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Autore: Ofelia di Danimarca    28/02/2011    2 recensioni
Due persone, due mondi lontani un abisso...ma, forse, lo stesso sguardo disincantato verso il mondo...e una strana pressante voglia di far parte della vita dell'altro. Claudio Rizzo e Monica Morucci
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A me delle donne non è mai fregato un cazzo”.
Claudio aprì il borsone sportivo alla ricerca della sua polo pulita.
Ada, la domestica, che gli aveva preparato la borsa anche quel giorno, gliene metteva sempre una stirata di fresco, da indossare finiti gli allenamenti di scherma.
Gli tornarono alla mente le parole che suo zio gli ripeteva fino alla noia, ogni volta che poteva: “TU sei un cavallo di razza…e i cavalli di razza si riconoscono perché girano sempre impeccabili…mai un pelo fuori posto… impeccabili”.
Mentre apriva la busta e ne estraeva una Fred Perry perfettamente piegata, un sorriso amaro gli comparve sul viso.
“A me delle donne non è mai fregato un cazzo”.
Quel pensiero gli era ben chiaro nella testa.
Si infilò la polo con un movimento fluido, e si passò una mano tra i capelli ancora umidi, con gesto automatico.
 
Già, le donne.
Buffo, si disse. Nella sua vita le donne non avevano mai costituito un problema.
Non erano mai state per lui un cruccio, a differenza di altri.
E non perché ce ne avesse in abbondanza, o meglio, non tanto per quello.
Il vero punto era che non aveva mai sentito l’urgenza di porsi il problema delle donne.
Se c’erano o non c’erano, per lui non aveva mai significato granchè.
Certo- questo lo ammetteva candidamente- gli era sempre piaciuto poter dire di essere un tipo dalla conquista facile. Gli era sempre piaciuto il fatto che, non appena avvertisse la voglia di rimorchiare una ragazza, bastava un minimo sforzo e il risultato, obbediente, arrivava, placando le sue smanie di conquista.
Quanto poi alla motivazione che ci poteva stare dietro, non aveva mai importato molto- colmare la solitudine di una serata, fare un dispetto a qualcuno di poco gradito, smania di vincere una scommessa…i motivi erano vari. E quasi mai rilevanti.
 
- Bell’allenamento oggi, Claudio - gli disse un suo compagno di scherma, in procinto di uscire dallo spogliatoio, borsone in spalla – Mi sei piaciuto. Grande energia.
Claudio gli lanciò un gesto d’intesa, senza fiatare, e quello sparì dietro la porta uscendo dalla stanza.
 
Una volta uscito anche lui, mentre saliva sulla sua Mini color panna con cerchi in lega che ancora rilucevano, ripensò all’energia- quell’energia in più che quella sera anche il suo partner d’allenamento aveva notato.
“Non è un caso. Io so da dove è arrivata quest’energia”
Lo sapeva; era un concetto che gli era molto chiaro in testa.
Gli era chiaro quasi quanto quell’altro concetto- quello che, a detta dei suoi ex compagni di classe, era la caratteristica fondamentale del “maestro” Rizzo, il menefreghismo nei confronti delle donne.
 
Inserì le chiavi e avvertì il rumore rombante del motore della Mini, ascoltando quel suono con un certo rabbioso piacere.
- Vaffanculo – disse ad alta voce, quasi come se dovesse parlare a un altro sè stesso.
Mise la prima e iniziò il percorso di ritorno verso casa, come faceva ogni venerdì sera. Solo che quel venerdì sera era diverso.
Le vie di Roma gli sfrecciavano ai fianchi luminose, calde, ospitali. Ma di quell’ospitalità Claudio non recepiva niente.
Qualcosa pungolava la sua mente.
Qualcosa monopolizzava la sua attenzione, qualcosa gli premeva sul petto.
“A me delle donne non è mai fregato un cazzo… ma oggi non riesco a fare altro che pensare ad una donna”.
 
 
 
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- Quattro margherite, una vegetariana e una mari e monti!
Non ne posso più.
Sono arrivata al punto di odiare la pizza…il profumo di pizza soprattutto….una volta lo adoravo. Specie da piccola,quando era per me sinonimo di serata alternativa a casa, con mamma che per almeno un giorno alla settimana non doveva cucinare e ci si metteva allegre sul divano, davanti alla televisione con i cartoni delle pizze in mano…ma quei tempi,ormai, sono finiti.
- A' Monica! Sveglia!! E che stai imbambolata?
La voce di Giulio, il pizzaiolo, mi scuote dal mio torpore, e mi ricorda che ho tre birre da portare a un tavolo…e a giudicare dall'occhiataccia che mi rivolge, lo devo fare anche con una certa urgenza.
- Ma che facevate qui quando non c'ero io a lavorarci in sto posto??? Riuscivate a campare? - dico, con tono volutamente ironico, e sento Giulio farsi una risatina mentre mi carico le birre una a una sul vassoio.
Stasera il locale è pieno, e c'è il delirio.
 
Ripenso al mio libro, abbandonato sul letto ancora aperto…l'ho quasi finito, mi mancano sì e no una quarantina di pagine…"Orgoglio e pregiudizio"….per un attimo, mi chiedo cosa avrebbe fatto una donna come Elizabeth Bennet  se si fosse trovata nella mia stessa situazione… in una classe di esaltati figli di papà con la puzza sotto al naso, quale era la mia, e costretta persino a sorbirsi ogni santo giorno le prediche buoniste di un insegnante fin troppo idealista…e decisamente troppo invadente…
 
- Ciao Monica! Che fai? Tutto a posto?
Mi volto di scatto non credendo bene alle mie orecchie. E' Cook.
- Secondo te che sto facendo?
Lui però non sembra cogliere, e continua imperterrito.
- Cazzo, sono appena arrivato e già mi hanno affibbiato tre consegne…uff…senti,quando ti liberi, sarebbe carino se magari ci andassimo a prendere una birra in Piazza del Popolo, che ne dici?O qui vicino, che ne so…così, per dire…
Lo vedo mentre sposta il peso del corpo da un piede all'altro, freneticamente. Cos'ha, l'ha morso una tarantola? E' quasi buffo.
Mi viene da sorridere involontariamente.
- Dai…tanto ti liberi qui no? Voglio dire, tra un'oretta, mica subito…
- Ma non vedi che casino! E poi no, sono stanca….finito qui me ne vado a casa, che devo pure finire il tema per Cicerino…
Lui se ne rimane lì imbambolato, a guardarmi mentre sparecchio un tavolo. Il suo sguardo interrogativo non promette nulla di buono.
- Quale tema? Ah già, il tema, cazzo,il tema - e inizia a battersi pugni in fronte - ma perché c'ho una memoria così penosa, perché perché perché…
E' senza speranze. Cook lo conosco da poco, ma a volte più che un diciottenne, mi sembra di avere di fronte un ragazzino di tredici anni.
Vive su una nuvola, è completamente sfasato.
Però, non posso non ammettere che a volte mi fa sorridere. E qualche volta pure ridere.
- Vabbè va, ora meglio che vai a fare 'ste consegne, se no tu perdi il lavoro, e io perdo la faccia - lo guardo negli occhi sperando che recepisca il messaggio - ti ricordo che ho garantito io per te qui….quindi…
Fa un cenno d'assenso volutamente esagerato.
- Capito, vado!
- Bravo Cook.
Lo vedo allontanarsi e afferrare casco e giacca, mentre Giulio lo istruisce sulle vie dove fare le consegne.
Speriamo che non si perda per l'ennesima volta, penso.
- Oh ci vediamo domani, eh, Monica!
Gli faccio un cenno di saluto.
 
E' pazzesco- mi ritrovo a pensare- tra tutti quelli della IIIA, lui è l'unico che mi abbia dato una chance. Una possibilità. Sì, ok, mi ha parlato perché aveva bisogno di un lavoro….gli serviva una mano… però non si è fatto problemi ad avvicinarsi e chiedermela. Si è buttato.
Mi soffermo un attimo su questo punto, mentre aspetto che una famiglia si decida a scegliere una pizza a caso dalle 4 fitte pagine di menu.
Tra tutti, proprio Cook era stato l'unico ad avvicinarsi un minimo a me. Era riuscito- mi chiedevo ancora come- ad andare oltre la mia apparenza di persona stronza e menefreghista….se ne era fregato pure del parere degli altri, e si era lanciato…
- Dunque, per me una….una diavola.
Riflettendoci un attimo, non era cosa da poco.
Un altro sorriso mi compare dal nulla sul viso, e la signora a cui sto prendendo l'ordinazione inizia a guardarmi strano. Non che fosse una cosa cui non ero abituata.
- Signorina, per favore, mi cambia le posate che la bambina me le ha fatte cadere in terra?
Eseguo, obbediente. Dall'altra parte della pizzeria scorgo qualcuno che si sbraccia per attirare la mia attenzione.
 
Ma io ripenso allo sguardo della signora- quello sguardo di diffidenza e perplessità che così spesso, mio malgrado, ispiravo nelle persone. Era uno sguardo che ormai non mi turbava per nulla. Non sortiva alcun effetto in me, ne ero diventata, come dire, immune.
No- mi dico.
E' un altro il tipo di sguardo che mi mette a disagio. Non so come definirlo esattamente. Finchè si tratta di circospezione, di disapprovazione-non me ne frega niente. Ma uno sguardo di interesse, di sincera curiosità…quello no, non lo reggo.
Non so come gestirlo, come affrontarlo, non riesco a mai a capire come devo reagire…
Mi dirigo al tavolo dal quale prima avevano cercato di chiamarmi.
 
Quel dannato sguardo d’ interesse…per fortuna mi viene rivolto raramente.
Negli ultimi tempi, quasi mai. Sì, ci sono gli sguardi curiosi di Cook…ma quelli sono innocui. Facili da gestire.
Ultimamente, invece, c'è una persona che ogni volta che mi capita di incontrarla o anche solo incrociarla, mi rivolge quel maledetto sguardo.
Quegli occhi indagatori,così fissi e decisi, che ogni volta che me li sento addosso quasi  mi sembra di essere  passata involontariamente a raggi x.
Lo sguardo di Claudio Rizzo.
 
 
   
 
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