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Autore: Egle    09/01/2006    6 recensioni
Aspettiamo di morire…aspettiamo di espiare le nostre colpe nell’unico modo che ci sembra possibile…perché noi siamo colpevoli. Noi siamo colpevoli perché siamo ancora vivi. Se tu fossi stato ucciso da Peter sarebbe tutto più facile. Avresti pagato il tuo debito con la vita e non dovresti convivere ogni giorno con le loro grida nelle orecchie...
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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When A Dead Man Walks

WHEN A DEAD MAN WALKS

 

Mi avvicino alla finestra, scostando di poco le tende e lasciando penetrare una lama di luce rossastra. Il sole sta tramontando sopra ai tetti di Londra, bucando con il suo ardore il consueto grigiore del cielo britannico. Ritorno al mobiletto e verso del whisky in due bicchieri.

Remus accetta il bicchiere che gli offro e se lo porta alle labbra con un gesto fluido. Il fuoco crepita nel caminetto, gettando ombre sinistre nel salotto. Il ticchettio della grande pendola è l’unico suono che riempie il silenzio.

“come fai a procurarti questa roba?” mi chiede,muovendo piano il bicchiere in modo circolare.

“contrabbando. Se Molly scoprisse che faccio entrare dell’alcol in casa dove ci sono anche i ragazzi mi ucciderebbe” rispondo con noncuranza, sedendomi al suo fianco sul divano.

Entrambi abbiamo lo sguardo puntato sui ceppi avvolti dalle fiamme nel camino.

“Stanno crescendo in fretta” mi dice Remus dopo un po’.

Annuisco scolandomi il resto del liquido contenuto nel mio bicchiere. “Sono dei ragazzi in gamba” mormoro, senza guardarlo in faccia.

“mi dispiace che non possano avere un’adolescenza come tutti gli altri. Non dovrebbero assistere a certe cose…dovrebbero pensare solo a divertirsi”

Remus si passa una mano tra i capelli striati di grigio, scostandoli dalla fronte. “a volte penso che Molly abbia ragione. Dovremmo tenerli il più lontano possibile da tutto questo…”

“Noi non lo avremmo voluto” rispondo in fretta. “ci saremmo comportati esattamente come loro. Saremo andati a cercare la verità fino a sbatterci contro la faccia…un po’ come abbiamo fatto con te”

Remus sorride di quel suo sorriso dolce e sempre un po’ triste, lanciandomi un’occhiata.

“Perchè non vai a coricarti per un po’? Ti vengo a chiamare io per la cena” butta lì casualmente, ma se c’è una cosa che ho imparato nella vita è che Remus J. Lupin non dà mai fiato alla bocca se non per dire cose sensate.

“è ancora presto per andare a dormire. D’accordo che ormai stiamo per raggiungere i quarant’anni, ma non siamo ancora dei pensionati” rispondo, sfoderando un sorriso. Ma non posso incantare Remus. Non sono mai riuscito a farlo. Semplicemente lui non si è mai fatto trarre in inganno dal mio sorriso, dalla mia espressione beffarda, dalla mia voce strafottente…Remus ha sempre guardato oltre le apparenze, come se il mio comportamento non fosse che uno specchio deformato del mio vero io. Come se riuscisse a scorgere nitidamente i contorni del mio vero essere attraverso la nebbia.

“non serve che tu finga con me” dice piano, voltando la testa per guardarmi negli occhi.

Mi aspettavo che dicesse qualcosa del genere. Il vecchio, prevedibile Moony…appoggio i gomiti sulle ginocchia, incurvando le spalle in avanti. La legna crepita forte nel caminetto. La voce di Molly ci giunge ovattata dalla cucina. Devono essere tornati gli altri membri dell’Ordine.

“e chi ti dice che io finga?” ribatte il vecchio, prevedibile Padfoot.

Remus sorride e io lo imito. Abbiamo giocato a questo gioco per tanto tempo…per anni interi.

Scosto lo sguardo, sentendo i suoi occhi ambrati ancora fissi sulla mia faccia. Bevo un altro sorso di whisky, che scivola giù nella mia gola, facendomela bruciare. Le mie dita tamburellano debolmente contro la superficie liscia del bicchiere.

“so che di notte non riesci a dormire. Sento che ti aggiri per la casa” dice, voltandosi a fissare un punto indistinto sul tappeto.

“se mi senti vuol dire che anche tu sei sveglio. Nemmeno tu riesci a dormire” rispondo, abbandonandomi contro lo schienale e allungando un braccio su di esso.

Il silenzio cala tra di noi con la sua ingombrante presenza, amplificando il rumore dei nostri respiri.

La voce di Molly si leva ancora da un punto imprecisato della casa. Le fa eco quella squillante della giovane Ginny.

“perché non provi a bere una pozione per il sonno…te la preparerei io stesso, ma sai che non sono mai stato bravo a distillare pozioni”

“sì, lo so” mormoro, lasciando sott’inteso che so molto più di questo.

Conosco Remus come lui conosce me stesso. È preoccupato per me, anche se non vuol farmelo pesare. Ogni giorno avverto il suo sguardo seguire i miei movimenti, studiare l’espressione del mio volto, nel tentativo di cogliere i miei pensieri, le mie pene.  Fingo di ignorarlo, come lui finge di ignorare quello che legge dentro di me. Almeno fino ad ora.

“non puoi continuare a punirti. Loro non lo vorrebbero” dice, continuando a non guardarmi direttamente.

“chi ti dice che mi sto punendo?”

Remus ride ma non c’è allegria nella sua risata. Solo molta nostalgia, venata dalla tristezza.

“sei impossibile, Padfoot! Credevo che fossimo d’accordo di non dover mai essere sulla difensiva l’uno con l’altro” ribatte, voltandosi fino a incontrare i miei occhi con i suoi.

Mi stringo nelle spalle, buttando lievemente il labbro inferiore all’infuori.

“ma io non sono sulla difensiva” mi lascio sfuggire dalla bocca, prima di potermi trattenere. Remus sorride, appoggiandosi con la schiena al divano. Le sue mani tengono il bicchiere sul suo grembo.

Chino lo sguardo improvvisamente a disagio.

Remus aspetta che il silenzio s’insinui tra di noi, scardinando le mie difese, filtrando tra gli echi delle nostre parole, gravando sui nostri pensieri. E’ tutto più complicato quando c’è silenzio.

Mi guardo le mani screpolate. Una volta, una ragazza mi ha detto che ho delle belle mani. Curate, ma molto mascoline. Tutt’a un tratto mi ritrovo a odiarle. Le stringo a pugno, così forte che i tendini balzano in evidenza sotto la pelle tirata.

“Se non dormo non posso sognare” sussurro con un filo di voce. Gli occhi sempre puntati sulle mie nocche. “E se non posso sognare, non posso sentirli. Ma a volte…” La voce tremula nella mia gola per un istante. “a volte li sento anche di giorno, quando sono sveglio...nella mia testa”.

Taccio, rilassando piano le mani. Sui palmi sono disegnate le mezzelune delle mie unghie.

chi senti, Sirius?”

“lo sai chi” ringhio con rabbia, alzandomi in piedi e passandomi una mano tra i capelli. Abbasso gli occhi e vedo il mio profilo delineato nelle iridi chiare di Remus. Gli volto le spalle, appoggiandomi al caminetto con le mani.

Odio queste situazioni…quando lui mi capisce meglio di quanto faccia io. Quando riesco a scorgermi nello specchio dei suoi occhi. I suoi occhi non mentono mai. I suoi occhi mi costringono a leggere la verità. La verità che spesso preferirei ignorare.

Il silenzio prende nuovamente il posto delle parole, ispessendosi tra di noi. Un leggero fruscio mi avverte che Remus si è alzato in piedi.

“Non sono loro. Quello che senti è solo te stesso” mi dice con voce pacata.

Odio anche questo. Odio quando io spaccherei il mondo, la faccia a qualcuno, un tavolo…tutto ciò che mi capita a tiro, basta spaccare qualcosa e lui rimane lì impassibile, con quel suo sorriso disteso sulle labbra, i lineamenti del viso sereni, resi più saggi, ma non più aspri, dal precoce reticolo di rughe intorno agli occhi e ai lati della bocca.

“Sirius, guardami”

La sua voce risuona decisa nella stanza, ma io non mi muovo.

“Sirius”.

Mi prende per una spalla e mi fa girare verso di lui. Non mi oppongo, senza, però, riuscire a guardarlo negli occhi. Il mio sguardo è fisso sul pavimento.

“Siri...”

“le mie mani…” mormoro “a volte...quando mi sveglio devo correre in bagno per lavarle. Ma per quanto strofini è sempre lì…”

“che cosa?” bisbiglia, obbligandomi a guardarlo in faccia.

Una morsa mi si serra intorno alla gola e all’imboccatura dello stomaco.

il sangue” dico in un soffio “quando dormo…quando sono sveglio…il sangue è sempre lì”

Restiamo per una manciata di secondi a fissarci negli occhi, con le mani di Remus ancora appoggiate sulle mie spalle, finché lui non prende le mie mani tra le sue, voltandole con il palmo verso l’alto.

hmm” dice, studiandole attentamente alla luce del fuoco “io non lo vedo…e se io non lo vedo vuol dire che non c’è”.

Mi scosto con un gesto brusco, allontanandomi di qualche passo.

“molto divertente” mugugno.

“Vuoi che ti dica che è colpa tua? Vuoi che ti dica che Lily e James darebbero la colpa a te per quello che è successo? Vuoi che ti dica che dovresti consegnarti ai Dissennatori perché hai fatto tutto quello che potevi fare e che a Harry oramai sei inutile?”

Mi giro verso di lui con il respiro corto. Il viso di Remus è rilassato. Ha le braccia incrociate sul petto. Credo che se mi avesse urlato quelle parole invece che dirle con il suo tono pacato e rassicurante , gli avrei tirato un pugno sul naso basta non sentirlo più parlare. Ma voglio sentire che cos’ha ancora da dire, perché…perché mi fa bene parlare con lui. Perché sentire la sua verità…no, non la sua , ma la verità dalla sua bocca mi risolleva lo spirito.

Remus è sempre stato la voce della mia coscienza. La voce che nella prigione di Azkaban mi sussurrava che ero innocente, quando volevo disperatamente aggrapparmi alla morte e lasciarmi andare alla deriva. La voce che mi spingeva ad rialzarmi, a lottare, a credere di aver ancora bisogno della vita e della libertà.

L’equilibrato, il forte e razionale Remus.

“in caso tu non te ne sia accorto, quel ragazzo ti adora. Vuoi che quando scenda ti trovi derelitto come sempre? Datti una ripulita e togliti dalla faccia quell’espressione da aspirante suicida per favore”

Lo fisso con la bocca spalancata, sbattendo stupidamente le palpebre, finchè le sue parole non  gelano il sangue nelle mie vene e mozzano il mio respiro.

“credi che il sangue di Lily e James sia solo sulle tue mani?”

Tende le braccia di  fronte a sé, con i palmi delle mani rivolti verso l’alto.

“Credi che qui sopra non ci sia? Credi che sulle mani di Silente non ci sia? Credi che sulle mani di Peter non ci sia? Credi che sulle mani di Moody non ci sia? Di Piton…e di tutti gli altri…”

Remus si blocca per un attimo, abbassando con lentezza le mani.

“credi di essere l’unico a sentirti in colpa per la loro morte?” sussurra e un fremito gli attraversa il corpo magro. “credi di essere l’unico a svegliarsi nel cuore della notte con un grido strozzato imprigionato nella gola e la fronte imperlata di sudore? Credi di essere l’unico ad aspettare un perdono che forse non arriverà mai?”

Remus s’interrompe e io mi accorgo con orrore che i suoi occhi sono velati di lacrime e che il suo labbro inferiore freme. Stringe i pugni lungo i fianchi, chiudendo gli occhi.

“credi di essere l’unico che ci prova…a sopravvivere? Credi che gli altri vivano solo perché possono uscire di qui, inseguendo la chimera di rendersi utili…e di fare ammenda?”

“Io…” bofonchio, distogliendo lo sguardo.

Mi lascio cadere sul divano e Remus si porta appena davanti a me. Sollevo lo sguardo. I suoi occhi ambrati sono fissi nei miei.

“Ma credi che loro vorrebbero questo? Vorrebbero vederci consumati dai nostri fantasmi, divorati dal nostro senso di colpa?”

“no” mormoro mentre un singhiozzo mi restringe la gola.

“credi che loro vorrebbero che noi stessimo facendo quello che facciamo?” aggiunge con un filo di voce.

“che cosa facciamo?”

“Aspettiamo di morire…aspettiamo di espiare le nostre colpe nell’unico modo che ci sembra possibile…perché noi siamo colpevoli. Noi siamo colpevoli perché siamo ancora vivi. Se tu fossi stato ucciso da Peter sarebbe tutto più facile. Avresti pagato il tuo debito con la vita e non dovresti convivere ogni giorno con le loro grida nelle orecchie. È questo che pensi, non è vero?”

Abbasso lo sguardo, mordendomi l’interno del labbro inferiore.

Remus si siede al mio fianco. Il fuoco si è affievolito e comincia a far freddo qui dentro, ma nessuno di noi due si preoccupa di mettere altra legna nel caminetto.

“l’avevi immaginato così il nostro futuro, Moony?” dico, fissando il vuoto con la mente proiettata indietro negli anni. “Ricordi quando progettavamo il nostro futuro? Ricordi quando dicevo che volevo battere il mio record: nove ragazze in un anno? Com’è che siamo finiti…in questo modo? Che cosa ci ha fatto questa guerra? Dove sono finiti quei ragazzi che sgattaiolavano fuori da Hogwarts in piena notte…e che correvano liberi nei prati lì intorno, senza una sola preoccupazione nella vita?” mormoro con voce amara.

“Non lo so” sospira Remus, passandosi le mani sulla faccia stanca. “forse sono ancora là…in qualche modo Moony, Prongs, Warmtail e Padfoot sono ancora là…forse in qualche modo quegli anni si sono cristallizzati in un mondo parallelo e noi siamo ancora là, liberi e felici come un tempo”.

Sorrido tristemente, accasciandomi contro lo schienale del divano.

“è bello pensarla così. Fa bene al cuore” dico, portandomi una mano sul petto. Sento il mio cuore che batte regolarmente sotto la tunica.

Remus mi rivolge un sorriso malinconico, alzandosi in piedi.

“sarà meglio che vada ora. La luna sorge tra poco e devo bere dell’altra pozione”

Balzo in piedi, trattenendolo per un braccio. Remus mi guarda sospettoso, ma non si svincola dalla mia stretta.

“Perché non li portiamo qui?” dico.

“chi?”

Prongs e tutti gli altri…perché non facciamo un piccolo salto nel tempo?”

Remus mi guarda come se fossi improvvisamente diventato pazzo. E forse lo sono. Sono sempre stato un po’ pazzo…

“che intendi dire?” scandisce piano, studiando la mia espressione.

“Facciamo un’ultima cazzata…per ricordare i vecchi tempi”

Remus toglie la mia mano dal suo avambraccio con gentilezza, sospirando sonoramente.

“Sai che non è possibile. È pericoloso: tu potresti essere catturato e io potrei sbranare qualcuno”

“andiamo via” dico con foga “solo per questa notte. Non se ne accorgerà nessuno. Prendiamo una passaporta e torniamo alla Foresta Proibita. Facciamolo, Moony…solo un’ultima volta. James e Lily lo vorrebbero…facciamolo per ricordarci di loro…”

Le mie parole si perdono nel silenzio, mentre il mio respiro sibila bruscamente tra i denti. “e facciamolo per noi…per ricordare com’eravamo e per come potremmo ancora essere…”

Remus si porta una mano all’altezza dello stomaco, non riuscendo a trattenere una smorfia di dolore.  Le sue dita artigliano la stoffa consumata della sua tunica.

“fai presto” mormora con un filo di voce, sostenendosi allo schienale del divano con una mano “non manca molto…”

Senza nemmeno rispondere, corro fuori dalla sala e raggiungo lo studio del pianterreno. Apro una credenza e afferro la prima delle passaporte di scorta che trovo, ficcandomela nella tasca. Nell’ingresso incrocio Molly, che tenta di dirmi qualcosa, ma la supero urlando che io e Remus dobbiamo parlare e non vogliamo essere disturbati per nessun motivo. Ritorno nel salotto, sbattendo la porta alle mie spalle e precipitandomi al fianco di Remus, a bocconi sul tappeto di fronte al caminetto.

Una sottile pellicola di sudore gli ricopre il viso e tutto il suo corpo trema incontrollabilmente. Gli cingo la vita con un braccio per sostenerlo e gli porgo la lattina passaporta. La tocca con la punta dell’indice ed entrambi veniamo strappati da casa mia.

Ci materializziamo sulle rive del lago davanti a Hogwarts. La Luna piena è alta nel cielo limpido. Fa molto freddo.

Remus crolla a terra, emettendo un verso che non è umano, ma nemmeno animale. I suoi arti crescono e il suo corpo si ricopre di un folto pelo color nocciola screziato di grigio. Il mento si allunga e i suoi occhi vengono attraversati da un guizzo. Mi trasformo in cane, osservando il lupo stracciare i vestiti di Remus e scrollarsi alla luce della Luna.

I suoi occhi ambrati si posano su di me. Scopre le zanne in un basso ringhio, acquattando di poco il ventre in una posa difensiva. Le orecchie sono tirate all’indietro.

Mi avvicino cautamente e lo lascio libero di studiarmi. Lentamente il ringhio svanisce. Mi ha riconosciuto…ha riconosciuto il suo vecchio compagno di scorrerie.

E cominciamo la nostra folle corsa…

Si tuffa nella Foresta e io lo inseguo. Saltiamo tronchi caduti, arrampicandoci sulle asperità del terreno. Tutto è immerso nel conosciuto odore di muschio e terra bagnata. Vedo la sagoma del lupo precedermi di qualche passo…so dove sta andando. Abbandoniamo la Foresta Proibita e saliamo verso la collina senza rallentare la nostra corsa. I polmoni e i muscoli delle gambe e delle braccia cominciano a dolermi per lo sforzo ma non me ne curo. L’erba fresca mi accarezza il pelo e il vento mi tira indietro il pelo dagli occhi.

Non c’è un pensiero nella mia mente, non una preoccupazione, mentre corriamo nei prati, come se lo fossimo davvero…liberi. E forse in qualche modo lo siamo. Perché la libertà non è data dall’essere fuori da Azkaban, fuori da Grimmauld Place, numero 12…è data da questo. Dall’odore del vento, dall’odore del cielo stellato, dalla freschezza dell’erba sotto le zampe, dall’illusione di essere immortali…di essere soli nell’universo. Soli…io e Moony. Gli ultimi rimasti.

Continuo a correre, finché non raggiungiamo la parte più alta della collina, formata da un picco roccioso a strapiombo sul lago. La Luna piena si rispecchia sulla superficie dell’acqua e nelle iridi ambrate di Remus, circondata dal suo reame di stelle. Moony getta la testa all’indietro e un acuto ululato prorompe dalla sua gola. Lo imito, urlando con la mia voce di grosso cane. Urlando al cielo, alla Luna e a tutto quello che c’è oltre. I nostri ululati si innalzano melodiosi nel manto notturno, squarciando l’aria, ingannando il tempo e lo spazio fino a raggiungere quel mondo in cui siamo ancora tutti insieme liberi e felici. Fino a raggiungere James e Lily, che ci aspettano. E fino a raggiungere anche Peter, il vecchio Peter a cui volevamo bene. Il Peter che arrossiva quando parlava con noi. Il Peter che non ci ha mai traditi. Il Peter che forse non siamo mai riusciti a comprendere.

Il mio ululato si perde nel vento, mentre quello melodioso di Remus riecheggia ancora nella notte.

Gli do un colpo con il muso e lui abbassa la testa per guardarmi.

Scendo dalla collina con Moony al mio fianco. Ogni tanto cozziamo l’uno contro l’altro in un gioco che non facevamo da tempo. Cadiamo nel prato tra un groviglio di zampe. Il lupo mi atterra, colpendomi con il naso. Mi alzo sulle zampe posteriori e cominciamo a lottare, senza farci male…come due bestie. Come quei pazzi incoscienti che eravamo, senza badare a dove stiamo andando, ma ritrovando gli spettri di noi che aleggiano su questi prati, in questi odori.

E alla fine giacciamo immobili nell’erba, l’uno accanto all’altro con il respiro corto e il corpo dolorante.

La luna cala sull’orizzonte, cancellata dai primi raggi di sole. Moony è coricato su un fianco. La linea del suo fianco si muove seguendo il ritmo della respirazione. I suoi occhi ambrati sono fissi nei miei. Il pelo scompare dal suo corpo, mentre il sole fa risplendere i suoi occhi capelli, incendiandogli gli occhi. Quel fuoco primitivo e irrazionale che appartiene al lupo svanisce dalle sue iridi, sostituito dal calore e dalla pacatezza di Remus.

Riprendo le mie sembianze umane, avvertendo il freddo pungente del mattino sulla mia pelle. Rimaniamo per una manciata di secondi a guardarci senza dire nulla. Poi Remus mi sorride, mettendosi a sedere. I suoi capelli sono imperlati di rugiada e il suo corpo magro e pallido trema per il freddo. Mi tolgo la tunica rimanendo solo con il maglione e i pantaloni e gliela porgo. Lui la infila velocemente, stringendosi nelle braccia.

“ma perché mi faccio sempre convincere?” brontola con voce rauca. Non bado al suo tono fintamente contrariato. Ci alziamo in piedi a fatica. Remus barcolla, rischiando di cadere, ma io lo sostengo per le spalle. Lui si appoggia a me, sospirando. Il suo viso è scavato e pallido, con profonde occhiaie. Estraggo la passaporta dalla tasca e poco dopo entrambi ci ritroviamo a Grimmauld Place, numero 12.

Remus si accascerebbe sul pavimento, se io non lo sorreggessi per la vita. Lui mi circonda il collo con un braccio.

“Ma cosa mi è saltato in mente di dar retta a uno sconsiderato come te!” mugugna. Ma so che questa fuga notturna ha fatto bene a lui almeno quanto ne ha fatto a me. Usciamo dalla sala, silenziosamente, facendo per sgattaiolare di sopra quando Molly ci intercetta. Mani sui fianchi ed espressione corrucciata.

“io credevo di avere sette figli, ma devo essermi sbagliata dato che ci sono altri due bambini in questa casa” sbraita con il suo miglior tono da mammina. “dove siete stati? Ero preoccupata! Uscire così senza dir niente a nessuno! E guardate come siete conciati!” continua saltellandoci intorno e togliendoci delle foglie e dei fili d’erba che ci sono rimasti addosso.

“Molly, va tutto bene” mormoro, cercando di trattenere le risate. Remus ha la decenza di abbassare la testa, nascondendosi dietro ai capelli leggermente lunghi,  per non riderle in faccia.

A quasi quarant’anni fa uno strano effetto venir trattati da ragazzini immaturi.

“Potevano catturarvi! Potevate essere in pericolo…”rincara la dose.

La supero, ridacchiando e portando Remus con me su per le scale. Sento il suo torace contrarsi per non ridere forte. A metà scala, incrociamo Piton che ci guarda come se fossimo due insetti repellenti. Il suo naso adunco è lucido di sudore.

Arriccia le labbra in una smorfia, contrariato dal nostro aspetto trasandato e dal pungente odore di sudore che emaniamo.

“certe cose non cambiano mai” gracchia. Remus non ride più.

“ma levati dai coglioni, Snivellus” dico, senza nemmeno darmi la pena d’incazzarmi. Piton si acciglia. Sono sicuro che mi schianterebbe se…beh ci sono molti se tra me e la sua bacchetta. Trascino Remus nella sua camera, ridacchiando. Una corsa notturna nei prati intorno a Hogwarts e un paio di insulti rivolti a Piton. Forse siamo davvero tornati indietro nel tempo. Mollo Remus sul letto e mi abbandono sulla poltrona. Non appena i nostri occhi s’incrociano cominciamo a ridere come due deficienti. I raggi del sole che penetrano dalla finestra fanno risplendere i suoi capelli, cancellando le rughe dal suo viso. E io rivedo il Moony dei tempi della scuola. Forse siamo davvero tornati indietro per una notte…una notte sola…

“puzzi” mi dice

“invece tu profumi” ribatto serio.

Remus ride, puntando lo sguardo sul soffitto.

“Grazie” mormora con un filo di voce “avevo dimenticato cosa voleva dire lasciarsi tutto alle spalle per correre incontro alla Luna. Forse avevo iniziato anche a dimenticarmi degli anni di Hogwarts, avvelenati da quello che è successo in seguito.”

“Non c’è di che” rispondo, abbandonando la testa contro allo schienale.

Remus chiude gli occhi sfinito e si addormenta. Una nuvola oscura per qualche istante il sole e il suo viso riacquista tutto il dolore e il peso gravoso di questi anni.

Sorrido a fior di labbra, sentendomi, per la prima volta da molto tempo, bene. Mi guardo le mani, ma non vedo nessuna macchia purpurea. Sono solo le mie mani screpolate e magre. Le stringo a pugno e le rilasso di nuovo, percorrendo con lo sguardo le linee familiari. Poi guardo quelle di Remus abbandonate sulla coperta.

Sono più magre delle mie, con le dita lunghe e sottili. Ma anche le sue mani sono prive di macchie di sangue.

Forse dobbiamo lavarlo via poco a poco, aspettando di morire e di saldare per sempre il nostro debito. Perché Remus ha ragione: la nostra colpa più grave è l’essere ancora vivi, il poter godere ancora del calore del sole, del sapore del cibo, della compagnia di Harry, del vederlo crescere giorno dopo giorno, assomigliando sempre di più a suo padre.

Ma James sarebbe felice di questo. Sarebbe felice di sapere che non abbiamo ancora scontato il nostro debito e che siamo ancora vivi per vegliare su di lui. Sarebbe felice di vederci ora, sporchi e stanchi, ma alleggeriti almeno in parte da un peso che stava diventando insopportabile. Felice di saperci ancora insieme, gli ultimi Malandrini, il ricordo vivente delle nostre nottate che avevano il sapore di libertà.

Allungo le gambe e, fissando il volto del mio vecchio amico, scivolo lentamente in un sonno senza sogni. Senza sangue e urla.

Per la prima volta da quindici anni posso dormire come un uomo vivo.

 

Paranoia
In which I think that I'm not confident
blood into my hands I can't deny
a buzz into my ears that makes me mad

But I don't look back

While I'm waiting to die
I don't look back
In a weird lullaby
I'll carry on

And the hope in my heart is dry

But I don't look back
and I cannot reply
I don't look back
while I'm waiting to lie
I'll carry on
While they want to decide for me

Once again

Living in their cage
They are killing me

Paranoia
In which I think I'm not that confident
a tiny hope that burns in my breath
a bitter smile delights me at the end

 

[Lacuna Coil – When a dead man walks]

   
 
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