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Autore: Pichichi    11/03/2011    3 recensioni
Il rapporto tra Tiziana e Dalila si basa su presupposti ben precisi, ma al contempo estremamente delicati, in virtù dei loro caratteri discordanti: l'una abituata a sottomettere e vedersi assecondata, l'altra a godere della rassicurante presenza della compagna. Cosa accade quando interviene un terzo elemento a modificare l'equilibrio?
"-Prima o poi ci beccano, me lo sento- mormorò Dalila.
Tiziana le rispose con un sorriso furbo.
-Non accadrà-
[...] Tiziana aveva notato, nei due mesi in cui aveva prestato servizio all'hotel, che la stanza numero cinque non era stata mai assegnata ad alcun cliente.
Questi erano i motivi per cui era certa che nessuno le avrebbe mai scoperte mentre facevano l'amore chiuse in quella camera."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L’unico rumore percepibile all’interno della camera era il ticchettio dell’orologio a muro, la cui lancetta dei secondi stava ritmicamente compiendo il suo tradizionale giro. Le persiane erano state abbassate ed essendo sera l’unica fonte di luce nella stanza era un’abat-jour posta sul comodino, la quale illuminava il volto di una ragazza sdraiata sul letto. Si era addormentata da più di un’ora, con ancora i jeans addosso, la testa poggiata sul braccio e il corpo che si alzava e si abbassava seguendo il ritmo del suo respiro.
Ad un certo punto, però, il silenzio che regnava all’interno della camera fu rovinato dal rumore di un cellulare poggiato accanto al letto, sul comodino.
Contemporaneamente alla lancetta più lunga dell’orologio che andava ad allinearsi col numero dodici, lo schermo del cellulare lampeggiò e diffuse nell’aria un trillo insistente.
Per i primi secondi non accadde nulla, poi la ragazza aprì di poco gli occhi e, realizzato che era la sveglia a suonare, allungò il braccio per spegnere l’aggeggio.
Sapendo che non aveva tempo da perdere fece appello a tutta la sua forza di volontà e riuscì a mettersi a pancia in su, riscuotendosi dal piacevole torpore in cui era caduta.
Spalancò la bocca per sbadigliare e stese le membra per stiracchiarle, operazione per cui impiegò qualche minuto. Quando ebbe ascoltato lo scricchiolio di tutte quante le proprie vertebre, decise che era arrivato il momento di alzarsi. Diede un’occhiata all’orologio, scoprendo che erano le sette e cinque minuti.
Quando la lancetta più lunga si spostò raggiungendo il numero quattro, la ragazza uscì dal bagno e si pose davanti allo specchio, per esaminarsi.
Sorrise compiaciuta al suo riflesso nel vetro.
Tiziana si piaceva tantissimo e vanitosa com’era badava che ad accorgersi della sua presunta bellezza fossero anche gli altri: non usciva mai di casa senza almeno un filo di trucco, mai con i capelli fuori posto, mai abbigliata in un modo che non facesse emergere la sua femminilità.
Dopo aver constatato che andava bene così raccolse tutto il necessario nella borsa, prese le chiavi di casa e della macchina, si preoccupò di abbassare tutte le persiane e chiudere il portone a doppia mandata: sapeva che non sarebbe tornata prima della mezzanotte.
Guidò la sua automobile fino alla periferia cittadina e mantenne una velocità sostenuta almeno finché non avvistò in lontananza il profilo di un edificio alto e recintato da una serie di siepi ben curate. Mise la freccia, ma non si fermò una volta arrivata di fronte al cancello principale; Tiziana proseguì girando attorno al perimetro fino ad individuare un’entrata secondaria, dove parcheggiò la macchina.
Spense le luci, si mise la borsa in spalla e scese dall’auto. Si concesse un’ultima controllata ai capelli osservando il riflesso nel parabrezza, ma poi si avviò a passo sostenuto verso l’uscita del parcheggio.
Il sole era ormai tramontato da tempo e il personale dell’hotel aveva ritenuto opportuno accendere tutte le luci esterne, così nella sua corsa verso l’entrata Tiziana fu accompagnata dal chiarore quasi abbagliante dei faretti posti sul marciapiede e dei lampioni sistemati a ridosso del perimetro.
Il parcheggio riservato ai clienti non era ancora sufficientemente pieno perché il ricevimento potesse avere inizio e perché lei potesse considerarsi in ritardo.
Più tranquilla al riguardo, svoltò a sinistra e si trovò davanti all’entrata.
 
La facciata frontale del Park Hotel le apparve come sempre imponente e luminosissima. Il cancello in ferro battuto decorato da motivi romantici era tenuto d’occhio da un paio di ragazzi in uniforme rossa che in quel momento si trastullavano chiacchierando, dato il mancato afflusso di macchine da parcheggiare.
A sinistra del cancello vi era un’ampia area verde che continuava ad estendersi anche sull’altra fiancata dell’edificio, mentre a destra, da un’ elaborata fontana in marmo, zampillavano getti d’acqua atti a dare all’ambiente un’aria più sofisticata, qualora non fossero necessari tutti gli altri elementi presenti.
            -Non è iniziato, vero?- domandò Tiziana ad uno dei parcheggiatori, con cui aveva confidenza. Lui scosse la testa e la ragazza, definitivamente tranquillizzata, entrò nell’albergo tramite una porta scorrevole.
L’atrio era luminoso e già qualche gruppo di uomini si intratteneva a parlare sulle poltroncine, altri invece fumavano la loro sigaretta nella stanza antecedente all’ingresso, ma la porta del salone ristorante era sbarrata; dunque il ricevimento non era ancora cominciato.
Al centro dell’atrio era stato posto il manifesto che, al pari di tutte le altre copie affisse in città, informava della cena che si sarebbe tenuto quella sera, in occasione della festa di San Valentino.
Tiziana controllò l’orologio ancora una volta e notò che mancavano ancora quindici minuti abbondanti prima dell’inizio del suo turno di lavoro.
Era proprio per questo che aveva messo la sveglia e si era preparata in anticipo, perché sperava di poter avere un po’ di tempo libero prima di dedicarsi, come del resto tutti gli altri dipendenti, alla buona riuscita della festa.
Il proprietario del lussuoso hotel aveva organizzato due eventi da cui ricavare profitto: il giorno seguente, il quindici, si sarebbe tenuta una festa al piano inferiore dell’albergo, dove c’era la discoteca e una pista da ballo: aveva già ingaggiato un deejay, venduto un numero limitato di biglietti e sarebbe stata celebrata la cosiddetta festa dei single, riservata ai ragazzi più giovani.
Per la sera di San Valentino, invece, aveva spedito inviti alle famiglie più facoltose della città e ai suoi amici e conoscenti, in modo da riunire nella maestosa sala da pranzo principale tutta l’élite della società cittadina.
In ogni caso, avrebbe ricavato un considerevole gruzzolo per ognuno di questi due avvenimenti. Tutto però doveva essere perfetto, e se per la festa dell’indomani non erano richieste particolari attenzioni tranne che per il cibo, quella sera aveva preteso il massimo da ciascuno dei suoi dipendenti.
Questi ultimi erano divisi in varie categorie: gli addetti alla cucina, ovvero i camerieri e i cuochi, gli inservienti per garantire la cura dei giardini, della piscina e in generale dell’esterno dell’hotel, le cameriere col compito di passare ogni mattina a pulire le stanze e cambiare la biancheria, i baristi e gli addetti alla reception. Tutto quanto era controllato severamente dal maitre, che nonostante passasse molto più tempo in cucina riusciva a tenere sotto controllo anche l’andamento generale.
Tiziana non poteva assolutamente lamentarsi della paga, ma sapeva bene che il servizio prestato doveva essere impeccabile: bastava che alle orecchie del maitre giungesse una qualche lamentela da parte dei clienti e questo era sufficiente per essere licenziati in tronco. Perciò niente ritardi, niente leggerezze, niente commenti.
Il suo posto era al bar, dietro al bancone in mogano posto all’estrema destra dell’atrio. A soddisfare la voglia di aperitivi degli ospiti arrivati in anticipo provvedeva già un ragazzo alto e dai capelli rossi, di nome Francesco. Lui incrociò il suo sguardo e le fece cenno di muoversi: il suo turno terminava alle otto in punto e lui le aveva chiesto il favore di assumersi la responsabilità del bar per tutta la serata, poiché aveva promesso alla fidanzata di portarla al cinema.
Tiziana oltrepassò i divani e i pouf, aggirò il bancone e scivolò dietro la macchina del caffè.
            -Sbrigati a cambiarti, su!- la incitò Francesco, impaziente di andarsene.
Ma lei scosse la testa, cercando le chiavi che avrebbero aperto lo stanzino riservato ai dipendenti.          -Non se ne parla proprio- disse – il turno inizia alle otto. Bene, non sono ancora le otto-
Sorrise con aria eloquente al ragazzo, che trattenne obiezione che gli era salita alle labbra: sapeva che Tiziana non era propriamente l’esempio della generosità e aver accettato di sostituirlo per una serata rappresentava già un enorme passo avanti da parte sua.
Rassegnato a dover attendere ancora un po’ prima di potersene andare, tornò ad occuparsi dei clienti.
 
La ragazza invece si infilò nello stanzino posto a lato del bancone, sulla cui porta era scritto “riservato”. Lì solitamente i dipendenti si cambiavano oppure usufruivano del bagno, ma la ragazza aveva scoperto, oltre gli scatoloni contenenti scorte di detersivi, solventi e spazzoloni, una porta che metteva lo stanzino in comunicazione con la cucina.
La sua uniforme non era ingombrante come quella dei parcheggiatori, costretti ad abbottonarsi in giacche rosse; bastava semplicemente che sovrapponesse un gilet nero ai vestiti e ci attaccasse il cartellino con su scritto il suo nome, cosa che l’avrebbe classificata come un’impiegata.
Si infilò quindi il gilet, lo abbottonò badando che non rovinasse il maglioncino blu scuro che aveva sotto e poggiò momentaneamente la borsa con le sue cose su uno scatolo.
Scavalcò quindi gli imballaggi, le mazze da scopa, le pile di stracci e i carrelli per la biancheria per giungere davanti ad una porta.
Questa cigolò mentre Tiziana l’apriva, ma il frastuono che come sempre proveniva dalla cucina avrebbe coperto anche il barrito di un elefante, quindi non se ne preoccupò.
Nessuno si accorgeva mai di quel passaggio e nessuno la notava mai mentre s’intrufolava in cucina.
 
La prima cosa che pensò, come sempre quando entrava lì dentro, era che faceva decisamente troppo caldo e che c’era un gran casino.
La porta sbucava dietro un forno a colonna, motivo per cui se fosse stata abbastanza rapida a sgattaiolare oltre il tavolo posto al centro, avrebbe potuto evitare di essere vista dal cuoco. Non che fosse prevista in tal caso una punizione, ma non le andava di sentirlo gridare.
            -Prosciutto, prosciutto! Abbiamo scelto prosciutto crudo e salame per l’antipasto, cosa devo farmene del capicollo? Trovami il prosciutto!-
Tiziana sobbalzò nel sentirlo imprecare contro un malcapitato cameriere che aveva commesso l’errore di portargli l’affettato sbagliato.
            -È possibile, dico io, è possibile?- continuò fra sé – Mancano ancora tre persone e se non ho i miei quindici camerieri che cosa vogliamo fare? Io non lo so!-
Tiziana lo ignorò completamente e non si preoccupò di essere vista mentre si dirigeva nell’altra stanza, quella in cui venivano preparati i piatti. In quel momento sulla lunga tavolata centrale ne erano disposti ad occhio e croce una cinquantina su cui i camerieri si affrettavano a comporre l’antipasto. Nella confusione generale, poiché ognuno era troppo preso dal compiere il suo dovere per prestare attenzione a quello che facevano gli altri, Tiziana individuò una ragazza che, all’altro capo del tavolo, poggiava alcune enormi foglie d’insalata sul piatto.
Allora Tiziana si animò e passando velocemente fra il resto del personale le si avvicinò, fino ad arrivarle alle spalle.
Fra le varie regole che il capocuoco aveva imposto c’era il divieto assoluto di portare i capelli lunghi: i camerieri adottavano perciò un taglio degno dei marines, mentre le ragazze avevano la possibilità di scegliere se accorciarli radicalmente o legarli ben stretti in una coda dalla quale non sarebbe dovuta fuoriuscire nemmeno una ciocca.
Tiziana avrebbe riconosciuto benissimo da lontano quel profilo e soprattutto quei capelli ricci costretti ad essere rinchiusi in uno chignon che non rendeva loro giustizia.
La cameriera in questione, ignara della presenza dell’altra, continuò a preparare il suo piatto con solerzia; per questo, quando Tiziana le afferrò i fianchi e la attirò a sé, emise un gridolino di sorpresa.
In un primo momento Dalila non riconobbe le mani che l’avevano stretta così bruscamente, ma quando capì a chi appartenevano voltò leggermente il capo e fece un gran sorriso.
            -Ciao- disse, senza smettere di sorridere.
Tiziana sorrise di riflesso, anche se non con la stessa spontaneità dell’altra. Ebbe l’impressione che le stessero luccicando gli occhi, per l’espressione adorante con cui la guardava.
Dalila si scordò del piatto che doveva preparare e si voltò completamente nella direzione dell’altra ragazza.
            -Pensavo che stasera non lavorassi- mormorò, evidentemente incredula nel vedersela comparire davanti.
            -Sorpresa-
Tiziana piantò le mani ai lati della ragazza per intrappolarla e la guardò dritta negli occhi, conscia di provocarle in questo modo una miriade di sensazioni inebrianti.
Prevedibilmente le guance di Dalila, solitamente pallide e screziate da qualche lentiggine, si colorarono di rosso.
            -Dovrei preparare la cena...sai, la festa inizierà tra poco- pronunciò con difficoltà cercando di evitare d’incrociare direttamente lo sguardo magnetico dell’altra.
            -Ma manca ancora mezz’ora...- protestò Tiziana, componendo un’espressione accattivante – e poi qui siete già a buon punto, no?-
            -Ehm...-
Dalila diede un’occhiata nervosa agli altri camerieri che le gironzolavano intorno: non era un problema stare assieme a Tiziana, gli altri sapevano della loro relazione e si erano impegnati a mantenere il segreto fra loro, curandosi che non giungesse alle orecchie dei superiori; del resto, facevano lo stesso con un altro ragazzo che spesso e volentieri si presentava al lavoro un po’ brillo. Se il maitre avesse scoperto le riserve di alcool che questo riusciva a nascondere nella cucina, o si fosse disgraziatamente accorto dell’odore che emanava, sarebbe stato cacciato via senza ripensamenti.
Tutti quanti avevano qualcosa da nascondere, in fondo: chi un ritardo, chi dei buchi di un’ora o due nell’orario lavorativo, così si coprivano a vicenda, consapevoli di quanto fosse privilegiato quel posto di lavoro.
Tiziana sapeva benissimo come costringere Dalila a fare ciò che voleva lei e sapeva farlo in modo che la ragazza fosse consenziente. Notando che titubava ancora ed era preoccupata che la sua assenza avrebbe potuto creare problemi, si giocò la sua carta migliore.
            -Oh insomma- le prese in mano il mento in modo da costringerla a fissarla – oggi è san Valentino o sbaglio?-
Dalila fece un sospiro, tentando senza successo di mascherare la felicità con la disapprovazione per quanto stavano facendo, e annuì.
Tiziana sorrise trionfante e l’altra poté notare un barlume di soddisfazione comparirle negli occhi scuri.
            -Allora vieni-
Subito le strinse la mano e la tirò via con sé, facendosi strada a ritroso fra gli altri camerieri e tornando ad infilarsi nello stanzino.
Prima che Dalila potesse dire altro, perché sembrava che fosse per qualche motivo delusa, la trascinò oltre il bancone del bar.
            -Era ora!-
Francesco si era già tolto il grembiule ed il gilet, evidentemente impaziente di andarsene. Cercò di lisciare le pieghe della camicia e mentre compiva questa operazione disse:
            -Ricordati che alcuni liquori sono finiti. Ti ho lasciato la lista-
            -Sì, sì, va bene-
La ragazza lo ignorò completamente per portare Dalila oltre la zona bar, verso la reception.
            -Che stai facendo?- provò a richiamarla il ragazzo, ma visto che si era infilata l’uniforme e tecnicamente era scattato il turno di lavoro successivo, si sentì libero di poter andare via, non curandosi di lasciare scoperto il bar.
Dalila notò che Francesco si preparava per andarsene, quindi fermò la compagna a metà dell’atrio.
            -Non dovresti cominciare il turno ora?-
Tiziana non le rispose, troppo occupata a controllare che il bancone della reception fosse libero. La ragazza che presiedeva quella zona si allontanò un momento per rincorrere uno dei capicameriere e comunicargli qualcosa, così la ragazza non perse l’occasione: prelevò la chiave della stanza numero cinque e se la mise in tasca, poi riprendendo per mano la cameriera si avviò verso l’ascensore.
            -Prima o poi ci beccano, me lo sento- mormorò Dalila.
Tiziana le rispose con un sorriso furbo.
            -Non accadrà-
 
Era vero, non se ne accorgeva mai nessuno. Tiziana aveva preso l’abitudine, quando le andava di stare un po’ sola con Dalila, di trafugare quella chiave ed usufruire della stanza numero cinque. Aveva tuttavia calcolato che le probabilità di essere scoperte erano davvero poche e per vari motivi.
In cucina c’erano sempre un paio di camerieri in eccedenza, per cui l’eventuale sparizione di una di questi non avrebbe causato molti disagi; Tiziana sceglieva sempre orari che non la esponessero a rischi eccessivi, che le permettessero di allontanarsi in tranquillità dal bar: per esempio, non si sarebbe mai sognata di prendersi una pausa subito dopo l’ora di pranzo, oppure durante il turno mattutino.
            -Non ci scoprirà proprio nessuno, tra poco comincia la festa, chi vuoi che abbia voglia di un aperitivo?- spiegò all’altra ragazza, che ancora non era convinta.
Dalila non appariva mai molto convinta di quello che stava facendo, anzi Tiziana aveva l’impressione che, senza la sua guida, sarebbe stata perduta.
Una volta all’interno dell’ascensore, non si fece troppi problemi a pressarla contro il muro e baciarla, cercando contemporaneamente di infilarle le mani sotto i vestiti.
Una vera lagna, ecco qual era stata la prima cosa che aveva pensato Tiziana nel vederla. Una ragazza troppo timida, troppo remissiva, troppo semplice, troppo innocente, senza il minimo briciolo di malizia, senza la minima apparenza di cattiveria, senza il minimo istinto di ribellione.
Forse per questo le era piaciuta fin da subito, perché era così diversa da lei.
Sì, era molto diversa da lei, perché se Dalila avesse avuto quel minimo di malizia o vanesia che caratterizzava tanto l’altra, avrebbe certamente saputo fare un uso vantaggioso del bel corpo che si ritrovava.
Tiziana invidiava segretamente il fisico slanciato e aggraziato dell’altra, i lineamenti dolci e la pelle chiara, i ricci che non divenivano mai crespi ma si arrotolavano spontaneamente, senza che dovesse far uso di lozioni o spuma, in tanti boccoli.
Prima che potesse avere il tempo, fra un ansito e l’altro, di slacciarle i bottoni del gilet e della camicia, l’ascensore giunse al primo piano.
Sempre tenendola per mano, Tiziana rise e spiccò una corsa fino ad arrivare alla fine del corridoio, davanti alla stanza numero cinque.
Cercando di sbrigarsi il più possibile ad aprire la serratura, cercando di non lasciarsi coinvolgere troppo dai baci che l’altra ragazza le lasciava sul collo, infilò la chiave dentro e girò verso sinistra un paio di volte.
La porta si aprì con uno scatto e Dalila, impaziente quanto, se non più, dell’altra, la spinse all’interno alla cieca, sperando di trovare una base su cui appoggiarsi.
Per fortuna prima di farsi prendere dal momento Tiziana ricordò di chiudere la porta, altrimenti avrebbero potuto essere spiacevolmente interrotte. Così mentre si assicurava che l’accesso dall’esterno fosse precluso, Dalila si sfilava rapidamente il gilet, la cintura e si apriva i bottoni della camicia. Poi questa si sdraiò sul letto, in attesa dell’altra.
            -Vieni qui- la chiamò, quasi con tono supplichevole.
Tiziana non dovette farsi pregare troppo per raggiungerla.
Era assolutamente sicura che non le avrebbe scoperte nessuno; non era certo stupida, aveva fatto i suoi calcoli e valutato la situazione senza lasciare nulla al caso.
Prima di ogni cosa, le stanze dell’albergo non erano mai tutte occupate, di rado si arrivava a coprire i due terzi dello spazio, in quanto la prenotazione era abbastanza costosa. Poi Tiziana aveva notato che alla reception preferivano assegnare sempre le stanze del piano centrale o quelle dell’ultimo: le prime perché erano le più confortevoli ed erano munite di letto matrimoniale, le seconde perché oltre a questo permettevano di godere, dal balcone, di una vista fantastica.
Le stanze del primo piano erano considerate una riserva nel caso ci fosse bisogno di altri posti, ma in particolare la stanza numero cinque non veniva utilizzata mai perché si trovava proprio in corrispondenza della cucina: aprendo la finestra inevitabilmente si veniva inondati dagli odori provenienti da sotto.
Tiziana aveva notato, nei due mesi in cui aveva prestato servizio all’hotel, che la stanza numero cinque non era stata mai assegnata ad alcun cliente.
Questi erano i motivi per cui era certa che nessuno le avrebbe mai scoperte mentre facevano l’amore chiuse in quella camera.
 
Velocemente le tolse la camicia, il reggiseno e le abbassò pantaloni e mutandine oltre le ginocchia, standole sopra a carponi.
Certo vederla nuda era uno spettacolo degno di nota e che la entusiasmava sempre, ma se c’era una cosa che la faceva andare fuori di testa era il pensiero che fosse l’unica a poter vedere la ragazza in quello stato.
Ogni volta le appariva come una bambola delicata, troppo fragile per poter essere maneggiata da altri; a Tiziana piaceva da morire l’idea di essere l’unica a provocare in Dalila quelle sensazioni, a generarle quei sentimenti così poco casti, a farle smettere quell’aria innocente e trasformarla in un’amante meravigliosa.
Decise di cominciare baciandole il collo e poi proseguire a scendere, sentendo il corpo dell’altra ragazza tendersi e fremere. Nuove e più potenti scariche di adrenalina la invasero quando sentì Dalila cominciare ad ansimare ad intervalli sempre più brevi.
Ad un certo punto la ragazza afferrò Tiziana per i capelli e la portò all’altezza del suo viso, per baciarla e stringersi contro il suo corpo, compiaciuta della frizione del suo ginocchio con la propria intimità.
Era così facile sedurla e assoggettarla, pensò Tiziana mentre ricambiava il bacio, avrebbe potuto domandarle qualsiasi cosa, chiederle di assecondare qualsiasi sua perversione, ed era certa che Dalila l’avrebbe esaudita. A volte pensava, malignamente ed egoisticamente, che Dalila fosse una specie di dono inviatole da qualcuno, una creatura fatta apposta per soddisfare i suoi desideri, il suo bisogno di controllo ed alimentare continuamente il suo ego.
Non mentiva, le piaceva davvero stare assieme a lei. Non si sarebbe mai sognata di tradirla, non ne era innamorata sopra ogni cosa, però aveva ammesso a se stessa che effettivamente Dalila era ciò che di meglio poteva ottenere da un’altra persona, la soddisfaceva completamente, sotto ogni punto di vista.
Tiziana sapeva che chiunque altro prima o poi l’avrebbe respinta, avrebbe protestato in risposta al suo desiderio di controllo assoluto, di libertà incondizionata. Dalila invece era un essere che per sopravvivere aveva necessariamente bisogno di appoggiarsi a qualcun altro, era ben disposta a farsi sottomettere e Tiziana sapeva che sotto questo desiderio di protezione si nascondeva un sentimento sincero nei suoi confronti.
Del resto anche lei l’amava, in un certo senso, ma privilegiava sopra ogni altra cosa quel desiderio di dominio assoluto.
Quando introdusse per la prima volta un dito dentro di lei, Dalila soffocò un gemito più forte degli altri mordendole la pelle del collo e graffiandole la schiena, accompagnando poi il movimento della sua mano con il resto del corpo.
Tiziana sentì la sua pelle diventare calda e notò un rossore più intenso diffondersi sulle sue guance, quindi si fermò.
Con la mano lasciata libera andò ad afferrarle un polso e in risposta al suo sguardo interrogativo le portò la mano all’altezza dei suoi pantaloni, in un chiaro invito a ricambiarle le attenzioni che le stava dedicando.
Allora senza fare una piega Dalila la infilò con poca grazia tra i pantaloni e la sua pancia, muovendola finché anche Tiziana non gemette e si sdraiò accanto a lei, su un fianco.
Stese in quella posizione, riuscirono ben presto a raggiungere entrambe l’orgasmo.
 
Dalila restò piacevolmente intorpidita per qualche minuto, mentre Tiziana si alzò subito per andare a sciacquarsi le mani. Lei non se la prese più di tanto, sapeva che trovava molto fastidioso avere quegli umori sulle dita e perciò lavarle era quasi un bisogno fisico.
Quando Tiziana uscì dal bagno strofinandosi ancora le mani con l’asciugamano, la trovò nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata prima, stesa sul letto.
Dalila le sorrise priva di qualsiasi malizia e le fece cenno di raggiungerla. Trascorsero ancora qualche minuto scambiandosi baci e carezze, almeno finché Tiziana non controllò l’orologio ed impallidì.
            -Accidenti, forse dovresti tornare in cucina- disse, rivolgendo alla compagna uno sguardo preoccupato.
            -Figurati- lei agitò una mano come per liquidare la faccenda, poi si mise seduta e le diede un bacio.
            -Ho una cosa per te- sorrise, scendendo dal letto e rifacendosi la coda.
            -Per me?-
Tiziana la guardò oltremodo stupita e anche divertita da quel modo di fare improvvisamente sicuro di sé. Dalila, compiaciuta dal fatto di averla colta di sorpresa, andò verso l’armadio della camera e aprì una delle ante, rovistando al suo interno.
            -Che stai facendo?- domandò Tiziana, sempre più stupita.
            -Un attimo! Dovrebbe essere qui...-
Finalmente Dalila trovò quel che stava cercando e richiuse l’armadio, voltandosi in direzione della compagna.
            -Allora, cosa c’è?-
Dalila risalì sul letto e si accomodò sul grembo di Tiziana, porgendole una semplice scatola di cioccolatini.
            -Buon san Valentino- le augurò, baciandola.
L’altra sciolse presto il contatto fra le loro bocche per osservare stranita quella scatola rettangolare recante il logo di una nota industria dolciaria. Se la rigirò fra le mani con aria critica, non riuscendo a trattenere un sorrisetto irrisorio.
            -Allora?- domandò Dalila, sperando in una reazione migliore.
            -Hai preso la chiave, sei venuta qui senza dirmi niente e hai nascosto la scatola nell’armadio, sapendo che prima o poi ci saremmo tornate?-
            -Sì-
            -Come mai tutto questo spirito d’iniziativa?-
Dalila notò che più che compiaciuta l’espressione di Tiziana sembrava strafottente; allora si preoccupò di aver fatto qualcosa di male e non fu più così sicura.
            -Volevo... era solo un regalo, per san Valentino- spiegò, abbassando gli occhi e percependo il suo entusiasmo diminuire drasticamente. Si scostò leggermente per scendere dalle sue gambe e poggiarsi sul materasso.
Fece un sospiro e, pur conscia di star andando incontro ad una grossa delusione, domandò:
            -Ti piacciono?-
Tiziana la guardò negli occhi prima di risponderle e notò chiaramente l’espressione carica di aspettative ma al contempo già pronta ad incassare una delusione; il pensare che Dalila avesse compiuto quel gesto così avventato per lei, sempre passiva e in attesa che fosse Tiziana ad animarle la giornata, la faceva ridere.
Sì, la trovava davvero una cosa ridicola.
            -In realtà, ehm- non si preoccupò molto di nascondere il suo divertimento – preferisco la liquirizia-
Dalila lo sapeva, se lo aspettava, eppure non poté evitare di rimanere delusa. Si era premurata di farle avere un regalo nel giorno in cui si doveva celebrare il trionfo dell’amore, delle coppie felici. Vedere sminuiti in quel modo i suoi sforzi di dimostrarle simbolicamente quel che provava per lei, essere quasi presa in giro per il tentativo di regalarle qualcosa di carino, la fecero andare fuori di testa.
            -Ecco, lo sapevo- si alzò in piedi e cercò frettolosamente il gilet caduto a terra.
            -Ti ho comprato dei cioccolatini! Non un cuscino, non un portachiavi, niente di tutte quelle cose che si regalano di solito... dei cioccolatini! Roba utile, per riempirsi la pancia!- sbottò.
Tiziana la osservava sempre più incredula, ma non sembrava preoccupata per la sua reazione; anzi, pareva divertirsi maggiormente ogni secondo che passava.
            -Nemmeno questi ti vanno bene! E che cazzo!-
Dalila si aspettava che l’altra si scusasse, che capisse di aver passato il limite, che l’abbracciasse e ammettesse che in fondo non avrebbe desiderato niente di meglio che quel regalo. Invece Tiziana, osservandola con gli occhi sgranati e le labbra schiuse, scoppiò a ridere.
Non l’aveva mai vista reagire a quel modo ed era quel comportamento così inusuale a farla ridere di gusto.
            -Ma che dici?- chiese, mettendosi una mano davanti alla bocca per non parere troppo sfacciata.
Dalila la guardò con tristezza e delusione, poi incapace di sentire ancora una volta quella risata rimbombarle nella testa le voltò le spalle e aprì la porta della stanza.
            -Aspetta, dove vai?- Tiziana allungò un braccio nel vano tentativo di afferrarla, ma non si scomodò a scendere dal letto per rincorrerla.
            -Vaffanculo- mormorò l’altra fra sé mentre percorreva il corridoio a testa bassa e con i pugni serrati.
 
Premette con decisione il pulsante per chiamare l’ascensore e mentre attendeva che questo raggiungesse il primo piano sentì il suo respiro, prima corto a causa dello scatto di rabbia provato, placarsi gradualmente.
Sentì i polmoni restringersi e le guance tornare del consueto pallore, le unghie smettere di graffiare i suoi palmi e la testa di vorticarle.
Quando fu del tutto calma, sospirò e immediatamente si pentì di aver lasciato l’amante da sola sul letto, ed essersene andata a quel modo. Se ripensava al modo in cui Tiziana aveva riso di lei, provava non più rabbia, ma vergogna.
L’ascensore giunse al suo livello e Dalila entrò, pigiando il tasto che l’avrebbe portata al pianterreno.
Diede un’occhiata all’orologio: erano nientemeno che le otto e venticinque! Il capocameriere le avrebbe dato una bella lavata di capo, come minimo.
Si osservò nello specchio che era posto di fronte alle portiere dell’ascensore, ma dopo qualche secondo cambiò idea e abbassò lo sguardo.
Patetica, si sentiva davvero patetica.
Con quel colorito smorto, quelle lentiggini e quella faccia appesa chi mai avrebbe potuto trovarla bella, chi mai si sarebbe interessato a lei?
Sentiva il bisogno di ringraziare costantemente Tiziana per esserle vicino, per volerle bene, per averla accettata così, senza pretendere altro.
Doveva ammettere che a volte le capitava di invidiare la sua compagna, per essere così attraente, per saper fare tutte quelle moine, per saper essere così accattivante. Tiziana riusciva sempre a farsi voler bene, ad ottenere quello che voleva, mentre lei restava sempre a bocca asciutta, finiva sempre all’ultimo posto.
Era un essere inutile, insensato, che non aveva motivo d’esistere. Dalila provava ad essere come lei, a porgersi nei confronti degli altri con aria sicura di sé, ad abbassare improvvisamente il tono di voce quando voleva ammaliare qualcuno, ma i suoi erano stati solo dei maldestri tentativi, delle brutte copie di un originale che non avrebbe mai eguagliato.
Non era capace di fare un bel niente, di questo si era convinta. Aveva anche solo provato a prendere l’iniziativa, comprandole quei cioccolatini, e non era riuscita a renderla felice.
Ridicola, Tiziana l’aveva trovata ridicola, patetica.
Certo le sue intenzioni erano state buone e per un momento considerò l’ipotesi che la compagna fosse stata alquanto crudele nei suoi confronti, che l’avesse trattata malissimo, ma immediatamente subentrò la convinzione che a non andare bene fosse lei. Immaginò quanto dovesse essere sembrata sciocca e solo al ricordo dell’espressione che aveva messo su Tiziana le si inumidirono gli occhi.
Quando l’ascensore giunse al livello dell’atrio e aprì le sue ante, Dalila schizzò via verso l’entrata della cucina, notando che il salone ristorante era già stato aperto e che gli invitati avevano cominciato a prendere posto. Facendosi piccola piccola strisciò lateralmente fino ad arrivare alla porta nera conducente in cucina.
Spinse l’anta e si intrufolò dentro, evitando per un pelo un cameriere che reggeva tre piatti di antipasti.
Quando si mise da parte per permettere il passaggio degli altri, solo allora si accorse che le tremavano le gambe e che gli occhi non riuscivano più a contenere le lacrime.
Così si trovò un angolino fra il frigorifero ed il lavabo, si sedette su un secchio rovesciato e si premette le mani sul volto.
Ripensò a pochi minuti prima, al piacere provato nel sentire le mani di Tiziana scorrere su tutto il suo corpo; le piaceva tantissimo fare l’amore con lei, riusciva a sentirsi davvero speciale in quei momenti e si dimenticava di tutti i suoi complessi, tutte le sue insicurezze svanivano per lasciare il posto all’impulsività.
Se in condizioni normali si reputava una nullità, quando faceva l’amore con Tiziana credeva di assumere per lei una certa importanza, riusciva a sentirsi bella e a stare bene, stretta fra le braccia della compagna, intrappolata dal suo corpo e schiacciata dal suo peso.
Durava sempre troppo poco, una volta svanita l’atmosfera eccitante ed intima che veniva  a crearsi Tiziana tornava ad essere la padrona della situazione, mentre lei si trasformava nuovamente nell’anonima cameriera.
Quando smettevano di dimenarsi e il calore lasciato dall’altra si disperdeva, Dalila non osava più avanzare alcuna pretesa; in certi casi restava semplicemente zitta in attesa che Tiziana decidesse il momento giusto per tornare a lavorare, temendo di incorrere in un suo giudizio negativo.
E ciò che era accaduto prima era la prova di come fosse giusto questo ragionamento: non le era permessa alcuna iniziativa, spettava soltanto a Tiziana decidere cosa avrebbero dovuto fare. Aveva provato a ribaltare i ruoli e ne era uscita umiliata e delusa.
Cominciò a piangere, singhiozzando e tremando ogniqualvolta ripensava al modo in cui l’altra l’aveva guardata.
Si compativa, era una creatura inutile e patetica, priva di qualsiasi forza di volontà.
Dalila non era come Tiziana, non era bella, non era attraente, non sapeva far uso della sensualità così tipica delle donne.
Mentre piagnucolava e si sfregava le mani sul volto, pensò che avrebbe tanto voluto, anche solo per un giorno, trovarsi al posto di Tiziana, possedere tutta quella sicurezza che l’avrebbe resa onnipotente.
            -Allora?-
Una voce maschile piuttosto irritata la destò dai suoi pensieri, assieme ad uno strattone che la riportò in piedi.
            -Insomma, ci sono gli antipasti da servire e tu stai qui a frignare? Datti una mossa!- sbottò Maurizio, il capocameriere, spingendola verso la tavolata e invitandola a prendere in mano un piatto.
Ancora scossa per il pianto ma soprattutto per essere stata rimproverata così bruscamente, Dalila afferrò con le mani che ancora le tremavano un paio di piatti, non del tutto certa di essere in grado di reggerli.
Perfino dal capocameriere si era fatta rimproverare! Immaginò l’espressione disgustata di lui nel vederla seduta lì a piangere, immaginò come l’avesse trovata assolutamente patetica.
Prima di inserirsi nella fila di camerieri che provvedevano a distribuire gli antipasti nell’ampio salone, si asciugò gli occhi con la manica della camicia; non si ricordò però di aver messo un filo di matita sugli occhi e perciò quando la ritrasse la trovò macchiata da un alone scuro.
Ogni cosa sembrava ricordarle quanto fosse insignificante e stupida.
   
 
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