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Autore: Akrois    26/02/2011    4 recensioni
Per mettere le scarpe della mamma doveva riempirle di ovatta.
Camminava traballando, la schiena che si piegava pericolosamente all’indietro. Spesso e volentieri perdeva l’equilibrio e cadeva a terra, battendo il sedere sul pavimento freddo.
Restava qualche secondo seduto a guardare le scarpe col tacco grandi come barche che indossava, le labbra sottili aperte in una minuscola “o” di stupore.
Sembrava quasi che si stesse chiedendo come c’era finito lì sul pavimento e soprattutto perché c’era finito.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kurt Hummel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mamma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per mettere le scarpe della mamma doveva riempirle di ovatta.

Camminava traballando, la schiena che si piegava pericolosamente all’indietro. Spesso e volentieri perdeva l’equilibrio e cadeva a terra, battendo il sedere sul pavimento freddo.

Restava qualche secondo seduto a guardare le scarpe col tacco grandi come barche che indossava, le labbra sottili aperte in una minuscola “o” di stupore.

Sembrava quasi che si stesse chiedendo come c’era finito lì sul pavimento e soprattutto perché c’era finito.

Poi scoppiava a piangere disperato, urlando quanto più possibile per farsi sentire da tutto il quartiere.

La sua mamma arrivava correndo e lo prendeva fra le braccia, premendolo contro il petto e carezzandogli la testa. Gli sussurrava qualche parola gentile, gli chiedeva dove si era fatto male, gli cantava una canzoncina cullandolo.

La sua mamma si muoveva quasi a passo di danza quando lo cullava, profumava di fiori e aveva la voce più bella che lui avesse mai sentito.

 

 

 

Era troppo basso per arrivare al ripiano della cucina, perciò la sua mamma gli aveva arrangiato una sorta di microscopico tavolinetto con delle assi trovate nel retro dell’officina.

La sua mamma aveva davvero le mani d’oro quando si trattava di lavori manuali.

Si piegava verso di lui e gli mostrava come rompere correttamente le uova contro il bordo del bicchiere e come separare il tuorlo dall’albume con un abile gioco di polsi e gusci.

Puntualmente Kurt spaccava l’uovo contro il bicchiere e ne rovesciava il contenuto sia sul suo tavolino sia sul pavimento. O, se riusciva a romperlo in maniera decente, combinava un casino mentre separa albume e tuorlo. Anche in questo caso il risultato era lo stesso.

Tenendo in una mano i pezzi di guscio d’uovo Kurt trotterellava verso la mamma e afferrava l’orlo del suo abito a fiori con la manina paffuta e piagnucolava. La mamma si voltava verso di lui e sorrideva.

 

 

La mamma era stesa sul letto da tanto tempo. Lui era ancora troppo basso per arrivare a vederla bene in faccia, quindi doveva sempre arrampicarsi su una sedia o farsi sollevare dal suo papà. La mamma allora lo guardava e sorrideva. Aveva i capelli castani sparsi sul cuscino e quei capelli erano bellissimi anche sparsi sul cuscino. Kurt le disse che da grande voleva i capelli belli e morbidi come i suoi e la sua mamma sorrise.

Profumava ancora di fiori.

La sua mamma iniziò a canticchiare una canzoncina, stringendo forte la manina del bambino nella sua.

Kurt cantò a sua volta.

L’immagine della mano bianca e smagrita della mamma stretta attorno alla sua rimase nei suoi occhi per anni.

 

 

 

La mano del papà era grande e callosa e non somigliava per niente a quella della mamma.

Stavano entrambi in piedi davanti a quella lastra di pietra in completo silenzio. Erano così immobili che Kurt iniziò a considerare l’idea di essere diventato pietra lui stesso.

La sua mamma sorrideva. Kurt soffriva a guardare quella foto ovale intrappolata in una cornice dorata. La sua mamma meritava più spazio, perché era bellissima e tutti dovevano vederla.

Però in quella foto era bellissima, con quel sorriso dolce sulle labbra e i fiori nei capelli castani.

Il suo papà mugugnò qualcosa. Aveva gli occhi rossi ma Kurt era sicuro di non averlo mai visto piangere.

Camminarono in silenzio in mezzo alle tombe. Il papà teneva lo sguardo basso, mentre Kurt si guardava attorno, osservando i fiori colorati posti sulle tombe e le persone che si aggiravano mestamente fra le tombe.

C’era un bambino con la mano stretta in quella della mamma che stava in piedi davanti ad una tomba. Kurt lo guardò in silenzio e lo salutò con la mano. Il bambino lo salutò a sua volta.

 

 

C’erano i cocci delle uova ancora nel cestino. C’era il suo grembiule decorato a girasoli appeso al gancetto rosso in cucina. C’era il suo spazzolino in bagno e il tubetto di dentifricio lasciato aperto sul lavandino. Lei si scordava sempre di chiudere il tubetto del dentifricio.

C’era il libro che stava leggendo sul comodino. C’era il suo scialle azzurro poggiato sul cassettone. C’era la sua collana di perle che pendeva fuori dal porta gioielli che Kurt aveva ricoperto di perline e brillantini quando aveva cinque anni. 

Kurt strinse tra le mani l’abito a fiori e se lo premette al viso. La sua mamma amava quel vestito, così delicato e colorato che sembrava quasi fatto di fiori e non di stoffa.

Si strinse l’abito al petto e iniziò ad aprire tutte le ante dell’armadio e i cassetti della stanza.

Il profumo di fiori riempì la stanza. Kurt si sedette a terra e si lisciò il vestito sulle gambe, lo sguardo fisso sulla porta e le lacrime che scivolavano sul viso.

Ora doveva solo aspettare. La sua mamma sarebbe di sicuro venuta a consolarlo.

Di sicuro.

 

 

 

 

 

 

 

A.Corner___

Cosa posso dire su questa storia?

Niente, c’è ben poco da dire.

 

 

 

 

Ah, umhh… non ho idea di come si possano chiamare i pezzi di guscio d’uovo ò.o mia nonna li chiama “cocci”. Mia nonna ha sempre ragione, ovviamente ù.ù

   
 
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