Anime & Manga > Majin Tantei Nougami Neuro
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Autore: Fiamma Drakon    27/02/2011    0 recensioni
Yako era tenuta prigioniera nell’angolo più lontano dalla porta di una piccola cella dalle pareti strette ed il soffitto basso costruita con grossi blocchi di pietra dello stesso colore della terracotta.
Le catene che la vincolavano al muro erano scure e pesanti, fatte con anelli di metallo incredibilmente grossi. Anche le gambe erano imprigionate da due strette cavigliere che le facevano male alle gambe, alle quali sentiva distintamente il metallo lavorato rozzamente sfregare contro la pelle ad ogni suo minimo movimento, scorticandola a poco a poco.
La posizione più comoda che era riuscita a trovare in quelle condizioni era stare raggomitolata su se stessa, in ginocchio, appoggiata al muro accanto a lei, gli occhi che si arrischiavano ad esaminare i dintorni in cerca di qualcosa che potesse aiutarla ad uscire da quel pasticcio, invano.
La testa le pulsava sempre più dolorosamente, mentre la vista sbiadiva di tanto in tanto.
«Neuro... arriverà, prima o poi...?».

[Personaggi: Neuro Nōgami, Yako Katsuragi]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Waiting for Him L’attesa paziente di qualcuno o qualcosa non era mai stata uno dei tratti caratteriali per cui il vero Neuro era conosciuto: lui voleva tutto e subito.
Anche il semplice fatto che Yako fosse in Sud America ad indagare sull’omicidio di cui sua madre era la presunta esecutrice e lui fosse ancora in Giappone, senza il suo “tramite obbligato” per risolvere i misteri di cui doveva nutrirsi, aveva scosso la sua debole pazienza al punto da prendere l’altro schiavo e andarsene in Sud America pure lui.
Dopo la scioccante rivelazione circa suo padre, la Katsuragi aveva insistito per andare a Sharato ad indagare più a fondo sulla cosa.
Neuro, invece, si era dichiarato contrario.
«Io tornerò al villaggio e scoprirò il vero colpevole dell’omicidio» aveva detto, prima di abbandonarla nelle mani di Godai assieme alla collega di sua madre.

Adesso era nei guai ed era da sola, completamente: il suo cellulare, cui era tra l’altro collegata la povera Akane, gliel’avevano portato via un’altra volta mentre era svenuta e di Godai, là intorno, non c’era traccia.
Probabilmente il sacerdote e i suoi discepoli l’avevano messo in un’altra cella per paura che, assieme, riuscissero a scappare.
Neppure della giornalista amica di sua madre c’era alcun segno, ma lei era la vittima di quella situazione: il sacerdote l’aveva scambiata per Seiren e voleva ucciderla.
Doveva riuscire a liberarsi e andare a salvarla, così come anche Godai, ma la testa le faceva ancora male per il colpo con cui l’avevano stordita e le braccia, legate sopra la sua testa, le si erano intorpidite per lo scarso afflusso di sangue che quella postura comportava.
Yako era tenuta prigioniera nell’angolo più lontano dalla porta di una piccola cella dalle pareti strette ed il soffitto basso costruita con grossi blocchi di pietra dello stesso colore della terracotta.
Le catene che la vincolavano al muro erano scure e pesanti, fatte con anelli di metallo incredibilmente grossi. Anche le gambe erano imprigionate da due strette cavigliere che le facevano male alle gambe, alle quali sentiva distintamente il metallo lavorato rozzamente sfregare contro la pelle ad ogni suo minimo movimento, scorticandola a poco a poco.
La posizione più comoda che era riuscita a trovare in quelle condizioni era stare raggomitolata su se stessa, in ginocchio, appoggiata al muro accanto a lei, gli occhi che si arrischiavano ad esaminare i dintorni in cerca di qualcosa che potesse aiutarla ad uscire da quel pasticcio, invano.
La testa le pulsava sempre più dolorosamente, mentre la vista sbiadiva di tanto in tanto.
«Neuro... arriverà, prima o poi...?» si chiese in silenzio, stordita, mentre cercava di rimettere a fuoco per l’ennesima volta la stanza. Forse aveva qualcosa alla testa: non era normale che il dolore - anche se al capo - persistesse tanto e che addirittura le causasse problemi di vista.
Iniziava a respirare affannosamente a causa delle braccia alzate e vedeva sfocato ad intervalli via via più piccoli, ciononostante continuava a cercare con gli occhi particolari nelle pareti, nel pavimento, nelle catene, che potessero farle venire in mente qualcosa per liberarsi e aiutare gli altri.
Abbassò gli occhi ad ispezionare la piccola grata situata al centro del pavimento senza però vederla in realtà: la sua attenzione, in quel momento, era rivolta tutta all’attesa di Neuro.
«Deve arrivare. Non posso lasciare che Mio e Godai vengano uccisi perché non sono in grado di farcela da sola. Sentirà il profumo del mistero... arriverà...» si disse, mentre il suo corpo fremeva impercettibilmente per la paura di perdere due persone che con quella storia non c’entravano niente.
«È arrivato quando c’era bisogno di lui anche prima. Arriverà anche adesso... deve... devo... liberarli... liberarmi...».
Iniziava a sentirsi confusa e debole.
La testa le faceva terribilmente male e i pensieri si perdevano in un vortice d’incoerenza da cui le sembrava sempre più difficile riuscire a riemergere, ma lei ancora annaspava cercando di aggrapparsi alla lucidità mentale, all’idea e all’attesa, divenuta ormai tormentosa, che Neuro giungesse anche allora al momento giusto.
Le sarebbe servito solamente che la liberasse, poi al resto avrebbe potuto pensare anche da sola. Le serviva soltanto una mano in quel frangente dove non sembrava esserci nessuna via d’uscita.
«Neuro... vieni...» supplicò mentalmente, esausta, come se lui potesse sentire la voce dei suoi pensieri.
Sapeva che lui desiderava che riuscisse ad arrangiarsi anche da sola, ma in quella situazione proprio non ci riusciva. Forse era perché voleva salvare anche la vita di altre persone, oltre alla propria, ed inconsciamente non si sentiva in grado di prendere sulle sue sole spalle un tale fardello.
La Katsuragi si accasciò contro la parete, i polmoni che le bruciavano per lo scarso apporto d’ossigeno, la testa che pareva esploderle e la vista che andava e veniva ad intervalli ormai brevissimi.
Stava per essere nuovamente sopraffatta dall’incoscienza, l’attesa piena di speranza che il demone arrivasse che l’animava ancora, simile ad una fiamma inestinguibile che le ardeva in petto, quando un boato improvviso e assordante riempì la stanza.
Il rumore riecheggiò tra le quattro strette mura della stanza e le giunse alle orecchie amplificato un migliaio di volte, stordendola ulteriormente.
«Ecco dov’eri, serva».
Yako alzò la testa, piena di gioia al sentire quella voce maschile conosciuta e profonda.
«Neuro!» esclamò.
Sentiva la speranza bruciarle in fondo all’anima come un incendio: adesso che lui era arrivato, avrebbero potuto salvare tutti.
La sua attesa non era stata vana.
Il demone avanzò a grandi e lenti passi verso di lei, sul viso un’espressione di noia venata appena di irritazione: vederla incatenata e senza l’autosufficienza necessaria a liberarsi lo infastidiva abbastanza, ma in fondo era un essere umano, per cui poteva anche passarci sopra, per quella volta.
Si tolse il guanto destro, scoprendo così quei paurosi artigli propri della sua forma demoniaca, che calò come coltelli sulle catene, spezzandole di netto, come fossero state di semplice cartapesta.
Yako si affrettò ad alzarsi, appoggiandosi un momento alla parete per riprendere fiato, quindi alzò gli occhi a guardarlo in viso.
Nel suo sguardo il demone colse una scintilla di determinazione che non le aveva mai visto prima in volto.
«Neuro dobbiamo andare: Godai e Mio sono in pericolo!».
Neuro, in piedi davanti alla detective, si spostò lateralmente in silenzio, come ad invitarla a mostrargli la strada.
«Il mistero è maturato a sufficienza» commentò semplicemente, incrociando le braccia sul petto, sorridendo macabro, già pregustando il banchetto che l’aspettava e che si preannunciava essere abbondante.
Allora la Katsuragi si diresse verso la porta: l’attesa era finita.
Adesso era venuto il momento di agire.
   
 
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