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Autore: GuillotineVanja    11/03/2011    2 recensioni
Non è nulla di che.
Una piccola...uhm... narrazzione della solitudine di Ivan dopo la caduta dell' URSS e dopo il ritorno di Gilbert ( Citato come 'Lui' ) in Germania.
Buona lettura.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nevica.
Nevica ancora in quel giorno vuoto come altri, silente e freddo. Chi ha il coraggio di uscire con questo freddo? Tutti ormai se al caldo in grandi cappotti pieni di piume, se nascosti fino al midollo da pesanti cappotti in lana capaci di irritare persino la pelle più dura e tesa.
Però la strada è vuota.
Ghiaccio sul marciapiede, sale sull'asfalto e...silenzio.
Qualche traccia di neve ancora lasciata negli angoli delle strade, nel buio dei vicoli e basta. I parchi sono innevati, le statue stesse sono vestite di chiazze pallide e gli alberi quasi immobili nel tempo e nei secondi che non scorrono per un vecchio orologio perso sotto un semaforo, pestato e distrutto dei suoi ingranaggi dalla distrazione altrui.
E piano, una vecchia Lada come altre, passa su quella strada, crea un rumore quasi goffo e tanto ovattato e se ne va, senza disturbare vecchi spettri che sospirano tra le mura di case tenute su da cemento e vecchie tradizioni di un Regime ormai morto.
Un cappotto scuro, dal marrone al nero, sbiadito sul colletto e chiuso grazie a bottoni opachi, in ottone; Una sciarpa beige, lunga e alta fin sotto al naso quasi monumentale che butta fuori grandi nuvole di vapore.
Tanti veloci sospiri i suoi, mascherati come una respirazione agitata e... niente.
Gli occhi son bassi, la gola manda giù la saliva e le labbra, ormai, si dilaniano tra di loro.
Le mani in tasca, chiuse in stretti pugni.
Non sapeva nemmeno lui il perché era uscito.
Non c'era niente da fare a casa, da Med o da Putin.
Tutto era... quasi in letargo.
L'unica cosa, forse, erano i disastri naturali.
Ormai stavano per arrivare da lui e, se con gli incendi estivi se l'era cavata egregiamente per la ripresa economica, un inondazione o un terremoto non sarebbe stato un grosso problema, forse.
C'è vento, sì, anche la sua lunga sciarpa sventola come una coda equina all'avvicinamento di mosche ad ogni minima folata di vento.
E bastano i fiocchi di neve a danzare davanti ai suoi occhi arrossati, intristiti.
Varie volte si era fermato a raccoglierlo e sempre, quel cuore freddo, cadeva senza avvertire, affondava nella neve restando lì, immobile finché non sussultava per ogni reazione cardiaca.

Lo aveva raccolto, rimesso al suo posto ma... niente svaniva.
Dalle otto del mattino camminava, si fermava, ammirava quella che era Mosca, spenta.
Un sospiro e... sì, meglio tornare a casa, tanto è vicina dopo una giornata passata a camminare in tondo.
 

E quella casa fin troppo grande per lui, ulula ad ogni venuta di vento, sbuffa i suoi sospiri contro i vetri vecchi come le pareti che ormai scricchiolano al solo posarvisi di un palmo nudo.
La fronte si appoggia sul gelido vetro, le dita arrancando sulla superficie che congela ogni cellula delle falangi e piano, il respiro aderisce alla finestra creando un alone di forma ovale, bianco fino allo svanire nel nulla, come un fantasma che va e viene.
Tutto ormai, in quella casa, è abitato da tanti fantasmi che portano il nome di ricordi.
Qualche parola viene sussurrata al vetro che trema sotto il peso della mano che batte, arrendevole al freddo, al ricordo.
C'erano altri ad abitare quella casa tanto vecchia e saggia, tanta vita era presente e...si sentiva.
L'odore provenire dalle cucine la mattina...
I passi che rimbombavano di stanza in stanza e...le voci.
Voci tremanti che diventavano sussurri, urli di spavento, di rabbia...
Ed con un muro era sparito tutto.

I suoni, la famiglia
Lui.
Lui che era scappato con una corsa, entusiasta e con... un sorriso sulla labbra che questo stesso russo non aveva mai visto.
Crollato.
Crollato tutto quanto.
Il muro, la sua famiglia, il suo cuore.

 

Lo sguardo si perde nella danza della neve.
Il corpo si ghiaccia immerso in spire velenose e piano, una lacrima sgorga timida dall'occhio semi-aperto, catturato dal vuoto.
Non c'è più nulla per lui, il suo tempo l'ha vissuto e l'ha perso.
Ha perso tutto quanto.

 

Le lacrime sono sottili, invisibili e le labbra si piegano verso l'alto, ricurve.
E' l'inverno quello che batte contro la finestra, colui che gli viene incontro.
I polpastrelli premono, s'arrossano e il vetro s'incrina, si spezza come la pelle graffiata e sanguinante.

Era lì? Almeno quel Generale tanto crudele da richiamarlo alla guerra ogni volta?
Era presente?

 

E rompendo il vetro, il vento entra spavaldo in quella casa tanto anziana avvolgendola nel gelo.
Lui, Ivan, frustato in viso da scaglie di ghiaccio e neve, spinto a indietreggiare davanti a quella folata tanto cattiva.
Un brivido arpiona la sua spina dorsale ghiacciando il midollo e piano, si lascia cadere sulle ginocchia.
Un tonfo, quello che si sente.
Il viso, quello che guarda il cielo al di fuori.
La neve entra senza scrupoli, le mani restano morte lungo i fianchi e di nuovo, nel silenzio, tutto scompare.
 

Come poter vivere quando, tutto è vissuto ed è perso?
I giocattoli si perdono, le persone si perdono.
Lui stesso ha perso.
Ha perso colui che è tornato a casa, al sicuro dalle sue carezze, salvo tra le mani della, forse, migliore scelta.

 

Solo.

 


 

  
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