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Autore: Marguerite Tyreen    12/03/2011    1 recensioni
Dublino, 1919.
Prima di fuggire da se stesso e dalla colpa che gli ha sconvolto l’esistenza, Liam aveva un ideale: l’indipendenza della sua Irlanda.
Aveva un amico fraterno, Shannon, da quando erano bambini.
E aveva Aisling, bella, volubile e orgogliosa. Aisling che li amava entrambi.
Aisling, talmente lontana, ora, da sembrare un sogno.
Adesso del suo passato non gli resta più nulla, se non il ricordo.
Qualche antico ricordo irlandese…
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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Penultimo Capitolo

Capitolo XIII: The Last Truth
 
 
La porta si aprì e la casa fu avvolta da un paio di fresche risate infantili.
- Mamma! Mammina, siamo tornati!- gettata la cartella a terra, il piccolo Tòmas le era corso incontro per abbracciarla.
Aveva nascosto appena in tempo le lettere dentro il libro, anche se nessuno vi avrebbe fatto caso.
Sperò che gli occhi rossi non si notassero troppo, altrimenti avrebbe anche dovuto fingere un principio di un immaginario raffreddore.
- E allora, com’è andata la giornata del mio principino? – gli chiese, sentendosi tornare appena il sorriso, guardandolo.
Sei anni appena compiuti. Il ritratto in sedicesimo di suo marito.
- La maestra mi ha detto che sono il più bravo della classe in matematica.
- Non avevo alcun dubbio – rispose Aisling, strofinando il naso contro quello del suo “principino”.
Chissà da chi l’aveva ereditata la passione per la matematica, in quella famiglia di filosofi.
- Tommy! – una voce di bambina lo richiamò dall’ingresso – Quante volte ti ho detto di non lasciare i libri a terra!
Sulla soglia del soggiorno comparve una ragazzina di una decina d’anni, con le trecce bionde che le cadevano morbide sulle spalle, ancora avvolta in un cappottino rosso.
Sua figlia Saòirse sventolava con aria severa la cartella davanti agli occhi del fratellino.
- Uffa, sono solo libri.
- Non sono solo libri. Sono libri, dovresti esserci affezionato. Ci sono dentro tante storie interessanti.
- Ma a me piace la matematica.
Lei gli rispose con un’eloquente smorfia di disgusto.
- Ciao, mamma. Sai, la maestra mi ha messo dieci nella composizione.
Aisling sorrise di soddisfazione, mentre un brivido l’attraversò incontrando gli occhi azzurri di sua figlia. Quell’azzurro torbido che non avrebbe mai dimenticato.
E una passione ed un talento innato per la scrittura.
- Mamma, perché non dici niente? Non sei contenta?
- Oh, sì: scusami, stavo pensando. Sono davvero orgogliosa di te.  – la baciò su entrambe le guance.
Li abbracciò entrambi, forte, contro il seno e le parve di tornare a vivere. Erano loro la sua ragione per andare avanti. Solo loro e sarebbe stato sufficiente.
Ma adesso, aveva qualcosa da portare a termine, prima. Quella lettera, quella di Pedro Gonzales, che non era riuscita a terminare di leggere, perdendosi nei ricordi, le bruciava ancora tra le mani.
- Gretta! – chiamò la bambinaia che si occupava dei suoi figli, e che era rimasta nell’atrio a togliersi il cappotto – Pensi lei ai bambini. Tra due ore arrivano gli ospiti e loro devono avere già cenato.
- Venite, bambini – li aveva presi per mano – Salutate la mamma, adesso è ora del bagno.
Li guardò salire al piano di sopra, salutando con la mano il piccolo Tòmas che faceva altrettanto.
Tornò al tavolo, spiegando nuovamente quel foglio sgualcito dal viaggio che aveva dovuto affrontare.
 
 
- Pedro… Per me è finita, Pedro. Mantieni fede alla promessa di scriverle, se puoi. Sai, era bella, lei. Più bella di qualunque altra donna abbia mai incontrato. L’ho amata tanto. Ho amato lei sola.
Tutto il resto non ha avuto alcun senso.
- Le scriverò, non preoccuparti. Ma tu resisti. Amico mio, non puoi mollare adesso, adesso che ce l’abbiamo quasi fatta.
- La vittoria del Messico la vedrai solo tu. Sappi che sei stato un caro amico, Pedro.
- Anche tu, Liam. Il migliore che abbia mai avuto.
Liam si morse il labbro inferiore, raccogliendo le forze: - Dille… Dille di Morales. Deve sapere che ho imparato dai miei errori, che all’ultimo ho saputo riscattarmi. Dille che mi perdoni.
- Ma tu non hai nulla da farti perdonare, sei un eroe della rivoluzione.
Scosse la testa: - No, ci sono tante cose che dovrei dirti, ma…
- Non affaticarti. Pensa solo a resistere, ce ne andiamo da qui.
Liam si sfilò l’anello, lo portò alle labbra per baciarlo e lo porse a Pedro: - Fa’in modo che lo abbia lei, di nuovo. Grazie, Pedro.
Gli strinse la mano, in un ultimo contatto umano prima del nulla eterno.
- Grazie a te, Liam.
La presa lentamente si allentò, fino a che la mano di Liam non ricadde, inerte.
Pedro si segnò, scacciando le lacrime e rimase ad ascoltare per un istante il vuoto che gli si agitava dentro.
Non è dato sapere altro sulla fine di Liam Murray.
 
 
“ Senora O’Connor,
le scrivo per conto di una persona che dice di averla conosciuta bene, molti anni fa.
Il mio nome non le dirà nulla. Pur essendo un generale della rivoluzione messicana, Pedro Gonzales non è riuscito a far giungere notizie di sé fino all’Irlanda. Ma di certo ricorderà Liam Murray.
Credo che dobbiate esservi amati molto, per essere stata lei il suo ultimo pensiero, pertanto mi addolora doverle dare notizia della sua morte.
Egli è caduto da grande eroe della rivoluzione, combattendo con coraggio e con spirito di sacrificio per la libertà del popolo messicano.
Solo Dio sa con quale sofferenza ho vissuto questa perdita: Liam è stato uno dei migliori amici che abbia mai avuto.
Prima di lasciare questo mondo è stato lui a chiedermi di inviarle questa lettera per avvertirla della sua scomparsa, pregandola di perdonarlo per questioni che di certo lei saprà e di cui io sono all’oscuro.
Mi ha espressamente chiesto di raccontarle la storia del dottor Morales. Egli era uno dei nostri migliori compagni, che, tuttavia, catturato dai regulares, si è trovato costretto a rivelare i nostri nomi e i nostri piani. Liam avrebbe avuto la possibilità di vendicare il tradimento, ma ha preferito perdonare e lasciarlo in vita. Non so perché tenesse così tanto al fatto che lei venisse a conoscenza di questa vicenda, ad ogni modo mi è sembrato giusto adempiere alle sue volontà.
Credo che volesse permetterle di conservare di lui il ricordo di un uomo capace di riscattare il proprio passato. Era chiaro che portava con sé un peso sulla coscienza, ma non ho mai osato domandargliene spiegazioni né lui ha mai cercato di farlo.
Ci teneva a dirle che era cambiato, che non era l’uomo che aveva conosciuto negli ultimi mesi prima della partenza, che aveva combattuto per questo paese con lo stesso amore con cui aveva combattuto per il proprio. E che, stando così le cose, probabilmente, era la dimostrazione che poteva ancora credere in qualche altro ideale che non fossero la violenza e gli esplosivi.
Diceva sempre: «Quando ho cominciato a usare la dinamite credevo in molte cose, in tutte. Poi ho finito per credere solo nella dinamite». Ma non penso fosse ancora così. Io ritengo fermamente che in lui ci fosse molto di più, un mondo molto più profondo, una fiamma di calore umano che non si era del tutto sopita. Tanto è vero che lei è stata il suo ultimo pensiero, l’unica persona che avrebbe voluto accanto. L’unica che abbia mai amato.
E, con tutto che non so niente di lei, ho conosciuto abbastanza Liam Murray da sapere che era sincero. È morto col suo nome sulle labbra, Aisling, se mi permette di chiamarla a questo modo.
Si è raccomandato di dirle di recuperare una scatola sotterrata sotto le rose bianche del giardino di casa Murray, di aprirla e conservarne il contenuto, nella speranza che serva a conoscerlo davvero per quello che era la sua parte migliore.
Fino all’ultimo ha pensato a lei e, mi creda, mai nella vita ho visto tanta devozione. Non è da tutti, sa, ed io fossi in lei ne sarei orgoglioso.
Qualunque cosa abbia commesso in patria, quello che ha visto e passato qui in Messico sarebbe stato sufficiente a riscattare anche la peggiore delle colpe. Solo il modo in cui è morto, nel tentativo di salvare noi, i suoi  compagni, sarebbe bastato. E glielo dice un uomo che con la rivoluzione ha perduto tutti i suoi figli.
Non si nega una preghiera a nessuno, nemmeno ai nemici, Senora Aisling.
Ora le sue spoglie riposano in suolo messicano, ricordate da tutti noi come le spoglie di un uomo coraggioso, di un eroe. E da me come un caro e sincero amico. Faccia in modo che anche in patria lo siano, portandone intatto nel cuore il ricordo.
Prima o poi si finisce per perdonare, quando si capisce che l’odio genera solo altro odio.
Non sono le parole di una persona colta, le mie, e me ne dispiaccio. Ma sono le parole di chi ha conosciuto la vita e, nonostante tutto, la ama ancora e parla per esperienza.
La saluto caramente e mi stringo a lei in questo momento di dolore.
Generale Pedro Gonzales”
 
Scorse di nuovo con gli occhi il racconto della storia di Morales, come se volesse convincersene. Aveva perdonato, dunque. Non tutto era perduto. Aveva saputo redimersi prima di andarsene.
Le mani le tremarono e la busta della lettera era scivolata a terra con rumore metallico.
La raccolse per rovesciarne il contenuto sul tavolo.
L’anello di Liam rotolò davanti ai suoi occhi per un breve istante.
Lo portò alle labbra, lo baciò, quasi per poter ristabilire un contatto con lui.
Non te ne sei mai separato, gli disse in silenzio mettendosi il claddagh al dito, mi hai amata, allora Liam. Per tutti questi anni hai continuato ad amarmi, come ho fatto io.
Sapevo, sentivo da qualche parte nel mio cuore, che avevi saputo riscattarti. Avrei dovuto seguirti, quella mattina, non lasciarti andare, Liam.
Sarebbe stato tutto diverso. Non ci saremmo perduti.
Sapere che tu hai continuato ad amarmi per tutti questi anni, a pensare a me, a volere che io fossi il tuo ultimo ricordo, mi riempie adesso di uno struggimento profondo.
Rimpiango solo di non averti potuto dire per l’ultima volta che ricambiavo, molto più di quanto tu potessi immaginare. Ma voglio credere che tu lo sapessi, che lo sentissi come lo sentivo io.
Voglio crederlo, altrimenti non avrei pace.
Forse, col tempo, riuscirò a rassegnarmi della tua perdita, forse riuscirò a pensare a te con serena malinconia. Riuscirò a ricordare di te, di me e di Shannon soltanto i ricordi che ci hanno visti felici e cancellare la tragedia che ci ha distrutti.
Voglio immaginarti così, Liam Murray, come l’uomo che ha saputo, dopo la sua discesa agli inferi, ritrovare se stesso. Come l’uomo di cui mi ha parlato Gonzales, che ha trovato in Messico la sua pace e il suo riscatto.
Voglio pensare che non avevi perduto del tutto il significato degli affetti, dell’amicizia e della pietà.
E voglio continuare ad amarti, Liam, finché avrò vita. Nella mia mente e nel mio cuore, in silenzio, in segreto, ma per sempre.
E a pregare Dio che ci conceda un’altra possibilità, di ritrovarci, un giorno, quando dovrà accadere.
Anche se non lo credo, Liam. Dopo questa vita non vi è nulla. E proprio per questo dovrei cominciare ad amarla di nuovo, per noi, per il nostro sentimento. Se me ne vado io, cosa resterà di questo amore, Liam?
E per i miei figli, che meritano di essere felici, che sono l’unica cosa che mi rende felice.
Guardò l’orologio: le sei.
Aveva tempo, forse, di tornare alla casa dei Murray.
Sulla porta si scontrò con suo marito che rientrava in quel momento.
- Kathleen, stai uscendo a quest’ora? – lui aveva posato il cappello e la valigetta, osservandola con aria scettica – Gli ospiti saranno qui alle otto.
- Ho da fare una cosa importante, ma non mi ci vorrà molto. – rispose lei, cercando di non far notare sul suo viso i segni delle ultime lacrime.
- Kathleen? – rimase in attesa di una spiegazione, che non arrivò – Kathleen, cosa è successo? Kathleen, vuoi rispondermi?
- Liam Murray è morto. L’ho saputo oggi per lettera. – comunicò in un soffio.
Lui sapeva tutto, l’aveva sempre saputo. Era stato un matrimonio di convenienza, non c’era stato bisogno di nascondergli che l’amore, lei, l’aveva trovato altrove.
- Mi dispiace. – aggiunse Oscar, senza sapere veramente cosa dire – Mi dispiace, sapevo quanto contasse per te.
- Grazie. – c’era una certa formalità nel suo tono.
Si chiuse la porta alle spalle.
 
Casa Murray era rimasta disabitata da almeno due anni, da quando era morto James.
Fino alla fine aveva atteso il ritorno di suo figlio, rifiutandosi di lasciare Dublino e quella villa che parlava di lui e della amatissima moglie, nonostante il dolore causatogli dalla permanenza in quei luoghi.
Eppoi se n’era andato, consumato dalle troppe sofferenze.
Per quanto abitassero nella stessa città, non l’aveva più rivisto da allora, come se vi fosse stato tra loro un tacito accordo di non rivangare vecchi ricordi. Come non aveva più incontrato i Donovan. Da quanto ne sapeva si erano trasferiti quasi subito dopo la morte di Shannon, per lasciarsi alle spalle la tragedia il prima possibile, anche se non vi sarebbero mai riusciti.
Lei, dal canto suo, non aveva nemmeno più messo piede nella casa di Henrietta Street, da quando si era sposata. In quelle stanze vivevano ancora sospese nell’aria le immagini di quell’ultima notte, troppo difficili d affrontare. Era rimasto solo Patrik, da quando suo padre era in Svizzera. Era stato lui a spedirle quella lettera di Gonzales che era arrivata al vecchio indirizzo, l’unico di cui Liam aveva memoria.
Non era rimasto molto, del loro passato.
Le si strinse il cuore quando vide il giardino, un tempo orgoglio di Gobnait, ridotto ad un cumulo sterile di sterpaglie.
Poi un rumore la fece trasalire, assieme all’andirivieni di alcuni operai che trasferivano dei mobili dentro casa.
Una donna giovane, avrà avuto la sua età, si affacciò sulla porta d’ingresso.
- Buongiorno, è venuta per la casa? Mi spiace, l’abbiamo comprata noi la settimana scorsa, ma abbiamo dimenticato di togliere il cartello.
Uscì per aprirle il cancello e stringerle la mano, con cordialità.
- No, non è per la casa. A dire il vero non sapevo nemmeno fosse in vendita. Mi chiamo Kathleen O’Connor e sono… ero un’amica della famiglia Murray che abitava qui, anni fa.
- Mi rincresce, se li cerca non so come aiutarla. Ci siamo appena trasferiti da Galway e, purtroppo, in città non conosciamo nessuno.
- Non è rimasto più nessuno. – disse in un soffio – Ma mi è stato chiesto di recuperare una cosa che è rimasta qui. – indicò il punto in cui, prima, cresceva rigoglioso il rosaio bianco.
- Qui? – la donna sembrava non capire – Intende, sottoterra?
Aisling annuì: - Posso? È molto importante per me.
- Prego. – chiamò a gran voce il marito ed il figlio: - Qualcuno può portare una pala ed aiutare questa signora?
Approfittò del tempo che precedette il loro arrivo per presentarsi. Aveva un volto solare e modi gentili, un bel bambino pressoché coetaneo di Saòirse e un marito cortese. Niente di troppo diverso da lei.
Attese che dalla terra emerse la scatola di latta, arrugginita e sporca di terra, ma ancora ben conservata.
Maureen, la padrona di casa, rimase a guardarla sorpresa. Tutto quel disturbo per una scatola di latta. Poi lesse negli occhi di lei una pena antica e profonda, che la fece pentire della propria frivola curiosità.
- Mi posso permettere, Kathleen? Qualcosa non va? – le chiese, appoggiandole una mano sulla spalla.
- Le persone a cui è appartenuta non ci sono più. E sono state, per me, tra le più importanti che abbia mai incontrato. – le rispose, con quella confidenza che si può, a volte, accordare solo a un estraneo che si è convinti di non vedere più.
- Siamo stati ragazzi insieme e… - aveva voglia di raccontarsi, di rivelare a qualcuno quella storia da cima a fondo, come non aveva mai fatto, ma non osava.
- Vuole entrare? La casa è in disordine, ma posso offrirle un tè.
- Davvero? Grazie, perché no .
Le aveva detto tutto, non sapeva nemmeno lei per quale motivo, per la confidenza che talvolta nasce tra le persone, senza che si possa rendersene conto.
Tutto, fin dal principio, aiutata dai ricordi che aveva trovato nella scatola.
E, alla fine, si erano commosse entrambe.
- Posso… posso tornare, qualche volta, Maureen?
- Ogni volta che vorrà. – rispose l’altra, stringendole la mano.
- E anche lei verrà a farmi visita, non è vero? Non vorrei essere stata invadente ma era tanto, troppo tempo che mi tenevo tutto dentro. – ammise in un soffio, asciugandosi furtivamente una lacrima.
- Vorrei poter fare qualcosa, Kathleen.
- Ha già fatto molto, molto di più di quanto crede. Grazie.
- Dev’essere stato un amore molto forte, il vostro. Mi creda, lui sapeva. Quando il sentimento è così forte, nemmeno la lontananza può affievolirlo. Ma ora deve tentare di ripartire daccapo. Non sono nessuno, si può dire che non la conosca, forse non ho nemmeno il diritto di darle questo consiglio: viva, Kathleen. Si sforzi di vivere, per se stessa, per lui e per i suoi figli.
Annuì dolorosamente.
Si avviò verso casa, stringendo al petto la vecchia scatola.
Fra i fogli, le fotografie e altri oggetti, uno l’aveva particolarmente turbata. Un appunto ingiallito di Liam, diciannovenne, su un pezzo di carta.
Una frase appena.
“Vorrei poter arrivare alla fine e dire, come Tosca: vissi d’arte e vissi d’amore”.
Non è andata così, Liam. Per qualche oscura ragione non è potuta andare così.
Ma vivrai per sempre, nel ricordo di chi ti ha conosciuto per mezzo della tua arte, e nel mio ricordo per mezzo del nostro amore.
 
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Mie care!!!
Siamo arrivati al penultimo capitolo e comincio a sentire la nostalgia da fine storia.
Vi do appuntamento prestissimo per l’epilogo e per sciogliere l’ultimo, piccolo mistero del racconto, ovvero quella bambina con gli occhi color azzurro torbido.
Anzi, dato che mi toccherà farmi il sabato in casa per questa settimana, mi sa che potrei mettermi a scriverlo già da stasera. Ma voi, mi raccomando, godetevi il weekend e divertitevi ;)
Per il resto, vi ringrazio di cuore come sempre.
Un bacione, vostra
 
Marguerite

   
 
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