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Autore: Emily Alexandre    08/03/2011    17 recensioni
Ci sono anime create per completarsi, anche quando il fato vuole altrimenti. Ci sono vite destinate ad incrociarsi e poi a separarsi, senza mai sciogliersi davvero.
Una festa in maschera, una ragazza che sfugge alla sorveglianza paterna, un poeta senza ispirazione. Una sola notte che li segnerà per sempre.
Uno spettacolo teatrale, una dichiarazione d’amore, un addio.
“-Parlate con ardore e trasporto, signore.- -Raramente… Preferisco scrivere, piuttosto. Ma voi mi ispirate.- La ragazza arrossì, ma, complice la maschera, la luna, l’eco lontano della musica, si fece coraggio –E posso ispirarvi qualcosa, stasera?-“
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
- Questa storia fa parte della serie 'Attraverso la Storia. Attraverso l'Amore'
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Masquerade
 The Merchant of dreams

 

Il pallido raggio lunare filtrava attraverso le tende leggere, facendo risaltare il viola dei capelli d’ebano, mentre la pelle candida e liscia pareva brillare anche nella semi oscurità della stanza. La ragazza sedeva davanti allo specchio coperta solo da una veste da camera, i capelli che ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle. Se tutto nella sua espressione emanava compostezza e rigidità, il movimento di una piuma azzurra torturata tra le mani rivelava il nervosismo del cuore della fanciulla. La camera era immersa nel silenzio, che s’infrangeva contro le frasi allegre provenienti dalla strada o quelle concitate che invadevano il corridoio del palazzo; per molti la giornata volgeva al termine, ma per lei stava per iniziare. Proprio lì, sul tavolo per la toletta, una elegante pergamena la invitava ad una festa in maschera che si sarebbe tenuta a corte quella sera, in onore del fidanzamento di una dama di Sua Maestà, la regina Elisabetta.
Descrivere la gioia con cui la ragazza aveva ricevuto quell’invito sarebbe stato impossibile; impresa ardua, anche per il migliore dei poeti, raccontare il battito del cuore fattosi improvvisamente più veloce, o il calore che propagatosi dal petto le aveva invaso le guance, o, ancora, l'euforia che, come una scarica elettrica, si era diramata nelle sue membra. Con quale gioia aveva accolto la notizia della festa in maschera!
Quella sera, mentre tutti gli invitati avrebbero posato sul viso maschere più o meno elaborate, ella avrebbe allentato i nodi della propria, permeata di rigidità e perfezione, per essere finalmente se stessa. Per una sera, una sera soltanto, avrebbe lasciato la propria anima libera di volare, di esprimersi fuori dalle rigide regole dell'etichetta che la sua famiglia le imponeva dalla nascita; sarebbe stata una ragazza come tante, felice e spensierata.
Con quanta tenacia il suo grande cuore si attaccava a quei brevi momenti di libertà, con quanta foga i suoi polmoni si riempivano di aria fresca!
Aveva appena quindici anni e un destino già segnato. Quella, forse, sarebbe stata la sua ultima festa, prima di passare dal giogo figliale a quello maritale, e aveva fatto in modo che tutto fosse perfetto.
L’abito, composto dal corpetto scollato e dal verdugadin à tambour,era verde smeraldo, con elaborati ricami d’argento, confezionato dalla migliore sarta di Londra, e la maschera che le avrebbe celato gli occhi chiari era in seta e pizzi  del medesimo colore.
La ragazza si alzò e chiamò le dame, per farsi detergere  il corpo con dei panni bagnati e farsi abbigliare; due ragazze la lavarono e le cosparsero la pelle con un unguento profumato, proveniente dall’Italia, e, infine, l’aiutarono ad indossare l’elaborato vestito. Solo quando anche i capelli furono raccolti e la maschera indossata si guardò allo specchio, che le rimandò l’immagine di una giovane donna, bella ed elegante. E irriconoscibile.
Nessuno avrebbe potuto ricondurre a quella splendida ragazza la rigida figlia dell’Ambasciatore, sempre vestita di nero e di grigio e sempre a capo chino; quella sera la sua testa sarebbe stata alta, pronta a scrutare ogni cosa, a bere ogni immagine di libertà che le sarebbe stata concessa, ben ritta sul collo sottile ed nobile.
Quando le campane suonarono la nona ora, la fanciulla prese il mantello, celò attenta corpo e volto, e uscì di casa; una carrozza senza insegne la aspettava all’ingresso e vi salì, il cuore che batteva veloce, pregustando già la gioia della serata.
Un ultimo volo verso il cielo, prima di precipitare nelle tenebre.
La sala da ballo era rischiarata da una moltitudine di candele profumate e dame e cavalieri mascherati ballavano al ritmo dettato dall’orchestra reale. Un sorriso spontaneo piegò le labbra della ragazza, mentre i suoi occhi correvano febbrili in ogni direzione, riempiendosi di colori, di pizzi, di maschere… La regina sedeva sul trono, circondata dalle sue dame, ed era l’unica, in tutta la sala, a volto scoperto; nonostante i complotti che continuamente venivano orditi contro il trono, aveva un’aria serena e tutto nella sua persona emanava potere, conferendole un’aria eterea, quasi divina.
La coppia di fidanzati ballava al centro della sala e, attorno a essi, le gonne delle donne e i mantelli degli uomini creavano un vortice di girandole colorate, che quasi stordiva la fanciulla mentre camminava al di fuori, il sorriso che mai aveva abbandonato le sue labbra. Coglieva gli sguardi ammirati delle dame e quelli più lascivi dei cavalieri, ma non se ne curava, continuando ad ammirare i balli, sorseggiando del vino delle Fiandre. Fece un lieve inchino ad un nobile che le passava vicino, prese un dolce che le porgeva un valletto, poi si voltò nuovamente verso la pista.
Fu allora che lo vide.
Era poggiato al muro e teneva un bicchiere pieno tra le mani, ma, nonostante le persone attorno cercassero di coinvolgerlo nella conversazione, egli rispondeva a tratti, senza togliere gli occhi da qualcosa. Da qualcuno.
Il cuore della ragazza sobbalzò nel petto, rendendosi conto, con una certezza tanto disarmante quanto improvvisa, di essere l’oggetto del suo interesse. Si fermò, guardandolo a sua volta, lieta che la distanza non gli permettesse di scorgere il rossore che, traditore, le aveva imporporato le guance.
E non interruppe il contatto visivo neppure quando egli si staccò dal gruppo di amici per andarle incontro, mentre il suo cuore segnava con il proprio intercedere quello dei passi di lui, fino a quando non le fu talmente vicino da percepire l’odore della sua pelle d’uomo, o il colore scuro degli occhi. Scuro ed intenso, da farle vibrare ogni corda dell’animo in una sinfonia che non sapeva di poter comporre.
In quello stesso istante, l’orchestra cambiò musica ed iniziò a suonare la Volta, un ballo molto amato dalla sovrana, e famoso per i suoi passi licenziosi. L’uomo allungò la mano verso di lei, invitandola a ballare… Non si erano scambiati neppure una parola, ma lo seguì nel mezzo della pista, la mano sottile intrecciata a quella grande di lui.
Si posizionarono l’uno davanti all’altra e la fanciulla tremò quando le mani dell'uomo si posarono delicate, ma salde, sui suoi fianchi; si avvicinarono, così vicini che il fiato caldo di uno s’infrangeva sulla pelle dell’altra. Quasi non si accorse che la musica era iniziata.
Un passo dopo l’altro, e al quinto si ritrovò sollevata in aria; era un ballo che richiedeva fiducia, la Volta, e per qualche inspiegabile istinto si fidava di lui.
Un vortice di passi e di emozioni, l’uno perso negli occhi dell’altra, i cuori che battevano all’unisono. E lei era felice. Inspiegabilmente, era del tutto felice.
Al termine della danza si inchinarono, poi egli le offrì nuovamente la mano per condurla lontano dalla pista.
-Siete accaldata, desiderate prendere aria?
La ragazza sussultò nel sentire per la prima volta la voce di lui, bassa e seducente… Annuì appena e si lasciò guidare su un terrazzino illuminato dalla luce argentea della luna. Tutto era calmo e quieto lì fuori, così diverso dal clamore della festa. Le stava accanto, le mani poggiate al parapetto.
-Voi scrivete.
L’esclamazione le sfuggì dalle labbra prima che potesse fermarla e l’uomo  si voltò verso ella stupito.
-Perdonatemi signore, sono mortificata…- ma un sorriso la interruppe.
-Non dovete… siete nel giusto, io scrivo. Da cosa l’avete capito?
Sensazione, pensò. –Le vostre mani sono sporche d’inchiostro.- Ed erano splendide, grandi ed eleganti, con spruzzi di inchiostro nero sulle dita. Ad alcuni sarebbero parse trasandate, ma per la fanciulla erano magnifiche.
-Ottimo spirito d’osservazione. Mi diletto a scrivere, in effetti.
-Posso chiedervi cosa?
-Chi sono io per negare qualcosa a due occhi come i vostri? Al momento, però, mia signora, non scrivo nulla… Sapete, l’ispirazione viene e va, è volubile come una donna.
-Avete una ben misera considerazione delle donne, dunque?
Lui scoppiò a ridere davanti a quell’affermazione stizzita, indispettendola ulteriormente –Al contrario, le tengo in altissimo conto. Come potrebbe essere altrimenti, dopotutto, con una regina come la nostra?
-Eppure molti seguitano ad affermare che dovrebbe prender marito.
-Uomini legati alle tradizioni, che non accettano l’idea che una un regnante di sesso femminile  possa valere quanto un uomo se non di più. Esisteranno sempre uomini così, mia bella dama… Ma, per quanto mi riguarda, credo che la donna sia l’opera migliore del Creatore. Quanti aspetti nasconde una donna? Quanti sentimenti è in grado di provare? Con quanto ardore? Neppure il migliore tra gli scrittori potrà mai sondare appieno l’animo femminile e rendergli giustizia.
-Parlate con ardore e trasporto, signore.
-Raramente… Preferisco scrivere, piuttosto. Ma voi mi ispirate.
La ragazza arrossì, ma, complice la maschera, la luna, l’eco lontano della musica, si fece coraggio –E posso ispirarvi qualcosa, stasera?
L’uom ola guardò intensamente e lei si ritrovò a chiedersi se non fosse lui il predestinato a sondare l’animo umano, persino quello femminile. Non avrebbe saputo dire per quanto si guardarono, ma, in fine, egli sorrise e si decise a parlare –Ho una storia in testa che non vuol prender forma. Parla di una principessa, alla cui mano molti aspirano e, per corteggiarla, un uomo chiede denaro ad un amico… l’amico, però, i soldi non li ha, così li chiedono ad un usuraio ebreo.
L’uomo fece una pausa, passandosi stancamente la mano sugli occhi.
-Poi cosa accade?
-Il problema è questo, mia adorata fanciulla. Non lo so.
-L’ebreo concede il prestito, ma, come corrispettivo per l’eventuale mancata resa del denaro, chiede qualcosa di assurdo.
Aveva parlato con slancio, lo sguardo perso in mondi lontani, e lui la guardava rapito.
-Cosa?
-Una libbra di carne.
-Una libbra di carne? Perché?
-Perché è assurdo! Ed è ciò che ci vuole in un’opera, no?
- Una libbra di carne- l’uomo assaporò l’idea e gli bastarono pochi istanti per convincersene.
-Bene, l’amico fa da garante, certo che l’arrivo delle sue navi con un ricco carico gli avrebbe permesso di saldare il debito, e l’uomo parte… Ma per sposare la principessa deve risolvere un indovinello.
-Tre scrigni… In uno è contenuto il suo ritratto.
-E lui indovina, così si sposano.
-Esatto! Ma, nel frattempo, le navi dell’amico non arrivano e l’ebreo lo porta in tribunale.
-A reclamare la sua libbra di carne!
Parlavano senza sosta, ridendo, persi nella magia della creazione e della condivisione, della fusione, dell'armonia… Le maschere celavano i volti, ma le anime erano nude.
-Allora l’amico torna a casa per aiutarlo, ma, frattanto, la principessa si reca da un avvocato, in cerca di una soluzione.
-Si, ma il marito non lo sa- continuò l’uomo –e, quando un giovane avvocato arriva in difesa del debitore, tutti sono stupiti.
-È l’amico della donna?
-No!- gli occhi scuri dell’uomo erano lucidi per l’emozione e il suo cuore batteva rapido, come non accadeva da tempo. Eccola, l’idea. E lui viveva di idee e di storie da raccontare… Da mesi non riusciva più a produrre niente e sconfortato aveva abbandonato la scrittura, ma, da quando l’aveva fatto, si era sentito mutilato, privo della parte più importante di sé. Quella sera, in compagnia di quella sconosciuta, era tornato completo. -È la donna mascherata da uomo. Dice all’ebreo che ha diritto alla libra di carne, ma che il contratto non prevede una sola goccia di sangue.
Il volto della giovane si illuminò di comprensione -È impossibile staccare la carne dal corpo senza versare sangue…
-Esatto.- esclamò lui, prendendole le mani tra le proprie –E così l’uomo si salverà e i due sposi potranno ricongiungersi.
-E torneranno anche le navi, cariche di tesori. A Venezia!
-Perché Venezia?
-Perché è così romantica, con la sua laguna, le gondole… Io amo quella città, benché non vi sia mai stata.
L’uomo le scostò un boccolo ribelle dalla fronte, lasciando sulla pelle di lei una scia calda e viva -Come posso ringraziarvi, mia adorata musa? Voi mi avete restituito la vita.
Le labbra di lei si piegarono in un dolce sorriso –Scrivete, mio signore. Scrivete… Non rinunciate mai ai vostri sogni.
-E voi cosa farete?
La ragazza abbassò lo sguardo, mentre una morsa dolorosa le serrava lo stomaco –Ognuno ha il proprio ruolo in questo mondo. A voi è destinato quello dello scrittore, a me… Un altro. Fidatevi di me… Dopotutto, io considero il mondo per quello che è, un palcoscenico sul quale ciascuno recita la propria parte.
-Sono parole magnifiche.
-Altrettanto lo saranno le vostre, ne sono sicura.
-Come potete, voi neppure mi conoscete…
-Io lo sento. Scrivete, non smettete mai di farlo.
Rimasero a parlare per ore, incuranti dello scorrere del tempo, della festa e delle convenzioni; parlarono di tutto, mai sazi di scoprire quanto più possibile sull’altro… La ragazza sentiva che quell’uomo poteva comprenderla, così come lei comprendeva lui.
L’alba li sorprese ancora sul balcone, seduti l’uno accanto all’altra, ancora persi in mondi immaginari, solo a loro accessibili. Il cuore della ragazza era colmo di gioia, al punto che in più di un’occasione si era chiesta come facesse a non esplodere… ma il chiarore dell’alba spezzò quell’armonia e la risvegliò bruscamente dal suo sogno. Si alzò in piedi, sciogliendo le mani dall’intreccio naturale che avevano creato con quelle di lui, e, solo allora, si accorse che i clamori della festa andavano sfumando poco a poco.
-Devo andare.- fu solo un sussurro, ma all’uomo non sfuggì il dolore che quelle due parole racchiudevano… Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, ma non poteva sopportare l’idea di lasciarla, tutto in lui, ogni fibra del suo essere, lo spingeva verso la fanciulla, verso quell’anima così affine alla propria.
-Posso rivedervi?
Lei scosse la testa e abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere quello di lui, carico di desiderio e aspettativa. –Non sarà possibile, mi dispiace.
-Vi prego.- le si era avvicinato, ma lei aveva fatto un passo indietro, riponendosi il mantello sulle spalle sottili.
-Non insistete, vi prego. Ma, se volete fare qualcosa per me, allora, scrivete.
Gli voltò le spalle dirigendosi verso le scale, mentre il suo cuore si incrinava sempre di più con un suono acuto che le perforò i timpani.
-Il vostro nome! Il vostro nome, almeno!
Le parole disperate di lui la raggiunsero quando era già alla fine delle scale e la fecero fermare; si voltò verso l’uomo e deglutì, cercando di sciogliere quel nodo che aveva in gola.
-Portia.
Lasciò quella parola a vibrare nell’aria tra di loro e corse verso la carrozza, non riuscendo più a reprimere quelle lacrime calde e amare che le solcavano le guance pallide.
 

* * *

 
 

-Signora contessa, la carrozza vi attende.
Lady Eileen Portia indossò i guanti, guardando rapidamente lo specchio che le rimandò il riflesso di una donna alla cui bellezza gli abiti austeri non rendevano giustizia.
Erano trascorsi anni da quella festa; sei mesi dopo la ragazza era stata data in moglie ad un uomo molto più grande di lei, ma il destino non le aveva riservato una vita triste… Dopo la nascita dei figli, un maschio e una femmina, il marito non le aveva più fatto visita la notte e il loro era rimasto un rapporto puramente intellettuale. Vivevano in campagna, ma circondati da tutti gli agi possibili e, in fondo, a Eileen quella vita non dispiaceva affatto; l’unico lusso che si concedeva era tornare a Londra per le prime teatrali delle opere di Shakespeare, abitudine per cui si era battuta con così tanto ardore che il marito non aveva avuto cuore di rifiutarsi. E, quel giorno, si stava appunto recando nella Capitale per assistere ad una rappresentazione; sin dal primo istante del primo spettacolo, aveva sentito un’inspiegabile affinità con l’uomo e le sue opere erano ormai una parte così radicata della sua vita, che farne a meno le sarebbe stato impossibile.

Il tragitto come sempre le sembrò fin troppo lungo, ma finalmente il Curtain Theatre si erse davanti a lei e il valletto la scortò fino al suo posto: una posizione riservata, ma che le permetteva di vedere tutto. Non dovette attendere molto prima dell’inizio dello spettacolo, ma dal momento in cui aveva messo piede nel teatro una strana sensazione l’aveva invasa senza che riuscisse a spiegarsi perché…
Lo comprese quando commedia iniziò ed Eileen si ritrovò a stringere con forza il legno delle balconate, mentre il respiro le si mozzava sempre di più e il cuore prendeva a volteggiare impazzito nel petto.

Quella era la sua storia. La loro storia.

E quando il nome della protagonista fu svelato –Her name is Portia- il suo cuore rallentò bruscamente, mentre ciò che era stata solo una sensazione custodita in fondo al suo cuore diventava, con una forza disarmante, una certezza. L’uomo della festa altri non era che mastro Shakespeare.
Pianse per tutta la durata della rappresentazione, ma erano lacrime così diverse da quelle versate quella notte: piangeva di gioia, perché se non aveva mai dimenticato quell’incontro, quel giorno scoprì che era stato lo stesso per lui.
Che fosse speciale l’aveva intuito subito, così come aveva avuto ragione pensando che egli avrebbe saputo sondare l’animo umano in maniera divina.
Era destinato all’immortalità, William Shakespeare, ma con quell’opera vi aveva destinato anche lei. Non era stato nella speranza che lui non la rintracciasse che gli aveva dato il secondo nome, sapeva che avrebbe rispettato la sua decisione… Portia era il nome che lei amava di più, ma che nessuno mai usava. E l’aveva destinato a lui… Chissà, forse era proprio lì che erano destinati ad amarsi, in quell’eternità fuori dal tempo e dallo spazio.

Quando lo spettacolo finì, mastro Shakespeare si fece avanti tra gli applausi del pubblico ed ella riconobbe nitidi quei lineamenti che avevano affollato tanti sogni. E la sua voce… Come vibrava nell’aria quella voce!
-Sono un uomo di poche parole, voi lo sapete, ma oggi devo dire una cosa: quest’opera è dedicata ad una donna, che non so se la vedrà mai… Ad ogni modo voglio che sappiate che Il Mercante di Venezia è nato grazie a lei e io le devo tutto. Portia- continuò, poi, scrutando la folla –non ti ho mai dimenticata.
La sensazione di pace e felicità che provava mentre salì in carrozza era così nuova da spaventarla quasi; disse al cocchiere di fermarsi davanti all’entrata del teatro e si mise in attesa, spiando tra le tende il momento in cui lui sarebbe uscito… Aveva bisogno che lui sapesse che lei sapeva.
E quando uscì, circondato dal suo impresario e dagli attori, lo sguardo scuro di lui fu calamitato da quella carrozza ferma in mezzo alla strada, come tanti anni prima lo era stato da lei, quasi i loro spiriti si trovassero istintivamente.
 

Avrebbe riconosciuto ovunque quegli occhi verdi ed entrambi sorrisero, l’uno perso nell’altro…
Era un momento perfetto, benedetto.
Le labbra di lei mimarono un grazie silenzioso, poi la carrozza ripartì, separandoli ancora.
 

  
 

 

Note: sarò brevissima. Per prima cosa voglio ringraziare moltissimo Erika per l’aiuto prezioso che mi ha dato nella stesura di questa one-shot. Grazie davvero! Eileen è un personaggio frutto della mia immaginazione e la prima parte della storia è appositamente ambientata in un periodo non precisato. La trama del Mercante di Venezia nei loro dialoghi è appena accennata, ma se non conoscete l’opera vi consiglio sentitamente di leggerla… detto questo, grazie a chiunque abbia dedicato qualche minuto alla lettura. Io, Eileen e, chissà, anche Will ne siamo molto felici.

   
 
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