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Autore: Kuruccha    07/03/2011    6 recensioni
Pensieri di un padre.
[Hakoda-centric, post finale]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hakoda, Katara, Sokka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Piccoli figli

Era buio, in quella stanza, e c'era odore di polvere e terra. La coperta in cui era avvolto, intessuta con fili sottili e finemente ricamata, era fin troppo leggera, quasi impalpabile rispetto alle stoffe a cui era abituato. Il soffitto era troppo basso, e troppo dritto, e riusciva a percepirne la fastidiosa presenza anche nella densa oscurità della notte; i muri erano opachi e spenti, e la poca luce presente filtrava dai piccoli lucernari, ben lontani dal pavimento.
Erano stati messi a loro disposizione dei letti, con quei materassi morbidi che tanto piacevano agli abitanti del Regno della Terra. Materassi a cui non si era mai abituato - chissà cosa ci trovano, nello sprofondare così, aveva pensato fin dal suo primo arrivo a Ba Sing Se.
Era bastata un'unica occhiata ai suoi figli, che aveva trovato entrambi in attesa di un suo cenno - perchè in fondo se lo aspettava, che l'avrebbero pensata come lui. Avevano tolto tutte le lenzuola e le coperte e i panni e cuscini, li avevano stesi a terra e si erano messi lì, in cerchio sul pavimento, come ai vecchi tempi, a dormire tutti insieme, con le teste vicine e che quasi si toccavano, anche se la mancanza di un elemento in quella famiglia pesava ancora, e sempre avrebbe pesato.
Non riusciva a vedere la luna, da lì. Sentiva già la mancanza delle pelli che formavano la sua tenda, che seppur pesanti lasciavano trasparire quell'alone luminoso.
Ancora pochi giorni e si torna a casa, pensò, ripiombando per un secondo in quelle enormi distese bianche, sentendo il naso già piacevolmente gelato. Rabbrividì, e non fu una sensazione sgradevole.
Un piccolo rumore alla sua destra, quasi uno sbuffo. Si voltò, scoprendo il fianco destro senza nemmeno accorgersene, perchè in fondo con quel caldo la differenza quasi non si sentiva. Il suono proveniva da Sokka, che dormiva a pancia in su e con la bocca aperta - proprio come faceva anche lui. Quel vizio per cui Kya aveva sempre riso, e per cui lo aveva sempre preso in giro, e a cui lui ribatteva ogni volta accusandola di russare tutte le notti.
Com'è cresciuto, si disse, osservandone la mano abbandonata vicino al cuscino, il palmo rivolto verso l'alto e le dita leggermente piegate. Passò un dito su quelle venature leggere. Com'è morbida. In quell'assenza di pelle ruvida e calli, almeno in quello, era ancora un bambino.
Lo sentì sbuffare ancora, e ne vide le sopracciglia corrugarsi leggermente. Aveva mosso di qualche centimetro la gamba sinistra, ancora ingessata; quella gamba che non aveva voluto farsi curare dalla sorella perchè ormai era un guerriero "e i veri guerrieri sopportano anche il dolore". Senza volerlo, sorrise silenziosamente per quel suo credersi uomo che faceva capire quanto in realtà fosse ancora un bambino. Quei tre anni, per Hakoda, erano passati in un attimo, impegnato com'era nell'organizzare e gestire e combattere; con rammarico pensò che per i suoi figli non era sicuramente stato lo stesso.
Si alzò sui gomiti.
Katara era silenziosa. Dormiva senza quasi respirare, e sentì forte l'impulso di poggiarle una mano sotto le narici per controllare che lo stesse facendo davvero - e gli venne alla mente il triste ricordo di quando aveva fatto lo stesso gesto, in quella tenda che era stata la sua casa, con Kya, e quella volta non aveva sentito nulla, solo freddo e aria ferma, e aveva temuto quegli occhi già chiusi; - così si trattenne dal toccare Katara - per scaramanzia, si disse.
Li guardò ancora per un attimo, in quel buio fitto, intuendo solo i contorni dei loro visi, notando solo allora che stavano entrambi dormendo coi vestiti da tutti i giorni, come fossero ancora bambini e fossero scivolati nel sonno all'improvviso. Sorrise, e tirò più su le coperte sulle loro spalle, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla. Con le dita grandi e callose della mano destra - una mano da papà - accarezzò quelle due teste, che gli parevano ancora minuscole, di quei ragazzi che avrebbe sempre chiamato i miei bambini, e un piccolo vuoto gli si fece spazio in gola nel pensare che ormai erano cresciuti, e che lui non c'era stato - e che mai sarebbe riuscito ad esprimere quanto fosse orgoglioso di loro per il loro essere diventati quello che erano.
Si distese sulla schiena, gli occhi che gli si facevano lucidi. Li chiuse, e respirò profondamente.
Ora poteva sentire solo il profumo dei suoi bambini - della loro pelle, di aria calda, di vestiti puliti, di sapone, di prugne di mare, di ghiaccio, di acqua, di casa - e il lieve tepore che proveniva dai loro corpi. Sorrise mentre, silenziosamente, due lacrime gli cadevano dagli occhi, come se avessero aspettato di farlo per anni.


*^*^*^*^*^*^*^*^*
7.3.2011
Scusate per l'abuso del corsivo, ma era necessario. XD
Ho amato Hakoda grossomodo dal primo momento che l'ho visto. Inizialmente per una pura questione grafica: era un figo, e quelle occhiaie aggiungevano fascino all'insieme. XDDD
Solo in seguito ho apprezzato il suo carattere, e il suo essere diametralmente opposto al personaggio di Ozai. Penso sia molto bello il rapporto che ha con i suoi figli, che pure sono così lontani da lui: con Sokka che lo adora, con Katara e le sue paure di essere abbandonata. Hakoda è un padre come si deve, alla fine della vicenda. Per quanto il momento che ho deciso di descrivere sia puro angst, è il mio tributo per lui. <3
Vorrei avere dei figli, quando sarò più grande. Spero, in quel momento, di poter provare dei sentimenti simili a questi - magari meno tragici, ma altrettanto forti. Lo spero davvero.

Questa storia partecipa all'Avatar's character challenge indetto da Shizue Asahi sul forum, e ovviamente ho fatto il claim di Hakoda per primo :D Dai, partecipate, partecipate, completiamo insieme quell'elenco! *_*
 
   
 
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