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Autore: F l a n    05/03/2011    1 recensioni
[scritta per il cow-t con il prompt 'amici']
Una traccia della vita di Kurt, solo qualche lieve segno dalla sua infanzia a quello che è oggi.
"Kurt Hummel non aveva amici.
Era un bambino insolito per la sua età; i suoi compagni giocavano a calcio, collezionavano macchinine e sognavano di diventare grandi uomini sportivi. [...]"
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kurt Hummel, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Difficult for weirdos
Fandom: Glee
Personaggi: Kurt Hummel, nominati: Mercedes, Finn Hudson, Burt, OC
Rating: PG
Prompt: 'amici' per la terza settimana del Cow-T team 'cavalieri' (@  )
Betareader;
 (*-* che è stata velocissima)
Wordcount: 2161  
Note: Okay, questa fic doveva raccontare una parte d'infanzia di Kurt, poi è finita per illustrare una specie di storyline accennata dai suoi dieci anni ai sedici, quindi all'entrata al McKinley... In realtà ho letto anche il 'libro del prima della serie' ma ho un po' ignorato le informazioni che stanno là, prendendo come esempio soltanto il fatto che Kurt, Tina, Mercedes e Artie fossero nel club già da prima che Shuester ne fosse l'insegnante.
Il titolo è preso da una canzone di Robbie Williams, ma non c'entra niente con essa.
Spero vi piaccia.

Kurt Hummel non aveva amici.
Era un bambino insolito per la sua età; i suoi compagni giocavano a calcio, collezionavano macchinine e sognavano di diventare grandi uomini sportivi.
A lui l’unico sport che piaceva davvero era la danza (suo padre sosteneva che questa sua fissa sulla danza fosse dipesa dal film ‘Billy Elliot’ che aveva guardato fino all’esaurimento.)
Le ballerine sembravano volteggiare nell’aria, con movimenti fluidi ed eleganti, con quel corpo magro e così gracile che gli ricordava un po’ il proprio.
Gli sarebbe piaciuto far parte di un qualche club di danza, ma quando lo aveva chiesto a suo padre, questo era solo riuscito a rispondergli ‘non ti piacerebbe di più il football?’ da lì aveva rinunciato a chiederglielo di nuovo.
Kurt Hummel aveva dieci anni ed era sicuramente diverso dai suoi coetanei.
Loro avevano una corporatura un po’ più definita, muscoletti appena accennati dovuti a qualche ora di corsa, lividi sulle ginocchia per le troppe cadute, i palmi delle mani sbucciati o qualche cerotto sul gomito. Lui non aveva niente di tutto questo.
La sua pelle era perfettamente liscia e perlacea, morbida. Nessun graffio, nessun livido, nessun pantaloncino sporco di fango per chissà quale caduta e nessun capello fuori posto.
Non collezionava figurine di calciatori, non comprava magliette dei propri idoli della squadra di football e non impazziva non appena vedeva qualche cartone di combattimento in televisione.
Preferiva di gran lunga guardare qualche sdolcinato cartone animato Disney, mentre rimuginava su quanto fossero belli i principi.
Si chiese perché non ne aveva uno. In tutti i cartoni, o in tutte le fiabe che sua madre gli leggeva prima di morire, c’erano sempre una principessa, un principe, un cattivo e gli amici della principessa.
Lui per qualche ragione non aveva niente di tutto questo, nella sua vita. Eppure, mentre vagava per il reparto giocattoli e guardava gli accessori da bambine, sapeva di sentirsi una piccola principessa; ma quindi dov’era il suo aiutante? Dov’era il suo principe?
Finiva sempre per spegnere la videocassetta con malinconia, per poi prendere e rinchiudersi in camera con il suo piccolo mangianastri. Suo padre gli aveva accuratamente registrato le canzoni più in voga del momento e lui passava le giornate ad impararle a memoria e cantarle. Certo a volte la sua pronuncia non era ottima – specie se si trattava di canzoni straniere – ma tuttosommato sapeva di avere una bella voce e Burt, ogni tanto, gli chiedeva di esibirsi per lui.
In quei momenti Kurt si sentiva onorato, si metteva una delle giacche più carine che aveva – fin da piccolo, un’altra delle sue passioni era stata proprio la moda. Passava davanti ai negozi ed indicava a suo padre cosa voleva che gli comprasse, o faceva critiche fin troppo avanzate per la sua età – e poi intonava una qualunque melodia.
Ma, in particolar modo, Kurt Hummel aveva riversato la sua infanzia nella musica.
A scuola nessun bambino voleva stringere amicizia con lui, ma Kurt non ne parlava. Faceva finta che tutto ciò fosse normale, che andasse bene, che essere emarginato fosse la punizione per un qualche cosa che doveva aver fatto.
Nonostante tutto continuava a camminare a testa alta, ad arrivare a scuola con quello zaino troppo grande e troppo pesante per lui e con quella frangia sempre dannatamente in ordine.

*

La cosa non si evolse neanche a fine elementari. Più Kurt cresceva, più il suo lato ‘femminile’ –lui stesso non sapeva in che altro modo definirlo- emergeva.
I suoi compagni continuavano a snobbarlo, ad additarlo come strano ed ancora nessuno voleva diventare suo amico.
Ogni tanto trotterellava con le mani dietro la schiena da Burt, lo osservava lavorare e poi tornava in camera sua, davanti al suo specchio gigante – per il suo undicesimo compleanno aveva esplicitamente richiesto una scrivania in legno bianco ed uno specchio piuttosto ampio; la fissa per la sua immagine non era affatto svanita, non era una fobia né una mania, era una sua passione – per contemplare i suoi lineamenti, ogni giorno così diversi, ogni mese così sempre meno… fanciulleschi.
Un giorno rimase fuori da scuola con la tracolla in spalla, osservava i suoi compagni di classe giocare a calcio nel cortile. Non gli avevano mai chiesto di unirsi a loro, forse perché era risaputo che lui non amava particolarmente quello sport, ma almeno il gesto gli sarebbe… piaciuto.
Inoltre, per qualche motivo che non riusciva ancora comprendere, la sua attenzione era fortemente calamitata dalle gambe dei bambini della sua età, dai polpacci che si contraevano e dai loro scatti attorno al pallone.
Li trovava piacevoli.

Anche quel pomeriggio tornò a casa da solo, ma la sua attenzione, strada facendo, fu attirata da una profumeria. Entrò sbirciandosi un po’ intorno ed augurandosi che nessuno lo vedesse.
Era perfettamente conscio del fatto che, un ragazzino di dodici anni in una profumeria – a meno che non fosse accompagnato dalla madre – non era una cosa molto normale.
Uscì dal negozio con la sua prima crema per il viso e con l’espressione stupita delle commesse stampata nella mente; nascose il barattolino nella tracolla e rientrò silenziosamente in casa, salutando con fretta il padre nell’officina e catapultandosi davanti all’enorme specchio in camera sua. Voleva assolutamente provare i benefici di quella crema profumatissima.

*

Non riusciva a capire cosa ci fosse di sbagliato in quel comportamento, sapeva soltanto che lui non voleva cambiare per piacere agli altri.
Col tempo, scoprì di esser più facilmente incline ad avere amiche femmine, anziché maschi. Forse perché le ragazzine non lo additavano come strano o forse perché gli facevano i complimenti sugli abiti che indossava, o lo invidiavano per la sua carnagione così liscia e perfetta.
Sapeva soltanto che con le ragazze era tutto più facile, tutto più profumato e tutto più incline alla sua natura.

*

Kurt Hummel aveva capito da molto tempo cos’era in realtà, perché si sentiva così strano e così anomalo. Aveva anche capito che era a causa di questo fatto che lui non aveva amici.
Sperava che alle superiori le cose cambiassero. Aspettò pazientemente che gli anni delle medie passassero, si rinchiuse nel suo religioso silenzio fatto di strane passioni e strane tendenze.
Kurt sentì il primo batticuore a tredici anni, quando un ragazzino appena trasferitosi nella sua classe gli aveva rivolto la parola come qualunque altro essere umano.
Si era seduto accanto a lui – del resto, in classe non c’erano altri banchini liberi. Tutti si tenevano a debita distanza- e gli aveva stretto la mano, presentandosi, il suo nome era Christopher.
Inizialmente aveva legato con lui e si era sentito felice all’idea di avere un amico, un amico molto carino, per altro. Ma pian piano, quando Christopher cominciò a fare amicizia con gli altri ragazzini della sua classe, lo allontanarono da lui, raccontandogli chissà quale sciocchezza sul suo conto.
Quel periodo di gioia durò poco, perché per la prima volta in vita sua sentì sfuggire dalle labbra di quello stesso ragazzino, la parola che lo avrebbe fatto sentire a stretto contatto con la vera realtà del suo essere, quella parola che tutti, da lì in poi, gli avrebbero rivolto molte volte in senso più che dispregiativo.
“Sei un finocchio. Mio padre non vuole che frequenti gente come te.”
Fu come una secchiata di acqua gelida in estate ed in pieno volto.
Christopher gli aveva voltato le spalle e se ne era andato a passo svelto, seguito dagli altri compagni di classe che lanciarono occhiatacce e risolini a Kurt, probabilmente pensando che quella fosse l’unica vita che si meritava di vivere.
Quella da emarginato.

Kurt tornò a casa con le lacrime agli occhi, ma non voleva dire niente a suo padre. Non sapeva come l’avrebbe potuta prendere e lui non era neanche del tutto sicuro di volergli dire che sì, forse era davvero gay.
Si chiuse la porta di camera alle spalle e sospirò. Da lì sarebbe cominciato un lungo percorso di accettazione nei suoi stessi confronti; non che si fosse mai realmente disprezzato, ma sentirsi gettare quella parola e con quel tono da qualcosa di più simile che aveva da un amico, lo fece sentire davvero male.
Guardò il suo volto arrossato dal pianto allo specchio, prese un fazzolettino e si asciugò le lacrime.
Lui non aveva bisogno di amici, poteva farcela anche da solo.

*
Passarono i giorni ed i mesi da quell’evento, neanche troppo facilmente. I suoi compagni di classe avevano preso a lanciargli appellativi come ‘checca’ per variare da ‘finocchio’ o ‘gay di merda’. Lui si faceva scivolare addosso quegli insulti e si teneva stretto la sua tracolla, camminando a schiena dritta e testa alta senza degnarli di uno sguardo. Non ne valeva la pena.

*

Quando all’età di quindici anni arrivò alle superiori e varcò per la prima volta la soglia del liceo McKinley, sperò di trovarsi in un ambiente un po’ meno squallido del precedente.
I suoi vecchi compagni di classe avevano scelto un’altra scuola, perciò sarebbe stato come cominciare un’altra vita. Magari una migliore. Magari una dove i suoi compagni di classe non lo avrebbero additato come finocchio o frocio.
Non passò molto tempo da quei suoi pensieri a quelli dove, effettivamente, si ritrovava quasi ogni giorno in un cassonetto.
Ma poco importava; per fortuna c’era Finn Hudson, il ragazzo più figo della scuola, che si offriva di tenergli le sue preziose – e sempre più costose – giacche per evitare di rovinarle. Non sapeva per quale motivo, in fondo lui era amico dei bulletti che non perdevano l’occasione di tirargli granite addosso o di fargli dispetti, però gli sembrava più gentile, più umano e quel che di più simile ad una figura… cavalleresca.
Fu così, in effetti, che si autoconvinse che Finn Hudson fosse il principe dei suoi sogni, simile a quello delle favole.
Purtroppo per lui era etero, molto etero, ma non sarebbe stato un problema.

I giorni passavano più o meno veloci al McKinley, Kurt decise di iscriversi a quella cosa che veniva chiamata ‘Glee Club’; una specie di ‘raduno’ per gli amanti del canto.
Suo padre inizialmente gli chiese perché non si era iscritto a quello di football, ma quando vide la faccia un po’ perplessa del figlio, ritirò immediatamente la domanda chiedendogli se alla fine era stato accettato in quello strano ‘Glee-o-come-si-chiama-club’.

Nel Glee Club non erano in molti ed avevano tutti l’aria da sfigatelli. C’era un tizio sulla carrozzina che diceva di chiamarsi Artie, una ragazzina balbuziente di nome Tina con strane ciocche di capelli tinte di blu elettrico, un ragazzo di cui non ricordava il nome ma che andò via molto presto ed infine una ragazza nera un po’ corpulenta, di nome Mercedes.
Mercedes fu quella con cui strinse subito amicizia, aveva il classico atteggiamento da diva ed una voce che Kurt poteva soltanto definire divina. Si sentiva bene con lei, si sentiva accettato e sentiva anche il bisogno di farle rivedere un po’ il suo armadio.
Nel Glee Club, per quanto fosse da sfigati, si sentiva accettato, si sentiva carismatico e anche un po’ più umano. Quei quattro gatti che lo frequentavano non lo guardavano male, non lo isolavano e non lo ‘granitavano’.
All’inizio le esibizioni non erano granché, ma poco importava.

Cominciò ad uscire sempre più con Mercedes; era una ragazza davvero molto disponibile e Kurt non esagerava nel pensare che probabilmente, era una sua possibile ‘versione al femminile’. Molti loro atteggiamenti da prima donna erano simili e per qualche ragione si sentì meno solo.
Quando parlava di lei a suo padre, lui pensava che forse le impressioni che aveva sempre avuto sul figlio fossero sbagliate, che forse in lui c’era una qualche parte etero.
Ma poi quando lo vedeva tornare a casa con sacchi ricolmi di abiti decisamente poco maschili – nonostante lui affermasse che fossero gli ultimi abiti di tendenza nella moda maschile – rinunciava all’idea di avere un figlio a cui piacessero anche solo vagamente le donne.
In realtà a Burt non importava troppo di questo; lui era fiero di suo figlio. Etero, bisessuale o omosessuale che fosse, solo non poteva nascondere che alcune volte gli sarebbe piaciuto portarlo con sé alle partite di football.

Più tardi, quando il Glee Club fu preso in mano da un certo ‘William Shuester’, il gruppo s’ingrandì.
Entrarono a farne parte elementi più o meno positivi, alcuni che Kurt fu lieto di vedere, altri che avrebbe fatto volentieri a meno di accettare.
Naturalmente le sfide, per uno con il suo carattere, non mancarono. Ma ciò era indubbiamente più stimolante che rimaner rinchiuso in casa per giornate intere a guardare il proprio riflesso.
In mezzo a quella banda di ‘sfigati’ – così li chiamavano praticamente di continuo – lui cominciava a sentirsi davvero più normale. Ognuno, là dentro, aveva un problema differente. Chi in un modo, chi in un altro, erano dei veri e propri complessati.
Comprese le tre modelline perfette dei Cheerios; quelle che tecnicamente dovevano far parte del gruppo più ‘In’ della scuola.

Kurt Hummel a sedici anni, sentiva finalmente di aver trovato il suo posto ‘nel mondo’, un posto che non includeva un angolino solitario e insulti come fossero pioggia, ma un posto brillante, un posto pieno di aspettative e sentimenti, quel posto in cui, finalmente, aveva trovato i suoi primi veri amici.

*

Strinse più forte la mano di Mercedes e si appoggiò alla spalla di Rachel, mentre finivano di vedere per l’ennesima volta ‘Billy Elliot’.





   
 
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