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Autore: Shari Deschain    26/02/2011    2 recensioni
Prima di questa prigionia esisteva la libertà, e quella libertà era una cosa bellissima, luminosa, fatta di potere e di speranze.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rodolphus Lestrange | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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N/A: Scritta per il mio bellissimo team orgiastico angelico del COW-T missione #1, prompt prigionia.



 
All’inizio era più facile





Il suo mondo è fatto di ombre grigie che si muovono danzando sullo sfondo delle pareti fredde e vuote di una cella, entrano come fumo tra le sbarre e poi scivolano dentro e fuori dalla sua testa, rubandogli ogni volta un po' di sé stesso.
Il suo mondo è fatto di ricordi che non sono più dei veri e propri ricordi, ma solo sbiaditi filamenti di memoria, come se tutta la sua vita non fosse stata altro che un sogno dimenticato da troppo tempo e ormai diventato irrecuperabile. Non si sogna ad Azkaban.
Il suo mondo è fatto di una costante agonia, di un dolore acuto e penetrante che non ha un'origine né una fine, e che si può esprimere solo attraverso le lacrime che i suoi occhi rifiutano di piangere, e le urla che i denti serrati trattengono all'interno della sua bocca.

All’inizio era più facile, pensa il Mangiamorte all'improvviso, e la realtà di quelle parole lo colpisce come un fiume in piena. È un pensiero molto semplice, ma è l'unico che riesce a formulare da tanto, tanto tempo, e galleggia spontaneamente tra le onde confuse della sua mente come una boa di salvataggio. Il Mangiamorte ci si aggrappa con tutte le sue forze: tenta di non farlo scivolare via, e soprattutto di non farselo sottrarre dalle ombre, che già stanno vibrando di eccitazione alla prospettiva di nutrirsi nuovamente.
All'inizio era più facile, si ripete il Mangiamorte, testardo. Deve seguire quel pensiero, deve tenerselo stretto. Quanto tempo sarà passato, poi? Mesi? Anni?
Questo proprio non riesce a ricordarlo.
È come se quella prigione racchiudesse tutta la sua esistenza, e fuori e prima di essa non ci sia mai stato altro che il nulla. Ma il Mangiamorte sa che non è vero: sa che c'è stato un tempo in cui dolore e disperazione non dominavano la sua vita, e sa che fuori di lì esiste un mondo che non è freddo e buio e circondato da sbarre.
Prima di questa prigionia esisteva la libertà, e quella libertà era una cosa bellissima, luminosa, fatta di potere e di speranze.
Ma quando prova a rievocare quei ricordi le ombre gli si fanno più vicine, costringendolo in un abbraccio freddo come ghiaccio.
È per questo che il Mangiamorte non ricorda.
Ma all'inizio ci riuscivo, pensa ancora, e pensandolo lo riscopre vero: i primi tempi lì dentro sono stati durissimi, molto più di quanto lo siano adesso. I primi tempi la sensazione di venire divorato dalle ombre era così intensa e spaventosa da farlo impazzire: non riusciva a fare a meno di urlare fino a lacerarsi i polmoni, di battere i pugni contro le pareti con le mani insanguinate, incolpando ora sé stesso, ora Rabastan, ora Bellatrix, fino a maledire lo stesso Oscuro Signore in persona.
E nonostante il terrore, nonostante il dolore fisico, quello era stato senza dubbio il periodo più facile. Perché in fondo gli rimanevano ancora i suoi pensieri, la sua speranza, la sua rabbia. La sua fede. Ed era ancora in grado di dormire, di sognare il mondo perfetto che il suo Signore gli aveva promesso, un mondo in cui lui era libero e di nuovo vivo.
Adesso il terrore ha ceduto il posto all'apatia del condannato a morte, e se le ferite fisiche si sono rimarginate, la sua mente è in agonia costante e non fa altro che urlare e gemere; il dolore è così persistente da essere diventato familiare.
Adesso nessuna illusione riesce più a filtrare tra le mura di pietra.

La fede cieca, quando la si cerca tanto disperatamente, si riesce sempre a trovarla.
Non ha nulla a che vedere con la speranza, non è una questione morale, non coinvolge affatto la propria etica personale: è un banalissimo meccanismo di sopravvivenza.
Il mondo che era stato loro promesso dall'Oscuro Signore era un mondo che per essere reale aveva bisogno di fede cieca.
Fede nel fine che giustifica i mezzi, fede nella pace che sarebbe seguita alla guerra, fede nella nuova società di maghi che si sarebbe creata su immagine e somiglianza dei Mangiamorte.
E fede nell'Oscuro Signore, ovviamente, come l'unico in grado di trasformare l'utopia in realtà.
Non avere fede in tutto questo, metterla in discussione anche solo per un attimo, significa venire a patti con sé stessi, guardarsi le mani e trovarle lorde di sangue, chiudere gli occhi e vedere cadaveri, sentirne le urla, subirne la rabbia e accettare la colpa.
Tanti hanno perso la fede, e tanti sono morti, uccisi dalla propria coscienza prima ancora che dall'Oscuro Signore o da uno dei suoi fedeli.
Ma la fede del Mangiamorte non ha mai vacillato, e ha ucciso indifferentemente nemici e coloro che un tempo erano stati amici. Non ha mai ascoltato le loro voci di accusa, non ha mai rivisto i loro volti sofferenti nei suoi sogni.
Ma questo era prima di Azkaban.
Adesso che la fede è scomparsa insieme a tutte le altre sue emozioni, gli uomini e le donne che ha ucciso vengono a trovarlo tutti i giorni e tutte le notti, nascosti tra le vesti fluttuanti dei Dissennatori, si accovacciano negli angoli bui della sua cella, e i loro ghigni brillano nell'oscurità come lampi veloci di Maledizioni Senza Perdono.
Adesso è impossibile cacciarli via, è impossibile credere che ne sia valsa la pena.
È per questo che il Mangiamorte lascia che le ombre penetrino dentro di lui e portino via tutto, speranza e disperazione, gioia e dolore, fede e senso di colpa.
È più facile sopravvivere in questo modo.

All'inizio era più facile, ma nonostante il tempo trascorso, per qualcuno è ancora così.
Il Mangiamorte sente Bellatrix ridere, poche celle più in là della sua, e la invidia. Vorrebbe ucciderla, stringere tra le mani il suo collo magro fino a sentire l'ultimo rantolo di quella sua costante risata disperdersi tra le tenebre, ma più di tutto la invidia.
Vorrebbe avere la sua stessa folle fede, vorrebbe riuscire ancora ad aggrapparsi a quella incrollabile convinzione che lei urla incessantemente: l'Oscuro Signore risorgerà, e noi che gli siamo stati fedeli fino all'ultimo, noi saremo di nuovo liberi, e Lui ci premierà più di qualsiasi altro.
Nessun'altra voce risuona tra le mura della prigione.
Pazza, pensa il Mangiamorte, e quest'ultimo pensiero gli piega gli angoli delle labbra in una scheletrica imitazione di un sorriso.
Sì, Bellatrix è sempre stata pazza.
Improvvisamente un fiume di ricordi si riversa nella sua mente.
Bellatrix.
Bellatrix che ride, Bellatrix che agita fieramente la bacchetta, Bellatrix che uccide, Bellatrix che lo guarda con quella sua lucida follia negli occhi, che lo bacia con la fame insaziabile di chi vuole tutto ciò che gli puoi dare, e anche qualcosa in più.
Il Mangiamorte ride.
I Dissennatori fremono, accorrono, gli si buttano addosso come cani randagi su un pezzo di carne, ma il Mangiamorte continua a ridere e lascia che lo divorino ancora una volta, mentre nel buio della prigione la risata di sua moglie fa eco alla sua.

   
 
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