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Autore: cabol    28/02/2011    2 recensioni
Il salvataggio di una fanciulla in difficoltà scaraventa due viandanti nel cuore di un sanguinoso mistero.
Perché terrificanti ululati si levano dai boschi?
Perché sono scomparse alcune persone?
Cosa sparge il terrore in una tranquilla campagna?
Quale perversa oscurità sta avvolgendo la rocca di Luna Splendente?
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 1: passeggiata in campagna

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Uno splendido sole illuminava la campagna, già sbocciata nei colori d’una brillante primavera. Profumi e suoni dolcemente sereni riempivano la fresca luce e la tranquillità delle colline verdeggianti. Un falco volteggiava, altissimo e maestoso, nell’azzurro limpido del cielo, dove vagavano rare, soffici, nuvole bianche. Pigre volute di fumo si alzavano dai pochi villaggi che sorgevano sui poggi circostanti e dal maestoso torrione che dominava la collina. Il mare splendeva placido in lontananza, ricevendo, oltre le possenti mura d’una città turrita, le acque argentee del fiume che scorreva giù, a valle.

La tranquilla regione circostante l’antico porto di Elosbrand[1] pareva una fanciulla vestita a festa, lieta e opulenta, appena affacciatasi allo splendore della gioventù.

Due giovani cavalieri percorrevano al piccolo trotto il dolce pendio che scendeva verso la strada serpeggiante in fondo alla valle, ammirando lo spettacolo che la natura offriva ai loro sensi, riempiendo di meravigliosa serenità i loro cuori. Procedevano affiancati, scambiandosi ogni tanto qualche parola, sorridenti e rilassati.

Alle loro selle erano appesi archi da caccia e carnieri scarsamente forniti. Evidentemente erano usciti dalla città col pretesto di una battuta di caccia ma non parevano essersi impegnati troppo. Il più basso dei due rallentò l’andatura, apparentemente assorto nella contemplazione della natura.

«Guarda che splendore, Robert! È un vero peccato tornare in città in una giornata così bella!».

Era un giovane sui vent’anni, dai lineamenti aristocratici e attraenti, con profondi occhi verdi e lunghi capelli neri che gli scendevano quasi fin sulle spalle. Emanava un’aura di gioventù gioiosa e spensierata, che contrastava stranamente con lo sguardo, maturo e consapevole come quello di chi aveva vissuto a lungo e a lungo sofferto.

Vestiva una camicia di seta bianca sulla quale portava un’elegante guarnacca[2] corta con maniche ampie, di velluto nero, chiusa sul davanti da splendidi bottoni d’argento, calzoni di lino nero, infilati in stivali in pelle dello stesso colore. Non portava speroni, come usavano quegli abitanti di Ainamar che avevano sviluppato abbastanza empatia con gli animali da non dover ricorrere a sistemi brutali per farsi obbedire. Il capo era coperto da un cappello elegante, a larghe tese, ornato da una splendida piuma rossa. Un mantello nero era arrotolato dietro la sella, per proteggersi dai rigori della notte ancora non abbastanza intiepidita dalla primavera incipiente. Dalla cintura pendevano uno stocco dall’elsa riccamente ornata e una scarsella di cuoio. Montava un palomino snello dalla criniera argentata, i cui colori chiari contrastavano gradevolmente con quelli scuri del cavaliere.

L’altro gli si avvicinò sorridendo. Era un giovane alto e magro, suppergiù della medesima età del suo compagno, dai lineamenti severi, con occhi scurissimi e vivaci, testimoni di un’intelligenza curiosa e brillante. Il naso aquilino conferiva al volto un aspetto aristocratico e volitivo. I capelli castani erano tagliati corti, a caschetto, come usava fra i paggi e i servitori delle case aristocratiche.

Portava una casacca marrone, chiusa sul davanti da lacci in cuoio e ornata da borchie metalliche, calze-brache[3] verdi e stivali di cuoio. Sul capo un elegante tocco[4] di velluto, con le falde alzate.

Si guardò intorno, mettendo al passo il cavallo, uno splendido stallone pezzato, in modo di adeguarlo all’andatura del giovane gentiluomo. Indicò il nastro argenteo del fiume.

«Se il signore lo desidera, invece di scendere verso il ponte, possiamo risalire l’Elos[5] per qualche miglio, guadarlo e tornare in città a sera».

«Non è una cattiva idea … oppure potremmo …».

Un grido disperato irruppe nell’incanto. Dal versante opposto del colle, una voce di donna, intrisa di terrore, invocava un soccorso che, forse, non credeva più di poter ricevere. Un rombo sordo di zoccoli al galoppo accompagnava le sue grida singhiozzanti.

«Qualcuno è in pericolo! Andiamo Robert!».

Il gentiluomo non esitò. Voltato il cavallo, salì verso il crinale. In pochi istanti vi giunse. Comprese subito cosa stava accadendo.

Una splendida giumenta nera correva nella sua direzione, una decina di metri più in basso, lanciata in un forsennato galoppo. Una donna si sorreggeva a stento in sella, abbracciando il collo poderoso della cavalcatura.

«Un cavallo imbizzarrito! Presto! Aiutiamo quella poveretta!».

Robert in un istante si rese conto della situazione, piantò gli sproni nei fianchi del suo cavallo, spingendolo al galoppo e raggiungendo il gentiluomo, dietro la giumenta imbizzarrita.

«Cercate di affiancarla, signore! Io farò lo stesso dall’altra parte!».

I due cavalli parevano volare sull’erba soffice. I cavalieri li incitavano a correre sempre di più. Intercettarono l’animale in fuga. Si allargarono per portarsi ai suoi fianchi. La giovane donna li guardava in preda al terrore. A un tratto perse la presa sul collo della giumenta e si piegò pericolosamente su un lato. Urlava, vedendosi ormai perduta.

«Io penso alla ragazza! Robert, cerca di afferrare le redini di quella bestia!».

Il giovane gentiluomo si sporse arditamente di sella. Fece appena in tempo ad afferrare la vita della donna. Ancora un istante e sarebbe caduta dalla giumenta. Contemporaneamente, il pezzato di Robert era riuscito a superare la cavalla. Il suo cavaliere riuscì a prendere le briglie dell’animale imbizzarrito e cominciò a corrergli accanto. Un attimo dopo, la ragazza era fra le braccia del giovane, fissandolo con ancora il terrore nello sguardo.

«State tranquilla, è tutto finito».

Gli occhi azzurri della donna si fissarono per un attimo in quelli del suo salvatore, guardandolo senza vederlo. Aprì la bocca, come per urlare, ma nessun suono uscì dalle sue labbra. Nel volto terreo, le pupille, ancora dilatate, rotearono e la ragazza si accasciò esanime.

Nel frattempo, Robert era riuscito a controllare la giumenta, costringendo il suo galoppo forsennato a descrivere cerchi sempre più stretti, fino a rallentarla.

«Portami del vino, Robert. Questa poverina è svenuta».

Il giovane lasciò andare le redini della giumenta ancora agitata, fermò il suo cavallo e scese di sella. Frugò nelle sacche finché trovò la fiasca del vino e una coppa. Nel frattempo, il gentiluomo aveva spiegato sul prato il mantello, sul quale aveva poi adagiato la ragazza, ancora svenuta. La osservò attentamente poi, tranquillizzato dal suo respiro regolare, si alzò, guardandosi intorno. La giumenta si era fermata poco lontano. La sua folle corsa l’aveva lasciata coperta di schiuma e, ogni tanto, si produceva in uno scarto nervoso ma sempre senza allontanarsi troppo. In quel momento Robert arrivò con la fiasca del vino.

«Puoi occuparti di questa ragazza? Vorrei esaminare da vicino quell’animale».

«Certo, signore! Cielo, che bella figliola!».

«Prenditene cura ma … non esagerare, d’accordo?».

Il gentiluomo sorrise ammiccando, poi si diresse verso la giumenta, che appariva ormai quieta e stanca. Aveva grande esperienza di animali per aver trascorso molto tempo nelle foreste e nelle terre selvagge di Ainamar[6], dunque si avvicinò lentamente ma senza esitazioni, cercando di tranquillizzarla. Giunto accanto alla cavalla, cominciò ad accarezzarle il collo con delicatezza e a sussurrarle parole dolci in una lingua musicale che la povera bestia ascoltava attentamente, sempre più tranquilla. Il giovane percepiva chiaramente lo spavento dell’animale, dunque continuò la sua dolce cantilena che, lentamente, sciolse il freddo terrore che ancora attanagliava la giumenta.

Slacciò il sottopancia e sollevò la sella, posandola sull’erba, lì vicino. Poi, cominciò a esaminare il dorso dell’animale, ormai tranquillo. Non tardò a notare una macchia scura al centro della gualdrappa, proprio sotto a dov’era la sella. Osservò da vicino la macchia e si rese conto che era costituita da sangue e frammenti vegetali. Delicatamente rimosse la coperta e, con un fazzoletto di seta, ripulì la lesione, sempre continuando ad accarezzare la cavalla e a parlarle con voce ipnotica. Dalla ferita estrasse alcuni filamenti, quasi certamente anche questi di origine vegetale. Li esaminò con cura, poi si occupò della sella e la voltò, controllandola accuratamente. Anche lì, trovò dei frammenti vegetali conficcati nel cuoio con aculei affilati. Un ramoscello spinoso, forse un rovo, posto fra sella e groppiera.

Guardò la cavalla, poi si voltò verso la giovane e vide che stava riprendendo i sensi sotto lo sguardo attento di Robert. Lentamente la raggiunse, rivolgendosi a lei con un sorriso tranquillizzante.

Era una fanciulla di insolita bellezza, dall’incarnato pallido, gli occhi azzurri e i capelli color del miele disposti in una lunga treccia. La sua struttura era esile ma le forme già evidenti e sinuose dimostravano come fosse ormai uscita dall’adolescenza. Vestiva una semplice gamurra[7] di fustagno azzurro, poco adatta a cavalcare, dalla quale spuntava un paio di stivali di taglia evidentemente esagerata per quella leggiadra creatura. Pareva che fosse partita in fretta, senza avere il tempo di equipaggiarsi adeguatamente.

«Tutto bene, madamigella?».

I grandi occhi azzurri si fissarono sul gentiluomo, un’ombra di sorriso aleggiò sulle labbra ancora livide della ragazza.

«Mi avete salvato la vita, signore». Per un attimo, l’enormità del rischio corso fece dilatare ancora le sue pupille, facendo temere ai due giovani un nuovo svenimento ma subito, la ragazza parve riprendersi.

«Non avremmo mai potuto lasciare tanto spavento in due occhi così belli. Abbiamo fatto solo il nostro dovere. Sono sir Raoul Velmont di Lumbar, in visita per qualche giorno a Elosbrand e questo giovane è Robert, il mio impareggiabile maggiordomo».

Robert guardò incuriosito il suo padrone. Pareva volergli chiedere qualcosa ma non aprì bocca e si dedicò ad apparecchiare sul prato e mescere del vino in un boccale.

«Bevete, madamigella, vi aiuterà a riprendervi».

La fanciulla sorrise a Robert e prese il boccale. Bevve educatamente un paio di sorsi e le sue gote cominciarono a riprendere colore. I suoi occhi azzurri scrutarono attentamente i due uomini che l’avevano salvata.

«Vi devo la vita, signore. È un giorno in cui sono protetta da Sergaries[8], evidentemente. Chissà cos’è accaduto a Morella. È sempre stata una cavalla tanto placida!».

Sir Raoul si sedette sorridendo di fronte alla fanciulla. Nei suoi occhi espressivi era comparsa una luce preoccupata.

«La vostra giumenta ha una piaga sul dorso, proprio sotto la sella. Il vostro peso, seppure lieve, l’ha lentamente riaperta provocandole dolore e facendola imbizzarrire».

I grandi occhi azzurri si spalancarono pieni di sorpresa.

«Ma l’ho montata anche ieri e non c’era alcuna piaga! L’ho dissellata personalmente!».

Robert si sedette accanto alla ragazza, con fare protettivo. Lanciò uno sguardo preoccupato a sir Raoul, che rispose con un cenno affermativo del capo, e si rivolse nuovamente alla giovane.

«L’avete sellata voi, oggi?».

«No … Dama Lavinia mi aveva inviata al villaggio per comprare della tela al mercato, aveva fretta perché dovevamo prepararle un vestito nuovo per la festa … il cavallo era già sellato … dovrebbe essere stato Jack, lo stalliere». La voce della ragazza era diventata più incerta, venata di ansia. Il giovane maggiordomo intervenne, cercando di dare alla propria voce il tono più tranquillo che poteva.

«E questo Jack che tipo è?».

«Oh, è un bonaccione, bravo e tranquillo ma … non proprio furbo, mi capite?». La ragazza guardava i due uomini cercando di sorridere ma avvertiva evidentemente la loro preoccupazione. Robert le si rivolse con forse un po’ troppa ansia nella voce.

«Siete in buoni rapporti con questo Jack?». La ragazza trattenne a stento un sorriso. Evidentemente i sospetti di Robert le dovevano parere assurdi.

«Ma certamente! Poverino, è quasi impossibile essere in cattivi rapporti con lui … Oh! Mi rendo conto di non essermi ancora presentata. Sono Lucy Thornbow, ancella di dama Lavinia Thibersmenil, della rocca di Luna Splendente».

Sir Raoul sorrise e chinò il capo. Trovava divertenti quelle maniere forbite in una ragazza che avrebbe dovuto essere una contadinotta.

«Onorato di conoscervi madamigella, siete di un’educazione impeccabile. La rocca di Luna Splendente è per caso quel magnifico torrione che domina questa vallata?»

«Sì, sir Velmont, ed il villaggio è quello che vedete laggiù, ai piedi della collina».

Il gentiluomo osservò il profilo della collina, seguendolo dalla vetta fino alle mura del piccolo villaggio situato presso le pendici. Notò che, a metà strada, quasi in perfetto allineamento fra la rocca e il villaggio, si ergeva un castelletto, circondato da un bosco di cipressi.

«E quel piccolo castello? Dipende dalla rocca?».

«Oh, no! È la villa dei cipressi neri, di proprietà di Sir Mordred Galehaut, il fratello di dama Lavinia».

« È dama Lavinia che governa la rocca e il villaggio?».

«Oh, no … è, o almeno dovrebbe essere, sir Ernest Thibersmenil, suo marito». Una nota di malinconia comparve nella voce della giovane ancella.

«Perché dite dovrebbe essere?».

«Purtroppo sir Ernest non sta molto bene in salute … si occupa di tutto sir Mordred. Sir Ernest si fida completamente di lui. Quanto al villaggio di Brightmoon, non è più sotto il controllo della rocca, come ai tempi delle sacerdotesse». Parlava con voce lontana, come seguendo un proprio pensiero.

«Scusate?». Sir Raoul pareva molto incuriosito. La ragazza si riscosse e arrossì.

«Perdonatemi, dimenticavo che non siete di questi paraggi. La rocca di Luna Splendente è stata governata per secoli da una stirpe di sacerdotesse di Sergaries, fino a poco meno di diciotto anni fa, quando morì l’ultima sacerdotessa, senza lasciare eredi, a parte sir Ernest, ovviamente».

«Ora che me lo dite, credo di averne sentito parlare a Elosbrand. Dunque, la vostra signora non è una sacerdotessa … ».

«Oh, no, no davvero». La fanciulla si lasciò sfuggire un sorriso divertito. «Non è assolutamente il tipo … e dubito anche che sia devota di Sergaries». Spalancò gli occhi con espressione allarmata. «Cioè … non fraintendetemi … la signora è una vera dama ma non una sacerdotessa, ecco tutto».

Il gentiluomo scoppiò a ridere.

«Non preoccupatevi, miss Lucy, sono certo che non ci fosse alcuna malizia nelle vostre parole. Piuttosto, se permettete, vi riporteremo alla rocca. La vostra giumenta non è affatto in grado di essere montata». Il giovane gentiluomo si alzò in piedi, pronto ad accompagnare la ragazza. Un’espressione preoccupata comparve nei grandi occhi di Lucy Thornbow.

«Oh, no, sir Raoul! Devo assolutamente andare al villaggio a comprare la stoffa o dama Lavinia s’infurierà».

«In questo caso, Robert ed io vi accompagneremo al villaggio e poi alla rocca. Non potreste mai compiere questa commissione a piedi e noi non potremmo perdonarci di avervi abbandonata in un simile frangente».

La ragazza arrossì, gli occhi le brillavano di gioia.

«Io … non so come ringraziarvi … due gentiluomini che si disturbano così tanto per me …».

«Il vostro sorriso è una ricompensa sufficiente per entrambi, non datevi pensiero. Piuttosto, se volete, possiamo avviarci al villaggio».

Rimontarono in sella, la ragazza dietro a Robert e la giumenta legata per le redini alla sella di Sir Raoul, e si diressero verso la direzione indicata dalla giovane che, ormai, aveva ripreso il suo colore naturale, apparendo ancora più graziosa. Per tutto il tempo, Lucy Thornbow illustrò ai suoi salvatori quei paraggi che dimostrò di conoscere assai bene.

La giovane ancella si esprimeva con una proprietà di linguaggio rara in una ragazza della sua condizione, stimolando la curiosità di Sir Raoul che non seppe trattenersi dal chiederle come avesse ricevuto un’educazione così raffinata.

«Oh, grazie sir Velmont. Vedete, alcuni anni or sono, una sacerdotessa di Sergaries è venuta a stare nel villaggio, per continuare l’ufficio delle sacerdotesse della Rocca. Si chiamava Keira Perthil. Chiese a sir Ernest di poter riaprire il tempio della fortezza, ma erano necessari dei lavori per la sicurezza e lei rimase al villaggio per ben quattro anni. In quel periodo, mio padre mi concesse di frequentarla per ottenere un’istruzione adeguata, lui è sempre stato convinto che le persone istruite hanno la possibilità di vivere meglio».

«Dunque c’è un tempio di Sergaries alla rocca?».

«Sì, signore, la rocca è stata edificata intorno al tempio … Si dice che, finché il tempio ci sarà, la rocca sarà inespugnabile. In effetti, pare che nessuno sia mai riuscito a invadere queste terre».

Sir Raoul lasciò vagare lo sguardo sulle colline, dopo qualche istante si rivolse nuovamente alla ragazza.

«Se non ricordo male, queste zone erano infestate da gnoll[9], secoli fa. Immagino che la rocca, il castello e il villaggio facessero parte di una linea difensiva contro le scorrerie di quei predoni».

«Lo ignoro, sinceramente. Non sono molto esperta di questioni militari e la storia mi annoia un po’ … ma mio padre lo saprà certamente … e anche sir Mordred, ovviamente».

«Bene, lo chiederò a vostro padre, allora. E … la sacerdotessa è sempre al villaggio?».

La ragazza guardò tristemente il gentiluomo.

«No, sir Velmont. Dama Keira non è più al villaggio, purtroppo. Una sera, circa un anno fa, è partita e nessuno l’ha più rivista». C’era molta preoccupazione nella sua voce. Sir Raoul fermò il cavallo per voltarsi verso la giovane ancella.

«Senza dire nulla a nessuno?». C’era stupore nel suo sguardo.

«Dicono che si fosse sdegnata per il prolungarsi dei lavori che rimandavano continuamente la riapertura del tempio, ma trovo strano che non mi abbia detto nulla. In fondo ero la sua discepola».

Il gentiluomo rimase un attimo in silenzio, meditando su quelle parole, poi riportò i suoi occhi profondi sulla giovane, non senza aver scambiato uno sguardo allarmato con gli occhi intelligenti di Robert.

«Sembra assai strano anche a me. Siete certa che non si sia confidata con nessuno, prima di partire?».

«No, signore. Ho paura che le sia capitato qualcosa di brutto, invece … c’è chi parla di lupi giganteschi che si aggirano di notte nei boschi qui vicino. Sono giorni tristi per queste terre». Una nota angosciosa si era insinuata nella voce della giovane ancella. Robert si guardò attorno con aria nervosa. La mano, involontariamente, si era stretta intorno all’elsa della corta spada che gli pendeva dal fianco.

«Lupi? Questa mi giunge davvero nuova!».

«Avete ragione ma … molti pastori si sono visti devastare le greggi da un lupo enorme. Un cacciatore giura di aver visto un lupo grande come un cavallo e, da allora, non vuole più tornare nei boschi».

«Credete che ci sia qualcosa di vero in queste dicerie?». Lo scetticismo traspariva evidente dalla voce del gentiluomo. I suoi occhi profondi vagavano sulla placida campagna circostante.

«Non so cosa dirvi … Mio padre dice che sono tutte sciocchezze, e così sir Mordred ma, di sicuro, avrei molta paura a trovarmi di notte fuori dalla rocca o dal villaggio». Involontariamente si strinse più forte alla vita di Robert che non seppe trattenere un sorriso. Il gentiluomo lanciò uno sguardo divertito al maggiordomo che arrossì violentemente. Dopo una breve pausa, sir Raoul si rivolse nuovamente all’ancella.

«Vi risulta sia scomparsa altra gente, negli ultimi tempi?».

«Purtroppo sì. Alcuni pastori e un paio di … stranieri … immigrati … povera gente che non aveva mai fatto male a nessuno».

«Profughi dal sud, immagino». Un’ombra di tristezza comparve negli occhi del gentiluomo. Da molti anni le popolazioni di alcuni paesi sconvolti da guerre civili ed interminabili faide avevano cercato rifugio nelle più tranquille terre di Jesdar[10] e della Repubblica di Elos.

«Sì. Credetemi è veramente brava gente. Qui tanti hanno dei pregiudizi ma quei poveretti chiedono solo di essere lasciati in pace».

Gli occhi profondi del giovane vagarono persi nella campagna circostante, così assurdamente tranquilla nonostante celasse tante storie drammatiche e misteri inquietanti.

«Strano … che strana storia, quella di questi luoghi …».

 

[1] Grande città portuale sulla costa orientale di Ainamar, capitale della Repubblica di Elos

[2] Sopravveste ampia adatta alle stagioni intermedie

[3] Tipico indumento maschile medievale, spesso in colori differenti nelle due gambe

[4] Cappello cilindrico con falde per coprire le orecchie

[5] Fiume che bagna Elosbrand sul quale si affaccia il grande porto della città

[6] La grande isola dove sono ambientate la maggior parte di questi racconti

[7] Veste femminile semplice, lunga fino alle caviglie, in genere chiusa con lacci

[8] Dea della salute e della guarigione, sempre in lotta contro Enghwir il dio delle malattie, spesso rappresentata come pioggia benefica e identificata col disco lunare.

[9] Razza di umanoidi, simili a iene antropomorfe. In media, gli gnoll sono alti oltre due metri e pesano più o meno un quintale e mezzo. La loro pelliccia è in genere grigio-rossastra o giallo sporco

[10] Antico stato teocratico, devoto a Mirpas, dio della Sapienza, ora un protettorato della Repubblica di Elos

  
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