Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: glaenzendefrau    08/03/2011    2 recensioni
Una passeggiata nel giardino, una creatura demoniaca e un giovane conte.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Potere apparente Potere apparente




L'animale diede un'occhiata sonnolenta a quel piccolo umano che lo fissava con aria decisa, e sbadigliò. Era stanco, essendo reduce da una bella scampagnata con l'umano biondo e forte, e non aveva voglia di alzarsi e tentare di sfuggire a quella debole stretta che teneva il suo fastidioso... com'è che lo chiamavano? Guinzaglio?
Ignorò i comandi sempre più perentori di Occhio Maledetto e si limitò ad accucciarsi, cercando una posizione più comoda per un sano sonnellino. Distese le zampe e pose il muso a terra. Oh, sì, adesso andava proprio bene. Fece dondolare la coda per ancora qualche secondo.
Prima di chiudere gli occhi ed addormentarsi, leggermente infastidito dalle urla brevi e secche del ragazzino, Pluto pensò che questi assurdi e fragili umani fossero proprio noiosi.

Ciel Phantomhive, notando che il Cane Demoniaco si era pacificamente assopito nonostante il crescendo della severità del suo tono, provò a svegliarlo dando un'autoritaria tirata alla catena che lo teneva legato (il collare non bastava), ma Pluto non si spostò di un millimetro. Allora desistette, e lasciò andare il guinzaglio: dopotutto, quella passeggiata nel giardino si era protratta fin troppo a lungo. Irritato per l'indifferenza dimostrata dal cane nei suoi confronti, emise un suono di puro disappunto, volse le spalle alla creatura e si avviò verso la villa a grandi passi, facendo dondolare il suo bastone.

È solo un cane, rifletté Ciel Phantomhive marciando con lena, insensibile alla bellezza del giardino in fiore intorno a lui. Nonostante questa convinzione, il giovane conte si domandò perché un simile disinteresse gli avesse fatto provare un tale moto di nervosismo. Forse derivava da una certa arroganza ereditata dal fatto di essere nobile, di possedere uno stato sociale superiore a quello della maggior parte dei londinesi -sarebbe stato sciocco, in effetti, affermare il contrario, e non poteva proprio ignorare il sottile senso di potere che provava nel comandare a bacchetta i suoi sottoposti.
Lui teneva legati i suoi collaboratori domestici a sé come il marionettista manovra burattini, soggiogava persone con i suoi titoli nobiliari, imperava tra i vicoli bui di Londra. La Regina, a sua volta, lo vincolava alla sua potente persona con una catena molto più pesante e con lettere in spessa carta color panna. Sfruttava il suo potere, e allo stesso tempo veniva astutamente sfruttato. Ma era normale, questo, pensò il conte, era giusto che esistesse un certo ordine.
Ma Ciel Phantomhive non amava che le marionette disobbedissero al suo creatore o lo ignorassero, abituato ad un certo tipo di soggezione che le persone di rango inferiore dimostravano nei suoi confronti (non sempre, pensò, ricordando lo slancio del poliziotto Aberline nel definirlo un bambino). Si fermò all'improvviso e, la mano stretta a pugno, portò all'altezza degli occhi l'anello che lo additava come l'erede della nobile casata dei Phantomhive. Lo abbassò lentamente, assorto. Non posso permettere che non mi si porti rispetto, si disse il conte. Neanche da un animale proveniente dall'inferno.
Il conte scrollò la testa, maledicendosi per aver dedicato così tanti pensieri ad un cane ottuso che non faceva altro che scodinzolare tutto il giorno, mangiare e uggiolare, cercando di ottenere l'attenzione del suo maggiordomo. Aveva mal di testa (urlare comandi non gli aveva giovato affatto, malgrado Sebastian gli avesse garantito che, al termine di una sana passeggiata, si sarebbe sentito riposato) e, arrivato alla villa, armeggiò con la maniglia della porta, desiderando ardentemente una stanza in penombra dove chiudere gli occhi e rilassarsi.

Sulla lunga scalinata che conduceva alle innumerevoli stanze della villa, Ciel Phantomhive incrociò Sebastian Michaelis, il suo maggiordomo, reduce dalla pulizia delle finestre della sala da pranzo.
«Si sente bene, signorino?» domandò a Ciel, fermandosi di fronte a lui, le braccia distese lungo i fianchi, l'espressione impassibile.
«Sì, certo» rispose bruscamente il conte, le labbra strette in una linea. Lo osservò per qualche secondo. «Ricorda di preparare la sala per la cena con lady Elizabeth questa sera, cucinami qualcosa, e portamelo nello studio. Ho fame.» gli ordinò laconico.
«Come desidera» rispose il suo maggiordomo con voce tranquilla, portando una mano al petto e inchinandosi leggermente. Ciel Phantomhive lo oltrepassò per ritirarsi finalmente in uno studio tranquillo dove si sarebbe potuto accomodare e chiudere gli occhi, lontano da cani indisciplinati, con la prospettiva di una nuova busta color panna che lo attendeva di lì a giorni, forte del potere che esercitava all'interno della villa.



Nascosto allo sguardo di Ciel Phantomhive, il maggiordomo sorrise famelico.







   
 
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