incontrarlo di nuovo.
Non era
più innominabile. Spesso lei
e Blaise, in preda a malinconie rinnegate senza alcun sforzo
giustificativo il
mattino dopo, si ritrovavano il suo nome sulle labbra, o sottinteso nei
loro
discorsi, o in qualche stralcio di ricordi, e allora si fermavano
entrambi, non
appena ne prendevano atto, lasciando che Draco si adagiasse tra loro e
tornasse
in silenzio ad occupare il posto che gli era stato riservato: muto
compagno
della loro quotidianità.
Quell’imbecille
lo definiva a volte Blaise, scuotendo la testa nel versarsi da bere.
Aveva
smesso con il brandy, ora che Theodore non era più in giro.
Ciò che
rendeva amabile il
gusto di brandy era
la circostanza di berlo nel salotto di casa Nott e rigorosamente alla
faccia
del proprietario della bottiglia da ottanta galeoni, aveva rivelato a
Pansy una
delle prime sere dopo l’insediamento al Maniero.
Pansy non si era
preoccupata di
fargli sapere di averlo sempre saputo.
Il Maniero dei
Zabini era arroccato
su una collina, piuttosto lontano dal centro abitato.
«Tipico
gusto asociale del marito
numero tre» aveva osservato Blaise, mentre i loro bauli si
disfacevano da soli
e Pansy prendeva dimestichezza con i soffitti alti delle stanze, le
pareti
bianche immacolate, prive di ritratti e disseminate invece qui e
là di paesaggi
ameni, tipicamente provenzali.
C’era
una biblioteca discretamente
fornita, nel piano superiore, che Pansy aveva lasciato a Blaise come
antro in
cui rifugiarsi dai bollenti spiriti di qualche dama o dalla
crudeltà di qualche
fantasma del passato, tornato in visita.
Per
sé aveva scelto il terrazzo e una
piccola stanza al piano terra, nascosta da un paravento alla vista dei
visitatori
«Credi
che tua madre se ne
dispiacerebbe?» aveva chiesto a Blaise, già
innamorata di quella stanza piccola
e raccolta, che forse avrebbe anche potuto adibire a cassetto. Lui le
aveva
accarezzato i capelli, con una scrollata di spalle. «Mia
madre non ha mai
conosciuto dispiaceri» rispose. «Attenta ai
cadaveri negli armadi, agli Auror
manca giusto il corpo del penultimo marito». E poi
l’aveva lasciata sola, a
prendere possesso della sua nuova proprietà.
Entrambi avevano
dovuto abituarsi,
con la poca pazienza che avevano, ai ritmi di una vita decisamente non
londinese. Pansy era stata costretta ad affinare il proprio francese, e
Blaise
aveva dato sfogo alle sue capacità linguistiche senza alcun
problema di sorta.
Come sempre, si era detta Pansy, trovandosi una cassa di champagne tra
i piedi
nel mezzo del salone dopo soli cinque giorni di permanenza in terre
francesi.
Di sua madre e
suo padre non aveva
più avuto notizie.
Nel partire
aveva fatto lo sforzo,
sotto costrizione di Millicent, di scrivere una lettera di avviso anche
a loro.
L’aveva indirizzata a sua madre, consapevole che dopo il
matrimonio andato a
monte suo padre fosse poco disposto al dialogo. Anche da sua madre non
le era
giunta risposta di sorta, se non dopo mesi, e con un falco che non era
quello
di famiglia.
“Trattengo
quello che hai lasciato qui a titolo di ricordo. Me lo devi,
sono tua madre. So bene che non inviterai mai né me
né tuo padre ad una visita,
per tuo pudore o perché ritieni, forse a ragione, di dover
sopravvivere in
qualche modo. Come madre mi spezza il cuore, anche se tu sei convinta
che io lo
abbia allenato poco. Come donna, Pansy, non ho altro da aggiungere.
Vivi bene,
bambina mia.”
Conservò
quella lettera nella stanza
che aveva scelto per sé, nello stesso armadio in cui Mrs
Zabini aveva nascosto
i suoi scheletri.
La rilesse una
sola volta, nella sua
vita, per il resto la lasciò lì al suo posto.
La Gringott
riuscì a rintracciare
Blaise, un pomeriggio di inverno.
Fuori cadeva la
neve, e il gufo
intestato Gringott aveva atteso intirizzito, con le zampe congelate
alla
ringhiera, che Blaise vincesse le sue ritrosie e si decidesse ad aprire
la
finestra.
Come sospettato
da entrambi, la
Gringott chiedeva ancora la sua collaborazione, offrendogli un lavoro
di
consulenza a distanza, che Blaise avrebbe potuto comodamente prestare
da dove
si trovava senza bisogno di tornare a soffocare nei fumi di Londra.
«Dovresti
accettare» disse Pansy una
settimana dopo, con fare pragmatico. «Sei stato
sufficientemente corteggiato
anche dagli uomini del Ministero, a questo punto.»
Blaise
l’aveva guardata leggermente
risentito nello scoprirla dalla parte degli altri.
Avrebbe avuto a
che fare di nuovo con
il nome di Draco, di Nott, e della Davis, e chissà di quanti
altri. Pansy aveva
letto tutto questo nel suo sguardo, e nel sorriso che le aveva
ammorbidito le
labbra c’era la chiave risolutiva dell’enigma.
«Avevamo
detto che non sarebbe stata
una fuga» disse, seria.
«Sì,
lo avevamo detto» aveva risposto
lui, rintanandosi nel suo antro al piano di sopra.
La sera Pansy,
acciambellata sulla
poltrona accanto al camino, scorse con la coda dell’occhio un
dispiegarsi di
ali nel cielo scuro.
«Che
ci fa un gufo in volo in mezzo
alla neve?» domandò ironica.
«Porta
una notifica di accettazione a
quegli imbecilli della Gringott» borbottò Blaise,
scendendo le scale dal piano
di sopra, e versandosi da bere.
Nei lunghi mesi
di silenzio tra Pansy
e la sua famiglia si era scatenata una guerra fredda in merito alla
separazione
dei beni. Così Eveline Parkinson aveva tenuto sotto
sequestro tutti i suoi elfi
domestici, abbassandosi persino ad una donazione in favore del
sindacato
diretto da Hermione Granger. Fu una donazione anonima, ovviamente, in
accordo
tra lei e la fondatrice, con riserva di mantenerne segreto il motivo.
Pansy aveva
ritenuto di non aver
alcun bisogno di elfi domestici che le stessero tra i piedi. Le loro
deformità
erano comunque poco consone ai delicati profili provenzali e mal si
accostavano
con l’ambiente circostante. Blaise la lasciò
farneticare pieno di affetto,
preoccupandosi personalmente di recarsi a Londra, in incognito, per
trafugare
qualche elfo e portarlo in casa propria.
«Questi
ce li mandano i coniugi
Montague, con auguri di buon Natale» annunciò a
Pansy riapparendo al Maniero.
«Hai
rubato a Millicent i suoi elfi…
non posso credere che tu lo abbia fatto sul serio»
commentò allibita ma molto
sollevata di non doversi più preoccupare di certe incombenze.
«No,
li ho sottratti con astuzia
oratoria a quel sottosviluppato di suo marito»
rettificò placidamente Blaise,
facendo cenno alla nuova servitù di appropriarsi dello
sgabuzzino per renderlo
confortevole giaciglio e ripostiglio dei loro stracci,
altresì con coraggio
definiti indumenti. «Farà i conti con lei quando
tornerà dal suo viaggio, cosa
vuoi che succeda? È pur sempre Millicent, la sua massima
rappresaglia sarà
chiuderlo in un armadio, e in fondo non si tratterebbe di niente di
nuovo, ne è
già uscito una volta.»
«Potrebbe
tornare intelligente, in
effetti» valutò Pansy, versando da bere al
compagno, in ringraziamento per
l’opera di riciclaggio di elfi.
«Appunto.
Come sempre, non capiscono
mai quando vogliamo fare del bene.»
*
And
she’s chosen where to be,
tough
she’s lost her wedding ring
Trascorsero gli
anni, si alternarono
le stagioni.
Pansy
affidò all’inarrestabile
scorrere del tempo la cura del proprio dolore.
Non si azzardava
mai a chiamarlo in
quel modo, e la maggior parte delle volte si sforzava anche di non
viverlo come
tale.
Non aveva pianto
per Draco, come le
capitava di fare da giovane – battendo i pugni sul letto per
sfogare la rabbia
che le sue parole le provocavano, o lasciando che in silenzio
trovassero posto
sul suo viso le lacrime che lui non concedeva di certo a se stesso.
Aveva
cristallizzato il dispiacere e
imbrigliato lo sconforto, sbarrato il nascondiglio in cui li aveva
riposti, e
su di sé l’unica traccia della loro presenza era
la malinconia che le era
rimasta intrappolata negli occhi e la stanchezza con cui cercava di
essere
bella.
Pensava a lui
più di quanto facesse
credere a Blaise.
Gli anni erano
passati, e lo sapeva
padre, ormai. Quando il pensiero non la uccideva, trovava consolante
l’idea che
Draco avesse modo di non dimenticarsi come si ama.
C’erano
stati altri uomini, mai nel
suo letto e mai nel suo cuore. Li aveva incontrati senza conoscerli, si
era
dilettata della loro presenza senza mai renderla compagnia. Aveva usato
i loro
corpi per tenere in allenamento il proprio, per ricordare a se stessa
che
potesse conoscere calore, se non d’amore almeno di desiderio.
Aveva permesso,
questa volta, che le si facessero complimenti, che si parlasse di lei
come di
una bella donna, nonostante la pelle pallida e i suoi silenzi
tipicamente
british.
«Non
hai figli?» le venne chiesto una
volta, da uno di loro.
«No»
rispose, una mano sul ventre
piatto, vuoto. «Non credo di poter averne».
Ho
la notte nel cuore avrebbe
aggiunto se a chiederglielo fosse stata sua madre.
Non sentiva di
avere sufficienti
forze per amare qualcun altro, le aveva impiegate tutte per prendersi
cura di
se stessa e del proprio tormento.
Tuttavia quella
sera, davanti alla
propria immagine, cercò di immaginare una
rotondità al posto dei suoi spigoli;
si chiese se quel vuoto che aveva dentro di sé avrebbe mai
potuto contenere
qualcuno.
Di Londra e
della sua vita ricevevano
notizie sporadiche, riportate da Blaise dopo una accurata opera di
selezione
tra quelle che lo avevano raggiunto.
Pansy
scoprì presto quella sua abitudine
alla rassegna stampa, e decise di abbonarsi alla Gazzetta del Profeta,
per
risparmiare a Blaise il travaglio di proteggerla, e sollevarlo di
qualsiasi
responsabilità.
“Non
ti affannare, stupido” gli disse
aprendo il giornale sotto i suoi occhi, una mattina di inizio
primavera. Blaise
l’aveva guardata allibito. “Non abbiamo sempre
fatto così? Ognuno è
responsabile dei propri mali.”
Si era versato
del caffè, scuotendo
la testa. “Forastica, come sempre”
borbottò dapprima offeso per il mancato
riconoscimento delle sue attenzioni. Quando la sera tornò a
casa, aveva già
dimenticato.
“Ti ho
perdonata” le disse, lanciando
il mantello ad un elfo.
“Non
ti ho chiesto scusa” gli
rispose, sorridendo tra le pagine del libro.
-
Il Profeta
raccontò a Pansy
dell’ordinaria amministrazione scandalistica di Daphne, e
delle controverse
operazioni economiche della Gringott. La aggiornò degli
ultimi processi, della
decisiva abolizione del Bacio – la pagina riportava una
sorridente Hermione
Granger, al sit-in organizzato sotto la sede del Wizengamot riunito in
Sezioni
Unite per deliberare la proposta – delle nuove scoperte
pseudo scientifiche
portate avanti dallo sconclusionato connubio Lovegood –
Scamandro, e della
fusione delle società Nott e Davies.
Il vecchio
Abraham era morto, infine,
molto seccato per la propria dipartita, e serbando ancora profondo
rancore
verso suo nipote.
In una lettera
Millicent le raccontò
per filo e per segno ciò che era stato riferito da voci non
meglio
identificate, in quel del San Mungo. Theodore aveva insistito
perché suo nonno
fosse ricoverato e tenuto sotto sorveglianza, con una dedizione che
Abraham
aveva frainteso per malafede, così era morto soffiando
veleno contro
l’ingratitudine di Theodore e soprattutto contro la sua
sciocca e deleteria
attitudine ad amare donne discutibili, che lo avevano costretto
“a rivolgere
parola a quell’emerito idiota del Ministro di Grazia e
Giustizia, per tirare
fuori quell’altro emerito incapace di Lucius Malfoy al solo
scopo di far
fallire un matrimonio!”
Finì
con il costringere Theodore a
chiedere che lo sedassero, ma quando si era svegliato, terminato
l’effetto dei
narcotici, Abraham aveva ripreso con una lucidità tenace
esattamente da dove si
era interrotto: “… al solo scopo di vedere quel
rattrappito di suo nipote
lasciato sull’altare come un Allock qualunque, dovendo patire
anche lo sviluppo
del suo ennesimo inciucio da quattro soldi con quella gattamorta
pluri-divorziata, e dovendo persino cederle una parte di azienda! Mai
il nome
dei Nott era stato accostato a quello di altre
siffatte…”
Millicent aveva
lasciato immaginare a
Pansy come si fosse conclusa la piece.
Le disse, in
ogni lettera, che non
aveva imparato l’arte
dell’anaffettività, essendo venuta a mancare la
migliore
maestra, e che quindi si permetteva di dire che le mancava, Pansy, e
molto.
“Nel
modo in cui la gente comune ha nostalgia di una cara amica.”
*
There
are things we can’t recall, blind as night that finds us all,
but
my hands remember hers.
Scorpius nacque
di notte, in casa
Malfoy.
Narcissa
– che avrebbe rifiutato per
sempre il nominativo nonna
– aveva
insistito perché così fosse e Astoria non si era
opposta, sentendosi al sicuro
nelle mani di una madre e una suocera che avevano già messo
al mondo dei figli,
riuscendo a preservare se stesse.
«Tieni,
bevi questo» invitò Lucius,
costretto a condividere con suo figlio la – nuova –
reclusione oltre la porta.
Le dita gelide
di Draco si
aggrapparono al vetro del bicchiere, mentre pensava che stava per
diventare
padre, e che Blaise non era lì a ridimensionare il tutto in
un po’ di disincanto
confezionato, né Pansy lo guardava silenziosa, ricordandogli
che poteva essere
sbagliato ma lei lo amava comunque.
Non aveva
più toccato Astoria, da
allora. A volte si era chiesto se suo figlio lì dentro
percepisse la
frammentarietà di quell’amore che gli veniva
riservato. In due canali diversi e
separati tra loro.
Aveva delle mani troppo grandi per le
sue ossa fragili e
il suo essere così minuscolo, pensò non appena
fece la sua conoscenza.
Sua madre glielo
mise in braccio,
delicata come si è con un neonato, ma decisa nel compiere
quel gesto.
“E’
ora che vi presentiate” disse
piano, perché nessuno al di fuori di loro tre potesse
sentirla “Per conoscervi
avrete tempo, anche se non vi basterà lo stesso.”
“Non
lo lasciare” aveva detto
allarmato Draco “E se mi cade?”
“Non
può cadere, è nelle mani di suo
padre.”
Poi li aveva
lasciati soli,
chiudendosi la porta alle spalle.
Fosse stato per
lui quella porta non
l’avrebbe più riaperta. Fu del tutto assorbito da
quell’essere fatto di pelle
sottilissima, con gli occhi chiusi e i pugni stretti convulsamente. Si
agitava
tra le sue mani di adulto e lui non riusciva a smettere di guardarlo,
come se
da un momento all’altro fosse pronto a sparire o rompersi.
Apri
gli occhi
pensava attendendo che lo facesse, sperando che lo facesse, con trepida
ansia. Apri gli occhi, sono tuo padre,
insomma,
degnami di attenzione pensava risentito ma più che
altro curioso e
spaventato, come se avesse tra le mani un bene inestimabile, di un
valore
incommensurabile, e che gran parte del tutto dipendesse solo dalla sua
cura e
dalla sua capacità di insegnargli a fare i conti con la vita
perché fosse
dignitosa e leale prima di tutti verso se stesso.
Non
credo di essere in grado, è meglio se lo sai da subito continuava a
dirgli in silenzio. Ma
Scorpius non batteva ciglio, ignorando quelle sue parole come se
sapesse già
che non valessero niente, che fosse sbagliato pensare quelle cose.
Draco volle
credere a quella sua indifferenza.
Suo figlio
viveva da neanche dieci
ore, e già lo aveva smentito, rendendolo forte.
Astoria, come un
tempo aveva fatto
Narcissa, spiava spesso Draco nei momenti in cui era con Scorpius.
Osservava le
loro dinamiche con occhi curiosi e commossi, e sentiva qualcosa
stringersi
dentro di sé, la tenerezza attanagliante per quelle immagini
e l’impossibilità
di scioglierla in un abbraccio.
Sua madre era
stata molto soddisfatta
dell’opera portata a compimento: “I bambini ti
vengono decisamente bene”
gorgogliò la prima volta che tenne il nipote tra le braccia.
Daphne quel giorno
era rimasta sulla porta, a braccia conserte, decisa ad astenersi da
tutti quei
patetismi. Quando Astoria cercò il suo sguardo, sopra i
compiacimenti di loro
madre, per accertarsi che fosse ancora lì, Daphne le rivolse
un’occhiata piena
di fastidio per la situazione e con quello Astoria comprese che sua
sorella le
voleva bene, e che era l’unica ad aver capito cosa stesse
succedendo.
“E’
un bambino, mamma, non un
deficiente” la sentì mormorare in un sibilo
frustrato.
“Il
bambino è tuo nipote, Daphne, è
meglio che inizi a prendere confidenza con il tuo ruolo,
avvicinati”.
Daphne accese
una sigaretta,
inorridita, e con quello si fabbricò la scusa per
abbandonare la stanza.
“Lascia
perdere tua sorella, sei
giovane, Astoria, ma sarai comunque una buona madre”
commentò Olimpia
Greengrass, restituendole Scorpius.
Astoria sorrise
adeguatamente,
pensando invece alla sera in cui Draco era tornato a casa, mesi prima.
Grondava di
pioggia e determinazione.
Non si
sentì di dire a sua madre che
nel contratto era stata inserita una clausola.
Non si sentì di spiegare che se come madre avrebbe avuto tutta la vita per esercitarsi, come moglie aveva gli anni contati.
---Note.
1) Le scuse per il ritardo ormai consideratele inglobate
nell'aggiornamento. Nessuna giustificazione neanche stavolta, solo
scuse.
2) La
canzone citata l'avrete di certo riconosciuta ma disclaimer vuole che
io ribadisca che è degli Iron&Wine, "Passing
Afternoon".
3) Alle
recensioni - grazie! - rispondo con il nuovo form, che è una
meraviglia *_*
4) Il
prossimo capitolo è anche l'ultimo.
Detto ciò, mi ritiro :)