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Autore: MaxT    16/03/2011    5 recensioni
Una Elyon esuberante e sorprendente torna a cercare le sue vecchie amiche, che si troveranno presto coinvolte in avvenimenti più grandi di loro. Che spaventosa profezia ha pronunciato la Luce di Meridian? Vera è…vera? Dove sono andate le gocce astrali delle W.I.T.C.H.? E’ una storia dove i personaggi assumono diversi ruoli contrastanti, si muovono nel segreto e nell’invisibilità, e le loro motivazioni autentiche si delineano a mano a mano che la storia si avvicina alla conclusione. Note: qualcuno potrebbe considerare OOC Elyon e le gocce astrali. Da parte mia, penso che siano una evoluzione plausibile dei personaggi visti nel fumetto. Aggiornamento: I primi sei capitoli sono stati riscritti nell'ottobre 2008.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le profezie di Meridian'
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60- Crepuscolo di tempesta  

Ad personam

Cara Atlantis Lux, innanzitutto un grande grazie per la tua graditissima recensione.
Come si è capito, il progetto di modernizzazione di Vera presenta parecchi punti deboli, avendo, almeno nel breve termine, una funzione soprattutto propagandistica. Forse se avesse tempo, diciamo qualche decennio, riuscirebbe davvero a cambiare qualcosa per il meglio, ma ora è tutta finalizzata a cosa succederà allo scadere dell'anno. I suoi trucchi psicologici sono a prova di bomba, se dovesse fallire come regina ha una porta aperta come psicologa.
Ragno catturato da Irenior... ad un certo punto, forse è stata Irenior a sentirsi catturata dal ragno.
I brontolii delle Nemesis... non farci caso, povere, quelle che fanno la vitaccia peggiore sono loro. Non è che siano risentite contro le false guardiane, visto che sono loro stesse che si danno il turno per impersonarle a rotazione. Però tra i loro ruoli è il più sgradito, in quanto si espongono all'odio degli oppressi. L'unico ruolo che gradualmente diventa più sgradevole di quello di guardiana lo vedremo in questo capitolo. Comunque loro tutte aspettano il confronto finale, sono state create per questo e hanno qualcosa da dimostrare.

Un grande grazie anche a Kuruccha per le sue gentilissime recensioni ai  capitoli arretrati, e spero tanto che prima o poi arrivi anche a questo.

Qualche parola di presentazione a questo lungo episodio. Come preannunciato, c'è un salto temporale di sei mesi tra il capitolo precedente e questo. Cos'è successo nel frattempo? La situazione a Meridian è stata pilotata per peggiorare sempre più, fino ad arrivare al quadro offerto da questo capitolo, che in una collezione di scenette incentrate su tutte le nostre anti-eroine descrive la situazione un mese prima della svolta programmata da Vera, cioè dopo un anno terrestre di dodici mesi. Il dubbio onore di trarre le conclusioni su come il popolo di Meridian viva tutto ciò spetterà a Caleb e Vathek.

Per questo capitolo non ho preparato alcun disegno, nonostante che gli spunti fossero numerosi e tutti splendidi. Ho avuto problemi di tempo, e mi sarebbe dispiaciuto procrastinare di un'altra settimana, visto che mancano più di venti puntate alla conclusione. Forse recupererò i disegni arretrati quando mi deciderò a riprendere in mano la tavoletta grafica.

Buona lettura
MaxT

PROFEZIE


Riassunto delle puntate precedenti 
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a sostituirsi a Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. 
A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura;  pur avendo assunto il potere, si 
rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. 
A Heatherfield, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia, che prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza.
Il nuovo piano di Vera prende rapidamente forma, basandosi sull'ambiguità del termine di un anno: prima simuleranno che Elyon diventi sempre più tirannica, screditandola, poi Vera, che ha comunque il rango di una principessa Escanor, la spodesterà dopo un anno terrestre di dodici mesi, facendo finire apparentemente la tirannia e realizzare la profezia; poi, dopo aver guadagnato il consenso della gente, si prepareranno per affrontare Elyon e  le Guardiane al loro ritorno dopo diciotto mesi, un anno di Meridian. 
Vera crea venti copie di Wanda, dette Nemesis, che avranno l'incarico di impersonare le guardiane, sollevando le gocce dal compito, e di sorvegliare la città restando invisibili o sotto falsa identità, o con l'aspetto di aquile. 
Come dal piano di Vera, le false Guardiane imprigionano Galgheitha e altri personaggi importanti, che potrebbero rendersi conto che la sempre più tirannica Regina e le Guardiane sono state impersonate da controfigure; la principessa Vera fa la parte della buona, facendo fuggire questi prigionieri dalla città.
Vera affida a Theresion, che gode della sua massima fiducia ed ha già preso in mano gli incantesimi del sistema d'allarme del palazzo, anche l'incarico di realizzare un sistema di sorveglianza del sotterraneo basato sul contatto mentale con gli insetti che lo popolano, incarico che però le crea una resistenza psicologica dovuta alla sua aracnofobia.  Alla fine, Vera è costretta a influenzare Theresion per eliminare la sua aracnofobia, e permetterle di svolgere l'incarico che ha pensato per lei.

Cap.60

Crepuscolo di tempesta



Meridian, cucina del palazzo reale, undicesimo mese

Nella grande cucina affollata, tra i rumori d'acqua e di stoviglie si fa strada gradualmente il cigolio ritmico di una ruota difettosa, che rimarca l'ingresso di un grande carrello colmo degli avanzi della mensa.
Uff... Anche oggi, l'ora del pranzo è finita”, sbuffa la giovane inserviente che l'ha spinto fin lì.
Il capocuoco Kurkus si avvicina osservando gli avanzi con occhio critico. 'Questi potrebbero essere riciclati nel pasticcio di stasera', sembra dire mentre si passa la grossa mano verdina sul viso, anche se in realtà non ha aperto bocca.
L'inserviente, nel frattempo, si è fermata a riprendere fiato accanto alla finestra, nell'unico punto libero della grande cucina. Dopo lo sforzo, quest'atmosfera calda, umida e piena di odori la fa sudare. Si scosta una sottile treccia castana che le è scappata dalla cuffietta e le penzola davanti al viso azzurrino, poi osserva le macchie di sugo sulla sua tunica. E' impresentabile, constata; dovrà andare a cambiarsi prima del turno serale.
Si appoggia, al davanzale, stanca; affronterà le sette rampe di scale fino alla sua cameretta solo dopo aver lavato le pile di piatti che la stanno aspettando.
Il suo sguardo distratto vaga oltre la finestra, nel giardino. Lì fuori c'è la Regina, seduta sull'erba soffice costellata di fiorellini gialli, intenta a sfogliare un voluminoso tomo nero dalla copertina rigida ornata di borchie d'ottone. Beata lei, che può fare tutto quello che vuole...

Inaspettatamente, scorge un essere androgino emergere con movenze aggraziate dal tronco di un albero secolare. Ha una liscia pelle verde lucido che ricorda le foglie, e sarebbe completamente nudo (O nuda? Non le è chiaro) se non fosse per il lungo mantello di serici capelli fucsia da cui è avvolto. Possibile che…
La voce del capocuoco la richiama. “Odiris, hai ancora da lavare qualche stoviglia”, le dice ironico, indicandole le incombenti pile di piatti e posate che l'aspettano sul bancone.
“Ma… Maestro, guardate... Non vi sembra un mormorante, quello laggiù con la Regina?”.
A quell'annuncio, un coro di esclamazioni soffocate si leva da tutta la cucina. I mormoranti, di nuovo??! Gli odiosi esseri artificiali di cui il tiranno Phobos si circondava per evitare ogni contatto con il popolo di Meridian?
Kurkus cerca di soffocare il suo turbamento, e fa un gesto di fermarsi ad alcune sguattere che accennavano a venire a guardare. “Tornate ai vostri posti! E Tu, Odiris, non… non… non sei qui per lavorare, ma per… Voglio dire: non sei qui per chiacchierare, ma per lavorare!”, e conclude indicandole platealmente le pile di stoviglie.
Mentre Odiris gli obbedisce di malavoglia e raggiunge a testa bassa il suo patibolo di zuppiere, il cuoco non può fare a meno di sbirciare furtivo dalla finestra sul cortile.
Folgori di Imdahl, è vero!- deve ammettere tra i denti - Un mormorante con Sua Altezza!?!
Quando vede la Regina volgere lo sguardo nella sua direzione, si ritira spaventato, pregando Dei e Antenati di non essere stato notato. Cerca rifugio nel suo lavoro: sul suo bancone ha un quarto di kadal ancora da curare. Sì: lui non si è alzato da quel lavoro. Hanno visto qualcuno sbirciare? Può essere stata solo Odiris, non certo lui!
Mentre taglia con prudenza la carne rossa, un leggero tremito di paura gli scuote le mani esperte.



Nel giardino

Nel giardino, seduta sulla soffice erba cosparsa di fiorellini dal profumo inebriante, la regina sorride mentre alza lo sguardo dal suo sinistro tomo dalla copertina rigida e nera; quando cambia posizione, fa tintinnare il lucchetto di bronzo che sigilla agli occhi profani i suoi segreti, redatti nella lingua arcana di un altro mondo; all’interno, in testa a ogni pagina campeggia una formula che potrebbe essere traslitterata in meridiano moderno come ‘Collezione Harmony’.
Si rivolge divertita all'essere androgino inginocchiato accanto a lei, intento a scioglierle le trecce: “Dora, abbiamo spettatori alle finestre”.
“Benissimo, Irene. Siamo qui per loro, no?”, risponde questa, poi si scosta con fastidio una ciocca fucsia dagli occhi, ricacciandola sopra le spalle ornate da un motivo verde chiaro ripetuto, come di nervature di foglie. “Non li sopporto, questi capelli che vanno dappertutto. Ma almeno mi coprono un po’ il sedere… La prossima volta lo farai tu, il mormorante, e io la regina!”.
L’altra cambia discorso: “Guarda guarda chi arriva!”.
Si volgono entrambe verso Will, che, apparsa dal niente, incede verso di loro con il passo sicuro e arrogante del suo ruolo.
Appena arrivata, la Guardiana torreggia su di loro, senza curarsi di mantenere né la distanza, né la deferenza prescritte dal protocollo. “Altezza, andiamo a parlare in un posto più discreto”, ordina indicando con un cenno del capo verso il folto del giardino.

Poco dopo, cortine di rampicanti dalle foglie rosso fiamma le celano a ogni sguardo indesiderato.
“Ragazze”, inizia Wanda a mezza voce, “Sta per arrivare il capo consigliere Korgondor. Manca solo un mese al climax: questa volta Sua Altezza dovrà essere veramente sgradevole”.
Irene coglie subito l’aria. “Dora, non volevi fare tu la regina?”. In un tremolio, la figuretta di Elyon si trasforma in quella, assai più alta e formosa, di Irenior.
“Lo sapevo che c’era la fregatura”, mormora a spalle chine il povero mormorante, per poi trasformarsi a sua volta nella sempre più fioca Luce di Meridian.

Poco dopo Irenior, rimasta sola nel folto del bosco, ha appena ripreso a leggere appassionatamente il suo arcano volume, quando una folata di vento scuote le chiome degli alberi.
Guardando in alto, negli interstizi tra i rami, le pare che una cappa plumbea stia velocemente divorando il cielo, propagandosi a oscurare gli screzi d'azzurro tra le fronde agitate.
Una folata più forte scuote anche le pagine tra le sue mani, e disperde il dolce profumo di konnestras.
Il tempo peggiora a vista d’occhio, conclude Irenior facendosi sparire il volume nel palmo. Pazienza, comunque è quasi giunta l’ora in cui dovrà rientrare per incontrarsi con Carol.



Sala del trono

L’uomo abbassa lo sguardo, come se cercasse una macchia sul suo cappotto verde scuro. Ma non è a questo che sta pensando.
La voce arrogante della regina lo richiama: “Capo consigliere Korgondor”, scandisce, “Mi avete ascoltata?”.
“Sì, Altezza. La terza parte di tutti i raccolti, non più la quarta. Ma… se posso… perdonate la mia curiosità: cosa Vi spinge ad aumentare le tasse ai contadini?”.
La Luce di Meridian lo squadra senza neppure tentare di nascondere il suo disprezzo. “Per vettovagliare l’esercito, consigliere. Entro pochi giorni vi farò avere istruzioni relative alla nuova leva obbligatoria”.
Lo sguardo dell’uomo si fa esterrefatto. “Nuovi reclutamenti? Ma perché?”.
La regina risponde, ostile: “Consigliere, quando io deciderò che dovrete saperlo, lo saprete! E ora eseguite! O volete seguire la sorte del vostro predecessore inetto e infedele?!?”.
“Altezza, perdonate. Sarà fatto senza discutere. Che la Luce sia con Voi”.
Gli occhi di Elyon lampeggiano d’ira. “Vuoi fare del sarcasmo, vecchio idiota? IO sono la Luce! E ora vai ed esegui, te lo dico per l’ultima volta!”.
Il consigliere, profuso in un inchino umiliato, lascia la sala del trono camminando all’indietro.

Fuori dal locale, si volta verso le scale senza osar rivolgere lo sguardo né alle aliene Guardiane nell’anticamera, né ai soldati sul pianerottolo, che restano incerti se tributargli o meno il saluto marziale. Stranamente, l’udienza è stata a porte aperte, quindi anche loro hanno ascoltato con simulata indifferenza la sua umiliazione.
Dietro di lui, gli alti battenti si richiudono con un insolito tonfo, che lo fa sussultare come un calcio nel fondoschiena.
Inizia a discendere lo scalone, cupo e pensieroso. Come può essere cambiata così in pochi mesi la loro giovane e beneamata Regina? E le Guardiane, eroine della riscossa contro Phobos?

Sente, alle sue spalle, i soldati scattare sull'attenti e percuotersi il petto.
“Capo Consigliere”, lo chiama dal pianerottolo una voce cortese e conosciuta.
“Principessa Vera, non vi avevo vista”, le risponde cercando di riprendere il contegno. Si chiede se lei abbia attraversato il battente già chiuso: non si meraviglierebbe più di niente, ormai.
“Ero lì accanto. Ho sentito tutto”.
L’uomo annuisce a testa bassa. Meglio non esporsi con commenti, né lì, né altrove.
“Vi accompagno giù per le scale, consigliere. Facciamoci quattro passi”.

Dopo aver disceso in silenzio qualche rampa del lungo scalone a chiocciola, Vera inizia: “In primo luogo, mi dispiace moltissimo per come Elyon vi ha trattato quest’oggi”.
“Fa niente”, mente l’altro con sussiego.
Lei continua: “Purtroppo lei è spesso intrattabile, dopo aver passato un po’ di tempo in giardino”. Si schiarisce la voce per sottintendere qualcosa di non detto.
“Non sentitevi in obbligo di giustificarla, Principessa. Ero un po' stupito per le istruzioni che Sua Altezza mi ha dato, ecco tutto! Sono certo che avrà dei validi motivi!”.
Vera annuisce come pensierosa, poi si accosta di più e sussurra: “Ha stupito anche me. Non mi aveva mai parlato di coscrizione, prima”.
L’uomo annuisce mogio. “Andrò a riferire in consiglio, come mio dovere”.
“Penso che passerò anch’io, tra poco. Prima, però , voglio cercare di farla ragionare”. Accenna a voltarsi indietro, verso la sala del trono. “A dopo, Capo Consigliere Korgondor”, dice svanendo nel consueto baluginio.
“A dopo”, fa lui salutando con un cenno speranzoso lo spazio ormai vuoto.

Un attimo dopo, Vera torna a materializzarsi nella sala. Dopo aver controllato che il portone sia ben chiuso, si rivolge alla regina, seduta sul trono con aria abbacchiata, con la silenziosa compagnia di Will. “Brava Irene, bravissima!”.
“Non sono Irene!”, sbotta l’altra, ancora più depressa. “Lei è stata così furba da defilarsi per tempo. Io sono… bah, inutile, chiamami pure come vuoi…”.
“Scusa, Dora!”, le dice venendole vicino per cingerle le spalle. “Sei stata perfetta, perfettissima! Non sapevo che sapessi essere così odiosa!”.
“Neanch’io”.
Nonostante le ampie vetrate, l’interno della grande sala sprofonda velocemente nella penombra. Will, guardando preoccupata dal finestrone, chiede: “Vera, sei tu che stai facendo cambiare il tempo?”.
“Sì, Wanda. I meridiani sanno che l’umore della regina può influenzare l’atmosfera sulla città, così un paio di bei temporali contribuiranno a inquietarli quasi quanto una nuova tassa”.
“Sempre colpa mia, insomma”, bofonchia Elyon.
“Resisti, Dora! Ormai è questione di un solo mese!”. Vera si porta davanti alla finestratura, osservando le spettacolari nubi scure che, dall’alto della torre, pare quasi di poter toccare allungando il braccio. “Un mese di maltempo rimarcherà il crepuscolo di Elyon l’arrogante, settima Luce di Meridian: troppo infantile, capricciosa e inadeguata al suo ruolo. Prima ha violato un quasi tabù, creando con la magia una subordinata che la sollevasse dal peso del governo, e poi ha cominciato a rodersi d’invidia per la sua crescente popolarità”. Con un sorrisino compiaciuto, conclude: “Ancora un mese al suo canto del cigno. E sarà un canto assai stonato!”. Detto ciò, svanisce in un tremolio.

“E’ andata al Consiglio”, commenta Will avvicinandosi alla regina.
“Odio questo ruolo infame!”, ribadisce lei, tra i denti, sostenendosi il capo avvilita.
“Dai, Dora, in fondo ti sei risparmiata il teatrino del campo di prigionia, che sembra la parodia sfigata di un Gulag”.
“Almeno questo”, esala l'altra.
Wanda la osserva un attimo: non ha mai visto una delle sue nuove compagne così abbattuta, e non può fare a meno di essere toccata dalla sua pena. “Vieni, cara: ti porto a vedere una cosa che ti piacerà”. La prende per mano, tirandola in piedi.
“Dove?”.
“Agli archi di crescita. Vedrai, è una novità assoluta!”.
L’altra sbircia dubbiosa il cielo verso sudovest dalla grande finestratura. “Uscire proprio adesso? Il tempo si sta mettendo assai male”.
“Tranquilla: con il teletrasporto, saremo di ritorno tra pochi minuti!”.



Cantiere alla periferia sud di Meridian

“Architetto Paochaion, il tempo si sta guastando”.
Pao annuisce preoccupata, osservando il cielo in rapido cambiamento. “Fate completare l’ultima colata, capomastro, poi per oggi abbiamo finito”.
Mentre gli operai si danno da fare a gettare secchie d'impasto bianco dentro la cassaforma, la ragazza osserva in alto, socchiudendo gli occhi per proteggerli dal forte vento.
Il cielo sta assumendo una cupa tonalità grigio-viola, mentre gli spicchi limpidi ancora visibili tra le nubi dense sembrano, per contrasto, più verdini del solito turchese.
Per qualche istante il sole, penetrando sotto le nuvole attraverso questi squarci, le colora con spettacolari aloni iridescenti, poi anche questi spiragli si chiudono, e il viola cupo regna incontrastato.
Il primo fulmine guizza: bianco, abbagliante, ramificato come se volesse impadronirsi dell’orizzonte. La sua luce disegna ombre nette sugli edifici e i pendii in distanza; quando si è estinta, il mondo sembra un po’ più buio di prima.
La pioggia inizia improvvisa, e in pochi secondi raggiunge un’intensità tale da sovrastare le voci.
“Tutti al riparo!”, grida il capomastro, ma non c’era bisogno di ordinarlo.

Un minuto dopo, Pao e tutti gli operai sono al riparo al chiuso, nella baracca, ascoltando il forte scroscio sul tetto di legno. Un po' d'acqua piovana comincia a filtrare dentro attraverso le giunzioni della copertura, e gocciola sugli occupanti.
“Crede che questa pioggia rovinerà la nuova colata?” chiede lei, di malumore, al capomastro.
“Niente che non si possa riparare con un nuovo getto”, risponde lui alzando le spalle. “Mi preoccupa di più la tenuta di questa baracca”, aggiunge, scrutando le giunzioni scricchiolanti, messe a dura prova dalle forti folate.
Un altro bagliore è seguito a breve da un frastuono che sovrasta perfino il fortissimo battere della pioggia sulla copertura.
La porta si scuote. Qualcuno sta battendo per entrare.
Aprite”, grida una voce da fuori con una nota di umida disperazione.

Un attimo dopo, entrano tre figure fradice e grondanti.
Una, in particolare, ha qualcosa di familiare: una gran capigliatura candida incollata sul viso verdazzurro, sotto il cappuccio, e una borsa che tiene stretta al petto in un commovente tentativo di proteggerla dalla pioggia. “C’è l’architetto Paochaion?”, emette con un filo di voce.
“Terry?”, fa Pao, stupita.
“Ciao Pao”, la saluta lei, tirandosi giù il sottile, inutile cappuccio di tela. “Eravamo venuti qui per provare l’autogru virtuale, ma temo che oggi non sia giornata”. Estrae dalla borsa a tracolla un oggetto che Pao riconosce come una console per videogiochi. “Spero che non sia entrata acqua; se no, addio!”.
“Ma chi sono quelli che ti hanno accompagnata?”, chiede Paochaion accennando a due uomini fradici che hanno deposto sul pavimento grosse borse altrettanto fradice.
“Ho dovuto far trasportare tutto l’occorrente: un conversore neuroenergetico, acqua magica, tre occhibelli…”.
“Occhibelli?”.
“Sono delle statuette particolari, adattate a generatori della materializzazione. Sostituiscono gli occhi di Vera, che avrà ben altro da fare”. Si riguarda la console. “Temo proprio che possa essere entrata acqua. Ha cominciato a scrosciare che eravamo già fuori dall’abitato”.
“Ma Terry, perché non ti sei teletrasportata?”.
Theresion le fa cenno di parlare piano, e le bisbiglia all’orecchio: “Non voglio mostrare questi poteri, altrimenti potrebbero associarmi più facilmente a chi-sai-tu. Lasciamo che sia Vera a fare sfoggio di magie strabilianti, che fa parte del suo copione”.
L’altra la ricambia con un’occhiata ironica. “Fammi capire: sei venuta per creare dal niente un’autogru che solleverà cinque tonnellate, giocando con una console e tre statuette, e ti fai scrupolo di lasciar vedere che sai teletrasportarti?”.
“E’ diverso”, ribatte Theresion un po’ piccata, ma comincia seriamente a chiedersi chi sia la più sciocca tra loro. Meglio cambiare discorso. “Cosa avete fatto, finora?”.
Pao sorride orgogliosa, poi si affaccia a una finestrella sfidando la corrente che le fa turbinare le sottili treccine della sua frangia. “Abbiamo colato quasi tutte le strutture dei primi sei portali di teletrasporto. La loro magia sarà compito di Vera, naturalmente. Poi vorrei liberare il terreno e cominciare i primi elementi del mercato, e per questo l’autogru…”.
Un forte lampo le illumina il viso, subito seguito da un frastuono esplosivo. Per un attimo, loro tutti sentono un pizzicorino ai piedi.
“Lune sincrone!”, fa un operaio che stava guardando da un’altra finestrella. “E’caduto a quattro passi da qui! Ha spaccato in due un albero appena fuori dal recinto!”.
“Sarà il caso di tornare subito a palazzo”, dice Paochaion un po’ impressionata.
“Adesso? Aspettiamo che spiova, no?”.
Pao le fa un gesto sbrigativo. “Io mi teletrasporto. Tu, se vuoi, puoi restare qui e goderti la tempesta in prima fila. Ma preferirei che venissi con me”.
Theresion ascolta lo scroscio assordante sul tetto e i cigolii della costruzione sferzata dal vento. “Mi tenti, Pao!”.



Capannone degli archi di crescita

Le grandi sagome degli archi incrociati spiccano, scure e curve, contro la luminosità ormai tenue che traspare dalle coperture, interrotta da arabeschi ripetitivi che ricordano le diafane ali delle guardiane.
Sotto gli archi, tra i vaghi luccichii che contornano forme non sempre riconoscibili, compare un ulteriore baluginio dal quale si materializzano due figure umane. I grandi mantelli scuri che le avvolgono prendono ad agitarsi nella corrente d’aria che pervade quel luogo con qualsiasi tempo.
Una folata abbatte il cappuccio della più piccola, lasciando riconoscere la Regina in un abito e un luogo del tutto inusuali per lei.
Scruta nella penombra con gli occhi socchiusi, cercando di riconoscere le sagome degli oggetti attorno a sé. Un elicottero, ancora alle dimensioni di una giostrina da luna park. Generatori elettrici, turbine idrauliche, bobine di cavi metallici. E tante, tante, tante alette di tutte le grandezze, ma sempre della stessa forma, oscillano come cime d’albero sferzate dal vento.
“Impressionante!”, ammette al termine della lunga occhiata.
“Vero?”, si compiace Will stringendosi il mantello in vita, infastidita dall'agitarsi al vento delle inutili alette che ha sulla schiena.
La Luce di Meridian torna ad osservare i minuscoli bagliori tutt'attorno. “Ma non emetteranno radiazioni nocive, quegli aloni?”.
“Ma no! Terry è stata qui parecchie volte, e sta pur benissimo. Vieni di qua”. Fa strada, passando tra i macchinari più impensabili avvolti dagli scintillii.
Arriva fino a uno scaffale, dove una ventina di oggetti sferici, scuri e lucidi sono allineati, riflettendo debolmente ma nitidamente i chiaroscuri della copertura. Su questi oggetti, i sinistri lucori sono pressoché assenti.
Will li squadra con occhio critico, poi ne sceglie uno. “Ecco, questo è maturo per essere colto!”.
“Finalmente!”, fa l’altra con un lampo di gioia, prendendolo dalle mani della compagna. Se lo rimira da tutti i lati: assomiglia a un caschetto da motociclista con la visiera. “Sembra piccolo. Deve crescere ancora?”.
“No, va bene così leggero. Non protegge molto dagli urti, ma integra un sacco di incantesimi e talismani”. Indica la visiera iridescente: “Questa è trattata in modo da fermare tutte le influenze psichiche non volute. Non corriamo più il rischio di essere ipnotizzate, finché la visiera è abbassata. Inoltre, nessuno potrà rendersi invisibile ai nostri occhi con il trucco delle pulsazioni teleipnotiche”. Indica i lati, dove si intravedono per trasparenza, inglobate nella matrice di resina verde scuro, alcune piastrine argentee disposte tutt'attorno a mo' di corona. “Queste sono impermeabili alla telepatia, a meno che i pensieri non vengano trasmessi intenzionalmente”. Accenna a una catena di sottilissimi anelli che corre tutt’attorno, che fa capo a un cristallo posto sul frontale. “Questo codifica i pensieri, li comprime e li trasmette in brevi impulsi, cosicché non possono più essere intercettati da altri”.
“Fantastico!”, si delizia la Nemesis sotto mentite spoglie, poi viene disturbata da un dubbio: “Ma… ma se uno di questi cadesse nelle mani sbagliate, sarebbe un disastro!”.
“Non troppo. Sono tutti disattivabili a distanza dalla nostra centrale operativa. Da lì si può sempre sapere dove si trova chi li indossa, e cosa pensa. In caso estremo, la Nemesis che lo indossa potrà essere teletrasportata via da un’altra che le fa da angelo custode a distanza, nella centrale operativa”.
“Fantastico!”, esclama entusiasticamente la regina. Si sfila la corona fasulla e prova ad infilarsi il casco, ma questo si blocca a cavallo delle orecchie. “Però… è scomodo, strettissimo! Ahi… Aiutami, non riesco neanche a toglierlo!”.
“Eccomi!”. Will la aiuta, tirando delicatamente dall’alto finché il caschetto si sfila.
“Ahi! Credo proprio che abbia bisogno di crescere ancora un bel po’”, si lamenta la regina strofinandosi le orecchie, poi si rinfila la finta corona, ma ciò non la aiuta più a tenere a posto capelli e trecce, ormai definitivamente scompigliati dalla corrente d'aria. Alza gli occhi verso la copertura, sentendo il rumore della pioggia battente sulle membrane diafane; ora nota che i loro sottili telai vibrano sotto le folate irregolari.
“E’ perché quei caschi sono fatti sul calco della testa delle Nemesis”, spiega Will accostandosi e alzando la voce. “Il cranio è diverso da quello di Elyon, ma è uguale a quello della nostra nemica Will”. Per dimostrarlo, la guardiana si infila il casco senza grosse difficoltà, a parte i capelli rossi che il vento le ha spinto sul viso. “Visto?”.
La regina annuisce convinta. “Non vedo l’ora di finire questa recita, per poterlo indossare!”.

D’improvviso, un forte lampo si riflette sulla visiera, e proietta nel capannone macchie di luce verde e azzurrina, separate da una complessa e sottile trama d’ombra. Per un momento, gli scintillii si intensificano anche su tutti gli oggetti sotto gli archi.
Togliendosi il caschetto, Will osserva il cielo facendo con una smorfia di disappunto, come rendendosi conto di un problema. “Ahi, Dora, temo di averti trascinata in un piccolo guaio”.
“Perché?”, chiede preoccupata l’altra.
“Perché, qui dentro, le coperture ci schermano dal potere di Vera”.
Quando afferra tutte le implicazioni, la regina esala: “Oh, no!”, lasciando cadere le spalle sconsolata. Per potersi teletrasportare a palazzo, devono prima lasciare questo luogo e il debole riparo che esso pur offre da questo fortunale.
In quello, un fulmine colpisce in pieno la copertura. Nel frastuono, lo scintillio elettrico si diffonde lungo le sottili nervature nere. Per qualche secondo, i baluginii sugli oggetti si trasformano in vere aure luminose.
Le due sentono un breve formicolio, come di corrente elettrica, nelle gambe.
Will scambia un'occhiata preoccupata con la sua compagna. “Altezza, spero proprio che tu non avessi ragione, sulle radiazioni”.



Sotterranei del palazzo reale

La luce grigia che viene dalle bocche di lupo vicino al soffitto si è gradualmente attenuata. La penombra, appena mitigata dalla fosforescenza verdina dalle pareti, ha avvolto il grande locale sotterraneo.
Per un attimo, il bagliore attenuato di un lampo rischiara il locale, creando giochi d’ombre inquietanti, e un tuono rimbomba smorzato.
Irenior alza gli occhi: il tempo si sta mettendo proprio male, là fuori.
Si guarda in giro. Con questa penombra, i trattorini allineati lungo le pareti sembrano gusci di insetti davanti ai quali brillano, come occhi fissi e vuoti, le parabole dei fanali. I vomeri di diversi aratri, rivolti verso l’alto, sembrano pungiglioni lucenti di grossi scorpioni meccanici usciti da qualche anime di fantascienza a minacciare il mondo.
Questo posto è inquietante. Irenior vorrebbe far accendere i pannelli bianchi in alto sulle pareti, ma per qualche motivo non rispondono mai alla sua volontà, come se ricambiassero la sua antipatia per quel luogo e per il ruolo di esperta in agraria che le è stato affibbiato suo malgrado.
Per ingannare l’attesa che si prolunga più del dovuto, Irenior inizia a fantasticare sulle bellissime cose che potrebbe fare, se solo le fosse concesso di accompagnare Carol nei suoi viaggi di lavoro sulla Terra; ma Vera ha temuto che non sarebbe più tornata indietro, e forse non aveva tutti i torti: negozi colmi di ogni bontà e ogni bellezza, strade piene di vita e di splendidi ragazzi…
Ricorda vagamente che anche lei aveva un ragazzo prima di quella loro fuga improvvisa, ma non riesce più a richiamare il suo viso e il suo nome, né le sensazioni che le dava stare con lui. E’ certa, però, che fosse bellissimo. Pochi dubbi che la Grande Sorella abbia messo lo zampino nella sua memoria, come al solito senza chiederle alcun consenso.
Invece ricorda bene Michael, l’uomo di Vera. Era stata proprio Irene a spingerla tra le sue braccia, tanto era troppo grande per lei stessa. E ora Vera non si ricorda neanche più di lui… Certe volte non le sembra del tutto lucida. Per esempio, perché ostinarsi a negare che quello che Carol opera per andare sulla Terra è un teletrasporto e insistere che è un 'salto dimensionale', quale che sia la differenza tra le due cose? Forse per nascondere che è qualcosa alla portata di tutte loro?

Un debole baluginio davanti a lei la distoglie dai suoi pensieri; subito dopo, la luce abbagliante di due fari materializzati dal nulla le fa socchiudere gli occhi.
“Ehilà, polpetta! Ti piace stare al buio?”, la saluta Carol scendendo dal Land Rover rappezzato, mentre i pannelli luminescenti alle pareti inondano il locale di luce bianca.
Dall’esterno, un tuono sembra rispondere a quella domanda ironica.
“Per Giove”, fa Carol, “Pioggia a Midgale, e temporale anche qui!”.
In tutta risposta, Irenior le chiede indispettita: “Ma come fai tu ad accendere i pannelli, biondona?”.
“Devi pensarlo in meridiano”, le risponde in sua vece Nemesis Dodici, scendendo dal posto di guida.
“Ciao Diana! Niente nuove bozze sul paraurti, stavolta?”.
“Neanche una”, risponde con orgoglio, poi va ad aprire il portellone posteriore.
“Dilla tutta, Diana!”, la pungola Carol, “E il fanalino del furgone?”.
“Che furgone?”, chiede Irenior seguendole fino dietro al fuoristrada.
“Quello con cui ci muoviamo a Midgale e dintorni per andare a comprare gli oggetti più ingombranti”, risponde la Nemesis. “Li facciamo caricare nel vano prima di rimpicciolirli. Carol non può certo farlo di fronte ai venditori”.
“Immagino”, ridacchia Irene un po’ invidiosa, e recita: “Scusi, avrebbe sei motocarri di giornata? Sì, sei soltanto. Sa, di più non me ne stanno in borsetta”. Mentre attende un plauso che nessuna delle altre le tributa, le osserva sollevare senza sforzo diversi trattorini, aratri ed erpici grandi come giocattoli e allinearli con cura lungo la parete, a rispettosa distanza l’uno dall’altro.
Poi Carol si avvicina e fa un gesto come benedicente, pronunciando parole inudibili.
Subito dopo, tutte le attrezzature cominciano a crescere a vista d’occhio, mentre un rumore di stridio di gomme sul pavimento risuona tra le pareti nude del grande locale.
Irenior chiede: “Biondona, come mai queste macchine crescono così velocemente, mentre quelle di Vera sono quasi tutte sotto gli archi da un anno buono?”.
“Perché quelle di Vera sono state create piccole, no?”, risponde questa come cosa ovvia. “Così, per crescere, devono acquistare massa dall’aria, e questo comporta, tra l’altro, reazioni di fusione nucleare. Queste qui, invece, hanno già un credito di massa, perché sono state rimpicciolite solo per essere trasportate”. Mentre osserva gli oggetti completare in breve la loro crescita tra stridii lamentosi, aggiunge: “Scherzi a parte, non è che trasportare dei grossi oggetti rimpiccioliti sia tanto meno rischioso che lasciar guidare Diana. L’incantesimo del rimpicciolimento è instabile, e gli oggetti tendono a riprendere spontaneamente la loro grandezza originale. Ti lascio immaginare se succedesse mentre li portiamo in macchina!”.
A Irenior viene da sorridere. “Immagino i titoli dei giornali!”.
“Non so se riusciremmo più a leggerli”, le risponde Carol con una smorfia di disappunto, “Spero che il gioco valga la candela, almeno”.
“Ma certo!”, la rassicura Irenior. “Con queste attrezzature, potremo far coltivare parecchi campi di scolza per farci del biocarburante!”.
“Si dice colza”, la corregge Carol, “Meno male che sei tu l’esperta in agraria! E poi, cosa ci faremo con tutto quel carburante?”.
Ammiccandole, Irenior le risponde: “Ovvio: ci faremo andare i trattorini!”.



Altopiano sopra Meridian

Scortato da due soldati cupi e silenziosi, Gathrop cammina a capo chino sotto la pioggia sferzante. Quando lo hanno prelevato nel suo negozio di tappeti, ha protestato la sua innocenza fino a sgolarsi. Ma sembrava che a loro non interessasse neppure se fosse colpevole o meno di qualcosa, né lui, né gli altri prigionieri ammanettati con lui alla stessa fune. Non importava neppure alla guardiana dalla pelle giallina che procede in testa alla colonna, mentre vento e pioggia si aprono attorno a lei come deviati da una cupola invisibile.
“Ma dove ci portate?”, chiede lamentoso un altro prigioniero, i vestiti fradici incollati al corpo esile.
“Lo saprai tra poco”, grugnisce infastidito un soldato da sotto il cappuccio del mantello.
Gathrop immagina già dove andranno: da settimane in città si bisbiglia con timore di un tetro luogo recintato sull’altopiano, a meno di un’ora di marcia dal palazzo.
La sinistra costruzione è già visibile in distanza come una sagoma scura, offuscata dalla pioggia.
Avvicinandosi, si può distinguere una rada palizzata intrecciata di rovi, due torri di sorveglianza vuote che oscillano agli schiaffi del vento e una serie di baracche di legno.
Al loro ingresso, quando i cancelli si aprono per farli entrare, un’altra guardiana li studia ostile attraverso la cortina di acqua piovana deflessa attorno a lei.
I due soldati dapprima tentano di sciogliere i nodi delle funi ormai gonfie d’acqua, poi ci rinunciano con stizza e li recidono con le spade mal affilate; infine spingono di malagrazia i prigionieri in un capanno, che chiudono dall’esterno con un’asse di traverso alla porta.

Grondante e timoroso, Gathrop si guarda attorno. Questo luogo è già affollato, e riconosce diverse persone sedute sulle panche, raccolte attorno alla fioca e calda luce di due lanterne a olio.
Un uomo calvo e dalla pelle azzurrina emerge da un angolo in penombra. “Anche tu fra noi, Gathrop?”.
“Golupos!”, lo saluta riconoscendo il suo amico, “Da quanto tempo sei qui?”.
“Da stamattina”, risponde tra i denti, spingendolo verso un angolo più libero della baracca che scricchiola sotto il vento. Il rumore dello scroscio rende difficile capire le parole.
“Perché ti hanno portato qui?”, gli chiede Gathrop.
L’altro fa una smorfia quasi d'indifferenza. “Probabilmente non lo sanno neanche loro. Sembrano arrestare la gente a caso. Forse non ti hanno neppure letto i pensieri: se dovessero arrestare tutti quelli che sono scontenti di come si stanno mettendo le cose, farebbero prima a cingere di rovi intrecciati e di torri di guardia l’intera Meridian”.
“Ma tutto ciò non ha senso!”, si lamenta a mezza voce il commerciante.
L’altro si accosta ancora di più, e sussurra: “Però non è quell’orrore che può sembrare. Più che altro è una farsa. Appena scende la notte, le guardiane se ne vanno, e i soldati si ritirano nel posto di guardia a giocare a dadi, chiudendo un occhio e mezzo. E’ molto facile evadere da qui: se non gli passi proprio sotto il naso non si voltano neanche a guardarti, e le recinzioni hanno varchi che nessuno si è mai dato la pena di chiudere”.
“Davvero?”, fa stupito Gathrop. “Mi pare impossibile!”.
“Credimi, te lo dico perché sono già evaso tre volte in tre settimane”.
Lo guarda scettico. “Eppure sei ancora qui!”.
“Si, ma non ci sono mai rimasto una notte intera. E poi, anche quando mi hanno arrestato di nuovo, sembrava che a nessuno importasse neppure che ero già evaso, e non hanno preso alcun provvedimento in più”.
Gathrop scuote il capo, confuso e incredulo. “Ma è assurdo! Come si spiega?”.
L'altro si stringe impercettibilmente nelle spalle. “E’ difficile spiegarsi il casino degli ultimi mesi. Io penso che neppure i soldati credano in quello che stanno facendo”.
“E le guardiane?”, chiede il commerciante sottovoce, come timoroso di pronunciare quel nome.
Ancora un impercettibile alzata di spalle. “Sono le stesse guardiane che hanno combattuto contro di loro ai tempi di Phobos. Immaginati quanto saranno entusiasti, i militari, di dover obbedire ai loro ordini!”.
Gathrop lo scruta dubbioso: “Ma… mi sbaglio, o una volta proprio tu mi avevi detto che sia la Regina che le Guardane sono delle impostrici? Cioè, che non sono quelle vere?”.
L’altro mette le mani avanti. “Io? Mai detta una cosa del genere! Forse eri tu a sostenerlo, o forse Caleb. Ma lo sai che lui aveva dei motivi personali”.
Gathrop cerca di ricordare: lui, avere sostenuto una teoria così strampalata? Impossibile! Ma, da buon commerciante, si guarda bene dal contraddire il suo interlocutore, e preferisce cambiare discorso. “Ma come mai la Regina e le Guardiane non hanno creato una qualche barriera magica attorno al campo?”.
Golupos scuote il viso, perplesso. “Non so… forse alla Regina non interessa davvero… forse ha dato l’ordine e poi se ne è dimenticata, oppure non le hanno mai detto delle evasioni”.

“O forse non riesce più”, biascica un altro interlocutore che si è avvicinato, una persona china e dal viso liscio a striature nere, nascosto sotto un cappuccio marroncino ancora asciutto. “Forse qualche vizio o qualche maledizione ha appannato i suoi poteri, oltre alla sua lucidità”.
I due, insospettiti, si zittiscono e distolgono lo sguardo: il discorso si sta facendo pericoloso.
Il terzo intervenuto sorride impercettibilmente sotto il cappuccio, poi si sposta ad ascoltare la conversazione di un altro gruppetto.

Dopo un po', Golupos va a sedersi in un angolo libero di una panca.
Gathrop scruta fuori da una finestrella chiusa da una griglia metallica mal fissata. E’ triste: la bella favola della Luce di Meridian, la reginetta benevola dai poteri quasi divini, si sta lentamente trasformando in una cupa farsa.
Le voci dei soldati, all’esterno, si allontanano, mentre il cielo temporalesco scivola sempre più su tonalità vicine al blu scuro.
Nella baracca dei soldati, la luce arancione delle lanterne riverbera sempre più evidente nella sera.
Gathrop torna ad accostarsi a Golupos seduto, si accoscia accanto a lui e gli sussurra: “I soldati si sono ritirati a giocare a dadi. Mi mostri come si può uscire di qui?”.
In quel momento, dalle finestrelle entra il sinistro bagliore di un fulmine che cade poco lontano. Il boato del tuono lo segue immediatamente, scuotendo la debole struttura della baracca.
“Abbi pazienza, Gathrop”, fa l'altro, invitandolo con un cenno a sedere lì accanto, “Ci saranno momenti migliori per questo”.



Taverna La campanula d’oro, periferia sud di Meridian

L’omone calvo dalla pelle azzurrina, seduto a un tavolo della locanda, occupa quasi due posti sulla panca. Come se attendesse qualcosa, indugia a lungo davanti al suo grosso boccale di malto e latte speziato che ormai ha smesso di fumare.
Guarda fuori dalla finestrella. Il palazzo reale, lontano sulla rupe oltre il centro città, si vede deformato attraverso i vetri irregolari e la pioggia. L’uomo nota che, quando muove la testa, sembra che l’immagine del maestoso edificio esegua una danza fantasiosa e si stacchi dal suolo.

Nel locale entra un nuovo avventore. Sotto il cappuccio fradicio si intravede la pelle di color verde e una corta barbetta grigio ferro che dà una sagoma quadrata al viso. Vathek si chiede, sbirciandolo con discrezione, se sia colui che aspetta di incontrare.
L’uomo si siede al tavolo accanto al suo. Dopo aver ordinato con voce roca e irriconoscibile del succo di melopea caldo, estrae un mazzetto di carte da gioco gonfiate dall’umidità e inizia un gioco solitario.
Vathek lo osserva con la coda dell’occhio: l’avventore sconosciuto inizia tre volte una partita, e per tre volte la interrompe quasi subito, rimescolando le carte.
E’ proprio il segnale convenuto. E’ lui!
L’omone, senza più guardare l’avventore, gli avvicina il più possibile il suo testone, e apre la sua mente alla debole, furtiva comunicazione dell’altro.
Ciao, vecchio mio’.
Ciao, Caleb’.
Niente nomi! Che novità mi racconti?’.
Che le cose in città vanno sempre peggio, Ca…. Sempre in più ritengono che Elyon sia impazzita o succube delle guardiane. Non ha ancora fatto spargere sangue come Phobos, ma il suo agire appare ancora più irrazionale e capriccioso. Corre voce che perfino i vertici dell’Esercito comincino ad averne abbastanza di certi ordini insensati e contraddittori’.
Caleb attende a rispondere mentre il locandiere gli porta al tavolino un grande boccale fumante. ‘Non so dove vogliano arrivare, quelle lì. Ma tu, hai continuato a ripetere a tutti che la vera Elyon è in esilio?’.
Vathek lascia finire il rimbombo di un tuono prima di rispondere.‘Negli ultimi tempi non è che si possa ripetere liberamente una cosa del genere. Ho continuato a pensarlo, sperando che lo captino’.
Continua. L’ultima cosa a morire è il pensiero’.
Belle parole. Però all’inizio di questa faccenda l'ho detto a tanti, dell’esilio. Sul momento mi sono sembrati convinti, ma poi, a distanza di settimane, tutti avevano cambiato idea’.
Perché?’.
Mi hanno obiettato in tanti che tu non sei una fonte… come dire… obiettiva, disinteressata'.
Caleb storce il viso, amareggiato. ‘ Il veleno di quelle streghe ha attecchito!’.
Forse, o forse li hanno manipolati uno per uno. Comunque i più credono che questa Elyon sia quella vera, cambiata dopo undici mesi di lavaggio del cervello da parte delle Guardiane e di trip di konnestras nel suo giardino. Insomma, non pochi sospettano che l’Oracolo di Kandrakar sia diventato il vero padrone occulto della città’.
L’avventore incappucciato ha uno scatto di nervosismo. ‘Ma è insensato! Perché dovrebbe?’.
Nessuno mi ha dato una risposta convincente. Però è nell’aria’.
Plagiati da Vera e dalle sue tirapiedi!’.
Calma, non pensare così forte. Comunque Vera ha curato molto la sua immagine pubblica. Presenzia al consiglio, guarisce i malati… Ha stupito tanto la sua sincerità, quando ha ammesso pubblicamente di essere stata creata da Elyon’.
Non che potesse negarlo. Era ben noto che la Regina Adariel non avesse altre figlie’.
Però sarebbe stato credibile che qualcuno dei maschi Escanor avesse figlie segrete sulla Terra, che sarebbero sempre definibili come cugine o sorelle di Elyon’.
E di Phobos’.
Già… La profezia’, pensa Vathek, guardando ancora dalla finestra. Ora che è quasi buio, il temporale sembra sul punto di esaurirsi. Piove ancora, ma almeno il vento non sbatte più le gocce contro il vetro.
Caleb sospira, sempre fingendosi assorto nel suo solitario a carte. ‘Non vedo l’ora che quest’anno fatidico passi, e che Elyon, quella vera, torni a mettere fine a questa parodia’.
Un anno… mancano ancora sette mesi. La famosa profezia dice che sarà proprio Elyon a mettere fine alla tirannia?’.
Veramente dice solo quando finirà, non come’.
Te lo chiedo, Cal… Te lo chiedo perché temo che, se le cose vanno avanti così, forse la città si rivolterà e si libererà da sola. Se fosse così, poi la vorrebbero ancora per regina?’.
Posta questa domanda, Vathek si volge con circospezione e guarda Caleb a lungo, attendendo una qualche risposta. Vede un ultimo lampo illuminargli il viso e gli occhi assorti, che solo ora riconosce con sicurezza come quelli dell’amico.
Il silenzio viene riempito solo da un tuono lontano.





  
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