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Autore: Pudentilla Mc Moany    11/03/2011    1 recensioni
Ci si era abituato, alla morte di Sirius; faceva parte della sua routine come lavarsi i denti, essenziale come un braccio o una gamba e in qualche modo fedele. Aveva sempre avuto la netta sensazione che non lo avrebbe tradito; quando fosse arrivata per davvero avrebbe almeno avuto il buon gusto di avvertire, pensava.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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18 Giugno 1996

Sì, sì, non invio uno straccio di fanfiction da secoli. Mea culpa! Vorrei invocare il blocco dello scrittore, ma non sarei completamente onesta- prima di tutto perchè non sono sicurissima di essere una scrittrice.
Sicuramente sarò un po' arrugginita, e non sono sicura che scorra come vorrei... L'ho riletta troppe volte per cercare gli errori/imprecisioni e non ho più idea di come "suoni" in realtà.
Il diciotto Giugno è la data della morte di Sirius Black, gentilmente fornita dalla Harry Potter Wiki, e il titolo non è troppo originale, lo so! Credo anche che tre frasi almeno mi vengano direttamente dalla Rowling, più o meno modificate e piegate ai miei biechi scopi. E spero di non aver trattato con troppa leggerezza l'argomento.
Questa oneshot partecipa alla Scalata verso il Wolfstar, che è un'iniziativa di wolfstar_ita. E' il primo livello, e il prompt è abbraccio. Questa è la mia tabella dei livelli, nel caso- non so, ma mettercela  mi pareva molto professionale.





<< …E non ti lasci mai abbracciare!>>
<< Sono inglese, non mi piace il contatto umano.>>
<< Tecnicamente non sei nemmeno un umano.>>
<< Sirius, sto per picchiarti.>>


[…]
He was my North, my South, my East and West,
My working week and my Sunday rest,
My noon, my midnight, my talk, my song;
I thought that love would last forever: I was wrong.

The stars are not wanted now; put out every one,
Pack up the moon and dismantle the sun,
Pour away the ocean and sweep up the woods;
For nothing now can ever come to any good. *


18 Giugno 1996

Anche il tempo tratteneva il fiato.
Dire soltanto una parola avrebbe creato un cataclisma nell’aria gelata dell’anfiteatro, così pareva, come se la vita di Sirius fosse legata al filo pallido e sottile di quel silenzio muto di tomba e di morte e il suo ritorno fosse una cosa da attendere tacendo religiosamente, per impossibile che fosse.
Sarebbe venuto il momento, bastava solo aspettarlo in silenzio e crederci, in cui il velo lo avrebbe risputato fuori; allora la battaglia sarebbe ricominciata e lui avrebbe ghignato e si sarebbe spolverato la giacca con noncuranza, spavaldo e in qualche modo più giovane come era giusto che fosse per chi aveva vinto la morte, e tutti lo avrebbero riabbracciato e gli avrebbero dato delle pacche sulle spalle, sentendo le sue epiche spacconate che sapevano di firewhiskey.
Sirius Black non poteva essere andato per sempre, tacitamente si consentiva, perché c’era Harry. Nell’equazione semplice dell’affetto una morte così non aveva senso, perché il ragazzo aveva bisogno di lui, e lo aspettava più di tutti in quell’istante bloccato nel tempo che non aveva più senso. Spezzava il cuore. Doveva tornare per lui, Sirius, e sarebbe tornato, tutti lo sapevano, e allora aspettavano e credevano un po’ più forte, per Harry.
Tutta insieme la sala tendeva l’orecchio e le corde del cuore, chi nello spasmo di un dolore incipiente, chi nell’attesa della battaglia; trattenevano il fiato come un sol uomo, e non prestavano attenzione all’uomo solo fra loro.
Remus Lupin, in piedi a qualche metro dal velo, ansimava la sua anomalia: doveva essere l’unico a non aspettarsi niente. Era proprio la parola giusta, questo niente che gli si era ficcato nel cuore a tradimento, così che tutto d’un tratto non era più così sicuro di esistere.
Aveva schiantato Lucius Malfoy e si era distratto un attimo, solo un attimo; doveva essere quello giusto, perché aveva fatto appena in tempo a vedere morire l’uomo che amava.
Sirius non c’era più, cancellato per sempre dalla faccia della terra, ma avrebbe giurato che solo un istante prima- non era più tanto sicuro, ma era esistito, Sirius; era lì che rideva e gridava qualcosa, ci si era anche arrabbiato, perché doveva sempre fare il bambino, maledizione, e poi tutto era morto in un lampo di luce rossa nella grande arena silenziosa, e adesso lui era lì che non sapeva sentire più niente. Sirius era morto mentre Remus pensava che gli avrebbe dato una bella strigliata, di ritorno a casa; era sparito dietro il velo lasciandolo per sempre da solo in quella grande stanza affollata dove nessuno sapeva chi era.
Non gli aveva lasciato nemmeno un corpo su cui piangere, gli venne da pensare, e il tempo scelse quel momento per esalare il suo fiato greve: il velo ondeggiò per un momento come scosso da un forte vento, poi ricadde immobile.

Custodito dietro alle sue mura di distante cortesia, Remus Lupin era sempre stato un sentimentale. A volte si diceva che era un idiota, per quanto era sentimentale, e però, tutto considerato, era sempre stato una persona coi piedi per terra, e questa strana combinazione di solido buon senso e piani vacillanti di felicità futura l’avevano reso nel tempo una sorta di bomba a orologeria emotiva.
Era finito com’era finito, vecchissimo a trentasette anni, con l’animo liso e il corpo corroso, per la sua strana abitudine di allevare dentro di sé le morti degli altri, come se li proteggesse uccidendoli così, ogni giorno, nella sua testa. La più antica delle sue morti inventate, quella di Sirius, era quasi un classico: da secoli gli stava fra i piedi come un tristissimo Basset Hound**, e anche se quel cane era vecchio e stanco lui c’era cresciuto insieme e non poteva pensare di separarsene. Da quando Sirius si era preso quella moto e aveva sentito per la prima volta la fitta di un’apprensione amara, Remus era stato costantemente preoccupato per lui. Ci si era abituato, alla morte di Sirius; faceva parte della sua routine come lavarsi i denti, essenziale come un braccio o una gamba e in qualche modo fedele. Aveva sempre avuto la netta sensazione che non lo avrebbe tradito; quando fosse arrivata per davvero avrebbe almeno avuto il buon gusto di avvertire, pensava.
E poi Sirius era morto e Remus non era stato avvertito, e una morte così aveva qualcosa di orribilmente sbagliato, come un’impostrice che fosse strisciata fra le sue morti amiche. Gli avevano sempre lasciato un corpo su cui piangere, quelle, e lui era sempre stato grato di avere un Sirius morto da abbracciare finchè non fosse diventato freddo, finchè anche Remus fosse diventato freddo e non si fosse capito quale corpo fosse di chi.
Aveva creduto di esserselo conquistato, il diritto di vegliarlo tutta una notte, pagandolo al caro prezzo di centinaia di incubi.
C’erano volte in cui Sirius veniva ucciso da una maledizione e gli finiva fra le braccia, freddo e bianco. Altre, invece, cadeva dalla sua moto giù per chissà quanti metri, e non c’era nulla da fare, ma Remus avrebbe riposato sul suo petto; avrebbe amato il sapore del sangue, dopo aver bevuto quello di Sirius. Lo aveva ucciso lui stesso, in molte notti crudeli di luna piena. Aveva visto ferite impossibili, veleni incurabili, e un Sirius che lo rassicurava carezzandolo con le sue ultime forze, e gli respirava l’ultimo respiro nella bocca trepida.
Ma aveva i piedi per terra, Remus, e così la sua immaginazione. Nelle lunghe ore di veglia si era costretto a valutare l’eventualità che Sirius morisse senza che lui fosse lì. Al suo funerale, però, non sarebbe potuto mancare per tutto l’oro del mondo, e avrebbe stretto quella mano immobile finchè il volto che aveva amato tanto non fosse stato che polvere.
Aveva pensato di morire prima di lui. Era stato il pensiero più doloroso che avesse mai fatto, e il più pericoloso, perché si era ritrovato a pensare che non sarebbe poi stato così male.
Non avrebbe mai provato quella solitudine agghiacciante, se fosse morto prima, o forse sì, e forse anche Sirius, ovunque fosse, si sentiva vuoto e solo e spento senza un Lunastorta da stringere in quel suo abbraccio comodo e consunto dall’uso come una vecchia coperta.

L’urlo di trionfo di Bellatrix Lestrange risuonò nell’arena, il vagito di un mondo nuovo e grottesco.
Remus si sentì intontito e con un peso orribile nello stomaco; era come se, svegliatosi da un lungo sonno, fosse precipitato in un incubo.
 Tutte le morti pensate di Sirius erano morte con lui risucchiate dal velo, tutte quelle morti antiche e care. Non l’avrebbe mai più abbracciato -nemmeno da morto, questa era l’unica cosa che sapeva, e quando quell’idea vaga e penosa si fece troppo pesante si sostenne ad Harry e lo abbrancò attorno alle spalle, e quando parlò la voce non gli sembrava la sua.
<< Non puoi fare niente, Harry…>>
Tutti gli abbracci del mondo erano morti in una bella sera di quasi estate.






* Da WH Auden, Funeral Blues.
** Da Milk Thistle, di Conor Oberst and the Mystic Valley Band. Non ho resistito!






  
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