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Autore: Yammi    02/03/2011    7 recensioni
E' la prima cosa che pubblico su questo sito, probabilmente nessuno la leggerà. Non sarà brillante o asente da errori grammaticali ma spero sia di vostro gusto.
Parla di una ragazza, Sophitia, ritrovatasi a crollare emotivamente dopo un giorno come un altro.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina non si sarebbe voluta alzare. Il letto caldo era così invitante e le lezioni di quella giornata erano disastrose. Non aveva studiato, come suo solito,
e si malediva di essere andata al letto tardi la sera prima. Si alzò di scatto rendendosi conto che era in ritardo, indossò gli stessi vestiti di ieri ed uscì, senza
nemmeno fare colazione. Sophitia era così, frettolosa ma allo stesso tempo metodica. Maledisse, oltre a se stessa, anche quel giorno. Aveva un compito di inglese e
non era affatto pronta. Non era brava nelle lingue straniere, anche se l'inglese le piaceva, le regole non le entravano in testa.
Sospirò, penetrata dall'aria gelida del mattino, dirigendosi correndo verso scuola.
Non le piaceva la scuola. Lei era un anima libera, non era fatta per stare seduta tra quattro mura. A lei non importava dei 3 e dei 4, lei voleva viaggiare, voleva
sentirsi viva. Ma il mondo in cui viveva pretendeva altro e lei non poteva far altro che annuire, chinando il capo.
Seduta nella sua aula bianca imbrattata di scritte oscene sui muri aspettava l'arrivo della professoressa insieme agli altri, cercando invano di ripetere qualcosa. I
suoi compagni sembravano così sicuri, lei invece si sentiva distrutta ad ogni secondo.
Quando la professoressa entrò si sentì una morsa al petto. Sapeva che preoccuparsi per quelle cose non aveva senso, che i problemi erano ben altri, eppure l'autorità
della sua professoressa di inglese riusciva sempre ad intimidirla.
Distribuì i fogli, urlando alcune risposte a domande perplesse.
Bene, sapeva fare 4 frasi su 6...e forse non tutte giuste. Iniziò a scrivere, guardandosi intorno di tanto in tanto. Era il massimo che poteva fare, riguardò le sue frasi
tradotte dall'italiano all'inglese...chissà quante baggianate aveva scritto.
"Sophitia...Sophitia..."
Alex la chiamava dall'altra parte della classe. Lei inizialmente non gli prestò attenzione, ma preferì poi rispondere con lo sguardo.
"Che compito hai?"
"La fila A..."
"Miller, qualche problema?"
"No professoressa..."
Rispose lei timidamente, tornando a guardare sul foglio.
"Oh io credo di si invece"
La professoressa gli si avvicinò con passo svelto, prese il suo compito e lo marchiò con una strscia rossa. Sicuramente non significava nulla di buono.
Rieccola, quella sensazione di totale impotenza. Di ingiustizia. Non le venivano le parole, guardava quel segno rosso senza proferire parola, ammutolita dalla propria
stupidità. La professoressa urlò qualcosa, non fece altro che annuire, delusa. Eppure si era sforzata, aveva fatto quel poco da sola. Nulla, non era servito a nulla.
Sospirò, rossa in viso, si alzò e consegnò il foglio dimenticandosi quasi di firmarlo. Tornò al suo posto, prese una penna e un altro foglio ed iniziò a scrivere frasi
di odio verso se stessa. Si odiava, perchè era nata in un luogo che non le apparteneva. Si odiava, perchè si sentiva inadeguata nell'epoca in cui era nata. Si odiava,
perchè riusciva ancora a rimanere delusa da queste stupidaggini. Chiese di andare in bagno e, una volta dentro, si chiuse la porta alle spalle con rabbia. Si tastò la tasca.
No, aveva promesso di non farne più uso, non aveva bisogno di quella per calmarsi. Eppure da sola non ci riusciva.
"Sono un essere patetico"
Si disse rabbiosa, mentre prendeva un sacchettino con della cocaina. Lo posizionò sul davanzale della finestra, fece una striscia e....si sentì meglio. Si sentì appagata.
Si sentì sporca.
Non ce la faceva a continuare, no. A chi sarebbe importato se, salita su quello stesso davanzale si fosse buttata di sotto?
"Patetica"
Si disse, il tutto per uno stupido compito. No, non era solo quello, era tutta la sua stupida vita ad andarle stretta. I compagni oppressivi, i suoi genitori inaccontentabili che litigavano fra loro continuamente,
il suo paese ostile, il suo essere che veniva continuamente deviato e maltrattato. Non ce la faceva più a sopportare questi deliri, non ce la faceva.
"Scusami..."
A chi doveva chiedere scusa? Piangeva, con le ginocchia al petto.
"Perdonami...ho preteso troppo da te....non mollare..."
Continuava a dondolarsi, stringendosi, per non sprofondare nel dolore.
"Perdonami"
A chi doveva chiedere scusa? Solo a se stessa. Si asciugò le lacrime, buttò la droga nella toilett. Uscì facendosi una coda ai suoi capelli biondi. Tornò in classe,
si sedette, come se nulla di tutto ciò fosse successo.
"Hey Sophitia, perchè hai il trucco sbavato?"
"Oh nulla, sai..questa maledetta allergia."
   
 
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