Caro Arthur
Seconda parte
10.
Un giorno restante.
L’ultimo
giorno.
Cosa sono due settimane in estate messe a confronto con la tua intera infanzia? Messe a confronto con dieci anni in cui hai scritto tutte quelle cose stupide, grandi, triviali, straordinarie – la tua vita, in un certo senso – e le hai mandate con solo un click del mouse all’unica e sola persona che sai che capirà perché le consideravi importanti, una volta?
Cosa sono due
settimane in confronto a tutto il resto?
E cosa
dovresti fare con quest’ultimo giorno restante, con questa manciata di ore, che
scivolano via tra le tue dita come sabbia?
“Restiamo in casa,” dice Arthur dalla porta della cucina e Merlin mette giù il
bollitore con le mani che quasi tremano e un po’ di ironia nella voce.
“Cosa? Arthur, il tuo volo è prenotato per stanotte,” dirlo ad alta voce non lo
rende più reale, figurarsi più sopportabile, “Dovremmo fare qualcosa di
speciale, qualcosa di interessante…” fa una pausa, cercando le parole giuste per
descrivere le sue intenzioni, “… qualcosa... di risolutivo.”
“Sta ancora piovendo, Merlin,” Arthur indica la finestra e il cielo grigio
dall’altra parte del vetro, curvato sopra Londra come il tetto di una
cattedrale, “Riesci a credere che solo qualche giorno fa stavamo prendendo il
sole?” il suo tono sta cambiando, sta diventando riflessivo mentre continua,
“Una settimana di sole, una di pioggia… una descrizione che calza perfettamente
ad una vacanza come questa, non credi?” scuote la testa, sorridendo un po’,
“Vedi? Sto già diventando filosofico, non sono in condizione di uscire.”
Da una parte
ha ragione. Il tempo è cambiato, inizia già a fare più freddo, uno scorcio
d’autunno ad estate inoltrata. Solo un altro promemoria per il tempo che fugge
via.
“Penso solo che non dovremmo sprecare di nuovo tutta la giornata vagabondando
per il mio appartamento. Non c’è niente che tu voglia fare,
vedere?”
Arthur si
appoggia all’uscio, inarcando un sopracciglio, mentre guarda Merlin: “A volte
penso di aver visto tutto ciò per cui valga la pena alzarsi ogni mattina.”
Non sono le parole che ha scelto, ma l’espressione nei suoi occhi che fa quasi
tremare Merlin, anche se solo interiormente, e si ritrova a balbettare per un
attimo: “No… non credi in nuove prospettive?”
“Oh, sì.”
Pioggia che picchetta contro la finestra. Pneumatici che attraversano le
pozzanghere, facendo schizzare l’acqua. I loro respiri che riempiono la distanza
tra la porta e la stanza. Fuori e dentro. Così vicini l’uno all’altro eppure
ancora distanti. Quante ore sono rimaste, quanti minuti…
“Ma di tanto in tanto penso che dovrei imparare ad accontentarmi delle
cose che ho. Le piccole cose, sai?”
Solo un altro ricordo. Un’altra mail. Un altro tempo.
Di tanto in tanto Merlin pensa che potrebbe raccoglierli come foglie d’autunno, questi ricordi. Colorati, tutti, e così vivi allo stesso tempo. Potrebbe metterli tra le pagine di un libro, conservandoli per sempre.
È solo un
altro modo di aggrapparsi al passato e sa che è stupido, eppure non siamo tutti
fatti di ricordi, in qualche modo? Una persona non è un concetto del passato,
cominciato come un pensiero nelle menti dei suoi genitori, il semplice risultato
di qualcosa che è stato? E quando il passato è tutto questo, quando i ricordi
sono le uniche cose sicure e costanti nella tua vita, che ne è del futuro…?
E di me e te?
Merlin si schiarisce la voce: “Adesso stai diventando davvero filosofico.
Fortunatamente ho appena letto che è una malattia curabile. Con tanta aria
fresca.”
Gli occhi di Arthur sembrano diventare più luminosi, ogni volta che sorride
così, come adesso: “Odio quando hai l’ultima parola, sappilo…”
oOo
“Non riesco a
credere che sia finita,” dice Arthur, mentre camminano tra le strade bagnate di
pioggia, “Da una parte sono sollevato. Due sole settimane e sono successe così
tante cose… cose che non mi aspettavo, tanto che avrei preferito non saperle
mai,” scocca uno sguardo verso Merlin, “Dall’altra mi piacerebbe molto restare,
solo un altro po’,” scrolla le spalle e per un attimo suona quasi insicuro,
“Solo per aspettare… quello che succederà dopo…”
“Sì, sarebbe bello,” risponde Merlin, tenendo gli occhi incollati al pavimento e
alle punte delle scarpe da ginnastica.
Tre parole, eppure… eufemismo sembra essere un termine troppo debole…
“Oh, andiamo, Merlin”, Arthur gli dà un colpetto alle costole, leggero, solo per
attirare la sua attenzione, “Scommetto che non vedi l’ora di avere pace e
tranquillità. Niente più coinquilini irritanti. Nessuno che ti beva tutto il
caffè al mattino, nessuno che faccia la doccia quando hai bisogno di prepararti
per andare a lavoro…”
“… nessuno che lascia i vestiti ovunque, nessuno che non prende nemmeno in
considerazione l’idea di portar fuori la spazzatura una volta ogni tanto o…”
“Okay,” Arthur lo interrompe, sorridendo nonostante quello che dice dopo,
“Grazie. Mi fa piacere sapere che sei così felice di liberarti di me.”
“Non sono…” Merlin si morde le labbra, ingoiando il resto della frase.
Perché persino i punzecchiamenti lo fanno sentire come se gli mancasse il
respiro in alcuni momenti?
Perché il suo cuore batte come se avesse corso per tutta la vita, come se fosse fuggito via, in un certo senso?
Perché
persino questo già suona come un addio?
Arthur prende un respiro profondo, fermandosi, e Merlin fa un altro passo,
inciampa con le gambe malferme finché non si ferma, lì sulla strada, e si
guardano.
Le mani di
Arthur sono sepolte nelle tasche della sua giacca, scura e lunga e c’è qualcosa
simile ad un’ombra sul suo viso, qualcosa come il calar della notte nei suoi
occhi e Merlin non sa come dovrebbe sentirsi in questo preciso momento.
“Io…” le sue spalle sono tese, la sua intera postura lo è, “Stavo solo tentando
di dire addio in maniera un po’ più leggera, suppongo…”
E Merlin si sente un idiota.
Non era lui che aveva detto ad Arthur che anche le altre persone hanno dei sentimenti?
È un addio per tutti e due, non solo per lui.
E il fatto
che lui ci tenga… che Arthur ci tenga davvero… rende solo tutto più difficile,
così difficile…
Restano lì, mentre i secondi si rincorrono e quando Merlin pensa che non ci sia
modo di prolungare il momento, Arthur allunga la mano e gli tocca il braccio,
solo per un istante, e le punte delle sue dita scivolano sulla stoffa zuppa di
pioggia, eppure…
Un’altra foglia, un altro ricordo per la tua collezione… lì, lì… puoi sentire l’inizio di una fine?
”Andiamo,” la sua voce è vicina e lontana, roca e tranquilla, tutto allo stesso
tempo, e Merlin pensa che non dovrebbe essere possibile, è così, è così che gli
sembra in questo momento, “Penso di sapere cosa voglio fare…”
oOo
Il parco giochi è deserto a quest’ora del giorno.
O forse è
solo la pioggia. È ancora estate ma non sembra.
Qualche albero fa la guardia all’entrata e, quando camminano, le gocce di
pioggia sotto di loro si riducono ad uno sciabordio, ad uno scalpitio sopra le
loro teste. Uno strano ritmo.
Il mondo è un
posto vuoto, in certi giorni.
“Vuoi davvero farlo?” chiede Merlin mentre Arthur sale sull’altalena.
In un modo o nell’altro, attorno a loro c’è molta calma.
Più un posto è vivace la maggior parte del tempo, più sembra abbandonato quando non c’è nessuno in giro. È strano che esista un’espressione come “più solitario”, ma Merlin pensa di comprenderla.
Forse ne sarà certo quando Arthur se ne sarà andato.
”Preferirei il giardino di tua nonna, ma questa è la cosa che più ci si avvicina. E poi non lo faccio da quando ero piccolo.”
L’altalena si
muove su e giù insieme alle sue parole e loro – Arthur e le sillabe che
rimbalzano dalle sue labbra insieme al suo respiro – fluttuano nell’aria quasi
autunnale e c’è di nuovo questo ricordo, quello che forse ha dato avvio a tutto,
perché forse è stato questo momento, quest’unico momento della vita a fare da
punto di svolta…
E Merlin lo guarda, immobile.
E se…
E se gli avesse preso la mano, quel giorno d’estate, nel giardino di sua nonna?
Se non lo avesse mai lasciato andare?
E se… questa
fosse stata la loro storia…?
“É il tuo turno,” Arthur si è fermato e le sue guance sono arrossate per il
movimento e i suoi occhi brillano con gioia quasi infantile.
“Io?” Merlin alza le mani, già sorride, anche se non si sente dell’umore, “Sei
serio?”
“Certo,” e poi Arthur si alza dall’altalena, va verso di lui e lo spinge nella
giusta direzione, “Andiamo, è divertente!”
Il sedile è un po’ bagnato, ma dopotutto Merlin è già tutto umido, grazie alla
pioggia.
Inizia lentamente, senza la giusta motivazione perché, suvvia, non hanno più nove anni.
Ma quando i
piedi lasciano il terreno sente l’aria che gli spettina i capelli, c’è un po’ di
quella vecchia sensazione e sì, forse non cresci mai per essere un adulto, forse
impari solo a dimenticare…
Si muove, sempre più in alto nel cielo grigio, e può sentire il suono della
catena e del vento nelle orecchie e Arthur urla ‘Te l’avevo detto’ e lui non ha
idea del perché non lo abbia fatto per così tanto tempo, dato che gli sembra
ancora così piacevole…
E quando raggiunge di nuovo il punto più alto, lascia la catena e vola nell’aria
umida, il grigiore del cielo e del terreno si fanno più vicini e poi c’è
l’impatto, quando i suoi piedi toccano la terra fangosa, e lui inciampa per la
seconda volta, oggi, se non fosse che adesso c’è Arthur. Le braccia di Arthur,
il torace di Arthur che lo ferma e restano lì, insieme, da soli, e il battito
del cuore di Merlin è più veloce di qualche secondo fa.
Un gioco da bambini. Nascondino. Chiapparello.
Quell’unico momento di paura, d’eccitazione, quando pensi di non poterlo più
sopportare. Essere scovato e catturato.
E questo…
“Sei un po’ pazzo, lo sai?”
Puoi immaginare per tutta la vita come sarebbe stare vicino ad una persona, ma
quando lo sei davvero, non è mai la stessa cosa.
Ed è
insensato, a questo punto.
Le mani di Arthur sono sulla sua schiena, il suo respiro è lì, solo a un battito
del cuore di distanza.
L’acqua gli
gocciola dai capelli, sul viso, e le gocce di pioggia sono impigliate nelle sue
ciglia e Merlin lo fissa, perché è bello ed è vicino e… qui…
“Un po’ pazzo e un po’ troppo gentile ed assolutamente imprevedibile,” mormora
Arthur, come se si fosse dimenticato di se stesso e Merlin pensa che la propria
pelle sembri troppo stretta per qualche ragione e forse dovrebbe essere
preoccupato, ma non lo è, perché sembra troppo giusto così ed è così facile
ignorare ciò che è sbagliato…
“Stai ancora tentando di rendere più semplice dirsi addio?” sussurra Merlin tra
la pioggia, anche se sembra incapace di riconoscere la sua stessa voce in questo
preciso istante.
“Forse…” c’è un cambiamento nei suoi occhi, ma le sue mani sono ancora ferme
nello stesso punto ed entrambi restano immobili mentre il momento si dilata e la
pioggia cade loro attorno, fredda e costante dal cielo lontano e Merlin non sa
più se debba fargli male o farlo sorridere.
Due settimane d’estate e un ricordo d’infanzia… e tutto ciò che c’è in mezzo…
ovvero noi…
11.
Un ignoto numero di momenti restanti.
Dopotutto, che importa?
Gli occhi di Merlin stanno seguendo una goccia di pioggia, che scivola
fin giù a partire dai capelli di Arthur fino alla sua mascella, con esasperante
lentezza, finché indugia sul suo mento per un secondo, un ovale perfetto, il
tempo si è congelato… e poi cade.
Giù, fino al terreno dove si mescola con tutte le altre gocce. Si dissolve in qualcosa che è persino più grande, lava via la terra finché non c’è nient’altro che il livello più intimo. Quel qualcosa che è davvero al di sotto. La verità…
In qualche
modo è quest’immagine che lo riporta di nuovo giù, alla realtà.
“Merlin…” sussurra Arthur, un barlume di paura negli occhi e le dita che
affondano nella stoffa della giacca.
Tutto questo è reale, vero?
Sono lì, svegli, e si stanno stringendo l’un l’altro in questo modo semicasuale, semintenzionale. In qualche modo disperato, in qualche modo incomprensibile.
Perché non si aspettavano nemmeno questo.
E di certo
Merlin si aspettava un sacco di cose.
Ma non questo.
Non stare
fuori sotto la pioggia con Arthur, guardandosi negli occhi per un secondo
infinito e sentirsi come se dovesse imparare di nuovo come si respira.
Non questo. Non questo.
"Merlin?"
Oh, come riesce un nome bisbigliato ad essere tutto.
Una preghiera, l’espressione di gioia, una maledizione.
O una
domanda, in questo caso.
Forse è vero che tutti cercano delle risposte, tutte e dovunque. È parte della
vita, parte dell’essere umano. Il desiderio di scoprire, di conquistare ciò che
c’è dentro. Il bisogno di sapere.
Perché siamo
qui, dove andiamo, cosa succederà?
E mentre Merlin guarda tutte queste domande negli occhi di Arthur, che pendono
dalle sue labbra e nell’aria tra loro, sa che lui non è la risposta.
Non è la risposta a tutta questa confusione, ma la ragione per cui Arthur non sa più cosa pensare.
Non è la
cura, ma la causa di tutto ciò che va male.
Lo ha convinto che stesse scrivendo a qualcun altro.
Gli ha fatto creare un sogno, restando ai margini quando il suo cuore si è spezzato.
Lo ha fatto
innamorare di un fantasma.
Come puoi anche solo iniziare a scusarti per una cosa simile…?
“Arthur,” dice Merlin ed adesso fa male e c’è qualcosa nella sua voce che
fa chiudere ad Arthur gli occhi per un secondo.
Quando li riapre quel luccichio, quel secondo, quel momento se n’è andato e ciò
che resta non è che smarrimento.
Sono stati
vicini in questi pochi giorni. Hanno attraversato mal d’amore e feste, tra il
sole e la pioggia e certo, queste sono cose che ti avvicinano ad una
persona in un modo o nell’altro, anche se è solo una sensazione e non c’è
davvero qualcosa di tangibile.
“Credo sia ora di andare,” sussurra Merlin e forse cinque parole non dovrebbero
essere così dolorose, ma lo sono…
oOo
Persone, rumori, fretta.
Un aeroporto,
per così dire, ma Morgana non c’è stavolta per dirgli quanto ci sia di grande in
tutto questo e Merlin non ricorda cosa abbia detto.
Sembra strano, quasi impossibile che due settimane siano quasi finite, di già, e
mentre restano lì, aspettando il volo di Arthur, Merlin si ritrova a guardarsi
intorno per cercare qualcosa. Qualcosa che non è davvero lì, ma forse se guardi
con abbastanza convinzione lo vedrai, lo sentirai comunque. Forse sta cercando
proprio loro tre, una sorta di riflesso del giorno in cui sono venuti qui per
incontrarsi. Echi della risata di Morgana e tracce del sorriso di Arthur e una
visione di se stesso, da qualche parte in questa scena…
Solo fantasmi, ombre, ricordi, giusto?
Così tanto
cambia, eppure questo sembra essere tutto ciò che rimane.
Arthur si volta dalla tabella delle partenze, la luce artificiale riflessa nei
suoi occhi e uno strano sorriso sulle labbra. Com’è possibile che faccia
contorcere Merlin da dentro, nonostante tutto?
“Dobbiamo prepararci,” la sua mano si allunga per prendere la borsa, ma si ferma
a metà, guardando Merlin, “Quindi questo è un addio, eh?”
“Suppongo non ci sia un modo per renderlo più semplice, a dire il vero,” dice
Merlin, stringendosi lievemente nelle spalle e da qualche parte in sottofondo
una macchina del caffè fischia.
Com’è possible che tutto, ogni piccolo dettaglio in cui mi imbatto, mi
ricordi te?
Stanno camminando verso il gate quando Arthur sospira di nuovo: “Ancora…” scuote
la testa, come se non fosse per nulla soddisfatto del suono della sua voce,” Non
avrei mai pensato che sarebbe finita così. Tutto… è andato in maniera
completamente diversa da come mi immaginavo. E adesso…” si interrompe e Merlin
si morde il labbro.
“Mi spiace che non abbia funzionato… tra te e Morgana…”
Eccola. Una scusa. Non significa niente e significa tutto ed è quasi doloroso
sputarla fuori, perché dovrebbe essere di più, molto di più, ma, ancora, c’è un
modo per scusarsi per dieci anni di bugie?
Non avrei mai voluto perderti e forse è stato questo a dare avvio a tutto
all’inizio…
“Va… bene. Andrà bene, un giorno. Ci riuscirò,” risponde con calma Arthur e c’è
un’espressione indecifrabile sul suo volto, “Ma è strano comunque…” guarda da
un’altra parte, verso il soffitto, verso la caffetteria, ma non verso Merlin,
come se avesse paura che le parole possano non uscire fuori se lo guardasse
negli occhi, “Sono venuto per trovarla, finalmente. E invece… ho trovato te. Ti
ho trovato di nuovo,” prende un respiro profondo, ridendo allo stesso tempo, “So
che suona falso e stupido e sentimentale,” lo osserva, solo per un attimo,
“Suppongo volessi solo dirti ‘grazie’.”
“Non devi ringraziarmi, Arthur,” mormora Merlin ed è serio.
“Io penso di sì,” fa una pausa, prima che i loro occhi alla fine si incontrino,
sostenendosi l’un l’altro per un lunghissimo momento (‘per sempre’ è una parola
così grande quando ti senti così piccolo), “Per tutto. Anche
solo per essere stato lì…”
Un sorriso lento, esitante, lì, in un aeroporto affollato, tra uomini d’affari e turisti. Viaggiatori solitari e famiglie. Coppie amareggiate e persone che si sono appena innamorate.
Un sorriso
sincero e tutti quei sentimenti sono lì, insieme, tutto d’un tratto, è quasi
troppo eppure non è abbastanza. Non è mai abbastanza.
Merlin apre la bocca, perché se c’è qualcosa che si avvicina al ‘momento
giusto’ per parlare, è adesso.
E poi sente la canzone.
C’è questa
ragazza, solo a qualche passo di distanza, con le cuffie del lettore MP3 che
pendono sulle sue spalle come serpentelli neri. La musica è bassa, ovviamente,
ma è lì ed è quella canzone.
The Atlantic was born today and I'll tell you how...
(L’Atlantico è nato oggi e ti dirò come…)
Anche Arthur la sente, Merlin può vederlo nei suoi occhi e il suo sorriso non si
smorza, ma c’è il principio di un sospiro, bloccato nella sua gola, quando
risponde: “Sai, qualcuno mi ha detto che questa è la canzone più triste del
mondo,” abbassa gli occhi e Merlin può di nuovo respirare, improvvisamente,
“Forse c’è del vero, dopotutto…”
The distance is quite simply
much too far for me to row
It seems farther than ever before..
.
(Forse la distanza è semplicemente troppa perché io possa remare fin lì
Sembra più grande di quanto non sia mai stata…)
“Addio, Arthur,” dice Merlin e la sua voce è molto più ferma del battito del suo
cuore.
“Addio, Merlin.”
E’ difficile dire cosa stia pensando quando prende la borsa e si avvia verso i
controlli di sicurezza.
Il suo viso è
quasi inespressivo e le sue dita si stringono forte attorno alla cinghia, come
se avesse bisogno di un supporto, di qualcosa che gli ricordi dove si trova e
chi è. Ma, ancora una volta, forse non è questo il caso… è solo una speranza, di
nuovo…
Le labbra di Arthur si muovono, all’inizio non c’è nessun suono, prima che
pronunci le parole di cui Merlin ha avuto paura pur senza saperlo: “Forse… forse
potresti scrivermi, ogni tanto…”
I need you so much closer...
(Ho così bisogno di averti più vicino…)
oOo
Merlin non sa ancora come chiamare questo qualcosa che ha nel petto, ma
forse non cambierebbe un accidente se gli trovasse un nome. Resterebbe
invariato, perché non è cambiato da quando aveva undici anni e stava sdraiato
sul pavimento della stanza da letto di Arthur, col fiatone, tentando di capire
perché un po’ di solletico lo facesse quasi soffocare per le risatine. Perché la
sua risata lentamente sfumasse e tutto quello che poteva vedere non erano che
gli occhi blu di Arthur nella luce di un pomeriggio autunnale.
È stato più
tardi, molto più tardi, che ha realizzato che è stata la prima volta che
qualcuno lo ha fatto sentire così.
Chiamalo desiderio, chiamalo amore, chiamalo destino.
Così tanti
nomi per un solo sentimento eppure ancora non riesci nemmeno ad iniziare a
trovargli un senso.
Tutto quello che sa è che non può restare a guardare l’aereo prendere il volo e raggiungere il cielo.
Era rimasto
lì a guardare la macchina di Uther partire, dieci anni fa, e non ha mai smesso
di far male, nemmeno per un secondo.
Quando esce fuori nella pioggia il suo telefono inizia a suonare e, sì, forse è
solo la fantasia che scrive le lettere, la vita invece ti telefona…
“Pronto?”
"Merlin?"
“Morgana? Che
succede? Dove sei?”
Può sentirla sospirare, un po’ colpevole: “Sono a casa tua, sono entrata con la
chiave di riserva,” continua, prima che lui abbia modo di reagire, “Scusa, so
che è per le emergenze, ma avevo proprio bisogno della mia scodella per
l’insalata e mi sono appena ricordata di averla lasciata sul tuo tavolo, la
scorsa settimana.”
“E’ per questo che stai telefonando?” Merlin non sa se ridere o piangere.
È solo che sembra così stupido, triviale, che il mondo continui tranquillamente
a girare, indipendentemente da quello che succede a te. Non importa quanto ti
sembri che si sia fermato, “Arthur è appena partito,” spieghi mentre lei resta
in silenzio.
”Oh,” Morgana trattiene il respiro, “Mi spiace, Merlin,” è strano ascoltare
qualcuno che ti telefona da casa tua, quando tu sei da qualche altra parte,
fuori, al freddo, e ti senti come se avessi perso qualcosa, anche se forse si
tratta solo di un’altra occasione, “So che sarei dovuta essere lì. Non
intendevo…” sta quasi bisbigliando, “Voglio solo che le cose funzionino
stavolta. Lo voglio davvero.”
”Va bene,” dice, e forse è vero, “Lo supererà.”
Ride,
silenziosamente e quasi con prudenza: “Non ne sarei così sicura.
È ancora molto dipendente dagli altri, non credi?”
Non sa cosa
pensare, ma continua comunque a parlare: “Non è il motivo per cui ho chiamato,
comunque. C’era una lettera sotto la scodella, penso che sia per questo che non
l’hai vista, ma è dalla New York University e ho pensato che potesse essere
importante…”
“L’hai
aperta,” dice Merlin, sapendo già di aver ragione, ma non riuscendo ancora a
comprendere pienamente il significato di quelle parole.
“Sì,” suona
ancora colpevole per un momento, “Oh, Merlin, vogliono invitarti per un
colloquio, riesci a crederci?” può sentire la gioia sincera nella sua voce e
forse dovrebbe sentirla anche lui, ma non è così, “Il fatto è che devi
presentarti sabato, cioè…”
“Presto,” la
interrompe Merlin, la gola improvvisamente secca, per i motivi sbagliati anche
stavolta, “Molto presto.”
Lei fa
schioccare la lingua e Merlin può immaginare il suo cenno entusiasta: “Sì. È un
gran peccato che tu non l’abbia vista prima, avresti potuto prendere lo stesso
volo di Arthur.”
Due settimane a tentare di sopravvivere nel presente senza perdersi nel passato.
E rovinare quasi il futuro, lungo la strada.
Forse dieci
anni sono abbastanza. Forse è il momento di lasciar perdere…
“Non dirlo ad Arthur,” dice Merlin, prima di frenarsi e mordersi il labbro.
Morgana resta in silenzio per qualche secondo: “Quindi non siete riusciti ad
andare d’accordo?”
“Non è questo
il problema.”
“E qual è,
allora, Merlin?”
Prende un profondo respiro: “Il problema è che stiamo guardando le stesse cose,
solo che vediamo qualcosa di completamente diverso.”
Com’è
possible che alcuni addii facciano più male di altri dopo che li hai già
pronunciati e prima che inizi a comprendere il loro significato…?
12.
Merlin sa che dovrebbe essere eccitato.
È solo una tra le milioni di cose che dovrebbe essere, tra le milioni di cose che dovrebbe fare. Dovrebbe essere grato, dovrebbe essere nervoso. Dovrebbe ridere e preoccuparsi e soprattutto dovrebbe iniziare a superarlo.
Ma c’è solo
questo senso di vuoto interiore, perché manca qualcosa.
Ma come puoi perdere qualcosa che non hai mai avuto?
Come puoi farti comprendere da tutti gli altri quando non hai le parole giuste?
E come si può
pensare che tu possa sorridere quando tutto quello che vorresti fare è
dimenticare?
Merlin ci prova con tutto se stesso, ci prova davvero. A dimenticare, s’intende.
Farsi uscire dalla mente sogni d’infanzia d’altalene e sorrisi, di raggi di sole
e piccoli inizi. Provare a reprimere i ricordi di desideri adolescenziali, di
giorni d’estate caldi e silenziosi, quando non c’era nient’altro oltre il
battito del suo cuore e il suo respiro nell’aria pesante e poi il nome di Arthur
sulle sue labbra, ancora e ancora, finché era diventato solo un sussurro e per
un attimo gli era sembrato che bastasse ad avvicinarlo, a portarlo di nuovo
indietro, in qualche modo…
Sarebbe molto più semplice se solo riuscisse a dimenticare.
Ma a volte le cose che dovrebbero essere più semplici sono quelle che non riesci a raggiungere.
Ed è per questo che è seduto lì, sul letto di un albergo alla fine del mondo (o almeno, si sente come se fosse alla fine del mondo) e la sua mente è piena di ricordi.
Nient’altro che vecchi sentimenti in una città nuova.
Forse non ha
importanza dove sei, quando sei solo.
E una stanza d’albergo è forse il posto perfetto per sentirsi così.
Anonimo, in qualche modo. Chi è stato qui prima, chi starà qui quando te ne sarai andato?
Lo stesso si potrebbe dire per un’altra città.
Per quello che ne sai, potresti essere qualcuno altro, reinventarti, creare un nuovo inizio.
Anziché
guardare fuori dalla finestra, dove il cielo senza stelle sta diventando nero su
tutte queste luci e le persone camminano per le strade. Solo un altro venerdì
pomeriggio di tarda estate e il mondo si rifiuta ancora di riconoscere il fatto
che le cose abbiano smesso di avere senso molto tempo fa.
E ogni volta che chiude gli occhi può vedere il viso di Arthur e quell’ultimo
sorriso.
Non aveva comunque previsto che avrebbe dormito, stanotte.
Con un
sospiro si alza dal letto, attraversa la stanza fino alla valigia e prende il
portatile ed il telefono. Deve esserci qualcosa in grado di distrarlo.
Il display segnala quattro chiamate perse. Un nuovo messaggio vocale.
Mentre avvia
il computer clicca sul menu finché raggiunge l’account di posta elettronica (le
vecchie abitudini sono dure a morire), infila il telefono tra l’orecchio e la
spalla e ascolta la registrazione, la testa inclinata da un lato e la lingua
stretta contro i denti.
“Merlin?” è di nuovo Morgana e suona così confusa da farlo raggelare, lì sul
letto, “Merlin, sono io. Mi spiace interrompere i tuoi preparativi per il
colloquio, ma… non so… solo che…” trattiene il respiro e poi ride ed è una
risata nervosa che lo rende ancora più ansioso “Dio, sembro così stupida, non
preoccuparti, okay? Non è successo nulla di grave. Solo…” può sentirla leccarsi
le labbra prima di pronunciare altre tre parole, “Ha telefonato Arthur.”
Le mani di
Merlin si muovono sulla testiera e i suoi occhi sono incollati allo schermo.
Nuovo
messaggio.
“Non me lo aspettavo per nulla,” continua Morgana e per un attimo si è quasi
scordato di lei, perché il suo cuore batte così maledettamente veloce quando
legge l’indirizzo email…
“Non credo che riuscirò mai a capirlo, è così strano, a volte,” è abbastanza facile immaginare come stia scuotendo la testa, facendo muovere i capelli scuri attorno alla faccia, come una bella cornice, “Gli ho detto che mi spiaceva non essere riuscita a fare in tempo per accompagnarlo in aeroporto e mi ha detto che non era un problema, ma, a dire il vero, non sembrava sincero… per niente,” dice e Merlin ascolta, senza fiato.
“Ma quando
gli ho chiesto se ci fosse qualche problema, se potessi fare qualcosa per lui,
ha solo riso come se avessi fatto una battuta molto divertente,” si schiarisce
la voce, “Comunque, mi ha detto che aveva provato a chiamarti ma il tuo telefono
era spento e poi ha borbottato qualcosa sul farmi una domanda e poi…” fa
schioccare la lingua e Merlin stranamente pensa che deve essere una specie di
tic, perché lo fa spesso quando è nervosa, ma a lui non è mai capitato e sembra
così insignificante adesso, ma non riesce comunque a fare a meno di pensarlo,
“Mi ha chiesto se mi ricordavo di quella volta in cui dei dragoni si inseguivano
su un mare ghiacciato, o qualcosa di simile e mi spiace, ma ho dovuto ridere,
anche se non riuscivo a liberarmi della sensazione che fosse serio…”
Merlin chiude gli occhi e la stanza, lo schermo, il mondo svanisce, ma la voce
di Morgana è ancora nelle sue orecchie, viene fuori dal telefono tiepido,
ricordandogli quello che sta accadendo in realtà.
“Ho detto di no e potevo sentire che tratteneva il respiro, come se non fosse la
risposta che voleva sentire ma quella che si aspettava,” Morgana abbassa la
voce, “E poi mi ha ringraziato, è stato così strano. Merlin, so che
magari non vuoi parlargli, ma sembrava così triste e…” respira nella cornetta,
“… e credo di avergli detto che sei a New York,” una breve pausa e poi un altro
sussurro, “Mi dispiace…”
E poi la chiamata viene chiusa e il suono della linea che cade invade l’orecchio
di Merlin.
Il telefono scivola via, cade giù sulla coperta dove il display ancora riluce per qualche secondo nella stanza buia, prima di spegnersi.
È finita, no?
La fine di
una chiamata, la fine di … qualcosa. Di qualcosa che è stato per gli ultimi
dieci anni.
Le mani di Merlin tremano giusto un po’ mentre apre la posta.
È strano. Ci sono cose a cui sei tranquillamente abituato e poi, un giorno, sembrano diventare del tutto aliene, come se non le avessi mai fatte prima.
Lettere, nere su bianco. È la prima volta che leggere l’indirizzo di Arthur lo fa sentire così.
Estraneo,
strano, scombussolato…
Caro Merlin,
Sai cosa dicono sulle coincidenze ed il destino?
Non ci ho mai creduto. Non ci sono prove né della loro esistenza, né del contrario…
Ma credo nella stupidità umana.
Lascia che ti racconti la storia di due persone.
Una di loro è un terribile bugiardo.
É rimasto lì, immobile, una giornata d’estate, a guardare un’altra persona
innamorarsi per la prima volta.
Ha attraversato momenti difficili a stare attorno a questa persona durante gli anni successivi.
Ha assistito ad un bacio e anche se ci si aspettava che ridesse, perché era un bambino (ed è questo che si fa, di solito) è semplicemente rimasto a guardare ed è iniziato qualcos’altro.
Ha detto addio quando aveva quattordici anni e l’ha fatto di nuovo quando ne aveva ventiquattro ed ogni singola volta ha significato qualcosa di più e le parole non dette restavano sempre lì sospese sulle sue labbra mentre diventava sempre più piccolo nello specchietto retrovisore o spariva in un aeroporto affollato.
Ha sorriso tantissime volte, ma quasi mai
il sorriso ha raggiunto i suoi occhi.
Ha provato ad essere felice per tutti gli altri,
ma non ha mai provato ad essere felice per se stesso.
L’altra persona è un idiota.
Uno stupido, cieco, maledetto idiota.
Avrebbe dovuto vedere tutte queste cose, avrebbe dovuto leggere le parole tra le righe, avrebbe dovuto sapere che non era tutto. Avrebbe dovuto capire che la verità era proprio di fronte ai suoi occhi, ma non l’ha fatto.
Comunque, hanno qualcosa in comune.
Hanno condiviso dieci anni ed ogni più piccolo sogno. Speranze e delusioni e tutte quelle piccole cose che definiscono la vita.
Ed entrambi non riescono a raggiungere la
felicità.
PS: Dicono anche che la canzone più triste
del mondo è ogni singola canzone che suonano ogni volta che una storia finisce…
Arthur
oOo
Si convince che tutto vada bene.
Non è vero.
Dice alla sua immagine allo specchio che non va così male.
È vero.
Prova ad andare avanti, perché è tutto quello che è ancora possibile fare.
Ma non può.
Forse è bene che si senta così intontito, così irreale, così qui-ma-non-proprio
quando lascia l’hotel il giorno dopo per andare al colloquio. Forse questo
dovrebbe rendere tutto più semplice.
È lì e parla del passato e del futuro. Delle cose che sa fare (fingendo di non essere più uno di loro…), dei progetti che ha, delle prospettive e di cosa avverrà dopo. Sembra fare una buona impressione. Forse riuscirà persino ad avere il posto all’università.
E non
potrebbe importargliene di meno.
Sabato sera in una stanza d’albergo.
Non è la fine
del mondo, ma l’inizio di qualcosa di nuovo.
Per la prima volta dopo dieci anni potremmo vivere di nuovo nella stessa
città.
La tua, la mia, la nostra.
Non importa più, vero?
Merlin è sdraiato sul letto, immobile, guarda il soffitto, quando sente
bussare alla porta.
Raggiunge l’altra parte della stanza… sembrano volerci secoli, ma quando apre la porta il tempo si ferma davvero e forse anche l’orologio da parete si è congelato, perché non c’è nessun suono. Assolutamente nessun suono, finché uno dei due non inizia a parlare.
“Sei davvero
qui,” dice Arthur e la maniglia della porta è fredda sotto le dita di Merlin.
“Anche tu,” risponde, guardando l’espressione stanca nei suoi occhi e sentendosi
perso per un altro istante, “Che ci fai qui, Arthur?”
“L’hotel appartiene ad un amico di mio padre. Mi ha aiutato,” resta lì
all’ingresso, una flebile luce disegna delle ombre sul suo volto, “Non hai
risposto al mio messaggio,” le parole sono lì, riempiono l’aria tra loro, quasi
oppressive, eppure Merlin non sa cosa dire, “E tu hai sempre risposto ai miei
messaggi,” aggiunge Arthur.
“Cosa vuoi sentirti dire?” Merlin prende un respiro profondo ed è difficile, oh,
è così difficile guardarlo negli occhi in questo preciso istante, “Cosa
vuoi che dica, Arthur?”
“Non lo so,”
mormora Arthur alla fine, tenendo gli occhi incollati al viso di Merlin, “Solo..
dimmi qualcosa di vero…”
Sapeva che avrebbe fatto male, ma è peggio di quanto avesse immaginato,
molto peggio: “Il nome era falso. Tutto il resto no,” abbassa gli occhi, perché
non può sopportare ancora, “Tutto il resto ero io.”
“Sì,” dice Arthur e tutto è tranquillo, attorno a loro.
Così dannatamente tranquillo. Niente rumore del traffico, né risate in
lontananza, né pioggia. Solo silenzio.
È questo
che è rimasto di noi? É questo che siamo diventati, è in questo modo che ci
separeremo?
“Io…” dice Merlin ed è come se dovesse imparare di nuovo a parlare, “Sono…” un
altro respiro profondo, “Vorrei dire che mi dispiace, ma non penso sia
abbastanza.”
“Forse,” c’è
il sospiro di Arthur in questo ingresso vuoto, “Non lo so…”
La maniglia della porta è ancora così fredda sotto la pelle di Merlin quando
inizia a chiudere la porta.
Quindi è così che inizia una fine, vero?
“Merlin. Non è…” e si ferma, sollevando lo sguardo dal pavimento, fuori dalla
porta e fissandolo di nuovo negli occhi di Arthur, “Ti…?” inizia Arthur, per poi
interrompersi e la sua voce è roca quando ricomincia, “Ti ricordi di quella
volta che ero innamorato di te?” le parole inciampano sulle sue labbra,
“Innamorato pazzamente, completamente, in maniera così straordinaria da far
male?” fa un passo verso la porta semichiusa, “Solo che non avevo capito che
fossi tu? Che lo sei sempre stato per tutto questo tempo?”
Merlin ha un groppo in gola e il suo cuore batte selvaggiamente quando
risponde: “Lo sai che il gioco finisce quando dici qualcosa di vero…”
Gli occhi di Arthur non sono mai stati così blu, non fino ad ora, nel momento in
cui guarda Merlin, lo guarda davvero (non per la prima volta nella vita,
ma forse per la prima volta da quando ha capito), “Penso che il gioco sia
comunque finito.”
E poi chiude la distanza tra loro e le sue mani sono sulle braccia di Merlin,
sulle spalle di Merlin, tra i suoi capelli, fin quando prendono a coppa il suo
viso. Entrambi hanno il respiro accelerato, di già, i loro volti sono separati
da nient’altro che qualche centimetro di aria e da questo piccolo rimasuglio di
esitazione, perché è quasi troppo. Incredibile. E nuovo.
“Merlin,” bisbiglia Arthur, prima di attirarlo a sé e le loro labbra si
sfiorano a vicenda.
É un bacio incerto, all’inizio. Inizia come un bacio
veloce a labbra chiuse, un po’ goffo, un po’ insicuro.
Ma poi Merlin si avvicina e il suo petto è stretto a quello di Arthur e.. proprio lì, i loro cuori battono, insieme, non nella stanza, non nell’ingresso, ma tra di loro.
E proprio lì il bacio si approfondisce, le labbra di Arthur diventano calde sotto le sue e può sentirne il sapore, può sentire il sapore di Arthur…
Respiri condivisi e secondi infiniti.
I polpastrelli di Arthur sulla sua pelle, il movimento delle sue labbra, il calore del suo corpo.
Non sono mai
stati così vicini.
Quanto
puoi resistere, aspettando un bacio che sei sicuro che non avrai mai? E cosa fai
quando tutto sta cambiando di nuovo?
“Arthur…” dice Merlin quando si separano per il bisogno d’aria, “Arthur…”
Eppure un nome sussurrato può significare un sacco di cose.
Principalmente una domanda, perché pare che ce ne siano sempre di più rispetto
alle risposte…
”Sì,” il volto di Arthur è ancora così vicino e c’è qualcosa che somiglia ad un
sorriso agli angoli della sua bocca, “Sì, anche io.”
Merlin chiude
gli occhi, abbandonandosi all’abbraccio, inspirando il suo profumo: “Quindi… i
due tizi della tua storia… si mettono insieme alla fine?”
Il respiro di Arthur gli sfiora la pelle quando risponde: “Lo fanno sempre,
ricordi?” e restano in silenzio, restano lì a stringersi l’un l’altro e… ehi,
sta succedendo davvero…
“Ma non era una fine, era un inizio,” sussurra Arthur e finalmente il mondo ricomincia a muoversi…
Così tante lettere, così tanti modi di formare una parole. Scrivere il tuo nome. Scrivere la mia canzone. Scrivere la storia delle nostre vite…
Fine.
Note della traduttrice: l'ho finita e quasi non ci credo *__* come potete vedere, se possibile, la seconda parte è ancora più intensa della prima e ci sono scene, come quella dell'altalena, dell'aeroporto, del bacio... TUTTE, insomma, che toccano picchi di intensità che mi mandavano in pappa il cervello mentre traducevo. E il nostro Merlin è stato perdonato e ha anche avuto giustizia. E così pure Arthur. Abbiamo sofferto tanto, con loro.
Anche se non sono l'autrice, ringrazio chi ha recensito (tradurrò un po' le recensioni anche a snowblood7), messo la storia tra le seguite, le preferite, le ricordate eccetera. Vi ringrazio qui e non usando il form di risposta alle recensioni, perché, ancora una volta, non essendo io l'autrice non mi sembra il caso.
Grazie a elfin emrys, SIWA, roku__ e yaal. Ringrazio chi ha apprezzato la traduzione e, soprattutto, in risposta a chi ha ringraziato me per il lavoro, sono io a ringraziare voi per aver letto. Spero solo che questa storia vi abbia trasmesso quello che ha trasmesso a me e che vi sia piaciuto leggerla quanto è piaciuto a me tradurla. A chi mi ha chiesto se ho altre storie straniere in serbo: in questo momento non ho deciso nulla, a parte una storia in russo che vorrei davvero tradurre (più per esercitazione, forse, che per valore della storia in sé) ma per cui non ho ancora chiesto il permesso.
La canzone che Arthur e Merlin ascoltano in aeroporto è Transatlanticism dei Death Cab for Cuties, vi consiglio di ascoltarla perché è meravigliosa.