Ritornerò Martedì
Ascolto consigliato: “Zeta
Reticoli” dei Meganoidi.
Sai cos’è un martedì sera senza di te? Sai che è un totale spreco di voglia di fingere? Fingere che quello che sgorga copioso dalla ferita stampata sul cuore, non sia sngue, bensì un qualche surrogato di plasma e voglia di vivere. E magari qualcuno potrebbe dire che si tratta di volontà. Scometto che non sai neppure che in greco “potrebbe dire” l’avrebbero detto “an legoi”, sì, an e ottativo obliquo. Perché ci tengo ad essere preciso, e lo sai.
Ma questa non è certo la tua unica lacuna, e ringrazia il
cielo che non è la prima. Sai allora perché mi ostino a percorrere l’itinerario
del martedì sera? Se ci passassi la mattina dopo, scommetto che troveresti
quello strano ed ibrido liquido vitale che continuo a lasciarmi dietro, tanto
alle medicazioni ho rinunciato. E non sono l’unica cosa che è stata per me
oggetto di una rinuncia.
Bruci ancora, meravigliosa supernova? La luce che ti vedo
addosso, ricoprirti come un banale ornamento, morto e passivizzante, è stata
emessa da quello che eri quanto tempo fa? Già non era farina del tuo sacco da
un mesetto. Ammettilo.
Maledetti martedì sera, persi e sacrificati per una stupida
logica di fatalismo e suprema rinuncia, quasi a testimoniare l’avvenuta
ricarica del nostro comune sentirci vuoti.
Bruci ancora mia terrificante nebulosa? Li senti i gas, che
ti avvolgono e narcotizzandoti diventano la più pura e manifesta essenza della
tua immagine? Cerchi di darti un’origine, massa informe di necron? Cerchi la
ragione del Pàthos in qualche gas che manca?
Il martedì comunque è perso da un bel pezzo. Passato a
mettere all’asta il mio corpo e la mia anima, non al migliore offerente, bensì
a quello più insignificante, che ciome da copione non sei mai stato tu. Ed è
sempre stato un meraviglioso – e ben giostrato- gioco consumatosi nel desolante
panorama della dune del martedì sera, che puntualmente si materializzavano in
una stanza calda e buia, dove il minimo GLOW poteva essere l’opportunità di
strappare alla mia immaginazione l’esclusiva sulla tua faccia.
Sfuggente cometa, è una ragione che cerchi? Perché non ti
sei schiantato sul mio pianeta? È la rincorsa che ti è mancata, o che invece
hai mancato di diminuire? Perché sei passato sfrecciando ed incendiando la mia
atmosfera per poi migrare silenzioso ma immancabilmente preciso? Sul mio letto
non ho mai trovato il calendario del tuo passaggio. Sei sempre stato un centro
di gravità. Mobile.
Non ho deciso di studiare la tua scia. Quando l’ho vista
estinguere anche gli ultimi incendi, ho capito.
Ma di nascosto un tuo frammento lo conservo. Ti è caduto in
un momento di distrazione. Quello in cui il tempo ci ha avvicinati, e messi
sullo stesso piano. Ti sei spaventata, meravigliosa cometa. Stella
meravigliosa.
Questo è il manga autoconclusivo più astruso che tu abbia
mai letto, di’ la verità. Certe cose le riusciamo a tollerare solo finchè
rimangono caratterizzate da tratti neri su pagine da sfogliare al contrario. Ma
a caldo della stanza buia, i colori tu sapevi immaginarteli? Dopo un paio di
–venues- immagino che almeno una visione a 256 colori tu potessi averla.
Una risata sommessa non sarebbe potuta bastare a gettarmi nel panico più totale e a farmi desiderare di esporre al pubblico ludibrio anche la mia vergogna più recondita.
Ma tra le dune pieghevoli e il buio, io , l’avrei gridato.
Ma mi avevi tolto la parola. Incosapelvomente tiranneggiando su di me.
Pazientemente incatenandomi alle sere perse.
Passivamente decidendo di ignorare il vuoto.
Perso comunque, perso, vero? Perso in ogni caso. Sfuggente e
sacrificato ad una morale che prevede la sostanziale ricerca della razionalità
in ciò che razionale non sarà mai, decorandosi di progressive illusioni e
amicizie confezionate.
La bellezza di quelle serate passate a far finta di
nascondersi tra le dune, tentando di immaginare i colori del mare al buio, era
che la finzione in sé per sé era il più importante esercizio ed il più
importante passo verso l’utopico sogno di vederti sprofondare e sfondare le
placche tettoniche del pianeta.
Ma, piccola cometa, lascia che ti sveli un segreto. Io la
tua caduta l’ho vista. Ho distinto chiaramente il momento in cui ti sei diretto
su di me, e altrettanto chiaramente ho carpito l’enorme sforzo che hai fatto
per modificare la tua orbita.
Ma adesso sei pianeta.
Io sono la nuova cometa, nata dai tuoi detriti.
E sono più veloce, non hai la minima possibilità di
evacuazione.
Ritornerò, magari martedì. E al buio ti farò vedere dove hai
lasciato il segno, come ci sei riuscito, come curarmi. Ma non presentarti col
tuo vecchio nome.