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Autore: My Pride    06/03/2011    3 recensioni
«L’amore a volte è come una partita a scacchi. Se in due può diventare complicata, in tre è anche peggio»
Quel fagiolino era davvero riuscito ad accaparrarsi un appuntamento con Riza Hawkeye... quella Riza Hawkeye?
Il mondo stava per caso andando a rotoli? Era arrivato il giorno del giudizio e nessuno mi aveva detto nulla?
O ero semplicemente finito all’Inferno senza passare dal via, e quello che stavo vivendo era appunto un incubo che avrei rivisto per tutta l’eternità?
[ Roy/Riza/Edward → Accenni Royai, Edoai ed Havocai ]
[ Seconda classificata al contest «Three is megl' che one» indetto da Dark Aeris ]
[ Quinta classificata e vincitrice del Premio Miglior Threesome e Premio Simpatia al contest «Because 3some is better» indetto da Setsuka ]
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Jean Havoc, Riza Hawkeye, Roy Mustang, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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My Fuckin Valentine_2
ATTO II: LOSERS?  FEBRUARY 15, 1922 
A SCHERZARE CON IL FUOCO SI RIMANE BRUCIATI  
 
    Per mia grande fortuna, quello stupido giorno di San Valentino era passato abbastanza velocemente.
    La serata con Acciaio si era conclusa con quella sfida che includeva anche il Sottotenente Havoc, ed era proprio per quel motivo che invece di lavorare ponderavo la prossima mossa. Dovevo muovermi per primo, ma già sentivo di avere comunque la vittoria in pugno: Acciaio era praticamente asessuato per quanto riguardava la sfera sentimentale, mentre Havoc aveva semplicemente guadagnato una specie di appuntamento con chissà quale subdolo trucco, vista la sua poca fortuna con le donne. Rappresentavano entrambi un ostacolo piuttosto valicabile, per me.
    Il tempo che avrei potuto passare a fare qualcosa di estremamente più costruttivo come firmare gli arretrati, lo passai dunque a cercare il modo migliore per approcciarmi alla Hawkeye, scavando persino nei ricordi di gioventù come se quello avesse potuto in qualche modo aiutarmi. E più lo facevo, più dovevo ritrovarmi ad ammettere che a quei tempi sembrava tutto dannatamente più facile. Forse perché durante quel periodo ero semplicemente uno scapestrato sedicenne e lei poco più di una bambina, chi poteva dirlo. Che non fosse comunque come tutte le altre donne lo sapevo fin troppo bene, quindi la cosa richiedeva una studiata strategia e una giusta manovra d’attacco, per metterla in termini militari. Ma la cosa sembrava letteralmente molto più facile a dirsi che a farsi, con una come lei.
    A distrarmi dai miei piani calcolati e dalle mie mille supposizioni fu il cadere di una cartellina, subito raccolta da un diligente Falman con scuse al seguito. Se una cosa così banale riusciva a richiamarmi immediatamente all’ordine, probabilmente mi stavo concentrando con fin troppa dedizione sulla cosa sbagliata. Ma continuai ancora a pensarci anche quando scendemmo in mensa per la pausa pranzo, dove me ne approfittai per tener d’occhio i miei rivali: uno non era ancora arrivato, dato che iniziava il suo turno nel tardo pomeriggio, mentre l’altro aveva già cominciato ad attaccar bottone con Riza. E dovevo dolorosamente ammettere che era stato astuto, se tenevamo conto del fatto che avevo pensato anch’io d’approcciarmi proprio lì, intavolando un discorso che avremmo potuto continuare in ufficio e poi in un luogo più appartato, magari. Non si poteva mai sapere.
    Lo lasciai, però, semplicemente fare, visto che andare a rovinargli la festa proprio in quel momento sarebbe stato piuttosto infantile persino da parte mia. Si sarebbe di sicuro fregato con le sue stesse mani, ne ero più che certo. Presi dunque posto altrove, adocchiandoli comunque di tanto in tanto con la coda dell’occhio mentre mangiavo, concentrandomi al tempo stesso sul brusio presente.
    Per tutto il tempo ero stato alle prese con quel mio grattacapo senza arrivare ad una conclusione, e continuai a farlo anche dopo aver mangiato ed essere tornato alla mia postazione, ancor più quando fece la sua comparsa anche il terzo contendente di quello stupido gioco. E quando l’occhio mi cadde su di lui, non seppi se meravigliarmi o ridere. Aveva indossato la divisa, cosa che non faceva praticamente mai, e si era raccolto i capelli in una coda esattamente come la sera addietro. Voleva davvero fare buona impressione, a quanto sembrava.
    Attraversò l’ufficio senza degnare né me né Havoc di un’occhiata, salutando tutti gli altri prima di occupare una delle poche scrivanie ancora vuote. Lo vidi, subito dopo, cominciare ad intrattenere una tranquilla conversazione con Breda, sebbene quest’ultimo risultasse un po’ accigliato a sua volta. Probabilmente vederlo a lavoro e in divisa come un vero e proprio cane dell’esercito aveva sbalordito anche lui.
    «Colonnello Mustang?» mi richiamò all’ordine la voce di Falman, e faticai non poco a distogliere lo sguardo dalla scena che mi si era parata dinnanzi agli occhi.
    Mi massaggiai appena la fronte con due dita, vedendo il Maresciallo poggiare una tazza di caffè sulla mia scrivania, facendomi però storcere un po’ il naso in una smorfia. «Chi l’ha preparato, questo?» non riuscii a frenare quella domanda, nonostante non fossi poi così sicuro di volerlo sapere davvero. Mi stavo più che altro concentrando a tener d’occhio Acciaio e Havoc, sebbene la Hawkeye non fosse presente in ufficio. E poiché più volte ricambiavano i miei sguardi, sembravano star facendo il mio stesso e identico gioco.
    «Murray, giù alla mensa», rispose poi Falman, e la smorfia sul mio viso s’intensificò così tanto che storsi anche la bocca, allungando subito dopo una mano per afferrare la tazza in questione. E come volevasi dimostrare, una volta assaggiato ebbi quasi l’impulso di risputarlo fuori. Faceva più schifo del solito, quel caffè.
    «Grazie, Maresciallo Falman», dissi poi, e nemmeno io capii se l’avessi detto in tono sarcastico oppure no. Ma lui sembrò non darvi assolutamente peso, forse per stanchezza o semplicemente perché non aveva colto affatto la sfumatura nella mia voce.
    Mentre assaggiavo quella brodaglia che avevano avuto il coraggio di chiamare caffè, continuavo a far scorrere lo sguardo nel resto dell’ufficio. Fu proprio a quel punto che mi accorsi che qualcuno mancava all’appello, e non fui il solo. La cosa non mi piaceva per niente, se dovevo essere sincero. Quei pochi attimi che avevo sprecato nel parlare con Falman mi avevano distratto, ed ecco qual era stato il risultato. Dove diavolo era sparito, quel fagiolo di Acciaio?
    Nemmeno a dirlo, tornò subito dopo in ufficio con un’espressione di trionfo dipinta in viso, scoccando un’occhiata verso di noi prima di sorridere maggiormente. Ci rivolse persino il segno della vittoria di nascosto, voltandosi in direzione della porta non appena entrò anche Riza.
    Io e Havoc ci gettammo uno sguardo quasi di sfuggita, forse persino vagamente increduli. Poi però ci trattenemmo dal ridere, credendo che Acciaio stesse prendendo in giro entrambi. Ma quando sentimmo proprio la Hawkeye dirgli distrattamente «A più tardi allora, Edward» e sorridergli subito dopo, non potemmo davvero credere alle nostre orecchie.
    Quel fagiolino era davvero riuscito ad accaparrarsi un appuntamento con Riza Hawkeye... quella Riza Hawkeye? Il mondo stava per caso andando a rotoli? Era arrivato il giorno del giudizio e nessuno mi aveva detto nulla? O ero semplicemente finito all’Inferno senza passare dal via, e quello che stavo vivendo era appunto un incubo che avrei rivisto per tutta l’eternità?
    Sembrava quasi che il mio cervello si rifiutasse anche solo a formulare quel pensiero, poiché trovavo la cosa pressoché impossibile. E dovetti contenere per il resto della giornata quella mia spropositata curiosità, lasciando la mia postazione solo quando mi fu realmente possibile. Con la Hawkeye già diretta verso casa, e quindi non presente per tenermi sotto controllo con la sua fidata pistola, torchiare Acciaio sarebbe stato molto più semplice. E quando mi avvicinai a lui, che stava raccogliendo le ultime cose prima di andarsene a sua volta, quasi non mi accorsi subito della presenza di Havoc.
    «Ci devi una spiegazione, Acciaio», dicemmo all’unisono, forse persino un po’, aye, gelosi. Se per lui stesso o se perché fosse riuscito a guadagnarsi un’uscita con Riza, non era del tutto chiaro nemmeno a noi.
    Lui ci guardò però con tutta la tranquillità possibile, atteggiando persino il viso ad un’espressione innocente. «Come?» domandò in risposta, facendo guizzare il suo sguardo ambrato su entrambi.
    «Non fare lo gnorri con noi», incalzò immediatamente Havoc, forse un pochino su di giri. «Come sei riuscito a farle dire di sì?»
    Acciaio si ritrovò a sbattere un po’ le palpebre, come se stesse continuando quella farsa, poi si batté la mano sinistra chiusa a pugno sul palmo dell’auto-mail. «Oh, quello», buttò poi lì, come se fosse una cosa da nulla appena ricordata. «Gliel’ho semplicemente chiesto, tutto qui».
    «E lei ha accettato così, senza fare una piega?» fu il mio turno di chiedere, zittendo prontamente il Sottotenente. Dire che ero leggermente scombussolato sarebbe stato un sottile eufemismo. Non solo perché conoscevo fin troppo bene Riza, ma forse perché ero rimasto persino un po’ sorpreso dal comportamento di Acciaio, che sembrava aver preso fin troppo sul serio quella nostra sfida. Che fossi persino un pochino geloso? Chi avrebbe mai potuto dirlo.
    A quella mia domanda scrollò le spalle con fare tranquillo, fortunatamente ignaro delle mie elucubrazioni mentali. «Certo che ha accettato, cosa c’è di così strano?» rimbeccò, sollevando appena un sopracciglio biondo. «Di sicuro ispiro molta più fiducia di voi due, non credete?» soggiunse ironico. «Adesso scusate, signori, ma devo prepararmi per un appuntamento», ciò detto si ritrovò poi a darci le spalle, agitando appena una mano in segno di saluto mentre si allontanava.
    Non fui il solo a cogliere la nota sarcastica e divertita con cui se ne andò, data l’espressione che aveva assunto il viso di Havoc in quel preciso istante.
    Gli scoccai un’occhiata, ancora incredulo per quel che avevo appena saputo. «Questa situazione necessita di una salda presa di posizione, Sottotenente», affermai risoluto, guardai poi il punto in cui era da poco sparito Acciaio. «Non vorremo di certo farci mettere nel sacco da un moccioso... ne va della reputazione di entrambi», e specialmente della mia, evitai di aggiungere. Se quel fagiolo credeva di fregarci in quel modo, si sbagliava. E di grosso, anche.
    «Dovremo pedinarlo», se ne uscì d’un tratto Havoc, in tono così serio che quasi stentai a credere che fosse stato davvero lui a pronunciare quelle parole. E forse fu proprio per quello che mi voltai del tutto verso di lui con un sopracciglio sollevato, atteggiando però un angolo della bocca ad un mezzo sorriso sardonico.
    «Davvero un’ottima idea, Sottotenente», e gli avrei anche battuto una mano su una spalla se per farlo non mi fosse toccato allungare il braccio a causa della differenza d’altezza.
    Scoprimmo ben presto che la conoscenza di Acciaio sui luoghi di Central era piuttosto limitata, poiché diede appuntamento a Riza nello stesso posto in cui Havoc l’aveva portata la sera addietro e dove persino noi eravamo andati. C’erano meno coppie della sera precedente, fuori, ma l’atmosfera era quasi identica alla sera prima, come se fosse ancora San Valentino. La giornata degli amanti non moriva mai per davvero, a quanto sembrava.
    Avevamo seguito entrambi fin lì con tutta la discrezione possibile, meravigliandoci persino di come Riza si fosse messa in ghingheri per Acciaio. Quello di cui ancora non mi capacitavo io, però, era proprio quel suo lasciarsi convincere così facilmente. Non era mai stata una donna del genere, ed ero certo che se l’avesse vista il Maestro Hawkeye si sarebbe meravigliato quasi quanto me. Non mi sarei quindi dato pace finché non avessi capito come quella sottospecie di fagiolo ci fosse riuscito. Se avessi creduto in una qualche entità superiore o in un potere divino, avrei sicuramente detto che aveva avuto quella fortuna soltanto grazie ad un miracolo.
    Ci infiltrammo a nostra volta nel locale solo una decina di minuti dopo, così da non destare sospetti, e ci sedemmo al tavolo più vicino non appena li notammo. Avevano già ordinato qualcosa da bere, e sembravano entrambi perfettamente a loro agio. Non erano proprio a portata d’orecchie, certo, ma avremmo così evitato di essere scoperti da uno dei due.
    «Non crede che ci noteranno subito?» la voce del Sottotenente mi distolse dai miei pensieri, ma ciò che mi limitai a fare fu solo calmarmi meglio il cappello in testa mentre continuavo tranquillamente a guardare altrove come se nulla fosse.
    «È per questo che l’ho messo», risposi, indicando con un cenno del capo il mio copricapo.
Notai Havoc sollevare appena lo sguardo al soffitto, vedendolo poi chiamare un cameriere per ordinare rapidamente un drink prima di rivolgersi a me. «
È proprio a causa di quel coso che ha in testa, che l’ho detto», ci tenne a precisare in tono ironico. «Ma contento lei...»
    «Niente sarcasmo, soldato», lo richiamai immediatamente. «Siamo qui in missione, ti ricordo», soggiunsi, sebbene quel pedinamento non potesse essere chiamato per niente con quel nome. Ma avevo intenzione di tenere d’occhio Acciaio, e pian piano stavo cominciando a capire che la scommessa o le attenzioni di Riza c’entravano ben poco, o probabilmente era questo quello che volevo credere. Forse, però, dovevo ammettere a me stesso che vedere Acciaio interessato a qualcuno che non fossi io, un po’ mi innervosiva. E la cosa era tutt’altro che rassicurante.
    Io e il Sottotenente ci concentrammo ben presto su quei due, come se non solo cercassimo di capire come stessero andando le cose dai loro gesti e dalle loro espressioni, ma persino di cogliere qualche loro parola. Cosa impossibile, da quella distanza, ma ormai provarci non ci costava assolutamente nulla. In fin dei conti eravamo andati fin lì per capire le intenzioni di Acciaio, e dovevo ammettere che non l’avevo mai visto così. Anzi, a dirla tutta non l’avevo mai visto alle prese con una donna, se si escludeva la sua bisbetica meccanica, che di elegante e femminile, a mio modesto parere, aveva ben poco. E Acciaio non sembrava nemmeno cavarsela così male, ad esser sinceri, specialmente se si teneva conto che la donna in questione era Riza Hawkeye.
    La cosa che mi stupì maggiormente, oltre quella situazione già assurda di suo, fu sentire proprio quest’ultima ridere. Una risata allegra e genuina, una risata che non mi sembrava d’aver mai sentito scaturire dal fondo della sua gola. Aguzzai dunque la vista, vedendo anche Acciaio ridacchiare prima di sorriderle affabile. Uno di quei sorrisi che di solito rivolgevo io alle donne con cui uscivo, se dovevamo fare un paragone, ma che sulle sue labbra, forse proprio perché non era affatto da lui, risultava alquanto bizzarro. Quelli che stavo osservando erano davvero loro o soltanto uno scherzo - e anche di pessimo gusto, avrei aggiunto - della mia mente, dunque? Stentavo ancora a crederci, ma più gli occhi cadevano su quella scena, più la realtà mi veniva letteralmente sbattuta in faccia. Quel ragazzo alto un metro e un tappo ci sapeva fare. Ci sapeva dannatamente fare.
    «Se riesci a far ridere una donna, sei ad un passo dal conquistarla», filosofai d’un tratto, bevendo un sorso del mio drink subito dopo. «Quel fagiolino ci ha letteralmente fottuti, Havoc».
    «E viene quasi da chiedersi come ci sia riuscito», concluse per me, dando voce ancora una volta ai miei pensieri. Su certi argomenti eravamo sulla stessa lunghezza d’onda, poco ma sicuro. Sembrava strano dirlo, certo, però era vero.
    Tornando a guardare lui, ma tentando al tempo stesso di tenere sotto controllo gli altri due con la coda dell’occhio, mi rigirai il bicchiere fra le mani. «Mi duole dirlo, ma suppongo che a questo punto ci restino due sole cose da fare», cominciai con una strana serietà. «O tentiamo un’ultima volta di rimediare un appuntamento con Riza, o consideriamo la sfida conclusa e la prendiamo come due uomini, dandola vinta a quel tappo di sughero di Acciaio».
    A quel mio dire, Havoc storse di poco il naso. «Anche se ammetto che preferirei la prima opzione, la seconda mi sembra in effetti la cosa più matura da fare, in questo momento», asserì con una punta d’amarezza. «Sarebbe alquanto infantile cercare di strappargli la vittoria dopo tutta la fatica che sembra aver fatto, non crede?» s’infilò una mano nella tasca dei pantaloni per tirarne fuori il solito pacchetto di sigarette, afferrandone una per portarsela alle labbra senza accenderla. «E poi, diciamocelo in tutta sincerità... era una sfida idiota».
    «Una sfida idiota che hai deciso di accettare, però», ci tenni a precisare sarcasticamente, abbozzando appena un piccolo sorrisetto sardonico prima d’adocchiare ancora una volta quei due. Stavano mangiando, e avevano persino cominciato a chiacchierare tranquillamente come non li avevo mai visti fare prima. L’atmosfera fra loro, tra l’altro, era tutto fuorché tesa. Sembravano rilassati ed entrambi a loro agio, nonostante la strana intesa che si riusciva ad avvertire in modo fin troppo esplicito fra loro. «Vedila così», ripresi poi, tornando a fissare Havoc «hai passato un San Valentino diverso dal solito».
    Lui sbuffò appena, decidendo di non ribattere e di fare semplicemente finta di nulla, e io tornai così a riconcentrarmi su Acciaio e Riza. Più che un San Valentino, quello era stato solo un terribile spreco di tempo e un inutile dispendio di energie. Invece di rincorrere dei fantasmi e dar vita a quell’idiozia, avrei potuto scegliere una donna qualsiasi proprio come avevo pensato al principio, ammorbidirla con una bella uscita a cena, qualche galanteria e magari un bel mazzo di rose e poi, se avesse voluto, dritti al suo appartamento per una bella nottata come si conveniva a due adulti grossi e vaccinati. Nulla di serio, solo piacere reciproco come al solito. Il mattino dopo sarei sparito e tutto sarebbe tornato come prima, lei avrebbe pensato alla sua vita di sempre ed io al mio lavoro, ma con la tensione accumulata durante la settimana notevolmente diminuita. E invece mi trovavo lì, seduto al tavolo d’un locale con un uomo, a spiare l’uscita d’una coppia pressoché improbabile. Che fottutissimo San Valentino, quello.
    «Così mi ferisce, Colonnello», mi richiamò d’improvviso l’uomo in questione, con un tono basso e sarcastico che avrei persino definito vagamente divertito. «
È qui in mia compagnia, e la sua attenzione è puntata ancora sul Tenente e Acciaio?»
    Se avessi avuto anche il potere di dargli fuoco con lo sguardo, Havoc sarebbe stato ridotto in un bel mucchietto di cenere dall’occhiataccia che gli lanciai nel sentirlo. «Non sono affatto in vena di spiritosaggini, Sottotenente».
    A quel mio dire, lui sbuffò ilare. «Non è che, in fondo in fondo, un po’ le da’ ancora sui nervi il fatto che il boss ci abbia gabbati così?» mi chiese ironicamente, ma io mi trattenni dal dire qual era realmente la verità, limitandomi soltanto ad un piccolo sussulto. Quel che ancora mi rifiutavo d’accettare, forse, era proprio il fatto di vedere Acciaio con qualcuno che non fossi io. Ci scannavamo di continuo come cane e gatto, certo, ma non era forse quello il bello di quel nostro cosiddetto rapporto?
    «Se ne stanno andando». La voce di Havoc mi riportò nuovamente alla realtà e, con la coda dell’occhio, mi voltai ancora una volta nella loro direzione solo per vederli lasciare il tavolo che fino a quel momento avevano occupato. La cosa che mi stupì fu la galanteria di Acciaio nei confronti della Hawkeye, per non parlare poi di quel sorriso sfacciato che sembrava continuare a rivolgerle.
    Con quei tacchi Riza lo superava di parecchi centimetri buoni, ma, in quel momento, quel fagiolino non sembrava averci fatto nemmeno caso. Era come se avesse occhi solo per lei, quasi pendesse dalle sue labbra, e lo dimostrava il fatto che l’ascoltasse attentamente - come forse non aveva mai fatto - mentre s’incamminavano verso l’uscita, passando al bancone per pagare le proprie ordinazioni. Vidi Acciaio sganciare un bel paio di Cenz e poi, sempre con galanteria, offrire il braccio al Tenente per condurla fuori. Lei dapprima lo guardò, e quasi pensai, in un primo momento, che si allontanasse da sola senza dargli peso. Con grande stupore mio e di Havoc, però, si ritrovò a sorridergli e a prenderlo a braccetto, allontanandosi con lui verso la porta prima di scomparire.
    Io restai lì, a boccheggiare come un fottuto idiota, ancora incredulo per ciò che avevo appena veduto. Quelli non potevano essere Edward Elric e Riza Hawkeye, mi rifiutavo categoricamente di crederlo. Erano di sicuro homunculus ritornati dalla tomba. Aye, d’accordo, era un’ipotesi praticamente assurda, ma era di certo molto più sensata di tutta quella situazione che era apparsa così prepotentemente dinnanzi ai miei occhi.
    «Credo proprio che il conto sarà salato», asserì d’un tratto il Sottotenente. «E non mi riferisco affatto ai nostri drink».
    Lo guardai, capendo esattamente ciò che intendeva. Acciaio ce le avrebbe fatte scontare tutte, anche perché ero più che sicuro che lui si fosse accorto della nostra presenza. Forse era stata soltanto una mia impressione, chi poteva dirlo, ma l’occhiata che si era lanciato alle spalle prima di andarsene con Riza mi era sembrata rivolta a noi.
    Si prospettavano giorni d’inferno alla mercé d’un bisbetico fagiolino biondo, ne ero certo.
  
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