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Autore: Keitorin Asthore    27/02/2011    8 recensioni
Kurt non ricorda perché sua padre insista per portarlo a vedere lo Schiaccianoci a ogni natale, ma Burt ricorda, forse un po’ troppo chiaramente, che quello fu il primo passo che la moglie gli fece fare per accettare il suo inusuale figlio.
(Altri personaggi: Burt Hummel). Piccolissimi accenni di KLAINE
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Glee appartiene a Ryan Murphy e alla Fox. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

La versione originale della storia appartiene a Keitorin Asthore e la potete trovare qui.

SUGARPLUM PRIORITIES

"Dunque, dimmi di nuovo perché stiamo andando a vedere lo Schiaccianoci?" disse Blaine.

Kurt sobbalzò leggermente nel sedile del passeggero della jeep rossa di Blaine. "Ci andiamo tutti gli anni da quando ne avevo quattro" rispose. "Mia madre ha cominciato. Andavamo ogni natale e quando lei è morta, pensavo che avremmo smesso. Ma mio padre ne ha sempre fatto una sorta di grande evento, così non abbiamo mai perso un anno".

Blaine sorrise mentre guidava sull’interstatale. "Tuo padre non mi sembra proprio il tipo da amare i balletti".

"Oh, non lo è" confermò Kurt. "Ma per questo ha sempre fatto un eccezione. Non so nemmeno il perché. Semplicemente… lo fa".

*******

Burt si schiarì la gola. "Tornerò tardi".

"D’accordo" disse Carole, appoggiandosi allo schienale del divano per guardare verso di lui. Gli porse la guancia per ricevere un bacio e lui l’accontentò.

"Dove stai andando?" domandò Finn in tono assente, gli occhi ancora incollati al film natalizio che davano in televisione.

"Porto Kurt e Blaine a vedere lo Schiaccianoci".

Finn ridacchiò. "Davvero? Un balletto?". All’occhiata incisiva che gli lanciò la madre, si interruppe subito e tornò a prestare le sue attenzione alle buffonate di Buddy l’elfo.

"Porterò Kurt a casa dopo lo spettacolo" disse Burt a Carole. "Saremo a casa intorno a mezzanotte".

"Fate attenzione" si raccomandò lei.

"Lo faremo" promise Burt, stringendosi nel suo cappotto, prima di uscire.

Era felice che la moglie non avesse fatto pressione per avere tutti i dettagli della tradizione natalizia che aveva con suo figlio: a volte, era semplicemente troppo doloroso ricordare come tutto era cominciato.

*******

"Mollie, non c’è verso che io venga a vedere questa specie di balletto" dichiarò Burt.

La testa di sua moglie emerse dall’armadio. "Di che costa stai parlando?" domandò, prima di sparire di nuovo nelle profondità del mobile per tirarne fuori il vestito perfetto. "Andiamo e questo è quanto".

Burt si sedette sul bordo del letto. "Questa cosa del balletto, però… È un po’ stupida, non credi?".

Mollie emerse dall’armadio mentre si infilava dalla testa un semplice vestito nero. "No, non lo è" lo contraddisse, torcendosi un po’ nel tentativo di raggiungere la zip e chiudere il vestito. "È cultura. Non ti piace la cultura, Burt?".

La raggiunse e lei scostò i lunghi capelli di lato mentre lui le chiudeva la zip. "Non mi importa del teatro e l’orchestra va bene, mi fa solo addormentare un po’" dichiarò con un alzata di spalle. "Ma… Perché dobbiamo andare a vedere un balletto?".

Mollie si lasciò ricadere i capelli sulla schiena e andò a sedersi davanti alla sua piccola specchiera bianca. "Perché Kurt vuole andare a vedere lo Schiaccianoci" rispose, mettendo mano alla spazzola. "E non provare a lamentarti per i biglietti. Uno dei bambini di quinta a cui insegno fa una delle comparse e sua madre me li ha dati".

"Solo, non capisco perché Kurt ci tenga tanto" borbottò Burt.

Mollie si girò verso di lui, un nastro rosso in mano. "E questo cosa vorrebbe dire?" domandò in tono duro.

"Semplicemente, non capisco perché il bambino sia così ansioso di vedere una massa di persone danzare in calzamaglia" disse Burt, agitando le mani. "È… È…".

"Femminile" concluse Mollie, il sorriso che le moriva sulle labbra. "Burt, perché questo è un tale problema per te?".

"Kurt è un maschio" disse Burt. "Non dovrebbero piacergli le cose da maschi?".

"Ed è così" ribatté Mollie, legandosi i capelli con il nastro rosso di satin. "Gli piace andare in bicicletta ed aiutarti in officina e la sua collezione di Power Rangers è qualcosa di impressionante".

"Già" confermò Burt. "E l’altro giorno stava facendo sposare il Ranger rosso con il Ranger blu".

"Ma poi quello rosso ha scoperto che il blu lo tradiva con il Ranger verde e così hanno rotto. Cosa ha a che fare tutto questo con Kurt che vuole vedere un balletto?".

"Mollie, lo sai anche tu che non è normale per un maschio" mormorò Burt a mezza voce.

Lei si girò verso di lui, scoccandogli un’occhiata di fuoco. "Cosa non è normale? Che gli piaccia organizzare matrimoni e guardare film di principesse? Che gli piaccia mettersi bei vestiti e tenerli puliti invece di andare a rotolarsi nel fango? Che voglia andare a vedere lo Schiaccianoci?".

"Mollie, tutto questo non ti fa… sai, preoccupare per lui?".

"Preoccuparmi per cosa?" domandò lei, alzandosi bruscamente e rovesciando la sedia. "Senti, Burt, ha solo quattro anno: nessuno potrà dire con certezza se Kurt è gay o no finché non raggiungerà la pubertà. E anche allora… Perché la cosa dovrebbe importarci?".

"Non dirlo" borbottò Burt.

"Dire cosa?".

"Lo sai" disse, a disagio. "Gay. Non voglio che mio figlio sia… Lo sai".

"Non si tratta di te" ribatté lei. "Si tratta di Kurt: forse sarà soltanto un po’ in contatto con il suo lato femminile, sai, per il fatto che gli piacciono i vestiti e le cose carine. E forse sarà gay. La cosa ti infastidisce tanto?"

"Mollie, non è questo" gemette Burt, passandosi una mano sul viso. "Se deve crescere per essere gay, allora che sia gay, ma non potremmo… Lo sai, spingerlo verso passatempi più da uomini?".

Mollie prese in mano un tubetto di rossetto, giocherellò un po’ con il cappuccio e poi lo rimise giù. "È per questo che non vuoi lasciargli prendere lezioni di piano?" domandò in tono pacato.

"Te l’ho detto, tesoro, gli lascerò fare quello se si unisce alla squadra dei pulcini di football".

"Ci ha provato" ribatté Mollie. "L’ho portato al primo allenamento, e sai cosa è successo? Mi ci sono voluti dieci minuti per riuscire a persuaderlo a entrare in campo e, quando ha finalmente cominciato a giocare, uno dei bambini più grandi l’ha spinto e gli ha spaccato il labbro".

Burt si raddrizzò all’istante. "Non me l’avevi detto: pensavo che fosse caduto o qualcosa del genere. Chi è stato?".

"Il figlio di Paul e Laura, Davey" rispose Mollie.

"Lo ucciderò".

Mollie si allontanò dalla specchiera e avvolse le braccia intorno al collo del marito. "So che vuoi bene a Kurt. Ma devi amarlo così com’è, senza forzarlo a essere quello che tu vuoi che sia. Il suo compito è essere chiunque lui voglia essere, il nostro di amarlo nonostante tutto".

Con aria assente, le accarezzò il braccio morbido. "Semplicemente non voglio incoraggiare questi passatempi femminili".

"Burt, pensa se avessimo avuto una bambina" disse Mollie, ritirando le braccia. "Se avessimo avuto una piccola Katey invece di un Kurt. Ti avrebbe chiesto di portarla a vedere il balletto e tu l’avresti fatto senza pensarci due volte; probabilmente le avresti perfino comprato un vestitino nuovo per l’occasione. E se avesse voluto venire ad aiutarti con le macchine in officina o andare al parco a giocare a calcio o baseball con i maschi, glielo avresti lasciato fare e l’avresti incoraggiata, perché le ragazze sono brave esattamente come i maschi e possono fare tutto quello che vogliono".

Burt si girò, giocherellando a disagio con la cravatta. "Mollie, è diverso".

"No, non lo è" affermò Molly in tono duro, spingendo dietro l’orecchio una ciocca di capelli ribelle. "Tu dici a Kurt che non vuoi portarlo a vedere un balletto da femmine e che non può suonare il piano e che non vuoi che passi tutto il suo tempo ad agghindarsi. E so che gli hai detto che è troppo grande per piangere e la cosa non mi rende felice per niente".

"Mollie…".

"No!" lo interruppe subito lei, agitandogli un dito davanti al volto. "Digli adesso che non accetti cosa gli piace e in dieci/quindici anni nostro figlio avrà troppa paura di dirci che è gay perché penserà che tu non lo accetterai per quello che è".

"Mollie, non potremmo affrontare questo discorso quando sarà il momento?".

Gli rispose con un fermo cenno di dissenso. "Dobbiamo parlarne adesso".

Burt aprì la bocca per continuare la discussione, ma la porta della camera si aprì con uno scricchiolio. Kurt sbirciò all’interno. "Mamma, posso entrare?".

Mollie gli sorrise mentre tornava a sedersi davanti alla specchiera. "Certo che puoi".

Kurt le corse incontro e Burt represse un sorriso mentre il suo indiscreto figlioletto saltava in grembo a sua moglie e cominciava a frugare fra i suoi trucchi. "Attento, ragazzino" lo avvertì. "La mamma si deve truccare: non fare confusione".

"Non sto facendo confusione, papà, sto organizzando" lo corresse lui, mettendo in fila i rossetti della madre.

Mollie gli passò un braccio intorno alla vita, sistemandoselo meglio sulle ginocchia. "KK, perché non vai a cercare un paio di scarpe da abbinare al vestito?".

"Quelle rosse?" propose Kurt, balzando giù. "Possono essere quelle rosse?".

"Forse" disse lei mentre il bambino di precipitava verso il suo armadio e vi spariva dentro. Burt scosse il capo sentendolo mormorare tra sé.

Mollie aveva praticamente finito di truccarsi per quando Kurt riemerse con due differenti paia di scarpe nelle manine (un paio di scarpe basse con una cinghietta rosso brillante e un paio di ballerine nere con fibbie argentate).

"Hai scelto delle scarpe davvero carine, Kurt" commentò Mollie, facendolo arrossire appena per il complimento. "Quali preferisci?".

"Quelle rosse, mamma: stanno bene con il nastro".

"Allora metterò quelle rosse".

Kurt le poggiò con attenzione in terra. "Mamma, ti sembro carino?".

Burt lo osservò da capo a piedi: il bambino, che a malapena si alzava da terra, aveva scelto un paio di pantaloni gessati grigi, una camicia azzurra e bretelle a losanghe blu e grigie. "Sei davvero bello (*), figliolo" disse. Kurt si limitò a fissarlo.

Mollie gli prese il mento tra le mani. "Sei davvero molto carino, tesoro" lo rassicurò, dandogli un bacio sulla fronte. "Adesso vai a metterti calzini e scarpe e a pettinarti i capelli, okay?".

"Okay" assentì il bambino, prima di correre di nuovo nella sua camera.

"Adesso non posso nemmeno dirgli che è bello?" domandò Burt, scuotendo la testa esasperato.

Mollie si infilò un paio di orecchini di perle. "No, adoro quando lo fai. Ma lui ha specificatamente chiesto se era carino. E lo è".

"Mollie, ne stai facendo una questione più grande di quella che è" gemette Burt. "Ha quattro anni".

"E capo a dieci anni, ne avrà quattordici. Preferisco farne una questione adesso piuttosto che aspettare che diventi un scontro allora".

"È ridicolo".

Mollie cominciò a infilarsi le scarpe rosse. "Ascolta, Burt, porteremo Kurt al balletto, tu ne sarai felice e lo tratterai come lui vuole essere trattato, non come tu vuoi trattarlo".

"Lo faccio sempre" mormorò lui a mezza voce.

Mollie gli posò una mano sulla spalla. "E dopo stasera, voglio che tu guardi tuo figlio dritto negli occhi e decida se faccia davvero qualche differenza se crescendo si dimostrerà davvero gay. Vedi l’effetto che ti fa".

"Mamma!" gridò Kurt dal corridoio. "Non riesco a legare la cravatta".

"Vengo, tesoro" rispose lei, raddrizzandosi. Prese la boccetta rettangolare di Miss Dior Cherie, spruzzandone un po’ sul collo e sui polsi, e poi uscì dalla stanza.

Burt si sedette sul bordo del letto, massaggiandosi il retro del collo: ora sua moglie ce l’aveva con lui, proprio quello che gli ci voleva. Mollie era sempre stata molto passionale e focosa, e di solito gli piaceva. Ma qualche volta era soltanto una ragazza di ventidue anni estremamente testarda che lo faceva un po’ impazzire.

Si alzò e scese dabbasso fino alla camera di suo figlio: Kurt stava in piedi perfettamente immobile mentre sua madre si inginocchiava per annodargli la cravatta azzurro cielo. Avrebbe poi aggiunto un paio di calzini grigio chiaro e delle scarpe lucide e, anche se era un abbigliamento piuttosto stravagante, Burt doveva ammettere che gli stava decisamente bene.

"Stai bene, figliolo".

Gli occhi di Kurt si illuminarono. "Grazie, papà. Anche tu stai bene".

"Sembro uno sciocco" disse Burt in tono scherzoso, tirandosi l’orlo della giacca.

Mollie raddrizzò la cravatta di Kurt e lui corse dal padre, circondandogli una gamba con le braccia. "Possiamo andare adesso, papà? Per favore?" lo implorò

"Sicuro, figliolo, però vai a prendere il tuo cappotto" lo rassicurò, dandogli un buffetto. Kurt corse via, diretto verso il salotto.

"È molto affettuoso, sai" disse Mollie si alzò in piedi, lisciandosi la gonna del vestito. "Gli piace essere baciato, abbracciato e coccolato".

"Moll, lo sai che non sono bravo in queste cose" protestò Burt. "Tu lo sei".

"A lui piacerebbe se fossi bravo anche tu" dichiarò Mollie, prendendolo per mano. "Forza, prima che Kurt decida di andarsene senza di noi".

Burt la seguì giù per le scale. Kurt stava davanti all’armadio dei cappotti, saltellando su e giù nello sforzo di raggiungere la sua giacca, che il padre gli passò.

"Grazie, papà" disse Kurt, lottando poi con l’indumento per tentare di infilare le braccia nelle maniche. Burt glielo tenne aperto per aiutarlo.

"Mettiti i guanti, tesoro" gli raccomandò Mollie mentre indossava il suo cappotto rosso.

"Ma, mamma, non si sposano con il mio vestito!" protestò il bambino con aria scandalizzata

"Ma stanno bene con la giacca" ribatté lei con un sorriso. "Forza, piccolo, guanti e sciarpa. E se non te li metti subito, dovrai indossare il berretto che ti ha regalato la prozia Mildred".

La mascella di Kurt quasi cadde a terra per l’orrore. "Quello con i pompon?". Senza nemmeno aspettare la risposta, si infilò i suoi guanti gialli a righe grigie e la sciarpa di un allegro giallo.

"Siamo pronti?" domandò Burt, prendendo le chiavi dal banco della cucina.

"Pronti!" gridò Kurt, senza smettere di saltare per l’eccitazione. Uscendo di casa, Mollie lo prese per mano, guidandolo verso la macchina mentre Burt spegneva le luce e chiudeva a chiave la porta.

"Attento al ghiaccio" lo avvertì Mollie, stringendo forte la mano del figlio. Aprì la portiera della sua sedan blu e lo allacciò al seggiolino.

"Mamma, siamo in ritardo?" le domandò con aria preoccupata, mentre Burt si sedeva al posto di guida e avviava il motore.

"A che ora comincia lo spettacolo?" domandò Mollie.

"Alle sette".

"E che ora segna l’orologio?".

"Le sei".

"Perciò abbiamo un sacco di tempo" sorrise la donna. Chiuse la portiera e andò a prendere posto sul sedile del passeggero. "Ok, andiamo".

"Yeah!" gridò Kurt, battendo le manine eccitato.

Durante i trenta minuti di viaggio fino al teatro, Kurt continuò a tempestare sua madre di domande, ma Burt era troppo distratto per prestare attenzione. Non riusciva a scacciare dalla mente il suo litigio con Mollie: in quattro anni di matrimonio, avevano litigato poche volte, ed era piuttosto strano.

Sapeva che Kurt era diverso, l’aveva sempre saputo. All’inizio, aveva supposto che fosse soltanto un po’ timido e che semplicemente gli piacessero le cose artistiche e simili.

Ma, circa un anno prima, quando Kurt aveva tre, quasi quattro anni, l’avevano portato a fare un po’ di compere… E lui aveva preso un paio di scarpe da donna, pregandoli di comprargliele. Beh, quello era stato più o meno il punto di non ritorno, per così dire. Ovviamente, appena aveva provato a parlarne a Mollie, lei si era limitata ad alzare le spalle e dire che l’aveva capito già da un po’ di tempo.

Non sapeva cosa fare: non aveva mai incontrato qualcuno che fosse gay, men che meno un membro della famiglia. Non si incontrano persone gay a Lima, Ohio. Ed ora, eccolo lì, con un figlio di quattro anni che preferiva le bambole e le cucine giocattolo al football e i modellini. E lui cosa avrebbe dovuto fare in proposito?

Quando furono vicino al teatro, Kurt cominciò ad agitarsi sul seggiolino, eccitato. "Siamo arrivati, siamo arrivati!".

"Vi lascio qui" disse Burt frenando. "Portalo dentro al caldo, io vado a cercare parcheggio".

Mollie cominciò ad aprire la portiera appena la macchina fu ferma, ma lui la trattenne con un cenno, dandole un bacio sulle labbra. "Ti amo".

"Ti amo anch’io" disse lei, sorridendo sorpresa. Gli accarezzò la guancia, poi scese dalla macchina e aprì la portiera posteriore. "Okay, Kurt, andiamo dentro".

"Sta cominciando? Sta cominciando?".

"Non ancora" rispose Mollie. "Andiamo a cercare i nostri posti mentre papà parcheggia. Tienimi la mano, okay, tesoro? C’è in giro parecchia gente".

Burt sorrise guardandoli salire i grandini verso l’entrata del teatro, con Kurt aggrappato fermamente alla mano della madre mentre cercava di tenere il passo. Dopo essere riuscito a parcheggiare, si diresse a sua volta verso l’auditorium, il biglietto stretto in pungo.

Il rumoroso atrium del teatro era gremito di famiglie. Notò con un certo sollievo che in giro c’erano molti altri ragazzini, sebbene la maggior parte sembrava accompagnare le sorelle. Un bambino in particolare attirò la sua attenzione: doveva avere uno o due anni più di Kurt, con scuri capelli ricci e un’espressione annoiata dipinta in volta. Continuava a strattonare la cravatta rossa e verde e si stava lagnando di qualcosa con la sorella maggiore, una ragazzina di circa otto anni in un vestito rosso che lo teneva stretto per mano mentre seguivano i genitori.

Perlomeno, Kurt evitava di fare quelle scene, soprattutto in pubblico: in effetti, le uniche volte in cui aveva mai sentito il figlio lamentarsi per qualcosa era stato quando era malato o stanco. Era davvero un bravo bambino, soprattutto considerato che era ancora piccolo. Sorprendente.

Si fece strada nel teatro, mostrando il biglietto alla maschera alla porta, dirigendosi verso i loro posti in balconata. Kurt sedeva a fianco di sua madre, le gambe che sporgevano dalla sedia: teneva in mano il programma della serata e lo stava leggendo ad alta voce.

"Clara è interpretata da Neddy Cooper" riferì.

"Sì, ho visto, tesoro" disse Mollie in tono paziente, lisciandosi i capelli. "Oh, guarda, è arrivato papà".

"Eccitato, figliolo?" gli domandò Burt prendendo posto accanto a lui.

"Uh-uh" confermò Kurt, annuendo con energia. Cambiò posizione sulla sedia, mettendosi seduto sulle ginocchia. "Non riesco a vedere bene, però".

"Riuscirai a vedere benissimo, non preoccuparti" lo rassicurò Mollie.

"Comincerà presto?".

"Molto, presto, piccolo: sii paziente un altro po’, okay?".

Kurt annuì, rimettendosi seduto composto, solo per sporgersi subito dopo oltre il bracciolo finendo per metà in braccio a Burt. "Papà, comincerà presto".

"Lo so, ragazzino" disse lui, arruffandogli i capelli.

Una coppia con due bambine, una di circa quattro e l’altra di dieci anni, si sedette davanti a loro. "Papà, voglio il costume da Fata Confetto" stava dicendo la più grande delle due, gettandosi i lunghi capelli biondi dietro la spalla. "Ne ho visto uno in saldo nell’atrio e lo voglio!".

"Non adesso, dolcezza" le disse il padre sedendosi. La più piccola cercò di sederglisi in grembo, ma lui la respinse sul suo sedile. "No, no, seduta dritta e composta come una bambina grande, altrimenti vi portiamo subito a casa: le bambine cattive non si meritano di fare cose divertenti".

Lei si imbronciò, ricadendo al suo posto accigliata.

Senza pensarci, Burt passò un braccio intorno alle spalle del figlioletto: non aveva mai parlato a Kurt in quel modo, mai. Kurt era sempre stato un bambino ben educato, per avere solo quattro anni, e non aveva mai avuto bisogno di essere sgridato, non nel modo in cui quel padre aveva appena sgridato la figlia.

Kurt si aggrappò con entrambe le braccia a una delle sue. "Papà, sono davvero eccitato".

"Ne sono felice" disse lui, stringendogli il ginocchio.

Mollie gli sorrise da sopra la testa del bambino. "Guarda, Kurt, sta per cominciare: vedi le luci che si stanno abbassando?".

"Mamma, posso smettere di essere paziente adesso?" domandò Kurt, lasciando il braccio di Burt e lanciandosi verso di lei.

"Solo pochi minuti ancora".

Kurt si accomodò tra di loro, scalciando le gambe avanti e indietro. Burt gli massaggiò il retro del collo con il pungo, facendolo ridacchiare, un dolce, acuto suono che lo fece commuovere un po’: suo figlio era parecchio dolce. Per essere un maschio.

Quando le luci si spensero e l’orchestra cominciò a suonare, Kurt afferrò la mano di Mollie, sussurrando: "Mamma, comincia".

"Lo so, lo so. Seduto composto, piccolo".

Ubbidiente, Kurt si risedette per ascoltare l’introduzione, finché il sipario si aprì e i ballerini comparvero sul palco.

Burt si appoggiò pesantemente contro lo schienale, girandosi i pollici: quella cosa del balletto non aveva molto senso per lui. Tutte quelle ragazze che saltellavano qua e là in abiti vaporosi e un paio di ragazzi in calzamaglia: era semplicemente strano. E poi quel vecchio entrava in scena con quel bambolotto schiaccianoci per darlo a una ragazza… E poi in qualche modo il bambolotto si trasformava in un ragazzo con una maschera divertente… E poi, il palcoscenico pullulava di grossi ratti.

Già, il balletto non aveva decisamente senso.

Ma a Kurt sembrava piacere: si era sporto fino al bordo del sedile per guardare meglio il palco, gli occhi, così simili a quelli di sua madre, pieni di eccitazione. Qualche volta, quando la danza-lotta tra il ragazzo in maschera e il ratto diventava troppo intensa, sobbalzava, la bocca semiaperta e le ciglia svolazzanti mentre batteva gli occhi.

Mollie gli tenne una mano sulla schiena, accarezzandola a ritmo con la musica: ogni volta che lo sentiva sobbalzare, lo stringeva con gentilezza, cercano di rassicurarlo dicendogli che era tutto a posto, che era solo finzione. Burt sorrise tra sé: era davvero una madre straordinaria.

Resistette al primo tempo con un minimo di annoiato dondolamento di gambe, ma almeno suo figlio sembrava davvero divertirsi. Kurt ricadde indietro contro lo schienale quando le luci si accesero per l’intervallo.

"Ti stai divertendo, tesoro?" domandò mollie, scostandogli i capelli dalla fronte.

"È molto divertente" confermò Kurt, mettendosi in ginocchio e sporgendosi oltre il bracciolo. "Mamma, il re Topo cattivo deve tornare? Non mi piace tanto".

"Nemmeno a me" disse Mollie, alzandosi in piedi e porgendogli la mano. "Forza, piccolo, pausa bagno. Torniamo subito, Burt".

"Certo, certo" disse lui, stirando le gambe. "Mi troverete qua".

Li guardò allontanarsi, Kurt che saltellava a ritmo con i tacchi di Mollie, e sospirò. Seppur di malavoglia, doveva ammetterlo: suo figlio, il suo maschietto, adorava alla follia quel balletto femminile.

Se avesse avuto una bambina, probabilmente sarebbe stato diverso: sarebbe stata piccola e delicata, con gli occhi azzurri di sua madre e lunghi capelli morbidi, magari tenuti legati con un fiocco o qualcosa del genere. Il sabato mattina l’avrebbe portata a lezione di danza, avrebbe filmato tutti i suoi spettacoli e avrebbe riso quando avesse sparso le sue Barbie su tutto il pavimento de salotto.

E una volta che fosse cresciuta e fosse diventata una bella ragazza come sua madre, avrebbe tenuto a distanza i ragazzi del vicinato con un fucile e un cipiglio da padre protettivo finché non fosse riuscita a trovare un bravo ragazzo. Infine l’avrebbe scortata all’altare, si sarebbe seduto in prima fila in chiesa e si sarebbe commosso guardando la sua bambina sposarsi.

Invece… Questo.

A Kurt non piacevano gli sport o sporcarsi o correre in giro gridando e agitando modellini giocando alla guerra: non era un bambino normale.

A Kurt piacevano la pace e la quiete e aiutare sua madre in cucina e giocare a vestirsi e cantare mentre muoveva le dita sui tavoli come se stesse suonando il piano. Gli piaceva essere preso in braccio, abbracciato e baciato e piangeva di rado.

Si appoggiò allo schienale, passandosi una mano sulla fronte: sua moglie aveva ragione. Non era una questione di lui che tentava di cambiare Kurt o lo incoraggiava a fare le cose che pensava dovesse fare un bambino: Kurt era semplicemente… Kurt, il suo bambino.

Certo, probabilmente suo figlio non avrebbe mai segnato un touchdown vincente o guardato le maratone di Monster Garage con lui. Probabilmente Kurt avrebbe sempre preferito ascoltare musical con sua madre piuttosto che Bruce Springsteen con suo padre. E probabilmente non avrebbe mai avuto la possibilità di commuoversi guardando in prima fila suo figlio sposarsi con una dolce e bella ragazza o tenere tra le braccia un nipotino.

Ma forse sarebbe andata bene lo stesso.

In quel momento vide Kurt corrergli incontro. "Papà, hanno le scarpe!".

"Che scarpe?".

Mollie era subito dietro il figlio e mentre si riprendeva posto, spiegò: "Nell’atrio vendono scarpette da punta firmate dalle ballerine".

"Da punta che?".

"Le scarpe che le ballerine indossano per stare in equilibrio sulle dita dei piedi" spiegò Mollie.

"Le voglio!" disse Kurt.

La madre gli lisciò i capelli. "Chissà, KK, magari Babbo Natale te ne porterà un paio" mormorò mentre le luci si abbassavano. "Adesso siediti, tesoro, ricomincerà presto".

Burt si schiarì la gola. "Vuoi sederti sulle mie ginocchia, piccolo?".

Kurt si illuminò a quella proposta. "Certo!" gridò, arrampicandosi subito sulle ginocchia del padre.

Mentre il sipario si alzava di nuovo, Burt se lo sistemò meglio in grembo: Kurt si sedette tranquillo mentre lo spettacolo ricominciava. In tutta onestà, Burt non presto molta attenzione al balletto: non teneva in braccio il figlio a parecchio tempo ed era bello sentirsi così vicino a lui. Non aveva realizzato quando Kurt fosse cresciuto, sembrava ieri che lui e Mollie l’avevano portato a casa dall’ospedale.

Lo strinse un po’ di più contro il petto: affascinato, Kurt non distoglieva nemmeno per un secondo i grandi occhi azzurri dai ballerini che volteggiavano sul palco.

Erano a circa metà del secondo atto quando fu colpito da un’idea: normalmente non era il tipo da agire senza riflettere, ma sentiva che quello era un buon momento per essere impulsivi.

Sollevò Kurt e lo passò a Mollie, che lo prese in automatico, sorpresa.

"Torno subito" le sussurrò. Lei annuì, mentre Kurt si accoccolava contro la sua spalla.

Burt si infilò le mani in tasca mentre camminava verso l’atrio: era piuttosto tranquillo lì fuori, giusto un paio di maschere e una madre che cercava di calmare un bambino agitato. Il banco dei souvenir si trovava sul lato sud, reclamizzando magliette, programmi lucidi e decorazioni natalizie. Indugiò un attimo prima di piazzarsi davanti all’addetta alla casa. "Uh, ehm, salve. Avete ancora qualcuna di quelle, ehm, scarpe da punta o come si chiamano?".

"Quelle firmate dalle ballerine, intende?" domandò con allegria la giovane addetta. Si chinò sotto il tavolo e tirò fuori un paio di scarpette da punta satinate rosa. "Ne è rimasto un paio, firmato dalla ragazza che interpreta la Fata Confetto".

"Sicuro" ribatté lui a disagio: avrebbe avuto più possibilità di capire qualcosa se la ragazza avesse parlato arabo. "Sì, le prendo".

Tirò fuori il denaro e la ragazza infilò le scarpette in una borsa. "Sono per sua figlia?".

"No, per mio figlio. Grazie mille".

Non gli sfuggì lo sguardo confuso che gli lanciò mentre si allontanava con le scarpe in mano. Meglio farci l’abitudine: mi sa che accadrà spesso.

Quando tornò dalla sua famiglia, Kurt era ancora accoccolato in grembo a Mollie, ma si stava chiaramente appisolando: il bambino giaceva contro il suo petto, gli occhi semi chiusi. Burt sogghignò: poteva essere sicuro che Kurt era stanco dalla vista delle sue dita in bocca. Altri bambini si succhiavano il pollice, ma non Kurt: Kurt, sempre il solito anticonformista, aveva sempre succhiato il medio e l’anulare della mano sinistra quando cercava di addormentarsi.

Mollie si allungò verso di lui mentre riprendeva il suo posto. "Dove sei stato?".

"Ho solo fatto due passi" le sussurrò Burt, nascondendo la busta sotto il sedile. "Kurt si sta stancando?".

Lei annuì, stringendosi il bambino al petto: con un braccio gli aveva circondato la vita mentre con l’altra mano gli accarezzava i capelli lontano dalla fronte. Burt le strinse gentilmente il ginocchio e lei pose la sua mano sopra la sua.

Lo spettacolo si concluse con una trionfale danza finale, una calata di sipario davvero molto lunga e troppi rumorosi applausi. Kurt scivolò già dal grembo di Mollie per la standing ovation finale, togliendosi le dita di bocca e applaudendo come i grandi.

"Ti è piaciuto, tesoro?" gli domandò Mollie, prendendogli il cappotto quando le luci si riaccesero.

Lui annuì con energia mentre lottava con le maniche. "Possiamo guardarlo di nuovo?".

"No, dolcezza" sorrise lei, cominciando ad allacciargli i bottoni. "È tempo di andare a casa: è già passata l’ora della nanna".

Burt si schiarì la gola. "Ehi, ragazzino" disse, sedendosi di nuovo e facendogli un cenno mentre Kurt si girava dalla sua parte. "Ho qualcosa per te: un regalo di natale anticipato".

"Che cos’è, papà?" domandò Kurt avvicinandosi.

"Aprila" disse Kurt, passandogli la borsa da sotto il suo sedile.

Mollie stava alle spalle del bambino mentre lui apriva la borsa e ne tirava fuori le scarpette rosa. "Oh, papà!" esclamò. "Papà, papà, sono bellissime".

"No, Burt, non l’hai fatto" sussurrò Mollie.

"Erano le ultime rimaste" spiegò Burt. "Ho preso quelle giuste, figliolo?".

Gli occhi di Kurt erano diventati grandi e rotondi, le sue mani erano a malapena grandi quanto bastava per tenere le scarpette. "Le adoro, papà" annunciò con aria solenne.

"Bene" sospirò Burt, arruffandogli i capelli e ridendo quando il bambino si accigliò. "Pronto per andare a casa e poi a letto?".

"Uh, uh. Ho sonno".

L’uomo riprese le scarpe e le rimise nella borsa. "Allora mettiti i guanti, così possiamo andare".

Kurt allungò le braccia verso la madre, aprendo e chiudendo le mano. "Mamma, mi porti tu, per favore?".

"Certo, tesoro" disse lei, sollevandolo e sistemandoselo contro l’anca. Kurt le circondò il collo con le braccia.

"Non ho parcheggiato molto lontano" disse Burt, scortando la moglie fuori dal teatro con un braccio intorno alle spalle. Fuori era perfino più freddo di quando erano arrivati e lui accese il riscaldamento appena raggiunsero la macchina.

"Mamma, ho freddo".

"Lo so, lo so" mormorò Mollie mentre lo sistemava sul seggiolino, per poi dargli un bacio sulla fronte. "Saremo presto al calduccio".

Kurt lottò per mettersi seduto dritto. "Le scarpe? Posso tenere le mie scarpe?"

"Sicuro" disse Burt, passandogliele. Kurt litigò con la borsa finché non riuscì a tirarle fuori di nuovo, dopodichè se le strinse al petto. "Pronti per andare?".

"Ah-ah" sbadigliò Mollie mentre si sistemava sul sedile del passeggero. "Oh, sono proprio stanca".

"Saremo a casa presto" la rassicurò Burt. Cominciò a trafficare con le stazioni radio mentre usciva dal parcheggio, cercandone una che trasmettesse canzoni natalizie, ma quando riuscì finalmente a trovarla, sia sua moglie che suo figlio erano nel mondo dei sogni. Sorrise tra sé.

Erano le undici passate quando Burt si fermò nel loro viale e spense il motore. "Siamo a casa, tesoro" sussurrò a Mollie, dandole un leggero bacio sulla guancia.

"Cosa?" borbottò lei, cominciando a risvegliarsi.

"Siamo a casa" le ripeté il marito, scostandole un ricciolo fuggiasco dal volto. "Vai dentro, prendo io Kurt".

"Sicuro?" domandò Mollie. "Posso metterlo io a letto".

"No, no, ci penso io. Vai avanti: ti chiamo quando è pronto per il bacio della buonanotte".

Lei sorrise, ancora mezza addormentata, e si diresse verso la casa mentre Burt apriva la portiera posteriore. Kurt era profondamente addormentato nel suo seggiolino, la testa un po’ ciondolante e le scarpette da ballo ancora stretta al petto. Burt armeggiò un po’ con la cintura e poi mise le mani sotto le braccia di Kurt per sollevarlo. Il bambino gemette al movimento e per l’improvvisa esposizione all’aria fredda; Burt si assicurò di tenerlo stretto prima di portarlo in casa.

"Va tutto bene, ragazzino" gli sussurrò all’orecchio. "Va tutto bene: papà ti tiene".

Mollie aveva già accesso luci e riscaldamento, così Burt dovette fermarsi solo per chiudere la porta a chiave prima di portare Kurt al piano posteriore nella sua cameretta. Poteva sentire la moglie mormorare tra sé in fondo al corridoio.

Accese la luce e posò Kurt nel suo letto, mentre Mollie sporgeva la testa nella stanza: aveva già indossato una camicia da notte color lavanda e la vestaglia. "Sta ancora dormendo?".

"Non più" le rispose mestamente Burt mentre Kurt faceva una smorfia e cominciava lamentarsi per le luci e le voci.

Mollie si precipitò al suo fianco, sedendosi sul bordo del letto. "Oh, piccolo, è tutto a posto" lo rassicurò, accarezzandogli la fronte e dandogli un bacio sulla guancia. "È tutto a posto, non piangere".

Gli tolse di mano le scarpette per posarle sul comodino.

"Mie" piagnucolò Kurt. "Mie, mamma, mie".

"Sono proprio qui, accanto alla tua lampada, tesoro" gli sussurrò lei. "Burt, mi puoi prendere un pigiama? Sono nel cassettone".

"Certo". Dovette frugare un po’ nel primo cassetto, ma alla fine trovò un completo da passare alla moglie.

Mollie cominciò a sfilare i guanti e la sciarpa di Kurt e li mise da parte. "Gli piace il suo regalo".

Burt rimase in piedi ai piedi del letto di Kurt mentre Mollie gli sbottonava il cappotto. "Lo speravo. Forse mi redimerò per il pallone da football che gli ho comprato per il suo ultimo compleanno".

Mollie slacciò le scarpe di Kurt e le passò al marito che andò a metterle nell’armadio mentre lei slacciava la cravatta del bambino. "Dovresti comprargli, non so, un pony o qualcosa del genere per farti perdonare quella delusione: sapevi quanto desiderasse quella bambola".

"Già, beh… Immagino che avrei dovuto ascoltarlo" ammise Burt.

Mollie lo guardò da sopra la sua spalla, le labbra tese in un dolce sorriso, mentre slacciava le bretelle di Kurt. "Beh, non credevo che l’avresti mai detto".

"Ho pensato molto a quello che hai detto prima" confessò ancora Burt, nascondendo le mani in tasca.

"E?".

"E, per quanto detesti ammetterlo, hai ragione" continuò l’uomo sorridendo al suo assonnato bambino. "Non importa… cosa gli piace. O chi ama: è nostro figlio, mio figlio, non posso semplicemente voltargli le spalle o cercare di farlo diventare quello che io voglio che sia".

Mollie aveva nel frattempo sfilato i pantaloni di Kurt. "Sono contenta" disse piano, facendogli indossare i pantaloni del pigiama. "Davvero, davvero contenta".

"Non sarà facile, Mollie".

"Lo so" assentì lei, passando le dita tra i capelli del bambino. "Ma noi gli vogliamo bene e questo è quello che conta" aggiunse, prendendo la maglia del pigiama. "Tesoro, vuoi sederti per un secondo?".

Gli mise una mano sulla schiena per aiutarlo a prendere una posizione seduta: Kurt si accasciò in avanti, sbadigliando a piena bocca mentre la madre gli passava la maglia sopra la testa e gli infilava le braccia nelle maniche. "Ecco, tesoro. Pronto per la nanna?".

"Sonno, mamma" si lamentò.

"Lo so, lo so. Di’ buonanotte a papà, vuoi?".

Kurt allungò le mani verso Burt che lo prese tra le braccia. "Buona notte, ragazzino" disse, la voce improvvisamente incrinata mentre gli dava un bacio sulla guancia. "Ti voglio bene".

"’Notte, papà" sbadigliò il bambino.

Burt lo fece sdraiare mentre Mollie tirava indietro le coperte. Kurt si raggomitolò appena la testa toccò il cuscino; Mollie prese la sua copertina blu e gliela sistemò nell’incavo del braccio destro mentre si infilava le dita della mano sinistra in bocca e si accoccolava nel letto.

"Sogni d’oro, KK" gli augurò con un sorriso. "Sogna della Fata Confetto".

"Non il brutto topo cattivo" mormorò Kurt.

"No, piccolo, non il brutto topo cattivo. Ora dormi" disse Mollie rimboccandogli le coperte e dandogli un bacio sul naso.

Kurt chiuse subito gli occhi mente Burt spegneva la lampada accanto al letto. Mollie si diresse subito verso la camera matrimoniale, ma lui indugiò ancora qualche istante, osservano il figlioletto ancora per qualche minuto ancora prima di accendere la luce notturna e chiudere la porta.

*******

Burt controllò l’orologio e passò in rassegna l’atrio: non era da Kurt essere in ritardo, ma forse era colpa dell traffico o qualcosa del genere. Aveva già la mano sul telefono e stava mentalmente dibattendo con sé stesso se dovesse chiamarlo o meno quando sentì qualcuno dire il suo nome.

Alzò lo sguardo per vedere il figlio venirgli incontro attraverso l’atrio, un brillante e immenso sorriso stampato in faccia. "Ciao, papà" lo salutò allegramente, abbracciandolo.

"Ehi, ragazzo, sei pronto? Ho preso i biglietti".

"Sono sempre pronto" rispose Kurt battendo le mani. "Posti in balconata, vero?".

"Certamente" disse Burt dandogliene uno. "Dov’è Blaine?".

"Sta parcheggiando, ma dovrebbe essere qui presto" disse Kurt guardando alle sue spalle. "Oh, visto?".

Blaine aveva appena varcato le doppie porte e si stava guardando intorno per individuarli. "Eccovi qua".

"Ehi, Blaine" lo salutò Burt porgendogli la mano. "È un piacere vederti".

"Il piacere è mio, signore" ribatté Blaine in tono educato stringendogli la mano.

"Te l’ho già detto Blaine, non è necessario che mi chiami "signore": sei praticamente di famiglia, ormai" lo riprese Burt, dandogli una pacca sulla spalla. Fu premiato da una coppia di ampi sorrisi.

"Faremo meglio a muoverci" esclamò Kurt aggrappandosi al braccio di Blaine. "Non vogliamo perderci l’introduzione".

"Ovviamente no" sorrise Blaine, dandogli un bacio leggero sulla guancia. "Meglio andare prima che tu esploda per l’eccitazione".

"Non sto per esplodere" protestò Kurt mentre Blaine ghignava e lo stringeva dolcemente.

Burt rimase dietro, camminando sulla scia del figlio e del suo ragazzo, sorridendo tra sé. Mollie sarebbe orgogliosa, pensò. Di entrambi.

 

Note dell’autrice

Non so nemmeno da dove mi sia venuta l’idea di questa cosa: era tipo "grrr, Someday You Will Be Loved mi sta frustrando terribilmente e Knife Going In è un tale tripudio di angst… grr mutter grr mutterwhiiiine, non posso scrivere qualcosa di dolce e adorabile con un tenero baby!Kurt?".

Percio, per favore, apprezzate l’altro tasso di baby Kurt presente: le mie ovaie stanno soffrendo in questo momento.

Mi diverte tantissimo scrivere di Mollie: so che tecnicamente è un OC, ma comunque è divertente scrivere di personaggio così dolce e eccitabile. Ed è sicuramente divertente scrivere di qualcuno che può accendere il fuoco sotto al sedere di Burt. In più, ho cercato di inserire qualche trattò di Kurt nella sua personalità, spero di aver avuto successo.

Ancora, qualcuno a notato i brevi cammeo di baby!Blaine e baby!Quinn? Perché c’erano anche loro.

Oh, mio dio, ho assoluta necessità di scrivere qualcosa che includa baby!Blaine e baby!Kurt che si incontrano all’asilo o simili: non raggiungerebbe livelli ridicoli di tenerezza? Probabilmente ci sarebbe un’esplosione di ovaie collettiva!

Note della traduttrice

(*) Nell’originale, Kurt usa l’aggettivo "pretty" e Burt gli risponde con "handsome", che è un aggettivo normalmente riferito agli uomini.

Sono una pessima persona: so che a voi non potrà importare nulla, ma io avrei dovuto fare tutt’altro invece di tradurre questa storia (leggasi, scrivere qualcosa per un contest che in teoria sta scadendo in questi giorni!). Ma siccome l’ispirazione sta sotto i tacchi, la voglia di spremermi il cervello ancora più sotto e sentivo abbastanza in colpa per aver interrotto le traduzioni già dopo una sola storia, eccoci qua.

Sono solo io a volere un baby!Kurt da spupazzare in questo momento? Ditemi di no, potrei cominciare a preoccuparmi. Mollie è chiaramente un OC di Caitlin, nonché personaggio ricorrente nelle sue storie, perciò spero che vi sia piaciuta perché sicuramente comparirà ancora in futuro.

Un’altra cosa, nell’originale, tanto qui quanto nell’altre storie di Caitlin, Burt il più delle volte si riferisce a Kurt chiamandolo "kiddo", che sarebbe una forma colloquiale di "kid", bambino: non sapendo come meglio renderlo, l’ho tradotto con ragazzo/ragazzino a seconda dei casi, anche se la scelta non mi soddisfa completamente. Dannati americani e la loro mania di chiamarsi in tutti i modi possibili tranne che usando i nomi propri!

Quanto al titolo, sugarplum è il nome inglese della Fata Confetto: ho cercato una traduzione italiana, ma non ho pensato a nulla che mi piacesse, perciò ho preferito lasciare l’originale.

Spero che vi sia piaciuta, a presto!

  
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