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Autore: Kurtofsky    14/03/2011    5 recensioni
Era una domenica come tante altre per molti. C'era chi la vedeva come una giornata di partite di basket e football e chi come una festa, ma per Kurt Hummel quella era la domenica nella quale, mensilmente, andava a fare visita a sua madre.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dave Karofsky, Kurt Hummel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Sunday Morning
Fandom: Glee
Personaggi: Kurt Hummel, Dave Karofsky
Genere: Introspettivo, Fluff
Rating: Verde
Avvertimenti: OneShot, What if? (E se…)
Conteggio Parole: 1626 (FiumiDiParole)
Note: 1. Per il mio orsacchiottone<3 Perché volevo regalargli un qualcosa di dolce .///.
2. Avevo questa fic in mente da tanto, ma non è uscita come volevoXD I personaggi per me sono OOC ._. ma ok, la postoXD
3. Non so né il nome né la sorte della madre di Dave ù_ù non prendete niente per veroXD
4. Inutile dirlo: non è ancora stata betata XD


{ Sunday Morning ~



Era una domenica come tante altre per molti. C'era chi la vedeva come una giornata di partite di basket e football e chi come una festa, ma per Kurt Hummel quella era la domenica nella quale, mensilmente, andava a fare visita a sua madre.
Stringeva in mano un piccolo mazzo di fiori bianchi - avevano un così buon profumo che, in un modo tanto dolce quanto doloroso, gli ricordava quello della mamma - e, mentre percorreva la stradina tra le lapidi ormai a memoria, si ritrovò facilmente a perdersi nei suoi pensieri.
Era solo quella domenica. Non capitava frequentemente ma quel giorno suo padre, si era ritrovato incastrato in un lavoro urgentissimo e, sapendo quanto Kurt tenesse a quella visita, aveva incoraggiato il figlio ad andare da solo a trovare la madre: promettendogli ovviamente che la domenica successiva ci sarebbe andato lui.
Cosa che, in un basso mormorio, spiegò anche a sua madre mentre sistemava i fiori e puliva la stupenda foto incorniciata.
L'aveva scelta lui, se lo ricordava perfettamente, aveva sempre adorato quella foto dove sua madre sorrideva e tutto sembrava brillare con lei. Aveva insistito per volere quel ricordo proprio lì, in modo che tutti potessero vedere quanto era bella.
Elizabeth era davvero stupenda e, quando qualcuno diceva che madre e figlio si somigliavano, Kurt non poteva fare a meno che sorridere e accettare quel complimento, sentendosi emozionato come poche volte.
Continuò a parlarle piano, quasi sussurrando, raccontandole della nuova scuola che frequentava e delle sempre più vicine regionali, promettendole che il mese successivo lui sarebbe tornato lì da vincitore.
Restò con lei ancora per un po' contemplandola in silenzio poi, carezzando per l'ultima volta la foto, la salutò alzandosi in piedi. Si asciugò frettolosamente le lacrime - piangeva sempre, ma spesso non se ne rendeva conto - e riprese la stradina che già tante volte aveva percorso.
Quella domenica però non poteva appoggiarsi a suo padre, tenendogli stretta la mano, e quello parve cambiare tutta la solita routine della giornata.
In lontananza scorse infatti una giacca familiare, quella della squadra di football del McKinley. Passo dopo passo iniziò a notare altri piccoli particolari, il ragazzo aveva le mani affondate delle tasche ed il capo chino su una lapide.
Avanzò ancora senza accelerare e solo quando lo affiancò, lanciandogli un'occhiata, si rese conto di aver incrociato lo sguardo di Dave Karofsky.
Un lieve brivido lo scosse ma, nonostante le minacciose parole del più grande si fossero riaffacciate nella sua mente, non si fermò e continuò invece per la sua strada senza correre - come l'istinto gli suggeriva -, o almeno lo fece per qualche metro.
Stupidamente si fermò, senza riuscire a dare una spiegazione logica a quel suo gesto, e si voltò come a volersi assicurare che quello che aveva incrociato fosse per davvero Karofsky.
Quello che l'aveva spinto contro gli armadietti, che l'aveva insultato e preso in giro.
Che l'aveva baciato negli spogliatoi per poi minacciarlo.
Quello che, in quel preciso istante, sembrava confuso e triste. Perso in chissà quale nostalgico ricordo causatogli dalla tomba che contemplava.
Apparve diverso ai suoi occhi, sembrava quasi fragile. Senza quella sua espressione di superiorità e rabbia sembrava quasi umano.
L'aveva già visto in quelle condizioni ma non poteva - o non voleva - ricordarlo. Era quando aveva rifiutato il suo secondo bacio e aveva visto tutta la maschera di Dave Karofsky sgretolarsi... ma aveva ignorato quel particolare.
Per Kurt quell'espressione restava quindi una novità, anche se l'eco di una vocina insistente gli ripeteva che aveva già avuto modo di osservarla... anche se con occhi diversi.
Forse fu la pace di quel luogo, ma il terrore atavico che il più piccolo provava per l'altro parve quasi scemare, riaccendendosi solo in modo lieve quando Karofsky decise di muoversi.
Si chiese velocemente che cosa ci facesse ancora li fermo, in mezzo al cimitero quasi deserto, troppo vicino al bullo... ma le sue gambe non si muovevano e i suoi occhi erano incollati sull'altro in un'insana curiosità - la curiosità era donna, lo sapevano tutti.
Lo osservò carezzare con devozione la lapide poi, infilare ancora le mani nella giacca, e andargli incontro. Kurt riuscì solo a fare un passo indietro mentre Karofsky si avvicinava a lui e chiuse gli occhi quando venne affiancato, convinto di ricevere come minimo una spallata, se non venire riempito di botte - era già in cimitero, poteva anche scavargli la fossa! -, ma non accadde nulla.
Il più grande andò avanti senza sfiorarlo né voltarsi, lasciandolo praticamente solo.
Stupito guardò la sua schiena allontanarsi, era ampia come la ricordava - l'aveva vista parecchie volte dopo aver incontrato con il naso l'armadietto - ma non era dritta, non camminava tronfio e orgoglioso... Dave Karofsky sembrava piegato da un grande peso e Kurt si ritrovò a pensare che fosse 'merito' di quel luogo e, forse, anche della persona che il ragazzo era andato a trovare.
Finalmente riuscì a muoversi e, spostandosi di qualche metro, andò a leggere il nome inciso nella lapide.
Era il nome di una donna, Alicja, e portava il cognome dell'altro. Nella foto vi era raffigurato un giovane volto, tanto sorridente quanto dolce. Un viso pieno, ma non grasso: piacevole alla vista.
La osservò, leggendo poi la data di nascita e quella di morte - erano già passati dieci anni - e, ancor prima di poter leggere anche il messaggio lasciato dai suoi parenti, una voce familiare lo anticipò.
" È mia madre."
Sussultò, preso alla sprovvista, e si volse verso Karofsky che, tornato indietro per chissà quale motivo, osservava la lapide senza degnare di uno sguardo Kurt.
" Sapevo che saresti venuto a vedere chi era...", aggiunse poi il ragazzo: " Sei troppo curioso."
Il più piccolo abbassò lo sguardo, piccato nell'orgoglio dalla giusta osservazione dell'altro.
" Non sapevo che tua madre fosse morta...", constatò Kurt dopo un attimo di silenzio.
" Non vado a dirlo in giro...", rispose Karofsky, sollevando finalmente lo sguardo.
" Anche la mia è morta...", svelò il più piccolo, guardando a sua volta l'altro.
L'avere un qualcosa in comune con lui lo rassicurava in un certo qual modo e lo convinceva che Dave fosse davvero diverso. Sembrava più serio, oltre che triste, e stranamente era sparito anche quell'ultimo residuo di paura.
Sempre la solita vocina gli faceva presente che se Karofsky avesse voluto fargli del male, l'avrebbe già fatto. Non solo in quel momento, ma anche in passato.
Tante cose sembravano tornare al loro posto ma altrettante gettavano confusione nell'animo di Kurt. Con molta difficoltà poteva accettare che l'altro non l'avrebbe mai ucciso per davvero, ma non riusciva a capire il perché di tutti quei gesti violenti e del bacio...
Lui era convinto di non piacere al più grande, era certo che questo odiasse il suo modo di comportarsi, eppure l'aveva baciato ed aveva tentato di farlo anche una seconda volta.
In quell'istante, nel pensare a quella scena, ricordò anche l'espressione del più grande al rifiuto ottenuto, e un altro piccolo tassello tornò al suo posto.
" Sei diverso...", poco dopo trovo il coraggio per dare voce ai suoi pensieri.
" O forse non mi conosci, Kurt.", ribatté senza astio Dave, scrollando le spalle.
" Già... forse hai ragione.", ammise il più piccolo, stupendosi ancora per la strana atmosfera che si era andata a creare.
Attorno a loro regnava il silenzio, una pace quasi surreale ma tremendamente normale nei cimiteri, e si trovavano lì, davanti alla tomba della madre di Karofsky, a scambiarsi brevi battute di circostanza.
Non avevano mai discusso civilmente e tutto quello aveva un sapore strano ma piacevole.
" Oggi mio padre non è potuto venire...", mormorò Kurt, distrattamente.
" Non vengo mai con il mio.", rispose a sua volta l'altro mentre, in un tacito accordo, si avviavano entrambi verso l'uscita con passo lento - come se in quel modo potessero prolungare quella tregua.
" Perché?"
" A chi piace mostrarsi debole?"
" A nessuno...", constatò ancora una volta Kurt.
" Esatto..."
" Io però... preferisco affidarmi alla mano di mio padre in questi momenti.", svelò subito dopo, imbarazzandosi all'istante per essersi esposto il quel modo.
" Tu poi permettertelo."
Quella risposta gettò altra chiarezza su tutta quella situazione e Kurt si sentì quasi uno stupido nel non essersene accorto prima.
Era così preso da se stesso - era un egocentrico: lo sapeva benissimo - da non aver pensato che gli altri non avevano la sua fortuna. Gli altri non avevano Burt Hummel come padre. Suo padre aveva accettato la sua sessualità, con difficoltà certo, ma era riuscito a capire che gay o no quello era il figlio che tanto amava.
Dave non aveva la sua fortuna o non aveva il coraggio di affrontare il padre e la sua sessualità.
" Penso di averti capito più ora che in tutti questi mesi.", svelò una volta fuori dal cimitero.
" Sei un po' tarda, femminuccia.", non sembrava offensivo, era una semplice e spezzante battuta che, come tante altre, gli scivolò addosso.
" Devo capire altre cose però... posso sperare in... un altro incontro?"
Pazzo. Sapeva di esserlo ma non provò neanche a ritirare la sua proposta.
Ormai era vicino ad una risposta e desiderava ottenerla.
" Sempre qui?", chiese Dave, guardandosi attorno, preoccupato dagli occhi indiscreti dei passanti che, fortunatamente, non prestavano loro attenzione.
Nonostante la preoccupazione, Kurt si sentì quasi orgoglioso nello scorgere nell'altro anche un nuovo sentimento.
La speranza.
Gli stava dando una seconda occasione - Blaine aveva spesso cercato di fargli capire l'importanza di un gesto gentile verso Karofsky - e quel fattore pareva quasi rinvigorire il più grande.
" D'accordo...", accettò aprendo la sua macchina e diventando subito dopo rosso nel ritrovarsi poi a parlare senza rendersene conto: " Magari la prossima volta... potrai usare la mia mano."
Era stata una proposta azzardata, guidata semplicemente dalla necessità che entrambi avevano di un supporto.
" Non mi piacciono queste uscite finocchie, femminuccia...", borbottò Dave passandogli vicino, aggiungendo un basso: " Torno qui domenica prossima."
" Ci sarò.", ribatté Kurt e, senza altri inutili saluti, si lasciarono almeno per quella volta certi di aver fatto un grande passo avanti e di dover ringraziare in un certo qual modo anche le loro madri.
   
 
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