Anime & Manga > Captain Tsubasa
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Autore: OnlyHope    06/03/2011    8 recensioni
Per Sanae tutto iniziava davanti ad una fermata d'autobus, quello stesso giorno Tsubasa partiva per il viaggio che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. E mentre Sanae cercava la sua strada in Giappone, Tsubasa inseguiva con caparbietà il suo sogno in Brasile. Ma anche questa è la storia di un ragazzo che ama incondizionatamente una ragazza. Perché questa è la storia di Tsubasa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Don't Be Afraid to Fly ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 17

L’aurora












Non che non me lo aspettassi, insomma conosco i miei amici come le mie tasche, ma vedere Ryo Ishizaki che balla con i ventagli in mano, agitando il bacino in piedi sul tavolo, è uno spettacolo che ha dell’incredibile!
Rido, non posso proprio evitarlo.
La scena è troppo bella e la serata è carica di quell’atmosfera, un po’ fuori di testa, che solo con gli amici più stretti si riesce a sentire.
Rido, perché sono semplicemente eccitato all’idea di quello che sta per succedere, al cambiamento che sta per stravolgere, in meglio, la mia vita e perché, sì lo ammetto, l’alcool amplifica, dilatandola, l’euforia di cui mi sento colmo.
Mi guardo intorno, osservo i visi allegri che compongono la tavolata.
I ragazzi della squadra, Sanae e Yukari, che messe in posa davanti al cellulare, scattano foto ridendo divertite, sullo sfondo lo spettacolo demenziale di Ryo, che balla e canta una vecchia canzone giapponese, con voce in falsetto, leggermente impastata.
Certo confesso che oggi pomeriggio, quando ho sganciato la bomba del matrimonio, ho faticato poi sette camicie per riportare all’ordine i miei amici, per non parlare del fatto che credo di aver subito il peggio, ovvero meglio, dipende dai punti di vista, del già vastissimo e collaudato repertorio delle loro prese per i fondelli.
La punta massima di questo bonario accanimento nei miei confronti, si è raggiunta però solo di sera, nel momento esatto in cui ho messo piede in questo locale con Sanae.
I nostri carissimi amici, infatti, hanno avuto l’esaltante idea d’incontrarsi poco prima dell’appuntamento prefissato e di mettersi comodi in sala ad aspettarci.
Così abbiamo avuto il nostro ingresso in solitaria e loro hanno potuto godere dello spettacolo dei nostri volti color porpora, una volta che siamo stati accolti dalle loro urla festanti.
Con gli occhi di tutto il locale addosso, sarei voluto sprofondare.
Sanae si è girata verso di me con un “Ok... io me ne vado, buona fortuna!” facendo qualche passo indietro, proprio come se volesse davvero filarsela, poi però, quando si è girata di nuovo, ho visto nei suoi occhi quanto anche tutto questo la rendesse felice e allora, da quell’istante, non me n’è importato più nulla delle prese in giro.
Il rumore di vetro che tintinna contro il mio bicchiere mi scuote, distraendomi dai miei pensieri e il volto sorridente di Taro campeggia, impadronendosi di tutta la mia visuale.
Sorrido al mio migliore amico.
“Se penso che solo cinque anni fa ero in Francia a leggermi le tue lettere dal Giappone...”
Ridacchio divertito al ricordo di quando mi mettevo seduto alla mia scrivania, a scrivere chilometri di parole sul calcio, a quell’amico che se n’era andato tanto lontano e dopo troppo poco tempo che lo conoscevo.
Taro mi mancava davvero molto in campo.
“Ti ricordi di quando ti ho scritto dalla Germania? Dopo aver incontrato Wakabayashi?”
Annuisco e ritorno per un attimo a sentire l’emozioni di quel ragazzino, che forse aveva, nell’intimo, invidiato tanto i due amici, che si erano potuti riabbracciare in Europa.
Quel ragazzino che sentiva il Giappone così stretto e ammirava tanto l’amico portiere, per essere stato capace, così presto, di lasciarselo alle spalle, per andare dove il calcio conta davvero e scalare la vetta del professionismo, fin da giovanissimo.
“Sai che ho ancora tutte le tue lettere conservate?” mi chiede ancora, sorridendo.
“Anch’io!”
“Oggi le ho rilette, per curiosità, per vedere cosa era cambiato in questi anni...”
Fisso Taro stupito e d’improvviso mi rendo conto che c’è un abisso tra questa realtà e quella che vivevamo, solo qualche anno fa.
“Quando ho cominciato a incontrare qua e là il nome di Sanae, mi sono ricordato di quanto fossi imbranato, sai!”
E già, perché Taro mi mancava tanto, anche fuori dal campo, decisamente.
Sorrido, abbassando lo sguardo e sentendo un po’ di caldo salire a imporporarmi le gote.   
“Non sapevo come intavolare il discorso su di lei, facevo dei tentativi...” mormoro al ricordo di me, penna in mano, che tentenno imbarazzato davanti al foglio.
Guardo negli occhi del mio amico di nuovo, sorridendo ancora.
“Oh non me ne ero mai accorto, sai!” esclama ironico “Alla quinta lettera con il suo nome e nulla di rilevante accanto, a parte la sua presenza costante ai tuoi allenamenti, ho deciso di spronarti un po’...”
“Già... all’improvviso nelle tue risposte compariva sempre quella domandina!”
Come sta Sanae?
Annuisco e scoppiamo a ridere, divertiti dei noi stessi di qualche anno fa, come se fossimo davvero diventati tutt’altro.
“Ci sono riuscito però, alla fine hai vuotato il sacco!”
“Svuotato, capovolto e scosso ben bene!”
“E ti sei dichiarato a lei...”
“Così sembra...”
Taro osserva per qualche secondo il bicchiere semivuoto tra le sue mani e diventa serio.
All’improvviso si volta a guardarmi, corrucciando le sopracciglia scure.
“Quindi... quello che ti sta per accadere è in parte anche colpa mia?” mi chiede serio, allungando il collo verso di me.
“Bèh le tue spintarelle sono servite al primissimo passo. Se mi sposo è perché sono partito da lì, dall’inizio, dalla dichiarazione... o no?”
Taro sembra rifletterci su, poi annuisce.
“Ha del senso, sì...”
Lo fisso per un attimo, prima di cogliere al volo l’occasione per comunicargli la notizia del matrimonio, ma quella che riguarda strettamente lui.
“E dopo che avrai firmato i documenti, la tua colpa sarà ufficializzata, messa nero su bianco...” e sorrido, guardandolo di sottecchi, aspettando la sua reazione.
Si volta di scatto di nuovo, lo sguardo carico di stupore.
“Come?” chiede incredulo.
“Taro Misaki, ti sto chiedendo... vuoi essere il mio testimone di nozze?”
Ancora un attimo di esitazione, poi il suo sorriso si distende felice.
“Certo Tsubasa! Ovvio!” lo dice di getto, visibilmente euforico.
“Grazie per aver pensato a me!” aggiunge e mi sembra commosso in questo momento.
Poggio una mano sulla sua spalla e lo guardo dritto negli occhi, serio ora.
“Grazie a te, per essere mio amico...”
Taro mi fissa, poi alza il bicchiere nella mia direzione.
“Al mio migliore amico!” brinda sorridendo.
“Al mio testimone!” rispondo sicuro, ricambiando il sorriso, prima che mille bollicine dorate scendano a solleticarmi la gola, ancora una volta.







“Prego...”
“Ah grazie...”
M’infilo la giacca dell’abito, lasciando che il sarto mi aiuti a indossarla.
L’osservo nel riflesso dello specchio mentre, con gesti sicuri, la sistema sulle spalle.
Centimetro in mano, misura la distanza tra collo e manica, poi prende un po’ di stoffa tra le dita e l’appunta con uno spillo dalla capocchia gialla.
“Mmm...” sento mormorare alle mie spalle, inclino leggermente la testa per scorgere lo sguardo corrucciato di Mendo, che ispeziona il lavoro del sarto.
“Non potremo modificare in questo punto?”chiede secco avvicinandosi e indicando con l’indice la mia schiena.
Mi chiedo ancora, per l’ennesima volta, come ho fatto a farmi convincere da Sanae a portarmelo dietro, visto che sarà già la decima volta, in poco più di due ore, che gli sento pronunciare questa richiesta.
“Sì, si potrebbe fare...” sento rispondere e vorrei proprio chiedere in ginocchio al sarto, di non assecondare più Mendo.
“A me sembra che vada bene così...” azzardo, con un filo di voce, stufo di tutte queste prove, che mi bloccano i muscoli delle gambe... sento quasi i crampi!
“Non credo proprio!” è la risposta secca dell’assistente della mia ragazza, che continua a ispezionare la giacca, senza rivolgermi nemmeno uno sguardo.
“Ma sono proprio necessarie tutte queste modifiche impercettibili?” chiedo ora, guardandomi allo specchio e non vedendo proprio nulla che non vada, nel mio vestito da cerimonia nuovo di zecca.
Non ricevo nessuna risposta, eccetto il percettibile alzarsi al cielo degli occhi di Mendo.
Questa volta sbuffo, stanco di starmene qui impalato, immobile per ore, quando si sa che l’inattività non è proprio il mio forte.
Ho comprato quest’abito a Tokyo la settimana scorsa, in noto negozio del centro, di uno stranoto stilista italiano e mi ci sono voluti solo dieci minuti per sceglierlo, misurarlo e strisciare la carta di credito.
Che bisogno c’è ora di fare tutti questi ritocchi, per un centimetro di stoffa qua e là?
“E solo un vestito!” esclamo ad alta voce, dando fiato ai miei pensieri, pentendomi immediatamente di averlo fatto, quando lo sguardo truce e scandalizzato di Mendo, mi trapassa da parte a parte nel riflesso dello specchio.
Deglutisco intimorito mentre continua a fissarmi.
“Sei stressato e farnetichi, giovane promesso sposo. Ma ti voglio ricordare che questo non è un abito ma l’abito più importante della tua vita!”
Sto per ribattere che la divisa da calcio è il mio vestito per eccellenza ma mi mordo le labbra, perché questa specie di fanatico della moda, sembra saper leggere nel pensiero e m’interrompe ancora prima di prendere fiato.
“Ti prego, evita di martoriare le mie povere orecchie con infelici accostamenti tra il Glamour e... tute da...” non finisce la frase, semplicemente lo vedo inorridire, contraendo i muscoli del viso e del collo, solo al pensiero di aver associato un Armani a una divisa della Reebok, sporca d’erba e terra.
Ok, ci rinuncio...
Ammutolisco del tutto e riprendo a osservarli di nuovo, Mendo e il sarto, mestamente, mentre confabulano intorno a me, o meglio al mio abito, perché credo di aver capito ormai, che il vero protagonista della faccenda, sia proprio lui.
Il suono del mio cellulare però mi ridesta, creando un’inaspettata pausa a questo calvario cui sono sottoposto dalle tre di questo pomeriggio.
“Scusate!” esclamo felice, scendendo dallo scalino che mi ha fatto da piedistallo per due ore, ignorando Mendo e le sue mani che si sono andate a parare sui fianchi.
E’ Wakabayashi! Giuro che appena lo vedo gli offro da bere!
“Genzo!” lo saluto allegro, appena aperta la comunicazione.
“Tsubasa, ehi! Disturbo?”
Guardo alle mie spalle il sarto e Mendo, che discutono appoggiati a un tavolo da lavoro, sopra a dei quadrati di carta velina, che ho scoperto solo di recente chiamarsi cartamodelli.
“No, no! Anzi!” ridacchio sollevato, aprendo un bottone della camicia per liberare un po’ il collo.
“Ho appena visionato la mia posta... quella tradizionale intendo...”
“Ah ah...” sorrido all’idea che abbia letto l’invito al matrimonio, che dovrebbe essergli arrivato in questi giorni appunto, pronto a ricevere qualche sfottò ma anche le congratulazioni del mio amico e soprattutto, la conferma che lui ci sarà quel giorno.
“Stavolta Ishizaki l’ha fatta grossa, non ci giro intorno, amico!”
“Eh?” borbotto sorpreso, spiazzato dalla sua frase senza senso.
“E’ fuori di testa, quel soggetto! Anche se, devo ammetterlo, ha superato se stesso sta volta! Mai vista una presa per il culo così ben fatta!” e ride divertito.
“Ma di che parli?” chiedo sempre più perplesso.
“Tsubasa, non t’incazzare... ma io ho davanti agli occhi l’invito per il tuo matrimonio e ti giuro che è fatto talmente bene, da sembrare quasi autentico! Quello scemo ha anche investito soldi in tipografia, malato di mente!” e un'altra risata divertita riempie l’apparecchio al mio orecchio.
Stavolta sorrido e quasi lascio un respiro di sollievo, divertito all’idea che Wakabayashi sia completamente fuori strada.
Credo che sia il caso di schiarirgli le idee e mi appresto a godermi il momento, con un sorriso sornione.
“Genzo...”
“Tsubasa non prendertela, è un genio del crimine Ryo!”
“Genzo... ehm... sei seduto?”
“Spaparanzato sul divano per la precisione!”
“Mi sposo davvero, non è uno scherzo di Ishizaki.”
Ok sganciata, vediamo come la prende.
“...”
“Te l’ho mandato io l’invito, o meglio, Sanae ed io ti vogliamo al nostro matrimonio...”
“...”
“Genzo sei morto?” rido, divertito dal suo mutismo.
“Frena! Ok. Da capo. Ripeti.”
Ora sono io a scoppiare a ridere.
“Mi sposo, sì. Data, ora e luogo li trovi in quel fantomatico biglietto e spero davvero che tu ci sia!”
“Non è uno scherzo?” chiede ancora, forse un po’ scioccato.
“Eh no...”
“TI sposi davvero?”
“Eh sì...” non posso non ridere di nuovo.
“Te lo ricordi vero, che hai appena compiuto diciannove anni?”
“Vagamente... mi sembra che mia madre mi abbia fatto anche una torta, il ventotto di luglio...” alzo gli occhi al cielo ora, non so quante volte ho sentito ripetere la storia dei miei scarsi vent’anni, in queste poche settimane.
Wakabayashi rimane in silenzio per qualche istante ancora, poi lo sento ridere allegro nel cellulare.
“Tsubasa, tu sei il più fuori di testa in assoluto!” rimango sbigottito ad ascoltarlo “E sai che ti dico?” aggiunge retoricamente “Che sei fottutamente nel giusto, amico!”
“Detta così sembra una cosa per cui ci vuole o un gran fegato o una malattia mentale!” rispondo ridendo imbarazzato, grattandomi la nuca ripetutamente.
“Sei un matto, Tsubasa! L’ho sempre pensato, ho sempre creduto che fossi il più pazzo tra tutti noi, anche più di Ryo!”
“Fa piacere sentirti dire quanto mi stimi!” rispondo, corrugando la fronte e lasciando che una smorfia deformi il mio sorriso.
“Ed io amo le pazzie e visto che sono matto quasi quanto te, vado subito a prenotare il volo per venire a vederti folleggiare e ubriacarmi alla tua salute! Tua e di Anego!”
Sorrido compiaciuto, felice all’idea che anche Genzo sarà con me quel giorno.
“Grazie amico...”
“Grazie a te...” risponde e sento nel tono della sua voce qualcosa di caldo e solenne.
“Grazie anche per avermi rallegrato la mattinata! Ad Amburgo c’è un tempo da schifo, da ficcarsi a letto tutto il giorno, depressi!” conclude, tornando a scherzare ancora.
Una mano picchietta sulla mia spalla, mi volto e Mendo batte l’indice sul polso, ricordandomi con il labiale, che tra un po’ deve correre dal vestito di Sanae.
“Amico ti lascio, ci vediamo presto allora!” esclamo per salutare Genzo.
“Contaci!” è la sua risposta secca, prima di chiudere la comunicazione.
Ripongo il cellulare nella tasca e a piccoli passi m’isso di nuovo sul piedistallo davanti allo specchio.
La pausa è finita e ricomincia il tormento, ma almeno ora so che anche Wakabayashi tornerà in Giappone per il matrimonio.
Mendo si sfrega le mani con fare sinistro, mentre il sarto riprende lesto ad armeggiare con la mia giacca, le asole e tutto il resto.
Mi guardo allo specchio, alzando un sopracciglio.
Ha ragione Genzo... devo essere proprio un pazzo per lasciare che mi facciano tutto questo!
Poi il sorriso di Sanae mi torna in mente e la pazzia mi sembra una cosa così giusta.
E sono fiero di essere il Cappellaio Matto in visita al mondo monotono dei sani di mente!







I miei passi di corsa rimbombano decisi nel silenzio della notte calda che mi avvolge.
Non so se quello che sto facendo sia lecito, se vada contro qualche improbabile superstizione, che francamente ignoro e se me ne dovrei stare buono a casa, aspettando domani, che sorga il sole.
Se c’è una cosa che ho imparto in questa estate, su di me, su i miei sentimenti, è che una volta sdoganati i miei desideri, non c’è verso che riesca a tornare indietro, che voglia arginarli.
Da quando mi sono liberato della mia vecchia vita, da quando ho deciso che no, non l’avrei più vissuta per niente al mondo, ho lasciato andare ogni freno e tutto quello che mi passa per la testa, sento ed esigo, che vada soddisfatto.
Così stanotte morivo dalla voglia di vederla di nuovo, un’ultima volta, prima che il capitolo della separazione si chiudesse e una pagina bianca, invitante, ne occupasse il posto, pronta per essere riempita di cose bellissime.
E non ci ho pensato troppo, mi sono infilato le scarpe, sono uscito e ho preso a correre.
Ma senza fretta, un moto leggero e ritmico, come il riscaldamento prima dell’allenamento vero e proprio, come una corsa serena in riva al mare.
Non mi sono nemmeno chiesto se starà dormendo e cosa fare, una volta giunto sotto casa sua.
Mi sono solo messo in movimento verso di lei.
Corro mentre l’aria leggermente rinfrescata dalla notte, m’invade i polmoni.
Il vento calmo soffia nelle mie orecchie, come se mi sussurrasse che d’ora in poi sarò felice, sempre.
Mi bisbiglia di non temere più nulla ed io sorrido, beandomi di questa consapevolezza.
Arrivo sotto casa sua, alzo gli occhi verso la sua finestra dalle luci spente, proprio come tutte le altre dell’abitazione.
Non mi scoraggio, forse perché mi basta sapere di essere a un passo da lei e che domani, quel passo, non esisterà più.
Mi concedo un tentativo e le invio un sms.
Poi aspetto.
Se sarà sveglia, se mi risponderà, se la vedrò.
Abbasso gli occhi e pugni in tasca, prendo a piccoli calci un sassolino sull’asfalto.
Senza particolari pensieri nella testa, sono solo in attesa.
Alzo di nuovo lo sguardo, attratto da un rumore sopra la mia testa.
La vedo sporgersi dalla finestra, ora spalancata e la saluto felice, sventolando un braccio verso di lei mentre i miei occhi seguono il movimento dei suoi capelli, mossi dalla brezza che le solletica il viso.
Le sorrido mentre un leggero imbarazzo mi coglie e la mia mano prende, come al solito, a torturare la mia nuca.
Quando le sue dita si muovo armoniosamente per rispondere al mio saluto, mi concentro di nuovo sulle sue labbra, piegate in un sorriso.
Nel silenzio continuo il nostro muto dialogo e con un cenno la invito a raggiungermi.
Sanae annuisce, ridendo divertita e scompare nel buio della sua camera.
Smanioso, mi dirigo veloce al cancelletto d'ingresso al cortile.
Quando la serratura scatta, afferro un pezzo d’inferriata, avvertendo il freddo del ferro tra le dita, nonostante la temperatura estiva.
I miei occhi fissano il portone che poco dopo si apre.
Sanae esce sul pianerottolo ed io apro il cancello, muovendomi di nuovo verso di lei.
E quando la guardo, ancora prima di parlarle, ricordo che per me domani sarà un giorno completamente nuovo.
Il primo di una vita che d’ora in poi vivrò davvero a pieno.
Un giorno che cambierà tutto... in meglio...
E davanti ai miei occhi...
C’è l’aurora che lo precede.











Mi scuso per averci messo tanto, ma è sempre così che va, quando penso di poter rispettare un programma, fanficsticamente parlando xD, questo inevitabilmente salta e si procrastina a data da destinarsi.^^’
Ringrazio di cuore chi segue le mie FF e chi ha la costanza, perseveranza quasi diabolica direi xD, di continuare a seguirmi, nonostante il mio va e vieni continuo.
Il prossimo capitolo è l’ultimo e non dico nulla, per scaramanzia, su quanto ci metterò a scriverlo, perché nella mia testa ho in mente una cosa, ma se la dico, temo la sopraggiunta di contrattempi...^^’
Ovviamente il resto dell’incontro tra Tsubasa e Sanae potete leggerlo in Butterfly, capitolo 33 – Fujisawa, ho preferito non riprenderlo anche qui, diceva già tutto a suo tempo e sarebbe stato uno sterile copia e incolla.^^
Grazie ancora per l’attenzione, OnlyHope^^
   
   
 
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