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Autore: MewBecky    11/01/2006    4 recensioni
Harrison e Blackie, fondamento umano della teoria sull'attrazione degli opposti; questa storia è la loro storia, la storia di un amore traboccante di passione e tenerezza. Lui così bello, ingenuamente ottimista: lei cupa nelle sue consapevolezze e perennemente assorta nei propri pensieri. Ma questa storia narra anche d'un gatto nero, che pare vivere in simbiosi con Blackie: e di tanti, troppi equivoci misteriosi. Due vicende che corrono veloci e parallele, e paiono quasi diverse nelle loro analogie.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cumpton Road. La strada asfaltata di fresco, le pozzanghere, i pannelli solari spioventi e ormai erosi dal gelo e dagli inarrestabili tarli del tempo. E’ un normale mattino di dicembre, la cui cupa bruma autunnale si sta preparando a cedere il posto alla coltre di neve dell’ormai prossimo inverno e la gelida brezza propaga con violenza una pioggia nostalgica, che s’abbatte contro qualunque cosa incontri, come lacrime che sgorgano per scacciare l’amarezza di un gesto scortese o di una parola colpevole di sgarbatezza, da un volto contrariato. Eppure qualcosa disturba la ripetitività, il grigiore di questo giorno.

Già, perché non di rado c’è chi di dispera in silenzio e lascia che la pioggia lo stringa in un gelido abbraccio, lo divori, lo confonda, nasconda ogni lacrima di dolore fra le sue braccia taglienti e sfuggevoli, gelosa di quel sentimento che non potrà mai provare: ma oggi, qualcosa di straordinario è accaduto, in questa cittadina di provincia chiamata Selgfried.

La pioggia ha pianto. Per la prima volta ha conosciuto il rammarico, l’impotenza, lo smarrimento.

E quelle gocce colpevoli e ripetitive, sono sgorgate per la prima volta di loro spontanea volontà, non più prepotenti ed invidiose ma partecipi e addolorate. Hanno guardato in faccia la sofferenza, imparato ad esserne soggette.

Hanno visto la verità e conosciuto il prezzo dell’amore.

 

Cumpton Road, Selgfried. Una piccola folla si è radunata in religioso silenzio sull’asfalto, teatro di un dramma di vita quotidiana: alcuni gatti ed un vecchio cane stanno infatti chini su di un compagno e amico, per porgergli l’estremo saluto. Le loro lamentele inteneriscono il vento, che sferza ora con maggior dolcezza, e commuovono i bagliori del cielo, che s’acquietano tutt’a d’un tratto. Ogni elemento naturale tace e resta in ascolto, partecipe alla solennità della rudimentale celebrazione.

Il gatto stravaccato sull’asfalto, giace in una composta pozza di sangue scarlatto, che a intaccato la perfezione del suo manto di velluto scuro: le orecchie nere, un tempo attente e rigide, sono ormai abbandonate, pietosamente ripiegate su sé stesse e le zampe agili e scattanti hanno perso ogni vigore.

Per lui è venuto il tempo di andarsene per sempre. Ma né la pioggia, né i comprimari vogliono lasciare che accada e seguitano a stringerlo in un tenero, appassionato e nostalgico abbraccio.

Un amico –del resto- rimane tale per sempre.

E oggi, a Selgfried, perfino la pioggia ha compreso questa verità.

 

 

Blackie Arrow salì timidamente la scalinata, chiedendosi nuovamente se fosse il caso di proseguire. Del resto, la sua presenza al ballo di fine anno non era strettamente necessaria e avrebbe potuto provocarle nient’altro che inutili imbarazzi. Tuttavia Megan, la sua migliore amica, le aveva chiesto espressamente di accompagnarla, per aiutarla a distrarsi dalla rottura con Harrison, avvenuta la settimana precedente.  Sarebbe stato perciò leale, da parte di Blackie, presentarsi alla festa nonostante la riluttanza che la dominava.

Animata dall’emotività del benevolo pensiero, superò un alto gradino e contemplò le proprie scarpe lise con malcelato disappunto. La sua famiglia non brillava certo per disponibilità di beni materiali e così, quelle calzature raffinate seppur incredibilmente antiche erano stati il meglio che si erano potuti permettere: simili a decollette mezzo tacco, erano in realtà costituiti da un materiale duro e irritante al pari di un pezzo di compensato grezzo.

- Blackie Arrow – Si disse, procedendo lenta lungo l’immenso corridoio della scuola –Sforzati di precludere il tuo solito sarcasmo almeno per stasera.

Sospirando pesantemente, la ragazza passò nervosa in rassegna la propria figura prima di entrare nella palestra, presso la quale si sarebbe svolta la festa danzante: indossava dei pantaloni eccessivamente aderenti, sulle sfumature del porpora, e una t-shirt estremamente semplice.

-Blackie Arrow è una ragazza povera- Avrebbe proferito soddisfatta Bethany Wins, la più in voga della scuola, fastidiosamente perfetta quanto superficiale – Non si concede facilmente ed è incostante ed antipatica.

- Bethany..– Pensò fra sé Blackie, prima di addentrarsi furtiva nella palestra ancora semi-deserta – Un aneroide sprovvisto di personalità.

L’incostante ed antipatica Blackie gettò un paio di occhiate guardinghe alle pareti comicamente bardate, adornate in modo massiccio da striscioni artigianali realizzati dai ragazzi del laboratorio d’arte.

Origami di qualsiasi colore sembravano essere stati sparpagliati sui tavoli, senza troppa metodica nelle loro posizioni: il gruppo completo delle ragazze pon pon si era riunito in una rientranza della parete principale e discuteva animatamente di come ciascuna delle sue esponenti avrebbe abbordato i ragazzi più popolari.

Blackie incontrò lo sguardo di Bethany mentre questa affermava di possedere la certezza più inequivocabile, che avrebbe conquistato Harrison senza alcuna fatica, entro il coprifuoco stabilito dai suoi genitori per quella sera.

-Siamo fatti per stare insieme- Scandì prepotentemente, quasi intenzionata a farsi udire da Blackie –Non esisterebbe, per Harrison altra ragazza più adatta di me.

Harrison Henry, il cui nome suonava quasi come un indovinato gioco di parole, era il più affascinante e carismatico alunno della scuola e perciò un conquistatore abilissimo e indubbiamente popolare presso il pubblico femminile.

Megan, la migliore amica di Blackie, aveva attirato la sua attenzione con caparbietà e si era fregiata dell’appellativo di fidanzata di Harrison fino alla settimana precedente, quando lei stessa aveva deciso di piantarlo.

-Siamo incompatibili- Aveva affermato ridendo, il sorriso sfacciato eppur piacevole abbozzato sul viso quasi perfetto – Inoltre preferisco che sia tua a sedurlo. Non ti piace forse, Blackie?

A quelle parole, Blackie era arrossita considerevolmente e aveva zittito Megan con aria sconvolta.

-Non farei mai una cosa simile a te, Megan. Inoltre…-

Harrison Henry non avrebbe mai accettato di apparire in pubblico accompagnato dall’eccentrica e inavvicinabile Blackie Arrow.

Sollevando lo sguardo per controllare se l’amica fosse arrivata, Blackie scorse una piccola folla radunata davanti all’entrata:una fila invalicabile di femmine spasimanti ostruivano l’ingresso della palestra, sospirando lamentose il nome di Harrison.

Quel pallone gonfiato doveva essere arrivato alla festa, accompagnato naturalmente dai fedeli amici e da uno stuolo di corteggiatrici insistenti.

Sbuffando per il fastidio, Blackie cercò di farsi largo fra la folla per raggiungere Megan, impegnata a discutere con l’eclettico pittore Sandrej: schivando precisa le ragazze pon pon, si ritrovò ben presto sommersa dal gruppo di fan urlanti.

Harrison avanzava sorridendo nell’ingresso della palestra, fissando sfuggevole solo poche delle ragazze impegnate a spasimare per lui: camminò sicuro finchè non si avvicinò a Bethany, incappando sorpreso in una persona che non si sarebbe di certo aspettato di incontrare in quel contesto, sistemata fra le ammiratrici.

Blackie Arrow.

Blackie arrossì nell’istante in cui avvertì lo sguardo di Harrison fisso su di sé: il conquistatore pareva alquanto sconcertato.

-Io…io…credevo di aver visto Megan- Si giustificò, scostandosi in direzione dell’amica con un passo indietro.

Perché era stata così stupida?

 

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Harrison fissava piacevolmente sorpreso la ragazza imbarazzata e incerta che arretrava fino a sfiorare la parete: la figura snella e proporzionata, le gambe strettamente fasciate in un paio di semplici pantaloni porpora, i capelli lunghi e ondulati dalle mille sfumature, le scarpe antiche e scomode.

L’inavvicinabile Blackie Arrow.

 

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-Davvero non c’è più nulla da fare?

-Sì: è così. Mi dispiace.

-Anche a me. Spero di riuscire a rintracciarne il padrone.

-No; si sbaglia. E’ un randagio.

-Da cosa l’ ha intuito?

-Le macchie d’olio sulle zampe, lo stato dimezzo del manto: è confermato.

  Esercito da poco ma sono in grado di fare il mio lavoro.

-Scusi, signora Harfy. Non volevo mancarle di rispetto.

-So bene che non è così.

-Allora vado.

-Aspetti….il suo nome?

- Harrison.

-La ringrazio molto per quello che ha fatto per questo povero animale.

-Avrei solo voluto poter fare di più.

-Niente avrebbe potuto farlo stare meglio. L’auto che l’ ha investito ha reciso una zampa e provocato gravi lesioni alla spina dorsale.

-Posso andare ora?

-Ovvio figliolo. Hai dato prova di grande umanità, oggi. 

 

Mentre Harrison Henry, studente del prestigioso istituto superiore Edison usciva, la veterinaria di quartiere, Sofia Harfy, gettò un’altra occhiata al gatto sofferente disteso sul ripiano del suo studio, il ventre ricucito e la zampa destra troncata di netto.

Fissandolo con interesse, si accorse che il suo respiro flebile spostava lievemente lo strato di carta velina che aveva steso sotto di lui: incredibile, davvero.

Quando Harrison, qualche ora prima le aveva portato l’animale, in uno stato di prostrazione incredibile, avrebbe giurato che sarebbe morto di lì a pochi secondi.

Invece…….eccolo lì, stoicamente resistente.

-Addio amico…- Sussurrò, mentre si recava ad estrarre dalla teca dei medicinali, che conservava nell’atrio, il siero che l’avrebbe addormentato per sempre.

-Chissà se avevi un nome.

Dopo qualche secondo, mentre Sofia s'apprestava a ritornare presso lo studio, l’occhio del gatto nero come la pece, si aprì pigramente: l’animale, alzandosi a fatica, balzò al di là della finestra.

 

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-Sono qui per Megan.

Harrison sorrise soddisfatto e in uno slancio d’eccessiva euforia s’azzardò a sfiorarle la schiena.

-Ok, Arrow…- S’illuminò, ammiccando –Voglio sperare che dopo avermi illuso avrai la compiacenza di concedermi un ballo.

Blackie deglutì, in preda al panico.

Calma, si impose. Stai calma.

-No, non penso sia il caso- Proferì, secca –Non credere di potermi prendere in giro.

Altezzosa, si allontanò in direzione di Megan e afferrandola per un braccio, la trascino dietro di sé.

-Sei impazzita, forse?- Fece, strabuzzando gli occhi –Dovevi coprirmi, non startene impalata senza dire nulla.

L’amica le lanciò uno sguardo divertito, tormentandosi una ciocca di capelli biondi.

-Ero impegnata con Sandrej: stavamo discutendo sul mio lato migliore.

E’ da secoli che voglio un ritratto fedele della mia bellezza.

Blackie si lasciò strappare un sorriso divertito, passandosi una mano fra i capelli scuri.

-Strano, avrei detto che steste parlando d’altro.

Le due ragazze scoppiarono a ridere in simultanea, dirigendosi verso l’imponente giardino esterno.

-Hai da accendere?- Domandò Megan, una sigaretta piuttosto malconcia stretta fra le dita sottili.

-Ecco qua- Si introdusse all’improvviso Sandrej, spuntato direttamente dalla porta principale.

Un accendino di metallo fulgido si materializzò: Megan rivolse al ragazzo un sorriso pieno di gratitudine.

I tre rimasero in silenzio, contemplando la silenziosa immensità del cortile: Blackie teneva lo sguardo rasoterra, rammentando quanto aveva fatto poco prima.

Rifiutare Harrison Henry.

Pazza: ecco cos’era.

-Ah, Blackie..-Sandrej tirò un’ ampia boccata di fumo dalla propria sigaretta, puntando lo sguardo su di lei – Sei stata assolutamente magnifica. Nessuna aveva dato prima d’ora il benservito a quel pallone gonfiato.

La ragazza sorrise debolmente, annuendo.

-Gentile da parte tua.

Megan roteò furiosamente gli occhi, voltandosi adorante in direzione del giovane pittore.

-Se vuoi sapere la mia opinione..- Continuò Sandrej – Ti adorerà per questo.

-Che cosa vuoi dire?

-Le ragazze sarebbero pronte a svendersi per Henry: soprattutto quella cinica marionetta di Bethany Wins. E’ normale che lui non trovi nessuna attrattiva in ochette trotterellanti che non aspettano altro che puntargli gli artigli addosso.

Ma tu….sei diversa.

Un’eroina gotica piacevolmente acida ed impenetrabile.

Sandrej cinse le spalle di Megan, attirandola a sé.

-Voi siete senza dubbio, le uniche ragazze degne di stima qui dentro.

Blackie sorrise, a metà fra il rinfrancato e perplesso.

Apprezzava i complimenti di Sandrej, indubbiamente; eppure, la possibilità d’aver offeso Harrison la turbava, impedendole di riflettere a mente lucida.  

-Scusate ragazzi- Fece, allontanandosi –Vado in bagno: ho bisogno di rinfrescarmi. Continuate pure senza di me,

Megan e Sandrej rimasero soli, abbracciati, fumando nel grande giardino isolato.

-Un gatto- Disse lui, guardando Blackie allontanarsi.

-Come hai detto?

Megan lo stringeva affettuosamente, eppur sorpresa.

-Un gatto..- Ripetè Sandrej –Questa è l’immagine che attribuirei alla tua amica.

-Già- Concordo Megan –un felino scuro e solitario.

Un gatto nero. Un cacciatore abile ed introverso.

 

 

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-Non capisco. Cosa ha lei in più di me?

Blackie indietreggiò bruscamente, restando impalata al di là della porta del bagno.

Bethany Wins e le sue amichette, intente a spettegolare dinanzi agli specchi, si ritoccavano il trucco impeccabile, insultandola con pesantezza.

-Quella poveraccia mi fa pena. Chi si crede di essere per far sfigurare Harrison?

 

Blackie. Ecco chi mi credo di essere.

 

-In un certo senso è stato meglio per lei.

 

Che cosa vorresti dire con questo?

 

Harrison aveva scommesso con gli amici che ci sarebbe stata.

 

Non può essere andata così.

 

-Già, esattamente. In effetti è quello che tutti ci aspettavamo.

 

La riprova che nessuno di voi mi conosce veramente.

 

-Pensate che fantastica prospettiva quella di veder sfigurare Arrow davanti a tutti

Che darei per strapparle quel sorrisino astuto.

 

Bethany, che ti ho fatto per essere odiata così?

 

- D’altro canto cosa pretendente da lei? Non è che una morta di fame.

Se la signorina non eccellesse in qualsiasi disciplina in modo da vincere abitualmente una borsa di studio, ora frequenterebbe le scuola serate con i suoi simili.

 

- Simili?

 

-Gli accattoni come lei.

 

Bethany e le sue amiche ridono fragorosamente, soddisfatte: la loro invidia soffocata in offese taglienti.

Il gatto non le ascolta.

Indignato ha già varcato il grande giardino ed ora corre ferito verso casa.

  
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