Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: My Pride    26/02/2011    3 recensioni
Igni natura renovatur integra, salve spiritus ignis: flamma cerei te video doce mihi intellegere vis ignis.
Lux et lex, lux et veritas. Post tenebras lux in luce tua videmus lucem, in lumine tuo videbimus lumen”
«É questa la vera natura dell’alchimia del fuoco»

«Se le ho affidato la mia schiena e quelle ricerche è perché credevo in lei, Maggiore. Credevo nei suoi sogni, in un futuro dove tutti avrebbero potuto vivere felicemente. Ho continuato a crederci anche se siamo dovuti arrivare a questo»
[ Roy/Ed, Accenni HyuRoy e Royai ]
[ Partecipante al contest «My beloved one» indetto da DallasEfp ]
[ Spoiler del volume quindici, del Gaiden Blue e del Character Guide Book ]
[ Seconda classificata e vincitrice del Premio Giuria al «Queen Contest» indetto da Himechan84 ]
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Maes Hughes, Riza Hawkeye, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Tra i bagliori del fuoco'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Please, take me out of here_4
In mia difesa, cosa c’è da dire?
Tutti gli errori che abbiamo fatto devono essere affrontati oggi.
Non è facile ora sapere da dove iniziare mentre il mondo che amiamo si distrugge.
- In my defence, Queen -
 

04. CUT #03 › ISHVAR AREA, 1908
FEARLESS AND SORROW
 
    Mi ero ritrovato nuovamente ad interrompere la mia storia, forse proprio perché avevo cominciato a parlare di quella parte del mio passato. Scossi la testa, riattraversando il salotto per tornare ad accomodarmi accanto a Edward come se nulla fosse. «Sto divagando, scusami», mi sentii in dovere di dirgli, guadagnandoci appena una pacca dietro la schiena.
    «Era comunque una parte importante del tuo passato», mi diede manforte, capendo quanto in realtà ci tenessi profondamente a quei ricordi. «E poi, adesso, so anche perché tu e il Tenente Hawkeye sembrate avere un’intesa del genere».
    Mi limitai solo ad annuire, guardando distrattamente i due bicchieri abbandonati sul tavolino. «Dov’eravamo rimasti?» cambiai discorso, non volendo pensarci oltre. In fin dei conti avevo raccontato abbastanza, anche se dovevo ammettere che parlare dei momenti del mio apprendistato da alchimista lo trovavo molto più piacevole del continuare a raccontare ad Acciaio di Ishvar. Ma chi non l’avrebbe pensata così? Non si potevano mettere a confronto due avvenimenti così diversi, dato che l’unica connessione che avevano entrambi era l’uso che era stato fatto di quell’alchimia distruttiva che avevo imparato a manovrare.
    «Prima che cominciassi a parlare dei tuoi studi, intendi?» mi domandò Edward, richiamandomi.
    «Aye, esattamente».
    «Al tuo incontro con il Tenente lì ad Ishvar, se non sbaglio», mi rispose semplicemente, e persi anch’io un po’ di tempo per rammentarlo prima di ritrovare finalmente il punto. A quanto sembrava, mi toccava davvero ricominciare. Per quanto mi sarebbe piaciuto, non potevo abbandonare quel racconto a metà.
    «Non era più la ragazzina che conoscevo», ripresi ancora una volta, esattamente dove mi ero interrotto prima che cominciassi a parlare del tempo trascorso a casa Hawkeye. «Ma un cadetto troppo giovane a cui era stata sbattuta troppo violentemente in faccia la realtà della guerra. Ventidue anni erano davvero pochi per essere spediti in quel massacro, però diciannove ne erano anche meno.
    «“Riza”, riuscii a dire solamente quello, come se fino a quel momento il suo nome fosse rimasto bloccato nel fondo della mia gola e avesse faticato non poco ad uscire. Se fosse stata la sua postura, o semplicemente l’espressione che aveva assunto il suo viso, non lo sapevo. L’unica cosa razionale che ero riuscito a pensare la prima volta che l’avevo vista lì, però, era stata “Anche questa ragazza ha gli occhi di un assassino
 [1]”, e mai come quella volta avrei preferito sbagliarmi.
    «“Ho avuto modo di vederla all’opera, Maggiore”, mi disse lei con una semplicità inaudita, sistemandosi meglio il fucile in spalla e lasciando trapelare dall’espressione sul suo viso quanto quella rivelazione la turbasse.
    «Avrei voluto dirle mille cose, in quel momento. Avrei voluto dirle che mi dispiaceva, che non era questo ciò che avevo promesso a suo padre, che davanti a quella tomba avevo pensato ad un futuro diverso e che non avrei mai voluto vederla lì su quel campo di battaglia, con il rischio che non potesse fare mai più ritorno. Ma anche lei non aveva più nessuno ad aspettarla, a casa, esattamente come me. Aveva dei parenti da parte di sua madre, da qualche parte, ma non li aveva mai conosciuti, poiché i genitori avevano tagliato i ponti con tutti dopo essersi sposati. Così, quando mi disse quelle parole, accusai il colpo come se mi avesse schiaffeggiato, socchiudendo le palpebre prima di darle le spalle. “Non era di certo questo l’uso che tuo padre avrebbe voluto per le sue ricerche”, tentai di giustificarmi, come se fosse dovuto.
    «Lei, però, contro ogni mia aspettativa, mi disse “Non la sto accusando”, ma non sai quanto avessi voluto che lo facesse, Ed», soggiunsi in un mormorio sconnesso, ritrovandomi involontariamente ad interrompermi e sospirare.
    Sentii l'auto-mail di Acciaio poggiarsi sulla mia spalla, come se in qualche modo volesse darmi conforto e aiutarmi a rituffarmi in quei momenti che, per me, erano stati più duri di quanto non dimostrassi mai. Mi ritrovai ad allungare una mano per afferrare la sua, stringendola forte prima di socchiudere gli occhi e riprendere il mio racconto. «“Se le ho affidato la mia schiena e quelle ricerche” continuò poi, “è perché credevo in lei, Maggiore. Credevo nei suoi sogni, in un futuro dove tutti avrebbero potuto vivere felicemente. Ho continuato a crederci anche se siamo dovuti arrivare a questo
 [2]”, soggiunse rattristata, chinando lo sguardo per osservare la punta dei suoi stivali, anch’essi sporchi di fango e terriccio. “Nessuno di noi due poteva sapere a cosa saremmo andati incontro. Io stessa non avrei mai pensato di arruolarmi e di diventare un soldato”. E a quel suo dire, spinto anche dall’affetto che ci legava e dalla promessa che avevo fatto a me stesso dopo la morte del maestro, non potei non preoccuparmi per lei. Avevo paura. Avevo paura che potesse morire».
    «Era tua amica. É più che normale che ti sentissi così», si intromise ancora una volta Acciaio, e lo vidi fissarmi con estrema attenzione. La lieve gelosia che l’aveva animato al principio era del tutto scomparsa, lasciando invece spazio ad una strana consapevolezza che non gli avevo mai visto. «Ricordi quando cercarono di tenermi in pugno prendendo di mira Winry?» mi domandò, abbandonando entrambe le braccia oltre lo schienale del divano. «Mi infuriai proprio perché era mia amica. Non potevo permettere che le facessero del male o che le succedesse qualcosa a causa mia».
    Sollevai un angolo della bocca in un sorriso amaro, scoccandogli un’altra rapida occhiata prima di abbassare per l’ennesima volta lo sguardo. Ricordavo benissimo quel giorno. C’ero anch’io, in quella sala. E forse dirgli che l’aver visto il modo in cui si era agitato per quella ragazza mi aveva reso geloso, mi avrebbe fatto apparire ai suoi occhi come un moccioso dal comportamento infantile. «Già, forse è per questo che ero terrorizzato all’idea di saperla lì», mi affrettai ad aggiungere, probabilmente anche per cercare di scacciare quei miei assurdi pensieri di gelosia. «Così, senza nemmeno rifletterci, le dissi solo “Saresti dovuta restare al sicuro, Riza. Non c’era assolutamente nulla che ti spingesse a percorrere questa strada”.
    «Peccato che lei non sembrò capire le mie preoccupazioni, o forse non volle nemmeno prenderle in considerazione. “Avevo e ho tuttora le mie buone ragioni, Maggiore” mi rispose, alzando lo sguardo per osservarmi negli occhi, almeno per quanto le fosse concesso data la scarsa, se non nulla, illuminazione. “Ma lei riesce a dormire, la notte, nel pensare a tutte le persone che abbiamo ucciso e che uccideremo?”
    «Avrei voluto dirle che non ci riuscivo affatto, che passavo notti insonni seduto sul terreno nella mia tenda ad aspettare il sole sorgere, ma non lo feci e strinsi i pugni lungo i fianchi, ostinandomi a guardare dritto dinanzi a me, forse per evitare gli occhi di Riza. Se mi fosse specchiato in essi, con molta probabilità sarei capitolato del tutto e le avrei confessato ogni cosa. “Dire che stiamo sbagliando e continuare a farlo è da ipocriti, Riza, anche se la penso esattamente così”, le risposi dopo attimi d’esitazione. “Non c’è nulla che possa essere sfruttato, eppure stanno facendo di tutto per far sì che ogni singolo abitante muoia. E siamo noi a dover adempiere a questo compito”.
    «“Anche se la gente che ammazziamo appartiene al nostro stesso paese?” insistette, e a quel punto cercai di fare di tutto pur di eludere quella domanda. Che cosa avrei mai potuto risponderle? Io stesso ero disgustato da ciò che facevamo, ma sapevo che non avrei potuto fare nulla per cambiare le cose data la posizione che, a quei tempi, detenevo. Ero soltanto un Maggiore, in confronto ad altri alt’ufficiali lì presenti ero considerato alla stregua di un insetto, solo della misera spazzatura che poteva benissimo essere lasciata a marcire sul campo di battaglia. Così, pur non essendone del tutto convinto, l’unica cosa sensata che riuscii a fare fu annuire prima di prendere il coraggio di voltarmi verso di lei per osservarla in viso. “Precisamente”, affermai. “Per quanto la cosa ci disgusti, questo è l’ordine che dobbiamo eseguire
 [3]”.
    «Quelle sue parole mi fecero però riflettere, qualche ora dopo. Avevo passato 
ancora una volta una notte insonne, seduto come mio solito sul terreno intorno al quale era stata allestita la mia tenda. Mi ero coperto il capo con il cappuccio del giaccone che avevamo indossato tutti all’inizio di quella guerra, nascondendomi così metà viso come se volessi celarmi al resto del mondo. Sorreggevo persino una borraccia d’acqua, ma non ne avevo bevuto nemmeno un sorso. Non avevo fatto altro che ripensare alle parole di Riza, che in qualche modo erano riuscite a minare il mio già precario equilibrio fisico e psichico. Per quanto mi fossi sforzato, non ero riuscito ad allontanarle dalla mia mente, come se si fossero insidiare nelle pareti del mio cervello come un serpente infido.
    «Quando l’avevo incontrata la prima volta, lì in quell’inferno, avevamo avuto una conversazione piuttosto simile, lo ricordavo fin troppo bene. “Perché i soldati, che dovrebbero proteggere i cittadini, invece li uccidono?
 [4]” mi aveva chiesto in tono basso e, in un primo momento, non avevo saputo cosa risponderle. “Perché l’alchimia, che dovrebbe portare felicità alla gente, viene invece usata per ucciderla? [5]” aveva poi soggiunto, esigendo da me una risposta che sarebbe potuta anche solo lontanamente sembrare esauriente.
    «Riuscivo a comprendere cosa turbasse il suo animo, ma qualsiasi risposta le avessi mai dato non sarebbe servita ad alleggerire il peso che noi tutti ci portavamo nel cuore, peso che si accumulava giorno dopo giorno. Cosa avrei potuto dirle, in fin dei conti? Che quelli erano gli ordini e noi tutti, in quanto soldati, dovevamo obbedire e basta? Non sarebbe stata una risposta esauriente e non avrebbe dato a nessuno di noi due il conforto di cui, probabilmente, necessitavamo. Nemmeno mi accorsi del tempo che passò, perso com’ero in quelle mie riflessioni. Venne a richiamarmi Maes stesso poco prima delle otto del mattino. Mi informò sull’orario del nuovo attacco e sulla nostra destinazione, rivelandomi persino che si vociferava di una mia possibile promozione. Una promozione per aver ridotto ad ammassi di carne bruciata delle persone, ti rendi conto? Alquanto ironico, se la vogliamo mettere così.
    «Mi disse anche che i capoccioni contavano sulle mie capacità, e l’unica cosa davvero sensata che riuscii a pensare in quel momento fu “Sono tutti degli aguzzini”. Lo tenni presente persino a Maes, e lui riattaccò con la storia che si aspettavano molto da me. Forse, a quei tempi, prendermi meriti e riconoscimenti per l’aver ucciso delle persone mi lasciava più scosso di quanto non lo faccia adesso, non so dirtelo.
    «Di certo c’era una bella differenza tra il Roy Mustang di allora e quello di oggi, ma farsi divorare dal rimorso dopo tutti questi anni non servirebbe a nulla
», replicai, fissandomi i piedi. Acciaio aveva forse cominciato a provare disgusto? Se così fosse stato, non lavrei biasimato. «Il senso di colpa non se ne andrà mai, ne sono consapevole; però, starmene qui a colpevolizzarmi e commiserarmi senza agire, mi farebbe apparire debole. E non avevo avuto intenzione di farlo nemmeno su quel campo di battaglia, non ce ne sarebbe stato motivo. Se avessi cominciato anche solo a pensare di farlo, forse non sarei seduto qui in questo salotto e non avrei mai conosciuto te», e nel dirlo stornai bruscamente lo sguardo verso Edward, fissandolo con estrema attenzione. «Se avessi lasciato che la colpa mi assalisse, non sarei più riuscito a schioccare le dita. Sarei morto».
    Edward mi squadrò attentamente a sua volta, forse comprendendo come mi fossi sentito e come tuttora mi sentissi. Ma prima ancora che potesse dirmi qualcosa, continuai, forse anche per timore che provasse in qualche modo a consolarmi con i suoi soliti modi di fare. «Maes quel mattino aveva cercato di tirarmi su il morale, sai?» ripresi il discorso, vedendo il mio compagno aprir bocca per provare a dire qualcosa, rinunciandoci però subito dopo per lasciarmi stare. «Riflettendo sulle parole di Riza, che erano tornate proprio in quel mentre a farsi prepotentemente spazio fra i miei pensieri, alzai lo sguardo e, osservando Hughes con attenzione, gli avevo domandato “Perché devo uccidere persone del mio stesso paese?”, e lui, semplicemente, aveva socchiuso le palpebre e sospirato, rispondendomi “Gli Ishvariani hanno minato l’ordine pubblico della nazione. I superiori a Central City hanno dato ordine di eliminarli”.
    «“Eliminarli, eh?” mi ero ritrovato a ripetere con una punta di amarezza, storcendo persino il naso per far capire quanto quella cosa mi disgustasse. “Che parole convenienti per mascherare questo massacro”. E lui, anche se non pronunciò ad alta voce quel suo assenso, pensava esattamente la stessa e identica cosa. Forse fu per quel motivo che decise di cambiare discorso ad una velocità pazzesca, per tentare di distrarmi, con la scusa che stessimo parlando proprio di Central. Mi disse che gli era arrivata un’altra lettera da Glacier, e cercò in tutti i modi di farmi vedere l’ennesima fotografia che quella santa donna gli aveva spedito. Ma non ero davvero in vena di sopportare il suo buon umore. Non quella volta, almeno.
    «Continuavano a tornarmi insistentemente in mente le parole di Riza e, forse per quello stesso strano sentimento che avevo provato giorni addietro, o forse perché ero semplicemente stanco di tutta quella storia, quando sentii Hughes parlare di matrimonio, del suo volermi invitare e cose del genere, senza nemmeno riflettere gli dissi “Quindi abbraccerai la donna che ami con quelle mani sporche di sangue”.
    «Lui divenne una vera e propria furia, quando recepì il messaggio. Interruppe bruscamente il suo sproloquio e, voltandosi verso di me con il viso stravolto dalla rabbia, mi afferrò per il giaccone che indossavo e mi scosse violentemente. “Questo ti crea qualche problema?!” urlò fuori di sé, e io ebbi soltanto il tempo di aggrottare le sopracciglia e distogliere lo sguardo dai suoi occhi, quasi non potessi sopportare di guardarli. “L’ho capito mentre ero qui. Possedere una casa con la donna che ami e vivere normalmente è una felicità che può esistere ovunque, ma è la felicità più grande! Farò qualsiasi cosa per avere quella felicità! Io sopravvivrò! Ciò che è successo qui... me lo terrò dentro e sorriderò quando sarò dinanzi a lei! La farò felice!”
    «Non seppi cosa rispondergli, nel vedere la rabbia che le mie parole avevamo provocato. Dentro di me, però, sapevo che Maes aveva ragione. Avremmo dovuto tenere dentro noi stessi tutti i momenti vissuti ad Ishvar, altrimenti non avremmo mai avuto una vita normale. Knox lo capì a sue spese, ad esempio. Credo che vi abbia raccontato perché sua moglie se ne andò portando con sé il figlio, no? Aveva di continuo gli incubi, e la convivenza fra di loro era diventata insostenibile».
    Mi allungai per riprendere il bicchiere di liquore, ma poi ci ripensai, limitandomi semplicemente a gettare un’altra occhiata a Edward prima di fissare con fare piuttosto distratto la libreria, quasi volessi leggere i titoli dei tomi che la occupavano. «Quando era preda degl’incubi e veniva svegliato dalla moglie, non era raro che in quel momento di intorpidimento mentale la scambiasse per un nemico e tentasse d’ucciderla. É una cosa che succede abbastanza frequentemente, ai soldati che hanno vissuto una guerra come quella», ripresi. «Al principio capitava abbastanza spesso persino a me. Mi svegliavo nel cuore della notte, sudato da capo a piedi, con le lenzuola convulsamente strette fra le dita e il respiro velocizzato; ottenebrato dagli incubi, mi alzavo di scatto e mi infilavo i guanti che tenevo stipati sotto il cuscino, standomene di guardia dinanzi alla porta del mio appartamento come se attendessi l'arrivo del nemico; a volte camminavo per strada e, per qualche frazione di secondo, mi sembrava di vedere le persone che superavo ridotte ad ammassi di carne sanguinolenta o membra carbonizzate. In quei momenti credevo davvero d’essere impazzito», mi guardai giusto una mano, subito dopo, sorridendo un po’ amaramente. «E spesso ho tuttora l’impressione di esserlo. Ho paura che gli incubi possano tornare anche dopo anni di distanza e che una sera, svegliandomi d’improvviso con quelle immagini nella mente, io...» deglutii, quasi non riuscissi a pronunciare quelle parole. Ma, socchiudendo gli occhi, mi feci forza, raschiandomi con i denti il labbro inferiore. «...possa farti del male».
    Tra noi cadde nuovamente il silenzio, dopo quelle mie parole. Nessuno dei due aprì bocca, come se temesse di infastidire in qualche modo le elucubrazioni mentali dell’altro. C’eravamo solo noi, il picchiettare della pioggia, e quella strana quiete che nascondeva più parole di quante non si potessero mai pronunciare.
    «Non mi farai mai del male», si fece sentire infine Acciaio, con un tono basso e gorgogliante che non mi sembrava d’aver mai sentito uscire dalle sue labbra. «Prima che tu possa anche solo provarci, ti avrò già rifilato un bel diretto d’acciaio su quel naso perfetto che ti ritrovi».
    Stornai lo sguardo verso di lui e, sbattendo di continuo le palpebre, lo fissai con attenzione in viso. Lo vidi ricambiare quella mia occhiata, notando i cambiamenti della mia espressione quando mi specchiai nei suoi occhi. Scoppiai a ridere senza poterne fare a meno, meravigliandomi di come quel ragazzo alto un metro e un tappo riuscisse a mettermi senza volerlo di buon umore. Ero più che sicuro, infatti, che avesse detto quelle cose con tutta la serietà di cui disponeva. «Sentirò mai una parola affettuosa uscire da quelle belle labbra che possiedi?» lo presi in giro, lieto che, in quel modo, quel fagiolino fosse riuscito ad alleviare almeno in parte la tensione accumulata fino a quel momento.
    Mi rifilò un’occhiataccia, forse in reazione alla risata liberatoria in cui mi ero gettato. «Solo se tu la smetterai di sparare cazzate del genere», ribatté immediatamente, con lo stesso tono serio utilizzato poco prima. «Sono adulto e vaccinato, difendermi da un erotomane come te sarebbe una bazzecola. Ricorda che sono pur sempre l’Alchimista d’Acciaio, io», ci tenne a soggiungere, quasi volesse precisarlo, enfatizzando soprattutto sull’ultima parola. E non potei fare a meno di sorridere maggiormente, nel sentirlo. Era l’Alchimista d’Acciaio, vero. Era il ragazzo che aveva superato l’esame d’Alchimista di Stato a soli dodici anni, il genio dell’alchimia. Ed era solo mio.
    «Non ho nulla di cui preoccuparmi, allora, dato che ho sempre confidato nelle tue capacità», mi ritrovai a replicare, e stavolta ero sincero. Non avevo mai dubitato di lui o del modo in cui adoperava l’alchimia, anche se non gliel'avevo mai detto apertamente. Non fino a quel momento, almeno.
    Forse arrossì, non ne fui realmente sicuro, ma si ritrovò a borbottare qualche parola incomprensibile prima di guardare altrove, incrociando le braccia al petto. «Mi stavi raccontando del Generale Hughes, comunque», fu il suo turno di cambiare discorso, simbolo che quel mio velato complimento l’aveva in qualche strambo modo conquistato; da quando stavamo insieme le cose erano diventate un tantino diverse, anche a causa dell’intimità conquistata così faticosamente. O almeno da parte mia, dato che per lui l’assetato di sesso ero io. Come se lo facessimo spesso, poi! Dovevo ritenermi un uomo fortunato già se riuscivo a rubargli un bacio e a prenderlo alla sprovvista senza che mi prendesse a pugni per il mio cosiddetto pessimo tempismo, figurarsi.
    Non ci pensai oltre, scuotendo il capo. Anche perché, altrimenti, mi sarei avvilito per la nostra vita sessuale disastrosamente castrata dal lavoro. «Raccontavo di Maes, già», dissi in tono vagamente nostalgico, dando vita ad un altro piccolo sorriso prima di decidermi una volta per tutte a riprendere. «Quando si fu calmato, o almeno così sembrò voler far credere, mi disse semplicemente “Abbiamo del lavoro da fare, sbrigati ad alzarti”, ma io ero rimasto fermo nella stessa e identica posizione in cui ero stato per ore ed ore, restio dal voler obbedire. Non ci sarei riuscito, probabilmente, però ben sapevo che non sarei potuto restare lì. Per quanto mi sarebbe piaciuto abbandonare quella guerra, essendo un semplice Alchimista di Stato non potevo permettermi di prendere decisioni che non spettavano a me, avendo un semplice grado equivalente appena a Maggiore.
    «Con la testa fra le mani e lo sguardo basso, non degnandolo nemmeno d’un’occhiata, mi limitai dunque a chiedere “Puoi aspettare trenta secondi?”
    «Era un desiderio abbastanza sciocco dopo tutto ciò che avevamo passato fino a quel momento, ma lo sentii dire “Solo trenta secondi”, e li fece passare davvero. Per quanto quella mia richiesta potesse sembrare assurda, lui prese l’orologio dal taschino e controllò attentamente la lancetta, attendendo che quei trenta secondi che avevo richiesto passassero.
    «Quel mezzo minuto che ero riuscito a farmi concedere mi sembrò il più lungo che avessi mai vissuto, in quell’istante. L’ansia che provai mentre riflettevo fu così sottile che fui quasi certo di poterla toccare, di carezzarla con le dita senza poterla stringere davvero, di sentirla scivolare con lentezza lungo la pelle mentre lo sguardo si perdeva verso punti remoti che in realtà non vedevo. Cercavo di farmi forza, di provare a convincere me stesso che compivo quelle azioni per una pura e semplice ragione, come Maes stesso aveva affermato pochissimi giorni addietro. Quando gli avevo chiesto il motivo per cui combatteva, sai cosa mi rispose? “É semplice: non voglio morire. Ecco perché. La ragione è sempre semplice, Roy
 [6]”. E forse, a rifletterci adesso, a quei tempi non aveva tutti i torti.
    «I miei pensieri furono interrotti proprio dalla voce di Hughes “I trenta secondi sono passati”, si fece sentire, e, anche se non alzai lo sguardo, io sentii i suoi occhi verdi su di me, divenuti in quel momento un peso insostenibile. “Alzati, Alchimista di Fuoco. 
É tempo di lavorare”.
    «Socchiusi gli occhi, come se mi stessi ancora preparando psicologicamente a quel nuovo giorno che avremmo affrontato, riaprendoli immediatamente prima di decidermi a rialzarmi in piedi. Indossai i miei guanti spinto solo dalla consapevolezza che, se non fossi stato io ad attaccare per primo, sarei semplicemente morto. “
É l’ora della guerra”».




[1] Citazione tratta dal manga.
Volume quindici, capitolo cinquantanove: “Gli Alchimisti corrotti”.

[2] La frase reciterebbe “Posso credere in un futuro dove tutti vivono felicemente?” e “Anche se ho continuato a crederci... perché siamo dovuti arrivare a questo?”, entrambe citazioni tratte dal manga.
Volume quindici, capitolo sessanta: “Assenza di Dio”.

[3] La frase in realtà reciterebbe “Perché quello è l’ordine che devono eseguire”, ed è una citazione tratta dal manga.
Volume quindici, capitolo sessanta: “Assenza di Dio”.

[4] Citazione tratta dal manga.
Volume quindici, capitolo cinquantanove e capitolo sessanta: “Gli Alchimisti corrotti” e “Assenza di Dio”.

[5] Citazione tratta dal manga.
Volume quindici, capitolo cinquantanove: “Gli Alchimisti corrotti”.

[6] Citazione tratta dal manga.
Volume quindici, capitolo sessanta: “Assenza di Dio”
.



Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: My Pride