Felice Sprofondare
“ Muore il poeta… il visionario…”
Quando si inizia una meravigliosa ascesa, è sempre necessario mettere -insieme alle corde, ai moschettoni e ai viveri- una ragionevole dose di tristezza e malinconia, tale che pensare alla discesa risulti naturale, e benchè lontano, necessario.
Noi invece, fin dall’inizio abbiamo dimenticato quanto tale
bagaglio ci sarebbe potuto servire in futuro, e abbiamo seguito una condotta
discutibile sotto molti punti di vista.
Abbiamo scelto di bruciare fino all’ultimo passo il nostro
itinerario, illuminato da una proverbiale proiezione di volontà. Quando si è
fatto notte abbiamo alzato lo sguardo, distogliendolo dallo strenuo tentativo
di distinguere il sentiero dal burrone, così simili nella notte, ma conducenti
a due realtà del tutto diverse.
Tuttavia, come sappiamo bene, neanche in pieno giorno
saremmo riusciti a distinguere i due diversi ambienti. Burrone e sentiero ci
sarebbero sembrati entrambi inevitabili e uniti da un itinerante senso di
necessità, probabilmente oggetto di speranza e terreno fertile per delusioni. E
illusioni.
La logica che abbiamo seguito è piuttosto elementare. Senza
preoccuparci di vedere a fondo nel nostro incontro e carpirne l’essenza
puramente casuale e sfuggente, destinata ad un passaggio rapido ed intenso, ci
siamo avventurati in territori che avrebbero richiesto anni per essere
esplorati. Senza comunque la pretesa di esplorarne ogni angolo e di capire la
motivazione celata dietro l’apparente felicità della gente che là abitava.
Tuttavia sapevamo benissimo come la gente si sarebbe
comportata al nostro passaggio tenevamo fermamente sotto controllo ogni minimo
errore di percorso, definendolo “variazione sul tema” o comunque ornamento
tipico del fuoriclasse. Noi potevamo.
Le abilità liriche delle stagioni ci hanno inebriati di
freddo pungente in un pomeriggio fiero e altezzoso, sfondo prestabilito del
nostro segreto accordo. Il momento nel quale tutti ci siamo guardati pur non
fissandoci e abbiamo stabilito che sarebbe stato il più lungo possibile, e
possibilmente eterno. Testimone il freddo. E l’erba fresca.
Forgiati poi dal bagno di convenienza e di calore umano da
cui il beneficio più grosso che potessimo trarre, fu proprio il fatto stesso di
essere riusciti ad essere partecipi.
Ma se nel caso di alcuni poteva essere una novità, nel caso
di altri non lo era.
Nondimeno, i giorni che ne seguirono furono all’insegna di
un generale senso di insoddisfazione, o più precisamente, di soddisfazione che
svaniva, sicuramente indotto dalla vanità che infondo non aveva mai smesso di
stringerci e farci addormentare tra le sue braccia sicure. Una piccola
parentesi in questo senso poteva essere rappresentata da una sorta di piccola
gerarchia venutasi a creare tra di noi, e che sicuramente fu molto utile per
smorzare la situazione che andava precipitando.
E a questo punto, stanchi del sentiero, decidemmo di
lanciarci a capofitto in quel meraviglioso prato fiorito, quei fiordalisi tinti
di sangue e di orgoglio. Noi li tingemmo di affetto. Ma anche di grande vanità,
per farli diventare i fiori più ricercati di tutta la città, i più costosi e i
più difficili da mantenere. Ma per noi era del tutto innato saperli nutrire e
tenere in vita il loro aroma dolce.
E i sogni non mancarono nelle serate stese come coperte su
un prato fiorito. E ti sognavo spesso, ricordandomi tristemente ogni sublime
particolare della tua visione, ogni movimento del tuo viso, la più piccola
sfumatura azzurra dei tuoi occhi. Per giorni non mangiavo. Avevo il sapore
della tua pelle stampato sulla lingua. Il sapore di ciò che la pelle lasciava
scoperto in seguito ai miei frenetici movimenti. Mi svegliavo coi crampi al
braccio e la spalla che bruciava dal troppo attrito.
Non mancai di portare a casa alcuni dei fiori di quel prato,
ma finii per gettarli tutti nel burrone, per preparare l’ornamento alla nostra
tomba da vivi.
E quello fu l’apice di tutto. Il trionfo del senso di
completamento e stabilità, che tanto aveva condizionato la nostra ricerca.
E qui si andò a posizionare lo sfondamento nella ringhiera.
Mancava l’accordo. Il caldo ci aveva portato via l’orgoglio
arrecatoci dal rigido inverno, lasciando nel nostro cuore solo tanta neve
sporca e prossima alla scioglimento. Ci guardavamo spesso negli occhi in quel
periodo, e i miei erano ormai conficcati nei tuoi. Lo ammetto: senza
possibilità di dare a quei due smeraldi sporchi una possibilità di salvezza. Li
avrei trascinati con me. E soprattutto, con te.
Ricordo che ci sedemmo e guardando il cielo promettemmo.
Fissando la Luna. O la Terra?