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Autore: Emma Jcroft 90    13/03/2011    3 recensioni
[...]“Mi ha dato del codardo” rispose brusco. Remus sospirò. Ora capiva il vero motivo dell’ira di Sirius. Non era tanto il dover rimanere chiuso in quella casa senza poter far nulla, ma quella parole pronunciata da Piton. Codardo. Sirius era sempre stato molto sensibile a quella parola, a quelle semplice sette lettere. E questo Severus lo sapeva bene."[...] Ciao, questa è la mia prima fanfiction, spero vi piaccia. Recensite! Vi auguro una buona lettura.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Sirius si trovava al numero 12 di Grimmaould Place ormai da otto mesi. Quel giorno sedeva in cucina, la testa fra le mani, pensando a James e a Lily, e a Harry. Si sentiva solo, più solo di quand’era ad Azkaban, solo ed inutile. Non poteva fare nulla. Nulla per Harry, costretto a subire le prepotenze della Umbridge e di quell’idiota di Piton. Nulla per Remus, che rischiava la vita tutti i giorni in mezzo agli altri lupi mannari, fingendo di essere qualcosa che non era, ovvero un lupo mannaro inselvatichito, mentre lui era solo un uomo con un ‘piccolo problema peloso’, come lo definiva James. Nulla per l’ordine, perché era sempre chiuso in quella maledettissima casa giorno dopo giorno. Si sentiva prigioniero in casa sua. E Silente continuava a ripetergli di non uscire, di restare lì con le mani in mano, perché non poteva rischiare di essere riconosciuto ed arrestato. Non gli era concesso neanche di farsi una passeggiata sotto forma di cane, perché Voldemort ed i Mangiamorte conoscevano il suo segreto e avrebbero potuto riconoscerlo. Sirius sbuffò. Le sapeva benissimo queste cose! Perché diavolo tutti continuavano a trattarlo come un bambino?? Aveva trentacinque anni, che diamine! E va bene, era un po’ impulsivo… forse un po’ troppo impulsivo, ma non avevano il diritto di trattarlo così. Era ancora immerso in queste riflessioni quando arrivò remus. Sirius non lo sentì entrare in casa, né lo vide indugiare sulla porta della cucina, gli occhi dolci e bruni che brillavano d’affetto, contrastando con la loro vivacità con il volto stanco e segnato. Lupin rimase in silenzio per qualche minuto, poi rendendosi conto che l’amico non si sarebbe accorto di lui se non avesse fatto qualcosa per attirare la sua attenzione, parlò. “E’ così che si trattano gli ospiti, Sirius?” chiese, un’espressione maliziosa dipinta sul volto. Sirius di girò di scatto sentendo quella voce che conosceva così bene, e si precipitò ad abbracciarlo. “Remus!” esclamò con gioia “Quando sei arrivato??” “Qualche minuto fa” rispose Remus. “Ma tu eri troppo assorto per accorgerti di me…” lo prese in giro. Sirius rise, quella sua risata simile ad un latrato. “Sono così felice di rivederti, Lunastorta…” mormorò. “Ed io di rivedere te” Mentre diceva queste parole, Lupin lo squadrò. I suoi occhi acuti notarono la tristezza del suo amico, anche se lui faceva di tutto per nasconderla. Dopotutto erano amici da più di vent’anni. “Sirius, che hai?” chiese all’improvviso. La faccia perplessa di Felpato lo fece sorridere. Era sempre stato convinto di riuscire a fregare tutti con quell’espressione imperturbabile, ma né lui né James c’erano mai cascati. Sirius non ripondeva, e Remus rifece la domanda. Sirius gli voltò le spalle e andò alla finestra. Possibile che Remus si accorgeva sempre di tutto? “Non sto bene” rispose brusco. “Forse un po’ di influen…” “Felpato, mi prendi per scemo?” lo interruppe l’amico. Si stava preoccupando, ma cercò di non darlo a vedere. Di solito Sirius si apriva facilmente con lui, e se ora non voleva farlo, voleva dire che c’era qualcosa sotto. E il suo compito era scoprire di cosa si trattasse. Si avvicinò al tavolo, prese una sedia, la girò, e vi si sedette con i gomiti sullo schienale, le mani intrecciate sotto il mento, come faceva sempre da ragazzo quando c’era qualcosa da discutere o quando si trattava di risolvere un problema. Un’abitudine che non aveva mai perso. “Sirius” chiese con dolcezza “c’è qualcosa che vuoi dirmi?” Black non rispose, non subito almeno. Rimase in silenzio a fissare il cielo scuro. “Lo sai” mormorò, la voce piena di amarezza. “Sempre le solite cose. Mi sento inutile qui, completamente inutile. Rinchiuso tra queste mura senza poter uscire neanche per un attimo, neanche per respirare una boccata d’aria, a chi servo??...” “Sirius,” lo interruppe Remus, ma l’Animagus ormai stava dando fondo a tutto quello che provava da mesi, alla rabbia, al dolore, e senza badargli continuò alzando pian piano la voce: “Chi posso aiutare se resto qui dentro? Che cosa posso fare di utile qui? Niente! Non posso fare niente! Tu non hai idea, Remus, di quanto ciò sia frustrante, di quanto faccia male sentirsi impotenti. Non hai idea di cosa vuol dire non poter aiutare i tuoi amici, non poter far nulla per loro, per voi. Ho già provato queste sensazioni, Remus, le ho già provate…” la voce di Sirius si spezzò “…ad Azkaban.” Quest’ultima parola la pronunciò sottovoce, quasi a se stesso, ma Lupin le udì e si alzò dalla sedia. “Che vuoi dire Sirius?” chiese tesissimo, anche se immaginava già la risposta. E infatti… “E’ così che mi sento in questa casa” rispose mesto “come se fossi di nuovo ad Azkaban”. Remus provò un moto d’affetto infinito per quell’uomo che aveva sacrificato tutta la sua vita per via della sua amicizia con James, per cercare di punire un tradimento orrendo. Un uomo coraggioso, leale, un combattente che non si era mai arreso, neanche nel buio di una misera cella, circondato dai Dissennatori. “Be’” disse, cercando di sdrammatizzare un po’ “almeno qui non ci sono Dissennatori”. Sirius sorrise, un sorriso amaro senza alcuna allegria. “I Dissennatori forse no” replicò “ma c’è il ritratto di mia madre, che è molto peggio e c’è Kreacher…” Si fermò e poi riprese con rabbia: “E poi ci sono i ricordi, quei ricordi della mia infanzia che per anni ho cercato di dimenticare, e che ora riaffiorano senza alcuna pietà.” Remus si avvicinò a Sirius e gli mise una mano sulla spalla. Black lo guardò con gratitudine perché a volte, quando le parole non bastano un gesto semplice ed affettuoso può far molto. “C’è qualcos’altro che vuoi dirmi, Felpato?” chiese Remus. Sirius sorrise. Era proprio questo che gli era mancato durante tutti quegli anni trascorsi ad Azkaban, la grande perspicacia di Lunastorta ed il suo tatto, la sua dolcezza. “Si…” rispose a voce bassa. Ormai era la, tanto valeva essere sincero fino in fondo. “In effetti qualcos’altro c’è. Riguarda Piton.” “Piton?” fece Lupin, alzando il sopracciglio sinistro, come faceva sempre quando era perplesso. “Già” continuò Sirius “riguarda Piton, o meglio si tratta di una cosa che mi ha detto a Natale”. “Non vuoi dirmi di che si tratta, Felpato?” chiese Remus dolcemente. Sirius non rispose, apparentemente troppo impegnato a guardare il cielo fuori dalla finestra. Non sapeva se aveva voglia di dirglielo, ma alla fine Remus sapeva tutto di lui. “Mi ha dato del codardo” rispose brusco. Remus sospirò. Ora capiva il vero motivo dell’ira di Sirius. Non era tanto il dover rimanere chiuso in quella casa senza poter far nulla, ma quella parole pronunciata da Piton. Codardo. Sirius era sempre stato molto sensibile a quella parola, a quelle semplice sette lettere. E questo Severus lo sapeva bene. Ad Hogwarts se qualcuno lo sfidava era ben lieto di raccogliere (e vincere) la sfida, e se solo qualcuno si azzardava a chiamarlo ‘codardo’ Sirius proponeva una sfida talmente pericolosa per mostrare il proprio coraggio per mostrare il proprio coraggio, come entrare nella foresta proibita e catturare un unicorno, che di solito l’altro se la dava a gambe. E non poter più dimostrare quel coraggio, dover ingoiare quelle parole senza poter reagire, anzi doversi comportare proprio in modo da dar credito a quella parola restando chiuso la dentro era qualcosa che Sirius non poteva sopportare. “Ehi Sirius, lo so come ti senti…” cominciò Remus cercando di consolarlo, ma l’amico lo interruppe con rabbia. “No, tu non lo sai Remus! Non sai quanto sia orribile perché tu puoi fare quello che vuoi! Ci sono momenti in cui desidero essere morto…” Non finì la frase perché Lupin lo afferrò per le braccia, pallidissimo. “Non dirlo neanche per scherzo!” urlò. “R-Remus…” balbettò Sirius, ma Lupin non lo lasciò terminare. “Tu non fai che lamentarti, ma a me ci pensi mai?? Hai una vaga idea di quello che ho passato io quando tu eri ad Azkaban?? James e Lily erano morti, Peter era morto e tu chiuso in quella maledetta prigione!! E io sono rimasto solo. Solo come prima di incontrarvi, solo come prima di capire che voi avreste continuato a volermi bene anche se sono un Lupo Mannaro!” “Tu mi odiavi!” gridò Sirius disperato. Non aveva mai visto Lunastorta così arrabbiato, Remus era comprensivo, sempre disponibile, non credeva che dentro di lui in fondo al cuore potesse esserci tanta ira, ma soprattutto tanto dolore. Remus gli lasciò le braccia che aveva continuato a stringere e si scostò da Sirius. Andò davanti al caminetto, voltandogli le spalle e con un colpo deciso di bacchetta incrementò il fuoco che scoppiettava allegramente. “No, Sirius, non ti odiavo” disse piano. “Ci ho provato per dodici anni, senza mai riuscirci davvero. Forse nonostante tutto ero convinto che non fossi stato tu a tradire James e Lily, che eri innocente. Le prove erano tutte contro di te, ma io non sono mai riuscito ad accettarlo. Non era quello il Sirius che conoscevo io. Tu non avresti mai tradito James, come non avresti mai tradito me. Ed io questo in fondo l’ho sempre saputo.” Remus era stanco, si sentiva svuotato. “Dici sul serio, Remus?” chiese Sirius, cercando di non badare al nodo che gli serrava la gola. Aveva gli occhi lucidi. Lupin lo guardò, il volto stanco e triste. “Io non mento mai Sirius, e tu lo sai” rispose. Sirius sentì le lacrime scorrergli sulle guance incavate, ma non vi badò. Andò accanto a Remus e lo abbracciò forte. “Grazie…” mormorò. “Non ringraziarmi, Sirius” disse Remus tristemente, sciogliendosi dall’abbraccio. “Non scambiare il mio egoismo con qualche altra cosa.” “Egoismo?” Sirius non capiva. “Si, Sirius. E’ egoismo. Perché non voglio perderti un’altra volta, non ora dopo averti finalmente ritrovato. Tu sei tutta la mia famiglia, Sirius. Tu, James e Peter eravate non solo i miei amici, ma anche i miei fratelli. E ora mi sei rimasto solo tu. Sei il mio collegamento con il passato, ma anche la speranza che quando questa guerra sarà finita io potrò ancora avere degli amici, e non essere solo un Lupo Mannaro reietto, rinnegato da tutti.” Fece una pausa. “Tu devi vivere, Sirius” continuò. “E se non vuoi farlo per te stesso, fallo per Harry che ha bisogno di te. Sei la persona più vicina ad un padre che lui abbia mai avuto, quel padre che gli è stato sottratto quando aveva appena un anno e di cui a mala pena si ricorda. Fallo per me, perché non sopravviverei ad un colpo del genere. E fallo per James, che voleva che badassi a te, se gli fosse successo qualcosa, ricordi?” Come poteva non ricordare? Era una cosa successa quattorsici anni prima, ma era impressa nella sua mente come se fosse passato un solo giorno. Ogni particolare era impresso nella sua mente. Era stato l’ultimo giorno che aveva visto James e Lily vivi. Sirius e Remus entrarono insieme a casa di James. Lily li fece entrare con un sorriso, mentre cullava Harry. “Come sta il mio figlioccio?” chiese Sirius, prendendo Harry tra le braccia “Allora campione?” Harry scoppiò a piangere. Remus e Lily risero. “Smettila di spaventare mio figlio, cane rabbioso”. Una voce inconfondibile alle sue spalle. James, appoggiato alla porta, i capelli spettinati, gli puntava la bacchetta contro falsamente minaccioso. “Mi arrendo, mi arrendo.” rise felpato, restituendo Harry a sua madre, che lo portò di sopra. “Peter dov’è?” chiese James. “Non è venuto con noi, ha detto che doveva andare a parlare con Silente. Ci raggiunge più tardi.” “Che fate la in piedi? Su sedetevi.” Sirius, come di suo solito si posizionò di spalle alla finestra aperta, i gomiti poggiati sul davanzale, le gambe incrociate. Quell’aria falsamente trascurata era irresistibile. Remus sedeva con lo schinale daventi al petto, i gomiti appoggiati sullo schienale, gli occhi che brillavano di gioia. James si buttò sul tappeto, sdraiandosi davanti al camino acceso. Parlarono un po’ dei loro progetti alla fine di quella guerra, che erano certi dovesse presto finire. Si presero in giro per via dei loro desideri, una presa in giro divertita, carezzevole, mai offensiva. James voleva una famiglia numerosa, con Lily stavano già pensando di avere un altro bambino. Remus voleva diventare professore ed insegnare ad Hogwarts. I sogni di Sirius erano invece molto più concreti. “Quante ragazze credete che riuscirò a portarmi a letto con la scusa si questa guerra?” chiese in tono falsamente serio. Stavano ridendo quando James si fece improvvisamente serio. “Che succede, Ramoso?” chiese Sirius, sempre il primo ad accorgersi quando James cambiava umore. Erano telepatici, in simbiosi, o almeno cisì dicevano. “Nulla” rispose James. “E’ solo che…” Si interruppe. “Solo che..?” intervenne Remus. “Avanti a noi puoi dire tutto.” James li guardò con affetto. I suoi amici. Si alzò e chiusa la porta. Non voleva che Lily sentisse. Li guardò. “Ho paura, ragazzi.” mormorò. “Tu hai cosa??” urlò Sirius sorpreso. “James tu non hai mai avuto paura di niente da quando ti conosco…” “Lo so” lo bloccò James, asciutto. “ma adesso ho paura. Paura di perdere tutto quello che ho, Lily, Harry e voi…” “James non ti succederà nulla” ribattè Sirius. “Io non lo permetterò…” “Sirius” intervenne Remus guardandolo di traverso. “Voldemort non viene a chiedere il permesso a te per uccidere qualcuno.” E prima che Sirius potesse controbbattere continuò: “Ma ti faccio una promessa, James. Se ti succederà qualcosa baderò io alla tua famiglia, a Peter ed anche a questo scapestrato.” Le ultima parole erano ovviamente rivolte a Sirius che però non le apprezzò particolarmente. “Sono più che in grado di badare a me stesso” replicò infatti freddo. “Oh questo non lo metto in dubbio” disse James ridendo. “ma Lunastorta ha ragione, sei uno scapestrato.” “Ehi! Ma come ti permet…” cominciò Sirius, ma James lo bloccò, parlando a stento per il troppo ridere. “Non vorrai…mica…negare…di essere…una testa calda??” “Ah!” brontolò Sirius, eludendo la domanda. “siete insopportabili, tutti e due!” Poi vedendo che James e remus avevano le lacrime agli occhi dal ridere aggiunse con rabbia: “E piantatela di ridere!”. Ma la risata dei suoi amici era contagiosa e infatti, dopo aver passato qualche istante a fissarli con aria di superiorità e disapprovazione, anche Sirius scoppiò a ridere. “Allora è deciso” disse James, non appena si fu un po’ ripreso. “Se a qualcuno di noi dovesse capitare qualcosa gli altri si prenderanno cura tra loro, consolandosi a vicenda, okay?” E dicendo questo tese la mano destra. Remus mise subito la sua su quella di James ed anche Sirius, dopo un attimo di esitazione, appoggiò la sua. Sirius smise di ricordare. Sapeva che in quel momento sarebbe entrato Peter e non aveva alcuna voglia di ripensare a quel traditore. Aveva già specato fin troppo tempo a rimuginare su di lui quando era ad Azkaban, meditando su modi impossibili e non per ucciderlo facendolo soffrire il più possibile. Si voltò verso Remus e vide il dolore in quei dolci occhi bruni che conosceva così bene. “Perdonami, Remus” disse, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. “Perdonami. Non voglio morire, è solo che James e Lily mi mancano così tanto…” “Non sei l’unico che gli voleva bene, Sirius” ribattè Remus. “Mancano anche a me. Ma io sono andato avanti, tu no.” “Che vuoi dire, Remus?” chiese Sirius, un po’ perplesso. “Solo che io ho accettato la morte di James e Lily e tu no. E non dire che non è vero!” lo minacciò, vedendo l’amico aprire la bocca per rispondere. “Io ti conosco e so qual è la verità, quindi non provare a mentirmi” aggiunse con gli occhi infuocati. I due rimasero in silenzio per un po’. Fu Remus ad interrompere le riflessini di entrambi. “Vuoi un the?” chiese. A parte un piccolo bagliore negli occhi, niente nel suo atteggiamento, nella sua voce e nel suo viso avrebbero fatto capire che era ancora arrabbiato. “Mi sembra un ottima idea.”
  
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