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Autore: beat    09/03/2011    15 recensioni
"Ti aspettano lunghi anni di fatica, giovane fanciullo, su questo non voglio certo mentirti. Ma se sarai capace di impegnarti, di dare sempre il massimo, e di non allontanarti mai dalla strada maestra, ti posso assicurare che il tuo futuro sarà straordinariamente luminoso.”
[Epilogo de "Di ancelle, bambini, e famiglie problematiche"]
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kostantinos' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

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Titolo: Fiume di stelle
Personaggi: Gemini Saga, Sagitter Aiolos, Kosta (OC)
Genere: Drammatico
Rating: Arancione
Avvertimenti: One-shot
Ambientazione: Post- Hades, come al solito tutti vivi e vegeti. In particolare, dieci anni dopo la fine della Guerra Santa.
Note: Questa fic è la conclusione della mia precedente storia Di ancelle, bambini e famiglie problematiche
. Se non l'avete letta, come riassunto vi basta sapere che Saga scopre per caso, dopo sette anni, di avere un figlio, Kostantinos, avuto da una ancella quando era il Boss del Santuario (sì, si faceva le servette). Comunque sia, Aiolos lo prende sotto la sua ala dorata protettiva e gli fa da Maestro perché il ragazzino diventi Saint.
Per chi avesse letto la storia precedente: quella era comica, questa ha un taglio diametralmente opposto.
E mi scuso già da adesso.
Vi voglio bene.


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Fiume di stelle


Il Sommo Sacerdote stava scrutando le stelle, in quella notte limpida di inizio primavera.
Kosta, sebbene ancora nascosto dietro le gambe di Aiolos, si era sporto un poco, ed era anche lui con il naso per aria, cercando di vedere quello che il Pontefice stava cercando.
“Kostantinos” venne chiamato infine.
Fece un passo avanti, sollecitato anche da una pacca gentile del Cavaliere d'Oro che gli stava affianco. Fece un passo avanti, tenne la schiena diritta e gli occhi rispettosamente bassi, aspettando il verdetto.
“Kostantinos” il Pontefice ripeté il suo nome e il bambino annuì; gli tremavano le gambe “Il tuo cosmo sopito è molto forte, e anche le stelle mi dicono che la costellazione dell'Eridano veglia su di te. Se sei deciso, potrai iniziare l'addestramento anche subito domani mattina, visto che il nobile Aiolos si è offerto di farti da maestro.”
Aiolos annuì caloroso, e poggiò una mano sulla testa del piccolo. Kosta si calmò un attimo a sentire quel tocco così rassicurante e, con la voce più ferma che riuscì a tirare fuori in quel momento di grande emozione, diede conferma delle sue intenzioni.
“Accetto con grande onore di iniziare l'addestramento, Pontefice.”
“Molto bene. Ti aspettano lunghi anni di fatica, giovane fanciullo, su questo non voglio certo mentirti. Ma se sarai capace di impegnarti, di dare sempre il massimo, e di non allontanarti mai dalla strada maestra, ti posso assicurare che il tuo futuro sarà straordinariamente luminoso.”




Erano passati tre anni e mezzo dalla sera in cui Kosta aveva ricevuto il permesso di cominciare l'addestramento. Si era messo d'impegno, anima e corpo, ogni giorno di quei tre anni. Non si era risparmiato nemmeno un giorno, desideroso di arrivare quanto prima alla sua armatura.
Per lui che era cresciuto tra le fila della servitù, ragazzino invisibile tra le schiere di ancelle e servitori, venire a scoprire non solo di essere il figlio di un Gold Saint, ma di essere anche in grado di diventare egli stesso un Cavaliere della bella Athena, tutto questo lo aveva riempito di tanto sacro orgoglio che la mattina successiva all'udienza con il Pontefice era stato lui ad andare a svegliare Aiolos, troppo smanioso di cominciare perfino per aspettare il primo canto del gallo.
Testardo come solo un bambino poteva essere, si era messo d'impegno, anima e corpo, per riuscire ad arrivare quanto prima alla sua meta.
E non si risparmiava niente, tanto che non era insolito, poco dopo il tramonto, vederlo crollare a terra, addormentato di botto. E quando si addormentava era praticamente impossibile riuscire a svegliarlo.
Aiolos rideva ogni volta che gli capitava di dover assistere a quella scena. Una volta l'aveva visto addormentarsi perfino mentre stava parlando, senza riuscire nemmeno a concludere la frase. Aveva anche rischiato di prendere una sonora craniata per terra, se non fosse stato per la prontezza di riflessi del maestro, che ogni volta che una cosa del genere succedeva, volenteroso se lo caricava in spalla per riportarlo a casa.
Come quella sera, che dopo uno sbadiglio epico più o meno a metà strada tra la prima e la seconda casa, si era addormentato camminando. E se anche Kosta aveva provato a ribattere in qualche modo, le sue proteste non erano state prese minimamente in considerazione da Aiolos, e infatti adesso si trovava a ronfare sulla spalla del maestro.

“Ancora?” domandò Saga, un sopracciglio sollevato, mentre sulla soglia del Terzo Tempio accoglieva i suoi ospiti.
“Che ci vuoi fare? Si è addormentato.”
Saga scosse la testa, facendo entrare Aiolos e muovendosi verso le stanze private.
“Ah, non ti preoccupare, lo porto su.”
“Tanto Kanon stasera non c'è, può dormire nel suo letto. E non mi va di doverti far fare tutte le scale con quel peso sulla schiena!”
Aiolos sorrise, e anche Saga abbandonò in fretta l'espressione burbera che aveva messo su. Si fece passare il bambino e lo portò in camera. Lo mise a letto, gli rimboccò le coperte e si concesse un attimo per accarezzargli la testa. Anche se era suo figlio, il tempo concesso loro per stare assieme era davvero esiguo. Gli allenamenti gli occupavano tutta la giornata – e Kosta era così serio a riguardo che non si concedeva mai una pausa di troppo – e con quella brutta abitudine di crollare addormentato come un sasso non potevano nemmeno vedersi di sera.
Per questo Saga insisteva tutte le volte per tenerlo a dormire da loro, quando poteva. Almeno per passare insieme il tempo della colazione.
Si chinò per dargli un bacio sulla fronte e poi tornò dal suo ospite.



Kosta si rigirò nel letto. Mosse le braccia per liberarsi dalle coperte che lo avevano avvinghiato e si mise sulla schiena. Si passò una mano sugli occhi, socchiudendogli. Grazie alla debole luce che proveniva dalla stanza a fianco poté scorgere sul soffitto l'affresco delle onde del mare. Nonostante il cervello annebbiato dal sonno, riconobbe che quella era la stanza di suo padre. A quanto pare doveva essersi addormentato prima di riuscire a rientrare alla Nona Casa. Di nuovo.
Il ragazzino si girò su di un fianco, dando le spalle alla luce, per tornare a dormire, ma la voce del suo maestro gli arrivò alle orecchie.
“…se vuoi davvero la verità, purtroppo nonostante tutto quell'impegno non progredisce come speravo…”
Kosta non aveva mosso un solo muscolo, ma si era completamente svegliato. Gli occhi erano sgranati, fissi, pur senza vedere davvero i girasoli appoggiati al comodino che aveva esattamente di fronte.
Fosse stato nell'altra stanza, Kosta avrebbe visto suo padre raddrizzare la schiena, incrociare le braccia al petto e aggrottare severamente le sopracciglia. Ne seguì una lunga pausa.
“Ma da quello che ho visto nell'arena mi sembrava invece stesse facendo un buon lavoro.”
“Te l'ho detto, non è certo l'impegno quello che gli manca. Fosse solo per quello sarebbe il migliore, in tutto quanto il Santuario. Sono i risultati che…”
Kosta non sentì la fine della frase, Aiolos aveva abbassato di molto il tono della voce. Sentì invece un bicchiere che veniva riempito e poi di nuovo il silenzio.
Non ce la fece più a starsene sdraiato.
Si alzò velocemente ma con prudenza, cercando di non fare rumore. Dimenticò i calzari per terra e si diresse verso la finestra, scavalcandola con un balzo e buttandosi in una corsa disperata nella notte nera.
Corse con tutte le forze che aveva in corpo, talmente veloce che l'aria gli sferzava il viso con tanta intensità da fargli lacrimare gli occhi.
Cercò di non lasciarsi sfuggire nemmeno un singhiozzo, ricacciò tutta la delusione in fondo allo stomaco, e accelerò la corsa.



“Perché quella faccia, Aiolos?”
“Sono… preoccupato.”
“Non tutti si sviluppano nello stesso modo… probabilmente gli basta solo un po' di tempo in più e…”
“Non è per quello. Sono preoccupato appunto per tutto l'impegno che ci sta mettendo. Arriva tutte le sere a crollare per la stanchezza, si sveglia tutti i giorni prima dell'alba. In tre anni non l'ho mai sentito lamentarsi per gli allenamenti che gli faccio fare. Nemmeno una volta. Suo padre è un Cavaliere d'Oro… e tu non sai quanto voglia assomigliare a te! Vuole a tutti i costi diventare un Saint, e se la cosa non dovesse succedere penso che la delusione lo distruggerebbe.”



Kosta aveva continuato a correre finché ne aveva avuto le forze. Aveva corso scalzo e sulla pianta del piede sinistro ora aveva un taglio che lo infastidiva non poco.
Si fermò vicino ad un boschetto di ulivi, per riprendere fiato. Ansimando, si spinse al riparo degli alberi e qui crollò a terra, abbracciandosi le ginocchia al petto con tanta forza da affondarsi le unghie nelle cosce.
Tirò su con il naso e strinse forte gli occhi, cercando di togliersi dalla testa le parole del suo maestro.
L'avevano ferito come mai nulla prima.
Non voleva crederci che il sommo Aiolos avesse davvero pronunciato una cosa del genere. Non dopo quei tre anni di sorrisi, incoraggiamenti e gentili pacche sulla schiena. I suoi allenamenti erano massacranti, e di giorno era intransigente con lui, come allievo, ma a fine giornata aveva sempre una parola gentile, cosa che lo rendeva davvero felice, e fiero, di averlo come maestro.
Non poteva credere che fosse stato tutto quanto una menzogna. Si spaccava la schiena tutti i santissimi giorni per nulla? Era questo che stava cercando di dire?
Kosta si morse l'interno della guancia con tanta forza da farsi quasi sanguinare. Non poteva accettare una cosa del genere.
Lui era il figlio di Saga di Gemini, non un ragazzino qualunque!
Non gli avrebbero portato via il suo destino.
No.
Non dopo averglielo messo davanti.



“Ci vediamo domani, allora.”
“Certamente. Cerca di farlo dormire un po', mi raccomando.”
“Ah, io lo farei dormire anche tutto il giorno, ma quella peste si sveglia comunque prima delle galline!”
Sia Saga che Aiolos scoppiarono a ridere, e poi quest'ultimo si ritirò salutando con un cenno del capo il compagno.
Saga attese di vederlo sparire lungo le scale, per poi rientrare in casa. I suoi servitori avevano diligentemente già portato via il vassoio con i bicchieri e il vino.
Aveva chiacchierato a lungo con Aiolos – discorsi che non era sicuro che gli fossero troppo piaciuti – e si era ritrovato molto stanco. Per questo non rimase ancora in giro a ciondolare, ma si diresse verso la camera da letto.
Cercò di fare meno rumore possibile per non svegliare Kosta, ma gli toccò stupirsi non poco quando non lo trovò nel letto.
“Kosta?” provò a chiamarlo – i calzari erano lì – ma non ottenne risposta.
Lo cercò nel Tempio, ma ugualmente non lo trovò.
Dovette cercarlo con il cosmo, per scoprire che era molto lontano da quel luogo, e non poté non percepire tutta l'agitazione che si irradiava dal suo animo. Sembrava un turbine, una piccola tempesta di emozioni potenti.
Saga chiuse gli occhi, sperando di cacciare via la brutta sensazione che aveva immediatamente preso possesso della sua mente.
Ma non ci riuscì: il timore che il ragazzo avesse sentito i loro discorsi lo pressava con sempre maggior convinzione. Come pure non riusciva a dimenticare la confidenza di Aiolos, la sua preoccupazione nei confronti di come avrebbe reagito suo figlio ad una delusione del genere.
Anche Saga si mise a correre nella notte.



Il cuore gli batteva forte nel petto, e le gambe continuavano a tremargli. Per la fatica, certo, ma soprattutto per l'emozione. Lo scrigno sulle sue spalle pesava, ma era un peso che era esageratamente felice di poter sopportare.
Aver vissuto tra le servitù aveva avuto anche i suoi vantaggi. Conosceva tutti i passaggi segreti che portavano alla Tredicesima Casa. Sapeva l'ubicazione della sala dove venivano conservate tutte le armature ancora senza proprietario.
Strinse tra le dita le cinghie della scatola, sistemandosela meglio in spalla.
L'armatura era sua!
Non importava quello che il maestro Aiolos poteva dire, l'armatura adesso era sua e…
“Kosta!”
Ruotò la testa di scatto, preso alla sprovvista da quella voce potente.
Il cuore mancò un paio di battiti quando vide emergere dall'ombra suo padre.
Il buio era così fitto che ci mise un po' a metterlo a fuoco. E quando ci riuscì non poté in nessun modo a sostenere il suo sguardo. Cupo, fermo, pesante.
I suoi occhi erano come un macigno.
Sentì le gambe tremare sotto quel peso. Fece istintivamente un passo indietro.
“Kosta… che cosa stai facendo?”
Non riuscì a rispondere. A pensarci bene, la sue azioni stavano parlando da sole.
Ma Saga voleva una risposta; pose di nuovo la domanda, ma ancora Kosta non sembrava in grado di fornire una qualunque risposta.
Saga si avvicinò e il ragazzo indietreggiò. Ma mise un piede in fallo e inciampò.
Lo scrigno mandò un rumore sordo quando colpì per terra e l'armatura al suo interno sembrò vibrare.
Kosta non ebbe il tempo di rimettersi in piedi che il padre gli si era inginocchiato di fronte, prendendogli il viso tra le mani e costringendolo a guardarlo negli occhi.
“Ti rendi conto di quello che stai facendo?” non aveva alzato la voce, anzi, l'aveva chiesto in un sibilo. Quasi a non voler far sentire a niente e a nessuno quello che stavano dicendo.
“Kosta, per l'amor degli dèi, perché hai fatto una cosa del genere?”
“Pensate che io non sia in grado di ottenere l'armatura!” soffiò fuori infine il ragazzino, con una smorfia sofferente sul viso “Pensate che non se sia in grado!”
“Non è vero Kosta, non è assolutamente vero!”
“E invece sì! Ho sentito cosa ti diceva il maestro Aiolos!”
“Hai gonfiato un problema che non esiste Kosta! Aiolos non ha mai pensato una cosa del genere! Era solo impensierito per…”
“Non è vero, non è vero!” Kosta cercò di allontanarsi, il suo cosmo ancora acerbo per un momento si infiammò, ma la stretta di Saga era ferma e non riuscì a muoversi.
“Kosta… ma che cosa pensavi di ottenere in questo modo? Rubando l'armatura tu…”
“Non l'ho rubata! Questa armatura è mia! Non me la porterete via!” Saga questa volta non riuscì ad impedire al figlio di allontanarsi. Incespicò a causa del peso che aveva sulle spalle ma riuscì lo stesso a rimettersi in piedi.
Saga invece rimase sulle ginocchia, turbato, fissando le lacrime che cominciavano a rigare il volto del figlio.
“Voi non credete in me!”
“Io ho sempre creduto in te Kosta. Sempre. Perché hai fatto una cosa del genere? Pensavi davvero di poter ottenere l'armatura con un vile furto? È questo il Cavaliere che vuoi diventare?”
Le lacrime ora scendevano più copiose che mai, e Kosta dovette fare uno sforzo immenso per non cominciare a singhiozzare come un infante.
“Io voglio diventare Cavaliere di Athena…” un pigolio, poco più che un sussurro.
“E allora perché hai disonorato te stesso rubando un'armatura?”
Gli occhi di Kosta erano grandi e lucidi.
Non sapeva più che cosa dire, non sapeva più nemmeno che cosa pensare. Piangeva.
E poi dal buio della notte comparve anche Aiolos. Impensierito per il divampare improvviso del cosmo del suo allievo si era precipitato da lui, per assicurarsi che fosse tutto a posto.
Saga vide le sue labbra schiudersi come per chiedere qualche cosa, ma non riuscì a pronunciare una sola parola. Guardò alternativamente Kosta e Saga, posando infine lo sguardo sullo scrigno sulle spalle del suo allievo. Da come si era improvvisamente rabbuiato sembrò intuire perfettamente che cosa era successo.
“Kosta…”
“Aiolos, ti prego, lasciaci…”
“Cos…? Saga, no…”
“Aiolos!”
Aiolos vide una fosca determinazione negli occhi di Saga. E un dolore che anche i suoi occhi in quel momento stavano rispecchiando.
“Non me ne vado” dichiarò, dopo un momento di silenzio.
“Aiolos, per favore…”
“È il mio allievo.”
“Per questo ti sto chiedendo di andartene!”
Aiolos si mosse, voltò le spalle a Saga, ma invece di allontanarsi si diresse verso Kosta. Il ragazzino aveva ancora le gote rigate, e gli occhi confusi di chi non capisce.
Vide un profondo rammarico negli occhi del suo maestro e non poté impedirsi di tremare di vergogna quando gli posò entrambe le mani sulle spalle, stringendolo appena.
Si avvicinò quasi a sfiorargli la fronte con la sua.
“Kosta… ti prego, restituisci l'armatura!”
Kosta strinse le labbra, con le lacrime che di nuovo gli avevano inondato gli occhi verdi: negò energicamente con il capo.
Sotto le dita, Aiolos lo sentiva tremare sempre di più.
Dovette concentrarsi come non mai per non cominciare a tremare lui stesso. Guardò Kosta negli occhi, cercando di trasmettergli tutto l'affetto che provava per lui.
“Sei stato un buon allievo. Sono fiero di averti potuto fare da maestro” era una sofferenza continuare a guardarlo negli occhi, ma resistette; le parole erano sempre più sussurrate “Mi dispiace, Kosta. Mi dispiace, davvero.”
Si rialzò senza un suono, allontanandosi di qualche passo. Si mise in disparte, ma non accennò ad andarsene.
Saga gli lanciò un'occhiata piena di dolore, prima di chiudere gli occhi, inspirare profondamente, e cercare poi di escludere dalla mente tutto il resto. Chiuse il suo cuore in una scatola ermetica in fondo alla sua anima.
Tre falcate ed era arrivato di fronte a Kosta. Il ragazzino alzò lo sguardo, per guardare il padre in volto, ma quello che vide lo terrorizzò: gli occhi di Saga era fermi. Vuoti di qualunque sentimento e spietatamente decisi.
“Kostantinos, hai osato rubare una delle sacre Armature dei Guerrieri della dea Athena. Un furto simile è equiparabile al tradimento. Come Gold Saint, e in presenza del tuo stesso maestro come testimone del sacrilegio… sono costretto a condannarti a morte.”
Le lacrime si erano arrestate sul volto di Kosta. Aveva di fronte la fine e non aveva più lacrime da versare.
Se Saga esitò fu solo per una frazione di secondo: colpì, un gesto unico.
Kosta cadde sulle ginocchia, le forze lo stavano abbandonando in fretta, scivolavano via da lui. Ma non sentiva dolore.
Sollevò per un'ultima volta gli occhi, sempre più grandi e offuscati. Incrociò quelli
di suo padre, pieni di un immenso dolore, e un attimo prima di perdere conoscenza sentì il suo abbraccio.
Saga non disse nulla, semplicemente lo abbracciò.
Lo tenne stretto finché anche l'ultima stilla di vita non sfuggì dal corpo, insieme al sangue che aveva impregnato quell'ultimo abbraccio.




“Papà! Qual è la costellazione dell'Eridano?”
Saga sorrise: si sedette sull'ultimo scalino e prese in braccio il bambino, indicando poi con un ampio gesto delle mani una grande porzione di cielo. Gli fece vedere una lunga fila di stelle che si snodavano sulla volta celeste, nominandole tutte. Un fiume nel cielo.
Kosta ammirò tutti i singoli astri della sua costellazione, con il naso all'insù e la bocca aperta in una O perfetta.
Si sistemò meglio sulle gambe del padre e gli tirò una manica per attirare di nuovo la sua attenzione.
“Papà, ma che cos'è l'Eridano?”
Saga lo strinse in un abbraccio, per tenerlo il più possibile al caldo in quella gelida serata d'inverno, e preparandosi a raccontare la storia dell'Eridano. Tanto lo sapeva che Kosta non sarebbe voluto rientrare finché non aveva finito.
“L'Eridano è un fiume, un lungo fiume che scorre in Italia, che oggi chiamano Po. Devi sapere che un giorno Fetonte, il figlio di Helios, prese il carro del padre, credendo di poterlo guidare da solo. Ma era troppo giovane e non aveva abbastanza forza per tenere a bada i cavalli che lo trainavano e perse il controllo. Si avvicinò troppo alla terra e il calore del carro del Sole incenerì quello che oggi è il deserto. Helios si accorse troppo tardi dell'errore del figlio e così Zeus fu costretto ad abbattere Fetonte con una delle sue saette. Il giovane precipitò finché non cadde nelle acque del fiume Eridano.”
Saga sentì il figlio rabbrividire, ma prima che potesse riportalo in casa Kosta lo bloccò con un'altra domanda.
“Zeus non poteva fare altro? Doveva per forza colpirlo in quel modo?”
“Purtroppo Fetonte, con il suo gesto avventato, stava per distruggere non solo se stesso ma anche tutto quanto il pianeta. Zeus non poteva davvero fare altrimenti.”
Kosta annuì, pensieroso, ma tutta la sua presunta serietà venne distrutta da un enorme sbadiglio.
Saga ridacchiò, prendendo il figlioletto tra le braccia e riportandolo in casa.
“Per oggi basta con le storie. A nanna adesso!”
Kosta non protestò e si infilò sotto le coperte.
Prima di chiudere gli occhi, però, aveva un'ultima domanda.
“Fetonte non poteva fare nulla per evitare quello che ha fatto? Non poteva guidare il carro di nuovo lontano dalla terra?”
“Purtroppo Fetonte ha sbagliato nel voler per forza prendere il carro prima di essere in grado di guidarlo davvero. Ha sopravvalutato le sue capacità. Ricorda questo, Kosta, gli uomini sono in grado di fare cose straordinarie, noi Saint ne siamo un esempio vivente… ma a tutto quanto c'è un limite. Cerca sempre di non andare oltre questo limite. Rischi solo di fare del male a te stesso e a quelli che ti stanno attorno.”
Kosta annuì, per poi lasciarsi andare ad un altro sbadiglio. Gli occhi non gli stavano più aperti.
“Farò il bravo, papà. Promesso” e si addormentò.
Saga gli carezzò una guancia, per poi lasciarlo riposare tranquillo.
Uscì di nuovo nella notte gelida, si cacciò le mani nelle tasche e alzò il capo verso le stelle, seguendo con gli occhi la linea sinuosa dell'Eridano.
Sussurrò un'unica preghiera.
“Che le stelle possano esserti di protezione, Kosta… te lo auguro con tutto il cuore.”






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Angolo dell'Autrice:

Ecco.
Non so che altro aggiungere.
Scusatemi per l'angst.
Ha fatto male anche a me. Ho pianto un sacco.
Prendete e andate in pace.
Tranne Dima. Tu resti qui con me a soffrire. Non so se odiarti o amarti. Mi ispiri idee malvagie come poche cose al mondo, e per la mia salute forse dovrei smetterla di frequentarti. *la spuccia, nonostante tutti i danni*
Scusatemi di nuovo, tutti quanti! ç_ç


Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche.

Grazie a chi vorrà recensire e a quanti leggeranno e basta!

Beat


   
 
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