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Autore: _Elektra    01/03/2011    2 recensioni
Sofia è in Thailandia, lontana da tutte le sue tradizioni, dai suoi affetti. Non si volta indietro, non vuole pensare al passato ma qualcosa le ricorderà che ad alcuni ricordi non si può sfuggire neppure a novemila kilometri di distanza da casa.
Si perde nelle parole di sant'Agostino: quando si ama, si ama e basta.
La storia ha partecipato al contest Christmas comes for everyone indetto dal Collection of Starlight arrivando seconda.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Klap ma leo


Sofia, sprofondata nella poltroncina marrone che arredava lo Starbucks della sua città, si guardava intorno; dalla sua postazione vicino alla vetrata che rappresentava il confine della caffetteria, poteva vedere l’ingresso del centro commerciale e la lunga coda di bambini davanti all’albero di Natale posto al centro dell’atrio. Sulle sue labbra si increspò un sorriso di malinconia: lei non aveva mai partecipato a quello strano rituale, che sembrava eccitare tutti i cuccioli di uomo, che saltellavano facendo birichinate per attirare l’attenzione del proprio genitore.

A casa sua, a Firenze, i suoi genitori avevano sempre qualcosa di più importante da fare per Natale, e lei aveva sempre dovuto sforzarsi di essere ragionevole: non era proprio possibile scarrozzarla in giro quando il cenone era ancora tutto da preparare, i regali da impacchettare e la casa da pulire fino a farla risplendere. Era sempre stata una bambina ubbidiente, non aveva mai replicato; doveva sicuramente esserci qualche buona ragione se a lei era stato negato il piacere di osservare con occhietti sognanti le lucine del grande albero, che ogni anno il comune allestiva in piazza.

Era rimasta silenziosamente in disparte, covando risentimento e invidia ma anche cercando di smussare le sue sensazioni, nascondendole in un cassetto nascosto all’interno del suo animo più recondito.

Pensava a questo mentre beveva il suo caffè, rigorosamente freddo, con cannella e panna, battendo al computer le ultime correzioni sulla sua tesina di laurea.

Sofia non era più una bambina, aveva ormai ventiquattro anni compiuti e i boccoli chiari della sua infanzia avevano ceduto il posto a una cascata di ricci nerissimi, intonati agli occhi scuri e alla carnagione che mostrava una perenne abbronzatura dorata dovuta al sole tailandese. Era bella, nonostante le lievi imperfezioni del suo corpo e quella cicatrice sul mento, ricordo dei suoi tredici anni, che non aveva mai perso il suo colore più scuro e che sporadicamente turbava la dolcezza delle sue espressioni.

Viveva in Thailandia, più precisamente a Ubon, una città piuttosto grande nell’Esan famosa per la produzione di candele e per la ricchezza della quasi totalità dalla popolazione. Aveva fatto di quel luogo la sua casa appena uscita dal liceo, cinque anni prima, decidendo di frequentare l’università internazionale là, "ai confini del mondo" , come suo padre si era divertito a definire la sua curiosa e originale scelta di destinazione.

Sentiva poco i suoi, lo stretto indispensabile per informarli sull’esito degli esami e per far loro gli auguri per le occasioni più importanti, nonostante da tempo non sentisse più né la necessità né la voglia di partecipare ai festeggiamenti.

Dopo un’infanzia da cattolica praticante, Sofia si poteva definire atea a tutti gli effetti; non che un qualche particolare trauma o evento avesse scatenato la sua ribellione nei confronti di Dio, semplicemente crescendo aveva smesso di avvertire quella costante presenza al suo fianco che avrebbe dovuto proteggerla e amarla. Aveva perso il dono della fede, come le avrebbe ricordato sua nonna se solo fosse stata ancora in vita, stringando tra le mani il suo santino di S. Lucia.

Aveva acquistato quello della consapevolezza di essere sola, alla resa dei conti, in un mondo fin troppo piccolo.

Aveva vissuto Natali sereni, dopo tutto, nella sua infanzia, con tutta la famiglia riunita e decine di regali ad attenderla sotto l’albero in salotto, e nonostante questo aveva abbandonato quella tradizione tanto caratteristica della sua cultura con semplicità e senza rimpianto.

Da quando era salita sul diretto Milano - Bangkok con la sua borsa stretta tra le mani e un visto da studente appena fatto, aveva deciso di lasciarsi tutto alle spalle e aveva iniziato a considerare il 25 Dicembre niente più che un giorno come tutti gli altri.

Il clima caldo thailandese e le tradizione del luogo l’avevano aiutata, nessuno le faceva mai gli auguri laggiù, ad eccezione di qualche amico italiano che si limitava a scriverle le consuete tre parole tradizionali per la Vigilia.

L’unica cosa che non poteva fermare, nonostante si impegnasse ogni anno più del precedente, era il flusso dei ricordi che la invadevano quando la città si riempiva di luci colorate di tutte le forme e dimensioni. Era tradizione, lo capiva bene; nessuno festeggiava il Natale in quel luogo, non nel suo significato cattolico almeno. Tutti erano fedeli alla religione di stato, quella buddista, seppur questo non impedisse loro di illuminare le strade a festa. Da quanto aveva imparato delle usanze tailandesi, era proprio da loro non perdere un’occasione per gioire con il consueto sorriso sulle labbra.

Per quanto lo spettacolo in quei giorni fosse bello da ammirare, la sua mente non poteva fare a meno di correre ai tempi in cui era bambina, vestita di rosso e acconciata come una damina di fine ottocento. Si era anche divertita, pavoneggiandosi come la principessina della feste, prima di sbucciare le scarpine di vernice. Aveva sorriso scartando la bellissima bambola di porcellana ricevuta dai nonni per il suo ottavo Natale ed aveva pianto lacrime amare alla scoperta che non avrebbe potuto giocarci perchè si sarebbe potuta rompere.

Scosse la testa riportando la sua attenzione sul documento Word aperto davanti ai suoi occhi. La tesina, la tesina era ciò che importava adesso, anche se forse… No, l’idea di telefonare a sua madre era da accantonare, sarebbe stata comunque troppo impegnata. Lo era sempre nel periodo natalizio, persino per lei.

Batté ancora qualche parola rendendosi conto che il suono dei tasti, solitamente così rilassante, la stava infastidendo. Terribilmente.

Il giudizio che aveva affibbiato alla madre, quello di essere sempre altrove quando lei avrebbe voluto attenzioni, era sicuramente troppo severo, ma non riusciva a liberarsene.

Non poteva capire, non aveva figli né qualcuno accanto con cui progettare di mettere su famiglia.

Nonostante tutto, dopo cinque anni in cui si era raccontata di voler cercare la compagnia che non aveva avuto, era ancora sola.

Sfilò il cellulare vecchio di anni dalla tasca interna della borsa, lasciata disordinatamente ai suoi piedi, e compose il numero.

Uno squillo, due, tre.

Stava quasi per chiudere la chiamata quando una voce assonnata rispose dall’altra parte del mondo.

- P-pronto?

Solo in quel momento si rese conto dell’ora. Se da lei erano le undici, in Italia arano appena passate le cinque di mattina, date le sei ore di fuso orario. Non era certo il momento giusto per chiamare qualcuno che non si sentiva da mesi.

- Pronto mamma? Sono io. Scusa per l’ora.

La voce della donna, seppure ancora leggermente strascicata, si fece più chiara.

- Cosa succede Sofia? Qualche problema?

Sorrise a quella domanda. Era tipico di sua madre pensare sempre al peggio.

- No, non preoccuparti, è tutto apposto, volevo solo sapere come state e… e augurarvi buon Natale.

Il silenzio che ricevette in risposta le diede modo di riflettere. L’avevano sempre chiamata loro, non si era mai sforzata di alzare la cornetta per sentire cosa succedeva nella sua vecchia esistenza. Decidendo di buttarsi tutto alle spalle, aveva egoisticamente pensato di lasciare indietro anche la sua famiglia. Le persone che non avrebbe mai, mai dovuto rifiutare. Le persone che non avrebbe mai potuto rifiutare.

Prese fiato e parlò di nuovo.

- Mamma… scusami se non mi faccio mai sentire.

Sussurrò appena, lieta che nessuno intorno a lei comprendesse la sua lingua.

La risposta della donna le giunse alle orecchie come una dolce carezza con un tono che profumava del sorriso di chi capisce.

- Tesoro mio, dove c'è amore non c'è bisogno del perdono. Quando ami, ami e basta.

Sofia sorrise.

- Certo mamma. Adesso devo andare, ci vediamo presto.

Aspettò la risposta piuttosto sorpresa della madre, poi premette il tasto rosso che metteva fine alla chiamata e prese a radunare le sue cose.

Nelle sue parole aveva rivisto esattamente il senso che aveva avuto una volta per lei il Natale, nonostante le piccole negazioni e i desideri non realizzati. Nonostante il tempo che non era mai abbastanza.

Quando ami, ami e basta.

Aveva smesso di vedere le cose con quell’ottica, così come aveva smesso di parlare d’amore.

Si morse le labbra nervosamente, come usava fare quando era prossima a prendere una decisione importante, poi ripose il telefono nella tasca interna da cui lo aveva tirato fuori e lasciò sul tavolino i soldi del conto, uscendo dal negozio incurante del caffè ancora mezzo pieno abbandonato al suo posto.

Aveva qualcosa di più importante a cui pensare, doveva prenotare un biglietto aereo.

Doveva tornare a casa per Natale.

 

 

 

Angolo dell'autrice.

In questa storia c'è poco di me. Sofia non mi rappresenta, da un certo punto di vista neppure la comprendo fino in fondo però mi appartiene in quanto io l'ho creata. I luoghi descritti sono tutti realmente esistiti, in Thailandia, non a Ubon ma a Bangkok, io li ho frequentati più o meno assiduamente e a loro ho legato dei ricordi. Ora che la mia esperienza qua sta terminando so che mi mancheranno.

Dedico questa storia a me stessa, al mio periodo in Thailandia come studentessa all'estero. Vi sarei davvero tanto  grata se mi deste la vostra opinione.

Elektra alias Silvia.
   
 
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