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Autore: Nakara86    28/02/2011    0 recensioni
Storia partecipante al Phantom of the Opera Contest, indetto da GiulyRedRose e Kenjina
Erik, il famigerato Fantasma dell'Opera, non è più ricercato e dopo quasi un anno dall'incendio del teatro è tornato a vivere nei suoi sotterranei. La sua quiete però, non durerà a lungo perchè la sua vita verrà scombussolata dall'arrivo di un angelo e dal fantasma del suo eterno amore: Christine, ormai Viscontessa, intrappolata in un infelice matrimonio con il suo principe azzurro Raoul. I destini dei personaggi si intrecceranno inaspettatamente, uniti da un omicidio del passato che ha toccato, in modi diversi, le vite di tutti loro.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12 - Due labbra della stessa ferita.

L'aria fredda della notte le intorpidiva il viso mentre correva a perdifiato verso quella musica angelica.
“Erik!” sussurrò correndo verso la figura, le si accovacciò accanto e le tolse il cappuccio.
“Erik!” ripeté mentre i suoi occhi incontravano un altro paio di occhi che non appartenevano a lui.
Christine ritrasse le mani e si maledisse per essere stata tanto ingenua. “Tu non sei Erik…” disse delusa.


La Viscontessa sgranò gli occhi col fiato corto, come se quella corsa l'avesse fatta sul serio. Rimase immobile a fissare l'oscurità che le premeva sugli occhi.
“Christine, tutto bene?” le chiese Raoul accortosi del salto che la ragazza aveva fatto.
“Si, tutto bene... era solo un brutto sogno.”
Raoul non disse niente, le diede un bacio e disse:
“Sono qui io con te, non temere.”
Christine si strinse a suo marito e si chiese che legame potesse avere la musicista dagli occhi di miele con la famiglia DeChagny.

Raoul era già nel suo ufficio quando sentì i passi di Christine passare davanti alla porta.
Quel giorno attendeva la visita dei due sicari che avrebbero dovuto portargli la testa della ragazza bionda.

Dopo aver fatto colazione, Christine si vestì e bussò allo studio di suo marito decisa a chiedergli che legame quella ragazza avesse con la famiglia di visconti.
“Avanti.” fu la risposta che ricevette dopo aver bussato.
“Ti disturbo?” chiese la ragazza affacciandosi all'interno dell'ufficio.
“No amore, entra pure.”
“Raoul, sai le foto che sono sul camino?” chiese lei andando dritta al punto.
“Si, certo.”
“La ragazza che vi è raffigurata... ricorda la giovane musicista che mi ha salvato.”
“Dici?” chiese Raoul.
“Non lo so, è un'impressione. Magari mi sbaglio.”
“Di sicuro ti starai sbagliando amore, come può una giovane mendicante avere delle foto in una casa come questa?” chiese l'uomo osservando paziente sua moglie.
“Eppure...” sospirò la ragazza.
“Mia Piccola Lotte, sei stanca e provata dal cambiamento. Magari è solo suggestione e nostalgia della nostra casa.” concluse Raoul.
“Si, forse hai ragione tu.” Ma sapeva di essere lei ad avere ragione. Sarebbe venuta a capo di quella faccenda, ma per farlo aveva bisogno dell'aiuto di qualcuno.
“Anche oggi andrò da Maman, così mi distraggo un po'.”
“Come preferisci amore.” e detto questo la congedò con un bacio.

“Past the Point of no return...”

Ophèlie stava leggendo avidamente quella che sembrava la stesura di un'opera. Sulla copertina c'era scritto “Don Giovanni Trionfante”.
Era arrivata al momento in cui Aminta, la protagonista, raggiungeva il suo Don Giovanni all'inferno per potervi stare in eterno con lui, non consapevole della sua condanna.
Non sentì i passi di Erik avvicinarsi ma si accorse della sua presenza quando le strappò di mano l'opera.
Alcuni fogli le tagliarono le dita e lei gemette per il dolore ma molto più per la sorpresa.
“Cosa stavate facendo?” tuonò Erik; gli occhi normalmente limpidi e bellissimi sembravano un cielo in tempesta.
“Leggevo...” disse la giovane col fiato corto per lo spavento.
“Chi vi ha dato il permesso di farlo?” urlò ancora.
“Nessuno! Era appoggiato al tavolino ed io mi sono incuriosita leggendo il titolo? È un reato?” disse lei combattiva. Non aveva paura di lui... non più.
“Non avreste dovuto farlo!”
“... e c'è una ragione per cui non avrei dovuto?” chiese ancora ringhiando contro l'uomo.
“Questo genere di cose non vanno bene per una giovane donna!” disse Erik quasi sbattendole in faccia la stesura.
La giovane rimase interdetta ed Erik rimise di nuovo i fogli sul tavolino, tentando di nascondere il soggetto il meglio possibile. Non gli piacevano le ragioni che l'avevano spinto a scrivere quell'opera, ma non aveva avuto il coraggio di liberarsene... dopotutto era la sua prima creazione.
“Ma è bellissima!” esclamò la giovane.
A quelle parole Erik si voltò e la guardò, stupito.
“Lo pensate sul serio?”chiese guardingo.
“Certo! È così... così... oh è stupenda!” disse la ragazza incapace di trovare aggettivi migliori per definire le mille emozioni che quella lettura aveva risvegliato in lei.
L'uomo si sentì quasi morire. Quella ragazza sembrava la donna ideale, perfetta per lui, e lo amava. Ma lui non sapeva se anche il sentimento che provava per lei si potesse definire amore. Sapeva di esserne attratto istintivamente, ma il suo piccolo angelo viveva ancora nel suo cuore ed era tornato da lui... baciandolo come non mai.
Ophèlie vide che l'uomo si era di nuovo perso nei suoi pensieri, così prese un frutto dalla cesta ed uscì al freddo, sedendosi sul gradino d'entrata al mondo nascosto di Erik. Quando morse la mela che aveva in mano, la sua mente corse alla sera prima, a quel bacio, a quelle emozioni, a quello che lui le aveva detto. Cos'era significato tutto quello? Come mai la trattava ancora come una perfetta sconosciuta?
“Perché tu sei una sconosciuta per lui.” si rispose da sola ascoltando la sua razionalità.
Era vero, lei per lui non era nessuno... eppure quel bacio...
Poi delle voci la distrassero dai suoi pensieri. Erano concitate e provenivano proprio dal vicolo di Rue Scribe. Si affacciò verso la strada e curiosa, cercò di capire chi facesse tutto quel baccano.
“Come facciamo? Non sappiamo dove sia! Se torniamo a mani vuote quello ci uccide!” disse una voce maschile.
“Quella cagna dal pelo biondo non può essere scomparsa! Era anche ferita!” disse un uomo dalla voce ruvida e roca.
“Sono passati diversi giorni da quando l'abbiamo trovata a suonare a quell'angolo! Può essere ovunque!”
“Se trovo quel bastardo che l'ha portata via giuro che lo uccido!”
Ophèlie sgranò gli occhi e spaventata si nascose dietro la tenda che proteggeva il mondo di Erik e rimase in ascolto.
“Quel pazzo? Non ci riusciresti! Hai visto come ci ha conciato!”
La giovane sentì le gambe venirle meno e si adagiò al muro, pregando che non la trovassero. Avrebbe riconosciuto le voci che popolavano i suoi peggiori incubi tra mille. Gli uomini che volevano ucciderla erano lì! Non riusciva a muoversi, rimase puntellata al muro mentre le voci dei due si mescolavano in un discorso che le era impossibile seguire.
“Ophèlie!” La voce di Erik la fece sobbalzare e lei lo guardò col panico negli occhi sperando che non alzasse la voce come era solito fare.
“Cos'è successo?” le chiese sottovoce lui scollandole le spalle. Aveva capito che qualcosa non andava.
“Loro... gli uomini...”
“Loro chi?” chiese Erik sempre più preoccupato.
“Loro Erik!” disse la giovane incapace di spiegarsi meglio.
“Loro chi?” chiese ancora cercando di mantenere la calma, ma non gli era mai riuscito così difficile.
“I sicari! - sussurrò la donna - i sicari sono qui fuori... mi stanno cercando... mi uccideranno!” disse la donna aggrappandosi alla camicia dell'uomo.
Il panico nei sussurri spezzettati della giovane era chiaro ed Erik la strinse a sé per tentare di calmarla ed evitare che la sua voce, ridotta ad un acuto, potesse palesare la sua presenza.

“Facciamo così, adesso andiamo dal damerino e gli diciamo che non l'abbiamo trovata. Vediamo come reagisce... poi, tu lascia fare a me.” disse la voce del secondo uomo, quello che aveva osato toccare Ophèlie come nessuna donna meriterebbe di essere toccata.
Sentì la bile salirgli in gola così come la tentazione di uscire da lì ed ucciderlo con le sue mani, ma la forza con cui Ophèlie lo stringeva disperatamente a se', gli fece capire che il suo posto era lì... per il momento.

“Ciao Meg!” esclamò Christine vedendo la sorella uscire di corsa da casa sua.
“Oh! Ciao Christine! - esclamò la ragazza. - Come mai sei qui?”
“Passavo a trovare Maman, ho bisogno del suo aiuto.”
Meg sorrise. “Sarà felice di aiutarti. Io devo andare....” disse lei e sparì dietro l'angolo della casa.
“Maman?” chiese lei.
“Christine! Bambina mia! Come mai sei qui?”
“Ho bisogno del tuo aiuto.” e le mostrò la foto di una ragazza bionda, che aveva un'aria familiare anche per Eloise.
“Chi è?” chiese la donna notando che la giovane ritratta assomigliava molto, forse troppo, ad Ophèlie.
“Non lo so. Mi ricorda molto una ragazza che tempo fa mi ha salvato dal congelamento. Una giovane bellissima.” disse Christine.
“E cosa ci fai con questa foto?” chiese Eloise, ormai sicura che quello sguardo e quegli occhi non potessero essere altri se non quelli della giovane ospite di Erik.
“Dopo che la nostra casa è stata bombardata, io e Raoul ci siamo trasferiti in quella casa di proprietà di suo padre...”
“Si, me l'hai detto...”
“Bene, è stato lì che ho trovato questa foto, ma secondo Raoul è tutto frutto della mia fantasia.”
“Scusa se te lo dico bambina mia, ma Raoul non è famoso per il suo intelletto...” disse la donna cercando di alleggerire un po' la conversazione che si stava spostando su territori pericolosi.
“È vero! - ammise sorridendo Christine - ma tu Maman, che dici?”
“Non ho mai conosciuto la ragazza che ti ha salvato la vita, e questo volto penso di non averlo mai visto in vita mia.” Ed ancora una volta doveva mentire per Erik. Christine non doveva sapere che era stato suo marito a cacciarla.
“Io sono sicura che questa ragazza e quella che mi ha salvato siano la stessa persona, ma non capisco quale rapporto ci possa essere con la famiglia di Raoul.”
“Hai provato a chiederglielo?”
“Ha detto che non l'ha mai vista e che non gli sembra nemmeno la stessa ragazza...”
“Magari è vero... anche se...”
“Anche se?”
“È una strana coincidenza. Se tu sei sicura di averla già vista fidati, l'istinto non sbaglia mai.”
“Posso assicurati Maman che il mio ha sbagliato tutto... pensavo di aver fatto le scelte giuste, invece...”
“Quando facciamo delle scelte, purtroppo ci prendiamo anche tutte le responsabilità del caso.”
“Lo so...”
“Facciamo così, ti accompagno a casa così magari insieme riusciamo a venire a capo di questa faccenda va bene?”
“Grazie Maman...” la giovane sorrise all'indirizzo della donna e poco dopo, uscirono.
Madame Giry sperò che Christine non sentisse il lavoro febbrile delle sue meningi. Lei aveva capito tutto, ed aveva anche capito cosa ci facessero le foto di Ophèlie in casa DeChagny. Quella doveva essere la casa di Ophèlie, prima che il padre di Raoul uccidesse quello della giovane obbligandola alla vita in strada. Probabilmente Christine sperava che la rendesse partecipe di quel semplice ragionamento, ma la donna preferì non dirle niente. Christine non sapeva nulla della storia, mentre lei aveva molti elementi in più per avere un quadro completo della situazione... e dopotutto, era meglio che sua figlia non si sentisse troppo incuriosita da Ophèlie. Sapeva che se si fosse addentrata troppo in quella storia, sarebbe risalita ad Erik ed avrebbe cercato di riunirsi a lui, ma lui non aveva bisogno di quello... non adesso che Ophèlie era entrata nella sua vita, sconvolgendola... ne era certa.

“Meg!” esclamò Raoul quando vide il volto della giovane davanti a lui.
“Raoul, ti disturbo?” chiese la donna ma dal modo in cui lo guardava sembrava che la cosa non le interessasse. Entrò nell'ufficio del Visconte e lo attese vicino alla scrivania.
“Prego, entra pure...” disse lui sorridendo, ma la ragazza non stava sorridendo.
“Cos'è successo?” chiese lui chiudendosi la porta alle spalle e muovendosi verso la donna.
“Sono incinta...” disse lapidaria la donna.
Raoul fece finta di non aver capito anche se sapeva che Meg non avrebbe avuto ragione di dirgli che era incinta se la cosa non avesse toccato anche lui.
“Oh ma Meg! È stupendo!” disse lui tentando di abbracciarla, ma la donna resistette.
“È figlio tuo Raoul.”
A quelle parole Raoul non seppe rispondere ma Meg esplose in un urlo allegro e lo abbracciò.
“È fantastico non è vero?” chiese lei guardandolo negli occhi.
“Si... fantastico.” ma il suo tono non era affatto allegro.
“Cos'hai Raoul?” chiese ancora lei.
“Niente, niente... è … stupendo.”
Meg lo strinse ancora poi lo fissò diventando seria.
“Come facciamo?”
“A fare cosa?”
“Con Christine! Non puoi lasciarmi da sola! Ci rimetto la reputazione!” attaccò risoluta.
“Ed io pure! Sono un Visconte te ne sei dimenticata?”
“Cosa stai cercando di dirmi?” disse la donna diventando rossa in volto, aveva capito cosa lui stesse cercando di fare.
“Che la situazione è un po' complicata... e che...”
“E cosa? Vuoi lasciarmi sola con tuo figlio?” disse la ragazza alzando la voce.
“Vedi una strada migliore?” chiese questa volta serio Raoul.
“Si! Abbandona Christine, dì a tutti che in realtà non volevi sposarla! Ammetti una volta per tutte che l'hai sposata solo per pietà e per salvarla! Il matrimonio non sarà più valido se dirai che non l'hai fatto con convinzione!”
“E poi cosa faccio? Dovrò mantenerla per tutta la vita!”
“Parla con Erik, magari lui ha voglia di riprendersela!” disse la donna.
“Non usare quel tono con me e non parlarmi di Erik! È anche per colpa sua se siamo in questa situazione.”
“No, questa situazione - disse Meg indicandosi la pancia - è solo causa tua! Non c'entra Erik!”
“Non ero da solo quando è successo è chiaro?”
“Raoul, non sei nella posizione giusta per trattare!”
“Nemmeno tu se è per questo!”
A quelle parole Meg indietreggiò verso la porta dell'ufficio e disse “Allora lo dirò io per te!”
Uscì dalla porta dell'ufficio sbattendosela alle spalle.
“No! No Meg! Ti prego!”
Quando Raoul uscì la trovò immobile davanti alla porta che lo stava osservando con gli occhio iniettati di sangue.
“Sei un vigliacco! Lo sei sempre stato!” urlò Meg.
“Non urlare!”
“Vergognati! Abbietto e miserabile! Ti disprezzo! Ti disprezzo! Avevi detto di amarmi, avevi detto che avresti fatto di tutto pur di stare con me!” urlò la donna mentre usciva dalla porta d'ingresso.
Quando fu fuori Raoul le prese la braccia.
“Meg aspetta!”
“No! - disse lei liberandosi dalla stretta dell'uomo - ho aspettato fin troppo! Se tu non sei in grado di farlo, lo farò io per te!”
“Non osare!” urlò Raoul.
“Ti rovinerò! Fosse l'ultima cosa che faccio ma ti rovinerò!” urlò la ragazza, più forte dei bombardamenti che colpivano la città.
Non si rese conto che un cavallo stava correndo proprio verso la sua direzione.
“Meg! Attenta!” urlò Raoul, troppo tardi.
Meg si voltò ma non fece in tempo a muoversi che il cavallo la travolse, la schiacciò sotto gli zoccoli e la uccise.

Christine e Madame Giry osservarono attonite la scena che si era presentata loro subito dopo aver voltato l'angolo della casa. Meg era stata schiacciata dal peso del cavallo e Raoul era immobile ad osservarla.
“Meg! Meg!” Madame Giry urlò di dolore quando capì che non c'era più niente da fare per sua figlia e si abbandonò ad un pianto liberatore, versando le lacrime che in tutti quegli anni non le era stato concesso versare. Christine e Raoul osservavano la scena, distrutti.
Quando arrivò il carro per portare via Meg, Madame Giry e Christine lo seguirono, mentre Raoul rientrò in casa per stare da solo con se' stesso e poter sfogare l'enorme dolore che aveva provato vedendo l'unica donna che avesse mai amato uccisa davanti ai suoi occhi. Era colpa sua, era tutta colpa sua! Meg era rimasta incinta per colpa sua, non avevano potuto coronare il loro sogno d'amore per colpa sua ed adesso lei era morta. Si sentì svuotato e spogliato di tutto scoprendo che questa volta, non c'era il Fantasma dell'Opera a fargli da parafulmine per le sue mancanze. Annegò i dispiaceri in troppi bicchieri di Whisky e quando Edgar bussò alla porta per informarlo dell'arrivo di due persone per lui, fu tentato di dire che non aveva tempo per loro. Ma sapeva chi fossero quelle persone. Adesso la morte della ragazza sembrava così inutile, un capriccio che non gli avrebbe riportato indietro la sua Meg.
“Signore...” disse il primo uomo chinandosi ossequiosamente quando Raoul diede loro il permesso di entrare.
“Signori... - rispose Raoul - prego accomodatevi. Posso offrirvi qualcosa?” chiese lui indicando la bottiglia di Whisky mezza vuota.
“No grazie Signore” rispose il più massiccio dei due, la cui voce ruvida e roca suonava come il lamento di un vecchio rospo.
“Avete quello che vi ho richiesto?” chiese Raoul tentando di allontanare il groppo in gola al pensiero di quello che era appena successo. Vide il più magro osservare preoccupato l'altro.
“Signore, siamo spiacenti ma non siamo ancora riusciti a trovarla.” rispose il primo, quello che aveva sempre parlato con Raoul dal momento in cui aveva richiesto loro il lavoro.
“Immaginavo.” fu l'unica risposta che il Visconte diede.
“A quando la prossima convocazione?” chiese sempre il primo.
“A mai più. Grazie ad una serie di episodi la situazione si è sistemata da sola, non avrò più bisogno dei vostri servigi.”
L'uomo lo guardò in cagnesco. Non voleva farli andare via senza risarcirli vero? Per sicurezza strinse la pistola in mano ed attraverso la tasca la puntò vero il Visconte, pronto a fare fuoco nel caso in cui avesse anche solo pensato di non pagare.
“Effettivamente non avete concluso il lavoro...” disse Raoul più a se' stesso che non a loro.
L'uomo allora caricò la pistola.
“Nonostante ciò, ecco qui la ricompensa promessa.” disse Raoul mettendo sul tavolo un pacchetto che aveva tutta l'aria di essere una lauta ricompensa.
“20.000 franchi. Vi ringrazio per il vostro servizio.” concluse il Visconte.
I due uomini rimasero senza parole. 20.000 franchi? Erano molto di più rispetto ai 2.000 previsti e così i due, senza dire altro, si alzarono ed inchinandosi di nuovo uscirono da quella casa.

Doveva andare da lui, aveva bisogno di lui perché solo lui era in grado di consolarla dopo quello che era successo. Vedere il corpo di sua sorella calpestato da un cavallo era stata la cosa peggiore che le fosse mai capitata. Scese di corsa le scale che portavano al nascondiglio di Erik.

Erik era uscito, andando chissà dove e lasciandola ancora sola. La cosa non le dispiacque perché così avrebbe potuto approfittarne per continuare a leggere l'opera che le aveva brutalmente strappato di mano. Si avvicinò al tavolino e cercò la rilegatura del Don Giovanni. Quando la trovò, alcuni fogli
caddero sul pavimento e raccogliendoli sentì qualcosa di pesante finirle tra le mani. Posò i fogli scritti ed osservò ciò che aveva in mano. Sembrava un timbro. Aveva il manico di un legno pregiatissimo, perfettamente levigato, e al fondo, un cerchio di metallo annerito. Lo girò ed osservò per curiosità, quale misterioso sigillo potesse mai trovarsi in casa di Erik. Quasi urlò quando vide cosa quell'oggetto celava: un teschio! Sentì un brivido percorrerle la schiena. Tra le altre storie riguardanti il Fantasma dell'Opera c'erano anche quelle che raccontavano di alcune missive chiuse con della cera modellata a forma di teschio, il suo sigillo. Quel sigillo!
Sentì una morsa allo stomaco e il respiro uscirle dai polmoni ferendoli come lame taglienti.
Incapace di allontanare lo sguardo da quel volto scavato, seguì con la punta del dito la sagoma dello stampo mentre il cuore le si stringeva in un gelido dolore.
Erik... il Fantasma... lacrime dense di amaro le rigarono le guance... no, lui non era un fantasma, lei lo aveva toccato, gli aveva parlato e lui l'aveva accudita. L'aveva aiutata quando avrebbe dovuto lasciarla alla sua sorte e punirla per il furto di quel prezioso violino. Gemendo lasciò cadere il timbro dal lugubre marchio sul pavimento di pietra e si pulì le mani sull'abito come per ripulirsi i palmi dal contatto con l'arma di un delitto:
“Non è possibile" si disse imprimendo a quel pensiero tutta la forza di volontà e tutto il coraggio che stava abbandonando il suo cuore. Cercò di ripetersi che era assurdo, ma l'oggetto che aveva ritrovato era solo la prova dei sospetti che il suo intuito le aveva già sussurrato, quei sospetti che la sua mente aveva formulato ma che il suo cuore aveva nascosto dietro l'amore che aveva scoperto di provare per quello strano uomo.
“Erik!” una voce femminile urlava disperata quel nome. Ophèlie si spaventò e senza pensare agguantò un candelabro pronta a fronteggiare chiunque fosse apparso da quella tenda. Rimase attonita quando riconobbe lo sconvolto sguardo di Christine incrociare di nuovo per errore il suo... di nuovo in cerca di quello di Erik.
“Christine...” sussurrò Ophèlie.
“Chi sei tu?” chiese la ragazza facendo sparire ogni innocenza dal viso.
Le due donne rimasero un po' a fronteggiarsi poi una voce più familiare interruppe il fiume di pensieri di entrambe.
“Christine!” era Erik.
“Erik!” urlò la donna quando lo vide apparire sulla soglia. Abbracciandolo iniziò a piangere.
“Erik! Amore mio! Non sai cos'è successo!”
“Calmati piccolo angelo, calmati, ci sono qui io.” disse lui cercando di consolare la ragazza ma i suoi movimenti erano meccanici, non erano più trasportati da quel atroce quanto stupendo sentimento che lo aveva riempito fino a pochi mesi prima.
Ophèlie appoggiò il candelabro sul tavolino e sentì la bile salirle in gola. Sentire il suo Erik chiamato Amore da un'altra donna la fece imbestialire, ma non disse niente. Dopotutto, chi era lei per avere certe pretese? Lui non aveva più fatto riferimento a quello che era successo solo la sera prima e dopo l'ultima scoperta, si sentiva ancor più confusa ed abbandonata.
Erik sentì il tonfo del candelabro appoggiato con malagrazia sul tavolino di legno delicato e lanciò uno sguardo risentito ad Ophèlie, ma non riuscì più a toglierle gli occhi di dosso finché Christine non parlò.
“Meg! Meg è morta! E Raoul...”
“Non mi dire che finalmente le mie preghiere sono state esaudite!” disse sarcastico Erik. Ophèlie sorrise amaramente a quelle parole.
“Volevi che mia sorella morisse?” chiese Christine spaventata.
“No... no... non importa. È morta? Com'è morta?”
“È stata travolta da un cavallo mentre usciva da casa nostra!! Raoul era lì, ha visto tutto e non ha fatto niente! Non ha mai guardato nemmeno me con quello sguardo! Nemmeno quando mi hai lasciato libera di seguirlo perché pensavo di amarlo! Mai! Mai!!!” disse risentita Christine battendo i pugni sul petto di Erik.
Ophèlie sgranò gli occhi e lui allora, abbracciandola la accompagnò fuori a prendere un po' d'aria e per tentare di calmarla.

Quando i due sparirono, la consapevolezza che Erik era Il Fantasma dell'Opera la schiacciò inesorabilmente, facendola crollare per terra in preda alle convulsioni di un pianto isterico e disperato.
Quando si riprese rubò l'alcolico che Erik aveva usato per curarle la ferita e ne bevve un sorso. Aveva un gusto orribile, ma si sentì subito calmata dal calore che la bevanda aveva diffuso in lei. Rimase per terra, rannicchiata, sperando che quell'incubo finisse. Chiuse gli occhi sicura che una volta riaperti si sarebbe trovata di nuovo al suo angolo, misera e disperata, lontana da quel posto, lontana da Erik... in fuga da un altro incubo.

“Mio piccolo angelo cosa è successo?” disse Erik una volta che i due furono fuori.
“Ti ho detto cosa è successo!” esclamò la giovane.
“Piccola mia stai tranquilla, raccontami di nuovo tutto...”
La ragazza raccontò di come si fosse svegliata quella mattina decisa a chiedere aiuto a Madame Giry per riconoscere la donna che era ritratta in quella foto. Di come sua madre l'avesse convinta a fidarsi del suo istinto, di come fosse morta Meg e di quale delusione fosse stata vedere quello sguardo negli occhi di suo marito.
“Eloise come sta?” le chiese Erik.
“Male, molto male. Ha voluto restare sola, mi ha fatto andare via ed io non sono riuscita a pensare a nessun' altro se non a te.”
“È consolante sapere che ogni tanto ti vengo ancora in mente...” disse Erik, ma lo freddezza di quella espressione non passò inosservata alle orecchie di Christine.
“Cosa vuoi dire?” chiese la ragazza.
“Niente, non voglio dire niente mio piccolo angelo. Non pensavo che un giorno avrei mai potuto stringerti ancora tra le braccia.”
“Avete scoperto chi fosse la donna?” chiese Erik per curiosità.
“No, Maman ha detto di non conoscerla.” disse Christine tirando di nuovo fuori dal mantello la fotografia e porgendola ad Erik. La osservò ancora un momento poi si voltò verso di lui e fece correre un veloce sguardo tra la foto e le scale.
Erik si sentì quasi morire quando riconobbe un' Ophèlie più giovane in quella foto e sperò che Christine non notasse la somiglianza, ma si sbagliava.
“Chi è la ragazza che è in casa tua?” chiese seria Christine.
“Speravo non me lo chiedessi.”
“Invece voglio saperlo.”
“Christine amore mio, non ti farebbe piacere saperlo.”
“Perché?”
“È... è meglio di no.”
“Ecco perché aveva il tuo violino! Tu la conosci!”
“Conoscerla mi sembra un termine un po' esagerato.”
“E perché l'aveva? È la stessa ragazza vero?”
“Si, è la stessa ragazza.”
“Come faceva ad avere il tuo violino con la nostra musica! Come?”
“Me l'ha rubato.”
La ragazza lo guardò con fare interrogativo. Come faceva ad essere sopravvissuta ad un furto a lui?
“Rubato?... ed è ancora viva?” chiese candidamente lei.
Erik sorrise. “So che è strano ma si, è ancora viva. È una storia lunga. L'ho salvata da...” poi si morse la lingua. Christine non doveva sapere.
“Salvata da cosa?”
“Da due sicari.” disse rassegnato Erik.
“Due sicari? Chi mai può volerla morta? Chi li ha mandati? Erik tu sai cose che io non so. Bene, voglio sapere tutto! Tutto!”
“Non ti farebbe piacere saperlo...”
“L'hai già detto.”
“Ti sei chiesta perché?”
“Ti prego! Ti prego Erik, dimmi tutto.”
“Non posso!”
“Erik!” urlò la ragazza e gli tolse la maschera facendolo imbestialire.
“Vuoi sapere la verità? Vuoi la verità? Ebbene eccoti la verità!” urlò lui togliendosi la mano dal volto sfigurato.
“I sicari sono stati mandati dal tuo adorato maritino! - disse caustico - E vuoi sapere perché? Perché Ophèlie, si è questo il suo nome, l'ha visto una sera in un quartiere malfamato di Parigi. Pieno di bordelli, si! Dopo che è stata a casa tua Raoul l'ha minacciata di morte se avesse anche solo osato parlarti! Lei ha avuto paura ed è scappata anche perché il tuo principe azzurro ha usato modi che non si addicono nemmeno al peggiore degli assassini! Quando il ragazzino ha capito che era fuggita le ha messo alle calcagna due animali assetati di sangue e di lussuria che hanno tentato di farle violenza nel modo peggiore che una donna possa immaginare! Io ho visto, l'ho salvata e l'ho tenuta nascosta qui, con me, al sicuro... con Il Fantasma dell'Opera e nessuno si è mai avvicinato. E non uscirà di qui fin quando quei bastardi non saranno innocui, è chiaro?” concluse lui in risposta allo sguardo offeso di Christine. Poi questi mutò e si trasformò in ferito e da ferito a sconvolto perdendosi nel suo.
“Raoul, Raoul ha fatto tutto questo?”
“Mi dispiace Christine io...”
Ma la ragazza non rispose. Gli si buttò tra le braccia e pianse ancora.
“Erik! Fuggiamo insieme, solo io e te. È l'unico modo che abbiamo per essere felici!”

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A me fa piacere che qualcuno legga, ma mi farebbe altrettanto piacere leggere quello che pensate. Grazie.
  
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