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Autore: eclinu    26/02/2011    7 recensioni
Bella nasconde un segreto. Un segreto che la distrugge, che la uccide.
Nessuno sa cosa le è successo, sanno solo che la ragazza vivace ed allegra di un tempo non esiste più, sostituita da una figura sfuggente e timorosa, coperta da camicie più grandi della sua taglia e pantaloni sempre più larghi.
E' diventata androfoba, Bella, a causa di quel segreto, teme gli uomini come i lupi temono il fuoco.
Tutti la evitano, tutti la giudicano pur non sapendo; tranne una persona: il suo compagno di banco del corso di latino.
[...]Rabbrividii, ma non perché non mi piacesse la materia, l’unico motivo di disagio stava nel fatto che quello era l’unico corso in cui avevo un compagno di banco, maschio per di più. (Capitolo 1)
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Disclaimer: I personaggi presenti in questa fan fic non sono miei ma sono presi in prestito dalla Twilight Saga scritta da Stephenie Meyer

Personaggi: Edward Cullen, Bella Swan.

Genere: Generale, Introspettivo, Triste.

Note: AU, OOC.

Rating: giallo –per l’utilizzo di termini talvolta forti o volgari e l’argomento trattato.

NDA: So che sto scrivendo un’altra ff e che dovrei dedicarmi a quella, ma questa è saltata fuori all’improvviso e non ho potuto dire di no, perché l’idea iniziale mi è sembrata buona.

Il titolo è il nome di una razza di farfalle che a me piacciono molto e cioè queste qui; è composta da solo cinque capitoli. Capirete poi leggendo perché ho lasciato il titolo in latino.

Non ho mai scritto qualcosa che potesse risultare “introspettivo”, ci ho provato con questa storia ma credo di non esserci riuscita comunque XD

Spero che la storia sia di vostro gradimento e inizio col ringraziare chi leggerà, chi commenterà, chi inserirà la storia fra le preferite/ricordate/seguite.

Sara.

 

 

Papilio Ulysses

Timor -oris

(1/5)

 

La campanella suonò ed io sbuffai prendendo i libri dal banco a cui ero seduta, non avevo nessun compagno accanto a me; da due mesi a quella parte tutti mi evitavano.

Perché?

Beh, perché ero cambiata.

C’è stato un tempo in cui top aderenti, minigonne, pantaloncini e pon-pon facevano di me una delle ragazze più popolari della scuola; tutti abbiamo momenti di gloria nella vita ma la gloria non è sempre eterna ed i mille colori che ci accompagnano diventano improvvisamente solo due: il bianco ed il nero.

Avevo delle amiche un tempo, che credevo fossero vere ed invece in quel momento non sapevo neanche cosa fosse una vera amica.

A trasformarmi da Papilio Ulysses a semplice bruco era stato proprio quello che consideravo un amico vero.

Ero una delle cheerleader della scuola, ora ero solamente una semplice e comune sfigata.

I top aderenti si erano trasformati in camicie larghe che nascondevano le curve, i pantaloncini e le minigonne erano diventati larghi pantaloni da tuta e le scarpe sempre eleganti erano diventate di gomma e comuni.

Mi piaceva considerarmi un Papilio Ulysses, o come veniva più comunemente chiamata quel tipo di farfalla “la farfalla blu della montagna” oppure ancora “Farfalla di Ulisse” perché aveva un corpo piccolo e delle ali grandi e blu –il mio colore preferito-, proprio come immaginavo me e poi aveva il nome di Ulisse, uno dei miei personaggi preferiti della mitologia.

Infilai i libri di spagnolo nell’armadietto e presi quelli di latino.

Rabbrividii, ma non perché non mi piacesse la materia, l’unico motivo di disagio stava nel fatto che quello era l’unico corso in cui avevo un compagno di banco, maschio per di più.

Si chiamava Edward Cullen; la maggior parte delle ragazze si dichiaravano innamorate di lui, un tempo lo ero stata anche io –oca come tutte le altre- ma ora temevo quel ragazzo, lo temevo come tutti gli altri ragazzi della scuola, della città, del mondo.

Le loro mani erano grandi e pesanti e facevano male quando ti colpivano, lo sapevo bene: erano violenti, aggressivi e pensavano solamente ad una cosa quando vedevano una donna, erano privi di sensibilità.

Non ero mai stata androfoba, non avevo mai avuto paura degli uomini, lo ero diventata in seguito a quell’avvenimento.

Scossi il capo cercando di dimenticare.

Sbattei la porta dell’armadietto e quando gli occhi degli altri mi puntarono, filai nell’aula di latino.

Edward Cullen non era ancora arrivato così mi accomodai con animo più sereno, forse non sarebbe venuto: aprii il libro di latino alla pagina di Cicerone ed iniziai a leggere un brano in latino, cercando di tradurre senza l’uso del dizionario; riuscii a tradurre il primo rigo, evidenziando verbi, complementi e proposizioni, aggiungendo note a margine.

Il latino mi piaceva perché mi permetteva di non pensare, mi distraeva dai mille e negativi pensieri che mi perseguitavano; mi concentravo sulle particolarità di un di un certo aggettivo o sostantivo di una certa declinazione e mi perdevo fra le parole dimenticandomi del resto.

La sedia accanto a me si mosse e voltai leggermente la testa verso sinistra tanto quanto bastava da avere una mano grande e pallida nel mio campo visivo.

«Ciao, Bella.» Era l’unico che mi salutava. Era l’unico a cui il mio cambiamento non era importato.

E’ un uomo. Mi dicevo. Mente.

Non gli risposi, continuai a scrivere la nota che avevo iniziato prima che arrivasse.

«Non mi parli neanche oggi?» Domandò, poggiando i libri sul banco.

Mi allontanai un po’ con la sedia, spostandomi a destra.

«Va bene, come vuoi.»

Il professore entrò e la lezione iniziò.

Edward prendeva appunti molto più velocemente di me, a volte mi perdevo mentre scrivevo, dimenticavo ciò che il professore aveva detto ed ero costretta a vedere sul quaderno del mio compagno di banco, cercando di non farmi notare.

Il professore ci diede un brano tratto dall’Eneide da tradurre in classe e da consegnare entro la fine dell’ora.

Erano passati circa dieci minuti da quando avevamo iniziato a tradurre ed io avevo tradotto solamente tre righe: guardai il quaderno di Edward ed invidiai la velocità con cui aveva già tradotto perfettamente sette righe senza aprire il dizionario.

Era sempre stato un secchione, io lo ero diventata da poco. Secchiona ed asociale.

Quando iniziò a far dondolare la penna fra due dita, sbattei le palpebre e mi accorsi di essermi incantata: si era bloccato all’ottavo rigo.

Tenevo una mano poggiata sulla copertina del mio dizionario e guardavo il mio foglio ancora vuoto.

«Bella, non ho portato il dizionario, posso utilizzare il tuo?» Accompagnò la domanda spostando la mano destra sul mio dizionario, finendo così sulla mia.

Sobbalzai quando sentii il calore sul dorso della mia mano e le immagini di due mesi prima mi si pararono davanti agli occhi come un film horror che ero costretta a vedere: era iniziato tutto con una calda mano sulla mia e poi quelle stesse mani calde erano finite sul mio corpo, contro la mia volontà.

Le mie stesse urla, le mie stesse suppliche singhiozzate mentre i miei vestiti mi venivano strappati da dosso, risuonavano nelle mie orecchie: non ero più in classe, ero in quel buio, isolato e sporco parco, dove nessuno riusciva a sentirmi.

Quella mano che mi aveva violata non era di Edward, era di un altro ragazzo ma facente parte dello stesso sesso.

Mi allontanai di scatto, mettendomi in piedi e facendo cadere lo sgabello su cui ero seduta: i ragazzi in classe, compreso il professore si voltarono per guardarmi.

Non guardatemi. Non guardatemi. Non guardatemi.

Le lacrime scesero e scappai fuori dalla classe, lasciando i libri ed il dizionario sul banco.

Mentre correvo nel corridoio sentivo il professore chiamarmi e quando mi voltai per capire se mi stesse inseguendo vidi Edward accanto a lui: aveva un’espressione dispiaciuta dipinta sul viso.

Quello che provavo nel guardare il suo volto non era senso di colpa ma paura.

L’unica parola latina che riuscivo a pensare non aiutava a calmarmi, perché il sostantivo che stavo declinando era timor, timoris.  

 

   
 
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