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Autore: Sam221b    22/02/2011    1 recensioni
"Are you gonna wake again? Are you gonna take it down? Oh babe, I don't wanna deal it Oh, make it alright Gimme some, my love Away, away, away" Slide Away -Michael Hutchence (ft Bono Vox)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Slide Away


Il piccolo pub dava direttamente sul pontile, oltre al quale si vedeva la sconfinata striscia grigia che separava il cielo dalla terra, nonostante quel giorno la distinzione tra mare, terra e volta era quasi inesistente, tanto che l’occhio si disperdeva in un’immensa distesa fredda del colore del cemento, separata solo dal muoversi frenetico delle onde che si rigettavano sulla spiaggia con più violenza del solito, in preda a quell’incessante pioggia che teneva soggiogata Helsinki da quasi quattro giorni ormai. Oltre alla ragazza il locale era vuoto. Nessuna iperbole. Non c’era proprio l’ombra di un cliente oltre a lei. Una ragazza dai tratti aggraziati, morbidi e sensuali con quella dolce bellezza sconcertante delle dive degli anni 50, accentuata dalla castana pettinatura, acconciata come quelle delle ragazze di Vargas, con la morbida chioma ondulata cascante sul lato destro del viso in fluide onde che alla vista mettevano un’insensata voglia di passarci la mano e accarezzare quella filigrana fondente. Gli occhi erano di un verde spiazzante, il naso era leggermente a patata, le orecchie piccole ma proporzionate col resto del viso, e le labbra ben disegnate erano tinte di un rosso pastello raffinato. Indossava un chiodo di pelle nera, diversa dalla classica giacca da motociclisti, o forse in sé la giacca non era differente da qualsiasi altro chiodo associato alle Harley Davidson, ma era il modo con il quale lei lo portava a renderlo differente, affascinante, sofisticato. Sotto ad esso si intravedeva una camicetta color pesca, e a fasciare le gambe una gonna nera. Gonna e camicetta erano collegate da una fusciacca di seta nera aderente in vita chiusa da un nastro. Le scarpe erano un paio di sandali di stoffa col tacco e il plateau alti, e i lacci che si inerpicavano sul polpaccio, anch’essi neri. Il particolare più toccante però di quella figura erano gli occhi. Quando quello sguardo si posò sull’uomo appena entrato dalla porta di ebano, la luce si rifranse nelle iridi come avrebbe fatto in due smeraldi perfetti, e quando si immersero negli occhi del sopraggiunto trovarono due gemelli di un fulgido verde ad accoglierli. Quelle due paia d’occhi erano quasi uguali, persino nel taglio affilato e magnetico. Ma l’uomo era magro, col viso affascinante scavato, gli zigomi piuttosto alti, e i castani riccioli da puttino che sfuggivano da un cappellino di lana. Era bardato in un cappotto color fumo che faceva risaltare il fisico forse un po’ troppo asciutto, in un paio di pantaloni grigi e ai piedi delle comode sneaker bianche logorate dall’uso assiduo. Se la ragazza si era preparata egregiamente per l’incontro, lo stesso non si poteva dire dell’altro che la raggiunse dopo essersi lanciato un’occhiata intorno tra i tavoli quadrati per controllare che ci fosse qualcun altro. No, non c’era. Evidentemente era stato invitato da quella giovane che lo fissava con sguardo indecifrabile dall’altro capo del pub. La raggiunse mentre lei si alzava a stringergli la mano cordialmente.
-Il Signor Ville Hermanni Valo?- domandò con una voce troppo vecchia, troppo vissuta per una ragazza di poco più di vent anni.
-La signorina Liisa Ikävalko- rispose stringendole la mano e sedendosi poi al tavolo osservandola. Dalla porta la luce del locale non gli aveva consentito di notare che il volto della ragazza era di un pallore innaturale, ma non quel pallore caratteristico di quelle ragazze rassomiglianti a bambole di porcellana, ma un biancore malsano, impressionante, mitigato senza troppa convinzione da qualche passata di fondotinta, ma ancora ben evidente.
-Liisa Rebekka Elämä Ikävalko per l‘esattezza. Ovviamente può chiamarmi Liisa senza troppe cerimonie.-
Lui la guardò perplesso per qualche istante -Strano, di solito non tendiamo ad eccedere noi finlandesi. Vedo che non ha ordinato niente, posso offrirle qualcosa?-
Lei continuò a fissarlo con quello sguardo impenetrabile che poteva voler esprimere di tutto e di più, e forse nulla, ma a quella richiesta un guizzo, quasi frutto di un’illusione, attraversò i due smeraldi. -Una cioccolata fondente con panna sarebbe perfetta, e se posso osare, le consiglio di prendere qualcosa di piuttosto forte-
Il signor Valo sorrise senza allegria -Non bevo “roba forte” da tempo ormai, ed è meglio che continui così, si fidi. Una birra media e una cioccolata fondente con panna- aggiunse poi quando sopraggiunse un giovane e svogliato cameriere -Ci vuole della cannella o del cacao sulla panna?- domandò quello masticando a bocca aperta una cicca.
-Del cacao per cortesia-
-Arrivano subito-
-La ringrazio-
-Grazie.-
Liisa aspettò che arrivasse dietro al bancone prima di staccargli gli occhi di dosso, e anche così pareva controllarlo senza guardarlo direttamente.
-Dunque- ruppe il ghiaccio dopo qualche istante l’uomo -Al telefono mi ha chiesto di incontrarla, sembrava qualcosa di piuttosto importante. Vuole entrare nel vivo della discussione “senza troppe cerimonie”?-
Lei spostò di nuovo lo sguardo sul cameriere -Aspetti qualche istante, la prego, non ho nessuna voglia di dovermi interrompere a metà di una discussione importante perché un cameriere impudente deve portarmi la cioccolata- ribatté seccamente.
Ville si azzittì. Aveva pronunciato quelle parole in un tono che non ammetteva repliche o polemiche, era forte, stentoreo, e con quella voce calda e bassa che aveva la ragazza l’effetto autoritario ero perfetto. Gli ricordava moltissimo la sua.
Passò qualche minuto, troppo tempo per un’ordinazione così semplice, prima che il ragazzo arrivasse con flemma, lasciasse le ordinazioni, ritirasse i soldi, e se ne andasse salutando con sgarbo. Come al solito, Ville aveva messo alla prova la sua proverbiale fortuna, ed era riuscito a trovare uno dei due finlandesi maleducati esistenti.
Liisa fissò il suo interlocutore mentre osservava la sua birra incerto sul da farsi, tentennando, fino a che non decise di buttarne giù un sorso, troppo in fretta da farlo ingozzare, mentre lei iniziava a sorseggiare tranquillamente la propria cioccolata bollente, dopo averci soffiato qualche istante. Bevve solo qualche sorso, poi la posò sul piattino di ceramica e congiunse le mani, aspettando che l’altro si accorgesse che era pronta a parlare. Se ne accorse subito e si mise in perfetta attenzione -Dunque?-
Dentro di sé, lo sforzo che dovette fare la ragazza per cominciare, soprattutto trovando il modo migliore per farlo, fu immane, quasi impossibile se non fosse stato che, per sua indole, non era portata alla resa, ma piuttosto alla morte sul campo di battaglia, luogo che conosceva sin troppo bene.
Fu dunque con un sospiro a stento trattenuto che cominciò, seguito da parole il più possibile fredde -Premetto col sottolineare che non sono venuta a chiederle soldi o riconoscimento, signor Valo, tutt’altro. Le chiedo semplicemente un aiuto, come farebbe una persona nella mia situazione con qualsiasi altro estraneo nella sua posizione- prese un piccolo sorso dalla cioccolata per farsi coraggio. -Semplicemente le chiedo un favore, molto grosso lo ammetto, ma tale rimane- lieve temporeggiamento. Si maledì. Di solito era molto più schietta, di solito era molto più facile, persino dinnanzi ad uno spiegamento di armigeri ricoperti di medaglie, era maledettamente più facile.
-Continui, non ho tutta la mattinata- la incalzò l’altro, leggermente piccato
Rapidamente si preparò psicologicamente per le frasi seguenti, e le espresse a voce senza rendersi veramente conto di quello che stava uscendo dalle sue labbra. Solo togliendosi la consapevolezza della proprie parole riuscì a parlare -Lei ventidue anni fa, nel 1997, ha avuto una relazione sessuale con Noora Ikävalko, non so se, e non penso che se ne ricordi. Ragazza per metà Svedese, slanciata, capelli ricci castani e occhi scuri. All’epoca faceva parte di una band emergente che non emerse per nulla, le Perhonen. Se ne ricorda?-
Si ricordava il nome della band, vagamente qualche canzone che qualcuno gli aveva presentato, e ancora più vagamente si ricordava i tratti di quella persona, con la quale poi alla fine, in effetti dovette ammettere, aveva avuto una notte intensa. Ma che si chiamasse Noora o Mirka, per lui era la stessa cosa.
A quel punto Liisa, notando la perplessità sul suo viso, prima che potesse rispondere prese la pochette di seta nera e ne estrasse una foto sbiadita dal tempo, raffigurante una giovane, perfettamente congruente alla descrizione data dalla ragazza, abbracciata ad un giovane uomo, nel quale si riconobbe, seduti su un divano dove erano stravaccati anche il bassista e il chitarrista della sua band, accompagnati da altrettante belle ragazze. Sembravano abbastanza allegri, nonché brilli.
Ci fu ancora qualche istante di dubbio prima che i ricordi di quella serata tornassero a pezzi nella sua mente, ricomponendosi solo in parte, ma abbastanza da riportargli alla memoria l’amante di una notte che fino ad allora aveva dimenticato senza secondi pensieri che non fossero apprezzamenti alle sue prestazioni sotto le coltri. Sbottò. Quella storia vecchia e sepolta per quale motivo era tornata ad infastidirlo? Espresse ad alta voce la domanda con tono scocciato -E allora? Cos’è successo?Mi ha lasciato in eredità qualcosa?- aggiunse con sorrisetto ironico ad increspargli il viso.
Lo sguardo della ragazza fu talmente gelido da bruciargli le intestina all’altezza dello stomaco. Comprese al volo che aveva passato di gran lunga il segno con quella battuta di pessimo gusto. -Spiegati però!- esclamò piccato per la figura da fesso.
-Signor Valo, lei ha fatto più danni di quanti volesse con quel rapporto, infatti io sono il frutto di quella notte a cui dava, fino ad ora, pochissimo peso-
Il signor Valo non poté fare a meno di rimanere gelato in un’espressione da ebete con la mascella spalancata, gli occhi sgranati, e il boccale a mezz’aria. Ogni centimetro del suo corpo esprimeva profondo sgomento. Non era possibile. Certe cose succedevano solo nei romanzetti rosa di seconda categoria, non nella vita reale. Specialmente nella sua vita reale.
Appoggiò la bevanda sul tavolo, guardando la superficie di legno con occhi vuoti, vitrei. Al nulla nella sua mente sopraggiunsero panico e una miriade di teorie diverse. Che fosse un nuovo trucco di qualche fan malata? Ne aveva dovute passare molte in passato per questo motivo, ma ormai era il 5 marzo del 2019 santo cielo, lui aveva 43 anni, la band si era sciolta ufficialmente poco meno di otto anni prima, era sposato da sette anni, e da sette anni scriveva libri horror a tempo perso, possibile che ci fosse ancora qualcuno talmente fissato da poter usare certi mezzucci? Ma come potevano poi aver avuto la foto? E come potevano aver fatto a sapere l’anno esatto? Forse c’entrava questa.. Come si chiamava? Noora? Ecco, c’entrava forse lei? No. Scartò questa ipotesi perché non riusciva a concepire una tale follia. E allora cos’era? Uno scherzo? Plausibile nonostante tutto. Magari quell’idiota di Migé aveva incontrato la loro vecchia amica e insieme avevano deciso di divertirsi a sue spese. Ma pensandoci uno scherzo così esponenziale era assurdo, totalmente stupido, nonché di una bassezza completamente estranea al suo amico.
Alzò lo sguardo a guardare la sua interlocutrice. Incontrò quello sguardo. Gli ricordava le foglie degli immensi alberi del parco dove andava a giocare da piccolo dopo scuola. Di un verde abbacinante, con un’ombra scura sul retro, nel profondo, dietro a quelle ciglia perfette. Com’erano simili ai suoi, persino nella forma, non lo aveva pensato subito appena si era seduto al tavolo? E quella tinta di castano… più scura di quella della madre, molto simile alla sua. E quella voce.. Persino nella voce aveva notato una forte somiglianza. E che non fosse un trucco? Che non fosse uno scherzo di cattivo gusto?
No. Non poteva avere una figlia. Non voleva avere una figlia. Non voleva quella responsabilità, gli dava fastidio… o a dargli fastidio era il fatto che, in caso fosse stato vero, non aveva avuto modo di potersela prendere quella responsabilità? A quel pensiero una stilettata d’ira gli bruciò lo stomaco. Perché non era stato interpellato? Perché nessuno aveva avuto la cortesia di dirglielo? Perché non aveva potuto decidere di crescere il frutto della sua carne?
-Non arrabbiarti con mia madre, ha fatto quel che pensava fosse meglio per tutti- intuì lei.
Quella frase spezzò la catena dei suoi pensieri, che si erano totalmente capovolti rispetto a com’erano iniziati da essere paradossali.
Quella frase lo innervosì di più:-Ha fatto “quel che pensava fosse meglio per tutti”? Non credi che quel che è meglio per me lo debba decidere io?- sbottò.
Una fiammella d’ira si accese in quelle iridi smeraldine, permeando anche l’espressione del viso, che si trasformò in pochi istanti. -Quel che fatto è fatto, e non è tuo compito giudicare mia madre. Quanto pensi sarebbe stato salutare per lei e per me avere un padre più assente che presente?-
-Ti avrei portata in tour. E comunque fino a prova contraria otto anni fa la band si è sciolta-
-E io avevo già quattordici anni e nessuna voglia di sapere chi era l’uomo che per quattordici anni aveva ignorato la mia esistenza-
-Non per volontà sua. Sempre che tutta questa faccenda sia vera e non sia qualche scherzo orribile o chissà cos’altro-
La ragazza strinse tra le mani la tazzina tanto che le si sbiancarono le nocche, fremendo di malcelata rabbia. Trapassò Ville come fosse il più deprecabile degli insetti con uno sguardo di fuoco. Quegli occhi avevano un’espressività sconvolgente.
Prese un profondo respiro prima di parlare -Se non fosse che lei mi serve me ne sarei già andata, denunciandola per insulti ad un ufficiale dell’esercito- rispose con gelida calma, forse più terribile dell’ira di prima. Ma più spaventosa di queste due era la repentinità con cui era passata dall’una all’altra emozione, con un assurdo autocontrollo degno di un soldato. Militare.. Aveva detto denuncia ad un ufficiale dell’esercito?
Lo stupore si riaccese negli occhi dell’uomo -Esercito? Fai parte dell’esercito?-
Liisa alzò il mento con orgoglio -Contrammiraglio Ikävalko della Marina Militare-
Lo sguardo di stupore dell’uomo mutò in scetticismo -Perdonami, non puoi essere contrammiraglio a ventidue anni- ribatté bevendo un sorso di birra. La ragazza aveva fatto un passo falso, ora doveva solo estrapolare la verità da quel mucchio di balle. Ma di nuovo furono quelle cave di smeraldo a gelargli le ossa, talmente gelida da produrgli un brivido freddo che si inerpicò sulla sua colonna vertebrale. Iniziò a dubitare dei suoi dubbi.
-Non sono venuta a convincerla della veridicità della mia posizione, sono venuta a chiederle un aiuto- sostenne lo sguardo scrutatore che le riservò dopo quella affermazione. In effetti quella ragazza aveva un che di marziale, ma se effettivamente era chi diceva di essere, allora non voleva sapere come si era potuta guadagnare a soli ventidue anni il grado di Contrammiraglio, specialmente essendo donna.
-È mezz’ora che mi dici che devi chiedermi aiuto, ma l’aiuto non me l’hai ancora chiesto- automaticamente, senza neanche rendersene conto, era passato ad un tono più confidenziale -Se me lo dici vedo cosa posso fare per te-
-Ho il Linfoma di Hodgkin al III stadio-

 

Così. Semplice, chiaro, diretto.
Un linfoma. Una vita di stenti volta ad una morte preannunciata. Ecco come annunciarlo. Con tutta la tranquillità del mondo. Con un pacato distacco. Buttarla lì. Come una biglia lasciata rotolare sul cemento fino a che non si ferma, fino a che non incontra la terra e vi ci affonda.
Così. Una ragazza. Una figlia della quale non si aveva mai saputo l’esistenza e che mai si conoscerà. Ecco come annunciarlo. Ecco come spezzare l’ultimo filo di pazienza di un neopadre in ritardo.
Chiese, quasi supplicò, in un soffio trattenuto:-Stai scherzando?-
-No-
-Non può essere-
-E invece è così-
-Perché ora?-
-Perché prima non era necessario interpellarla-
-Non era necessario interpellare tuo padre?-
Per la prima volta durante tutta la discussione Liisa abbassò lo sguardo, scostandolo dal suo interlocutore, fissando con occhi di vetro la tazzina di ceramica. Sfiorando con mani di gesso il tavolo di legno. Schiudendo le labbra di rosa in un sospiro di nebbia.
-Cosa puoi rivendicare da me?- tentò di domandare seccamente. Ma questa volta non ci riuscì. La voce tremava. Era paura? No. Era sconforto. Paura mai.
Ville attese qualche istante. La guardò mentre lei posava di nuovo gli occhi su di lui. Avevano un che di malinconico nonostante il perseverare di quel gelo che, intuì, non abbandonava mai quei due pozzi.
-Cosa posso fare per te?- riuscì infine a domandare. Doveva tentare di non pensare al fatto che quella dopotutto fosse sua figlia. Che fosse in debito con lei per averla abbandonata, per averla ignorata, per non averla amata. Distacco. Alienamento. Divario.
-Ho bisogno di un trapianto di midollo. Purtroppo nessuno della mia famiglia o dei donatori è compatibile, potrebbe darsi che lei lo sia, o che lo sia qualche altro parente..- s’interruppe. Riprese spronandosi a parlare. Non poteva farsi prendere da sensi di colpa o incertezze. I sentimentalismi erano semplicemente fuori luogo -So che è chiedere tanto, ma ne ho davvero bisogno- non c’era supplica in quella voce. Non implorava il suo aiuto, non spezzava la sua dignità nemmeno di fronte ad un rischio di morte. Conservava quell’orgoglio, quella forza, quell’autorità, e se lui le avesse detto di no, lei avrebbe finito la cioccolata, si sarebbe alzata, gli avrebbe stretto la mano ringraziandolo per la sua attenzione, e sarebbe uscita da quella porta come se niente fosse, come se non avesse avuto la falce della morte sospesa sulla testa. Non avrebbe implorato, per nessuno.
-Questo ti salverebbe?- domandò lui dopo aver deglutito a vuoto. Tentò di trovare quella forza in sé stesso, ma in quel momento sembrava venirgli meno. Che fosse tutta apparenza anche quella della ragazza?
Lei si aprì in un sorrisetto sarcastico, tipico dello humour nero -Alcuni dicono di sì, ma onestamente ne dubito. Se tutto andrà bene mi saranno concessi ancora tre anni di vita- in un colpo il suo sguardo si fece di nuovo infrangibile, deciso, e lo fissò negli occhi, dritto nelle pupille, come nessuno aveva mai fatto prima, tanto che gli parve di stabilire un contatto più forte di quello fisico. -Tre anni mi bastano signor Valo. Chiedo solo tre anni, per portare avanti la ricerca sullo Xeroderma Pigmentoso che stiamo conseguendo nei laboratori militari. Potrebbe innalzare le aspettative di vita e curare migliaia di bambini malati ad oggi dati per morti viventi con aspettative di vita bassissime. Io servo in laboratorio, e voglio ultimare questa scoperta con i miei colleghi, voglio fare almeno una cosa buona nella mia vita, una cosa di cui vada veramente fiera..-pausa. Sospiro -Una per cui valga la pena essere nati per errore in una notte di baldoria- si fermò. Lo guardò. Tacque e si accomodò sulla sedia senza staccare i suoi occhi da quelli dell’uomo. Non doveva aggiungere altro, aveva detto tutto, e se lui avrebbe detto di no, se ne sarebbe andata, tutto lì. Non aveva tempo da perdere. Se anche questa sarebbe andata male non avrebbe avuto un minuto per fermarsi. Avrebbe dovuto correre in laboratorio e fare il più possibile nel tempo che le restava, non c’era altro da fare, non poteva piangersi addosso.
La guardò. Sembrava così forte, eppure era in realtà così fragile fisicamente. Sarebbe stato sufficiente un monosillabo per toglierle quasi tutte le speranze di vita. E quel monosillabo doveva essere lui a pronunciarlo. In fin dei conti perché privarsi di qualcosa per una persona che mai aveva visto prima? Se uno sconosciuto fosse venuto a casa sua e gli avesse chiesto il suo midollo di certo non avrebbe impiegato più di due secondi a spedirlo fuori, e lei in fin dei conti non era niente di più di uno sconosciuto alla porta.
-Ti darò anche la mano con cui scrivo se sarà necessario- disse.
In fin dei conti era suo padre.
E l’aveva abbandonata. Non importa per colpa di chi, ma così era. Aveva un debito con lei. L’aveva privata di un affetto di cui lui stesso aveva goduto.
Le aveva tolto l’amore.

Poteva darle la vita.

E per tre anni avrebbe avuto una figlia, fosse stato anche un tempo infinitesimale, sarebbe stata sua figlia, e per questo non avrebbe dovuto giustificarsi con nessuno.



I just want to slide away and come alive again
I will see that love again, and find a life again


 

  

  
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