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Autore: samek    22/02/2011    2 recensioni
Ogni scalfittura nella calce era un giorno trascorso là dentro ed erano ormai troppe, così tante da riempire interamente le quattro pareti e quasi tutto il basso soffitto. Gellert aveva perfino smesso di contarle davvero, si limitava a segnarle per ricordare a sé stesso che quella era una nuova alba e che la stava salutando ancora sano di mente.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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La neve cadeva fitta su Nurmengard, aggiungendo bianco ad altro bianco

Fandom: Harry Potter.

Pairing: Albus/Gellert.

Rating: Pg.

Genere: Introspettivo, Romantico.

Warning: Post 4°libro, Slash.

Words: 1788 (fiumidiparole).

Summary: Ogni scalfittura nella calce era un giorno trascorso là dentro ed erano ormai troppe, così tante da riempire interamente le quattro pareti e quasi tutto il basso soffitto. Gellert aveva perfino smesso di contarle davvero, si limitava a segnarle per ricordare a sé stesso che quella era una nuova alba e che la stava salutando ancora sano di mente.

Note: Scritta per la seconda settimana della COW-T di fiumidiparole e maridichallenge, Missione 1: prigionia, e per la Ragenbogen Challenge di grindeldore_ita, su prompt: Ultravioletto – Rosa gelata. La mia tabella: QUI.

 

DISCLAIMER: Non mi appartengono… bla-bla-bla…. Non ci guadagno niente… bla-bla-bla

 

 

Una Visita Inaspettata e un Mantello dal Colore Improbabile

 

Se i mortali si guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza,

la vecchiaia neppure ci sarebbe.

La vita umana non è altro che un gioco della Follia.

Il cuore ha sempre ragione. ¹

 

La neve cadeva fitta su Nurmengard, aggiungendo bianco ad altro bianco. Nella cella disadorna, una feritoia orizzontale fungeva da finestra e Grindelwald osservò alcuni fiocchi candidi insinuarsi tra le sbarre coperte di ghiaccioli, fluttuando nell’aria gelida come piume sospinte dal vento per gocciolare sul muro coperto di segni. ²

Ogni scalfittura nella calce era un giorno trascorso là dentro ed erano ormai troppe, così tante da riempire interamente le quattro pareti e quasi tutto il basso soffitto. Gellert aveva perfino smesso di contarle davvero, si limitava a segnarle per ricordare a se stesso che quella era una nuova alba e che la stava salutando ancora sano di mente.

A volte immaginava che tutti quei graffi fossero giorni vissuti in un altro universo, dove lui non stava invecchiando in una cella gelida, ma viveva la propria vita alla luce del sole. Gli piaceva pensare che in quel luogo fosse una persona migliore.

Un lieve rumore di passi lo riscosse, troppo leggero per essere quello di un secondino, accompagnato da un morbido fruscio di vesti. Sentì una morsa chiudergli il petto, come se il suo subconscio avesse già compreso a chi apparteneva quell’incedere familiare, che pareva affiorare dai recessi della sua memoria. Dopotutto, forse alla fine era davvero impazzito e la mente gli giocava strani scherzi, evocando rumori troppo a lungo desiderati.

Sorrise amaro e non osò voltarsi nemmeno quando sentì la pesante porta laccata di bianco schiudersi e cigolare sui cardini mal oliati. Preferì continuare ad osservare affascinato la danza dei fiocchi di neve, almeno fino a quando un soffice e caldissimo mantello dalla tinta improbabile si posò sulle sue spalle.

Color lavanda. Davvero il suo vecchio amico aveva dei gusti bizzarri, in fatto di vestiario.

Ridacchiò sommessamente ed il suono s’inerpicò per la sua gola come un grattare ruvido, a causa del disuso. Si convinse infine a voltarsi, incontrando due occhi turchesi e luccicanti riparati da un paio di lenti a mezzaluna.

I capelli di Albus erano così bianchi da sembrare anch’essi coperti di neve; per un momento, Gellert immaginò di pettinarli con una spazzola e portare via i ghiaccioli, rispolverando il rosso ramato dei propri ricordi.

«Hai sempre avuto l’anima di un poeta» esordì Silente, con un sorriso lieve.

«E tu quella di un impiccione. Da quando è buon costume frugare nella mente altrui senza alcun permesso?» replicò seccato, ma nemmeno troppo, in realtà.

«Non l’ho fatto, vecchio mio. Ti assicuro che non mi permetterei mai» rispose l’amico e Grindelwald lo studiò con attenzione. Nonostante l’aria svagata, una lieve ruga all’angolo destro della sua bocca denunciava preoccupazione; dopo tutto quel tempo, se lui era ancora in grado di leggerlo con tanta facilità, probabilmente per Albus era lo stesso.

«Sono passati… vediamo un po’…» alzò il volto verso il soffitto, come a voler contare i segni che lo graffiavano «tredici anni – mese più, mese meno – dall’ultima volta che sei stato qui. Allora il Mago Oscuro che chiamate Lord Voldemort era appena stato sconfitto, cosa è accaduto adesso, per spingerti a venire a trovarmi?» lo interrogò con il tono leggero di chi discorre del tempo.

Entrambi diressero lo sguardo fuori dalla finestra, osservando il mondo esterno, troppo candido e selvaggio per essere rassicurante.

«È risorto» annunciò Silente con voce grave.

«Ah…» si limitò a sospirare Gellert. «Quindi perché sei qui, anzi che nel tuo castello a schierare le truppe?» aggiunse dopo un momento, indicandogli con un cenno il posto vuoto sulla branda al proprio fianco, tutto ciò che potesse offrirgli.

«Ho già schierato le truppe» lo informò il vecchio amico.

«Ma ancora non mi hai detto perché sei qui» gli fece notare l’altro.

«Forse volevo solo un luogo sicuro dove riposare» osservò Silente, poggiando le spalle contro la parete graffiata.

Grindelwald ridacchiò di nuovo in quel modo ruvido e mesto. «Sicuro lo è di certo, ma temo che non sia abbastanza confortevole da permetterti di riposarti, mio caro» gli fece notare.

«La compagnia potrebbe essere più rilassante dell’ambiente» Albus gli restituì un sorriso appena accennato.

Rimasero in silenzio a lungo, nonostante avessero molto di cui parlare.

Gellert odiava quelle rare visite ancor più della solitudine, perché ogni volta aveva l’impressione che il suo cuore si stesse scongelando, come un rosa in piena fioritura rimasta intrappolata nel ghiaccio. Il problema di avere compagnia dopo tanto tempo, era che a quel calore ingannevole ci si abituava, ma quando il gelo finalmente si scioglieva, Albus se ne andava di nuovo e allora i petali cadevano a terra tutti insieme e lo stelo rimaneva del tutto spoglio. La sua mancanza era lancinante e la solitudine era quasi preferibile, rassicurante nella sua monotonia. Dopo tanto tempo, Grindelwald aveva perfino smesso di preoccuparsi della pazzia; a che serviva? Sarebbe rimasto lì per sempre, finché la Morte non fosse sopraggiunta sorridendogli ferina, da leale nemica tanto temuta che infine vinceva.

Avrebbe voluto trovare la forza di dirgli di non tornare, ma era troppo vigliacco per farlo e troppo orgoglioso per chiedergli di presentarsi più spesso. Osservò quel volto invecchiato, che aveva tanto amato, desiderato e odiato senza soluzione di continuità in tutti gli anni della propria vita, fin da quando aveva diciassette anni, e soffocò nel suo profumo familiare, che lo circondava insieme alla stoffa calda del mantello. Cercò di cacciare l’amarezza sul fondo del proprio petto e godersi il poco tempo che era loro concesso, benché consapevole che più tardi i muri di quella cella gli sarebbero parsi ancora più claustrofobici e pallidi.

«Dunque, che genere di conforto può offrirti la compagnia di questo vecchio galeotto?» domandò per invitarlo a confidarsi.

«Il solo fatto di poter essere me stesso e non venir giudicato è un sollievo, Gellert» sospirò Silente, consapevole che lui conosceva la parte peggiore della sua anima e non la rifuggiva, ma – al contrario – forse l’amava più di tutto il resto.

D’un tratto Albus sembrò molto più vecchio, parve quasi che l’aura di potere che emanava costantemente fosse caduta a terra come un abito smesso, lasciandolo magro, ricurvo e pallido al suo fianco. Aveva quello sguardo, quello che lui conosceva tanto bene e che, quand’erano giovani e sciocchi, riempiva i suoi occhi blu tutte le volte che pensava alla madre e alla famiglia; “È troppo, Gellert” sembrava dire “non sono così forte”.

Grindelwald cercò la sua mano, intrecciando le proprie dita rovinate dal gelo e dalla trascuratezza con quelle sottili e curate dell’altro. Nonostante gli anni, le grinze e le macchie che avevano rovinato anche la sua pelle – com’era naturale, dopotutto – erano ancora forti e perfette come le ricordava. Per un attimo l’immagine di mani lisce e bianche si sovrappose ad esse; il memento di due ragazzi stesi sulla verde brughiera inglese.

«Cos’hai fatto, Albus?» gli chiese con voce sommessa.

Questi rincarò la presa, aggrappandosi a lui come se fosse il suo unico appiglio. «Tutto questo è colpa mia, è il frutto dei miei errori. Voldemort era solo un ragazzo, una volta, sai? Le cose sarebbero potute andare diversamente». Le sue labbra si strinsero in una linea pallida, mentre chiudeva le palpebre dietro le lenti a mezzaluna.

«Ma così non è andata. Puoi essere la coscienza solo di te stesso, Albus. Ogni uomo decide da sé il proprio Destino» gli fece presente, perché quanto a Maghi Oscuri da riportare sulla retta via lui bastava per una vita intera.

«Ora ricade tutto sulle spalle di un ragazzino, Gellert. Come posso caricarlo di tutto questo? Non ha nemmeno quindici anni» sussurrò affranto.

«Noi non eravamo molto più adulti quando pianificavamo di conquistare il mondo, meiner Rubin. E sai quanto me che ne eravamo già in grado. Dimmi, è dotato questo giovanotto?» ³

«È potente. Molto più di tutti i ragazzi del suo anno, anche se non è al nostro livello» ammise Silente «Audace come pochi, un vero leader, e nasconde una discreta vena manipolatrice sotto l’aspetto mite. È quello che a Hogwarts chiamiamo un “Serpeverde mancato”. Ma più di tutto questo è un ragazzo con un profondo senso della morale ed un grande spirito giusto».

«Allora istruiscilo, Albus. Guidalo» lo incitò.

«Non voglio immischiarmi nella sua vita più di quanto ho già fatto, gli ho già causato troppi problemi con le scelte che ho fatto per proteggerlo» obbiettò l’amico scuotendo il capo.

«Non è un ragazzo qualunque, Albus» il tono di Gellert ora si fece più duro «Non puoi permetterti di affezionarti a lui. C’è un profezia sul suo conto, no? E Voldemort l’ha già messa in atto». Gliene aveva parlato quasi tredici anni prima, quando il regno di terrore di quel mago corrotto era caduto, ma lui non aveva dimenticato.

Silente annuì, con il cuore appesantito dalla colpa.

«Tu sai qual è il potere che “egli avrà, a lui sconosciuto”» continuò duro e Albus sbuffò divertito, incontrando il suo sguardo.

«I Doni, Gellert? Dopo tutto questo tempo?» replicò, chiedendosi se facesse sul serio.

«Il ragazzo ne possiede già uno, no? Ed il più potente di tutti, quello che potrebbe assicurargli la vittoria, è ad un passo da lui. Tu stesso sostieni che ha un animo giusto e retto, degno discendente del terzo fratello» sostenne Grindelwald. «Certo, questo implica che dovrebbe quantomeno disarmarti…» aggiunse poi, soppesando la faccenda.

«Non sono certo di essere la persona adatta ad addestrarlo» obbiettò l’altro.

«Chi meglio di te?» replicò Gellert, liquidando quella sciocchezza come se stesse scacciando una mosca fastidiosa.

«Tu» rispose semplicemente Albus.

«Io, certo» rise lui, dopo un attimo di stupore. «Non sono io il professore, mio caro, e dubito che potrei essere un buono esempio» gli fece presente.

«Eppure è come te che cerco di pensare, nei momenti difficili. Mi domando “cosa farebbe Gellert?” e agisco di conseguenza, cercando di trovare la giusta misura» confessò l’amico.

Grindelwald scosse il capo, un sorriso lieve dipinto sulle labbra. «Curioso,» asserì «visto che è lo stesso che ho sempre fatto io. Le mie idee migliori sono sempre venute dopo essermi chiesto “cosa farebbe Albus?” In un certo senso non ho mai smesso di portarti con me».

Lui non rispose alcun che, limitandosi a posare un bacio sul dorso della sua mano, ancora intrecciata alla propria e Gellert lo fissò con serietà, certo che se uno dei due avesse aperto di nuovo bocca troppe cose dolorose sarebbero venute alla luce. Eppure era consapevole che loro erano il più calzante esempio di ciò che la gente comune definiva “anime gemelle”.

Grindelwald non aveva mai pensato a loro in modo tanto banale. Due mesi di follia gli avevano sconvolto la vita e da allora tutto era cambiato, lui stesso era cambiato. Erano come i due estremi di un equazione, il cui risultato – malgrado le varianti ed i possibili calcoli errati – non poteva che essere perfetto. Albus era l’incognita della sua esistenza, il solo capace di imprigionarlo per sempre nel bianco più alienante e scaldarlo con un mantello dal colore ridicolo.

«Non ho mai capito il tuo problema con le tinte sobrie» ponderò quasi tra sé, stringendosi meglio un lembo del soprabito addosso e gli occhi dell’amico scintillarono divertiti.

 

FINE.

 

Note finali:

¹. Citazione tratta da “Elogio alla Follia” di Erasmo da Rotterdam.

². In realtà: Nurmengard è descritta come un “edificio torreggiante” ed una “fortezza sinistra, color nero lucente e di difficile accesso”, costruita su una roccia nera, situata su di un’isola nel mezzo di un mare tempestoso. (Estratto da Wikipedia) Io, però, preferisco immaginarla così, come ho già accennato in “Bianco” e in “L’Uomo di Silente”; la trovo più originale.

³.Meiner Rubin, il vezzeggiativo con cui Gellert chiama Albus, significa “mio Rubino” in tedesco.

 

   
 
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