[Disclaimer] Non conosco Keanu Reeves né Sandra Bullock, e
certamente non li possiedo. La vicenda narrata è frutto della mia fantasia.
[NdA] Per riuscire ad entrare nello spirito della scena,
dovreste aver visto “La casa sul lago del tempo” (2006, di Alejandro Aménabar).
Comunque, le note a fine capitolo spiegano molte cose.
La Casa Sul Lago Del
Tempo
Inspiro. Espiro.
Il mio fiato si condensa in una nuvoletta bianca che sale
rapidamente verso l’alto.
Inspiro. Espiro.
Chiudo gli occhi. Li riapro.
Inspiro ancora. Espiro, e in quell’istante qualcuno si siede
accanto a me. “Caffè nero senza zucchero.”
“Io bevo caffellatte.”
“Lo so. Ti conosco da dodici anni. Ma è un ottimo rimedio
per far passare il mal di testa.”
“Non ho mal di testa.”
“Pensavo di sì. Respiravi come la mia istruttrice di yoga.”
“Fai yoga?” le chiedo, sorpreso.
“Non più. Bevilo comunque, o ti gelerai le chiappe.”
Sandra è la migliore amica che abbia mai avuto. E nonostante
ciò che dicono le malelingue, non è mai stata di più. Accetto il caffè e ne
bevo un sorso, poi accenno con la testa verso il lago. “E’ un peccato, vero?”
“Cosa, la casa?”
“Già.” Una squadra di uomini dalle spalle troppo massicce
per essere vere hanno appena iniziato a smantellare la casa nella quale abbiamo
appena finito di girare. “Mi mancheranno, le palafitte.” Beve un sorso dalla
propria tazza. “Sai, quello è proprio… è il genere di casa nella quale mi
piacerebbe vivere.”
Scoppio in una risata. “Tu, vivere in una casa su palafitte?
Su un lago immerso nel nulla? No, non fa per te.”
“Perché no, signor Agente-Immobiliare-Delle-Star?” mi
chiede, divertita.
“Perché questo è un posto per gente solitaria, per qualcuno
che vuole interrompere i contatti con il mondo. Tu sei troppo estroversa per
confinarti in un posto del genere. Senza contare che non credo che Jesse apprezzerebbe
il panorama.”
Annuisce. “Sì, Jesse è un animale cittadino. E in effetti,
questo posto è un po’ troppo silenzioso. Più adatto a un vecchio lupo
solitario.” Una breve pausa. “Magari un vecchio gobbo con la barba bianca.”
“Magari.”
“O magari un uomo nel fiore degli anni con qualcosa da dimenticare.
Uno come te, magari.”
Abbasso lo sguardo fino a guardarmi le scarpe. “Forse.”
Seguono parecchi minuti di silenzio. Una delle cose che amo
di Sandra è che non forzerebbe mai nessuno a parlare dei propri problemi. È una
donna che sa ascoltare senza fare pressioni, e che sa dare sempre i consigli
giusti. Aspetterebbe una mia parola in eterno, probabilmente. Ma questa volta,
incredibilmente, viene meno alla sua regola. “Come stai?”
“Sto bene” mento.
“Come stai?” ripete.
“Te l’ho detto, sto bene.”
“Voglio sapere come stai davvero.”
Altro silenzio. “Sempre se ne vuoi parlare.”
Ancora silenzio. Poi, finalmente, la verità. “Ho pensato
molto, ultimamente.”
“A che cosa hai pensato?”
“Ho pensato ad Ava. E a Jennifer. Di più ad Ava, però”
specifico.
“Che cosa hai pensato?”
“Beh, più che pensieri erano… domande. Mi sono fatto un sacco di domande.”
“A che proposito?”
Inspiro. Espiro. “Mi sono chiesto come sarebbe stata. Sai, a
chi avrebbe somigliato… cose così.”
“Credo sia normale” mi rassicura.
Annuisco debolmente, la testa appena rivolta verso di lei.
Indossa il cappotto rosso che portava anche durante le riprese. Il cappotto di
Kate Foster. In realtà, quel cappotto è suo. Un giorno è arrivata sul set
vestita così, e la costumista e Alejandro hanno deciso che era perfetto per il
personaggio di Kate.
Distolgo lo sguardo. Il rosso del cappotto mi ricorda il
rosso del sangue di Jennifer. Ne ha perso così tanto, quando Ava…
Stringo le labbra, cercando di contenere le lacrime.
Ho perso mia figlia sette anni fa, prima ancora di poterla
guardare negli occhi, prima ancora di poterla stringere tra le braccia, ma
ancora non mi rassegno all’idea. Ava era sana, Ava era praticamente perfetta.
Ricordo l’ultima ecografia. Andava tutto bene: il cuore batteva regolare, ogni
particolare era completamente formato. Aspettava soltanto di nascere.
E invece, Ava è morta. Ricordo ogni dettaglio di quella
giornata. Jennifer ha una forte contrazione, e io da vero stupido mi convinco
che stia per partorire: non mi accorgo che non si sono rotte le acque. La
faccio salire in auto, corriamo in ospedale. Quando gli infermieri la adagiano
sulla barella, vedo il sangue.
Il sangue di Jennifer, rosso come il cappotto di Sandra.
Solo Dio sa quanto ho sofferto, nel vederle addosso quel
cappotto durante le riprese. Il rosso continua a ricordarmi il sangue di
Jennifer. Continua a ricordarmi la morte di Ava. Continua a ricordarmi la notte
in cui, dopo ore di dolore e di attesa, ho perso l’opportunità di diventare
padre.
Perdere Ava mi ha allontanato da Jennifer. Non riesco a non
pensare a che cosa sarebbe successo se Ava fosse nata. Forse ci saremmo
separati lo stesso, forse sarebbe finita comunque, però… So che non è possibile
vivere di ‘se’ e di ‘ma’, eppure non ci riesco. Non riesco a non pensarci.
E poi ho perso anche Jennifer. La donna che amavo, l’unica
in grado di avvicinarmi all’idea di formare una famiglia. Tutto svanito in una
notte di eccessi, tutto finito con uno stupido incidente d’auto.
Tiro su col naso. Espiro.
“Puoi piangere, se ti fa sentire meglio” commenta Sandra in
tono piatto, senza staccare gli occhi dalla casa, ormai smantellata per metà.
“Piangere non le riporterà indietro.”
“Questo è vero.”
Di nuovo silenzio tra di noi.
“Però, sono veloci” osserva.
“Odio il tuo cappotto.”
“Come?”
“Odio il tuo cappotto” ripeto. “E’ rosso.”
“Sì, so di che colore è.”
“Mi ricorda il sangue. Quando Ava è… Jennifer ne ha perso
molto.”
Sorride. “Non è stato facile affrontare le riprese, vero?”
Scuoto la testa. “Non quando ti ho dovuta abbracciare.”
“Mi dispiace. Mi dispiace che tu abbia sofferto per una mia
decisione casuale. Se quel mattino non fossi…”
“No, Sandra. Non devi fartene una colpa. Non dipende da te.
Insomma, è stato un caso.”
Finisce il proprio caffè e si appoggia la tazza vuota in
grembo. “E’ stato bello lavorare con te.”
“Meglio questo o Speed?”
“Non c’è paragone. Insomma, qui sei un uomo super figo con
un lavoro super creativo e una casa bellissima, ma in Speed decapiti un terrorista super cazzuto e per metà film vai in
giro coperto solo da una maglietta bianca coperta di benzina. Oh, e guidi come
un pazzo su un’autostrada trafficata e ti infili sotto un autobus in corsa.”
“Finito?”
“Sì, credo di sì” sorride. “E io, meglio qui o in Speed?”
“Oh, fammi pensare. Qui sei un medico frustrato che si scambia
appassionate lettere d’amore con un uomo che non ha mai visto. E hai un
fidanzato super palloso. In Speed sei
una ragazza dell’Arizona che guida un autobus che sta per esplodere, e un
terrorista ti carica di esplosivo e ti ammanetta alla metropolitana.”
“Certo, se la metti così Annie sembra molto più cazzuta di
Kate” osserva divertita.
Sorrido e finisco il mio caffè. “Tu invece hai fatto
sembrare Alex molto più cazzuto di Jack.”
“Stai scherzando? Il personaggio di Jack Traven è entrato
nei sogni erotici del settanta per cento delle donne americane.”
“E tu come lo sai?”
“L’ho letto su… People,
mi sembra. Hanno stilato una classifica dei cento personaggi immaginari più
amati dalle donne, e Jack Traven era al nono posto, se non sbaglio.”
“Chi era il primo?”
“John Grey” risponde, con un sorriso.
“Beh, Mickey Rourke è
Mickey Rourke.”
La casa sul lago è ormai completamente smantellata. Credo
che questo simboleggi la fine delle
riprese. Mi mancherà, questo posto. Mi sono affezionato a questo lago, a questo
panorama. Mi piace il clima, mi piace il senso di solitudine che si respira.
Forse Sandra ha ragione: forse davvero questo è il posto per me.
Improvvisamente, mi rendo conto di essermi affezionato anche
ad Alex. In fondo, ho riversato in lui molto di me: la solitudine, il senso di
inadeguatezza, la voglia di fare qualcosa di diverso…
“A che pensi?”
“Pensavo ad Alex.” Una breve pausa, poi la guardo. “Ci ho
messo molto di me.”
“E’ per questo che hanno scelto te.”
“Perché sono problematico?”
Sorride. “Perché sei vero.” Si alza. “Tu fai come vuoi, ma
io mi sto gelando le chiappe a stare seduta qui.”
Sorrido. Amo parlare con Sandra: con poche parole è in grado
di ribaltare una giornata storta. Mi alzo anche io. “Grazie di tutto, Sandy.”
“E di che?”
“Lo sai.”
Un ultimo sorriso. “Sì, lo so.”
[1] I protagonisti sono ovviamente Keanu Reeves e Sandra
Bullock, che non conosco e che purtroppo non possiedo. La scena descritta è
frutto della mia immaginazione, ma è basata su fatti reali.
[2] La scena è ambientata al termine delle riprese del film “La
Casa Sul Lago Del Tempo” (The Lake House, 2006), diretto da Alejandro Aménabar
e interpretato da Reeves e dalla Bullock.
[3] La casa sul lago, vera protagonista della storia narrata
nel film, è stata costruita apposta per le riprese, ed è stata smantellata alla
fine delle stesse. La scena è ambientata appunto dopo la fine delle riprese.
[4] Jennifer Syme è stata a lungo fidanzata con Keanu
Reeves. La loro storia è giunta al termine nel 1999, quando la loro bambina, Ava
Archer Syme Reeves, è nata morta poco prima del termine naturale del parto.
Jennifer e Keanu si sono lasciati, ma sono rimasti in buoni rapporti, fino a
quando, nel 2001, la Syme non è morta in un incidente d’auto (di ritorno da un
party organizzato da Marilyn Manson, era sotto l’effetto di alcol e sostanze
stupefacenti).
[5] Non so quale tipo di caffè prediliga Keanu Reeves (non
so nemmeno se lo beva, in effetti). Io amo il caffè nero senza zucchero, e
quando ho mal di testa, è l’unica cosa che me lo faccia passare.
[6] Jesse è Jesse James, marito di Sandra
Bullock dal 2005 al 2010.
[7] Sandra Bullock e Keanu Reeves si sono conosciuti nel
1994 sul set di “Speed”, e da allora sono molto amici. Sottolineo, amici
e basta (come da loro più volte sottolineato). Al tempo della ff, si conoscono
quindi da dodici anni.
[8] La classifica stilata da People non esiste (non che io sappia, almeno). L’ho inventata di
sana pianta. Ad ogni modo, se mai stilassero una classifica del genere, Jack
Traven sarebbe sicuramente in cima alle mie preferenze.
[9] John Grey è il personaggio interpretato da Mickey
Rourke nel celebre “9 settimane e mezzo” (1986), pellicola che lo
consacrò come sex-symbol a livello mondiale. Sì, lo so, a vederlo ora, non si
direbbe…