Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: chaska    16/03/2011    2 recensioni
L’ubriaco si fermò di nuovo, e stavolta non cercò di ricordare quale verso seguisse quale. Si accasciò contro un muro e bevve un altro sorso da quella bottiglia. Ma che cosa stesse bevendo ancora non lo sapeva.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
hammer song Rating capitolo: Verde, smeraldino, trasparente ò_o
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra) - Francis Bonnefoy (Francia)
Osservazioni personali: Oh poffarbacco, è la prima volta che scrivo qualcosa su Hetalia, la prima in assoluto! °-°" Va beh che sono nota per le mie scarse qualità di scrittrice, ma se leggete questo sclero senza senso e lasciate un commentino mi renderete la persona più felice al mondo °-° Ah, il tutto è nato da questo video, e le citazioni sono di quella fantastica canzone, e la traduzione altrettanto fantastica è stata fatta da Subaru.

Hammer Song

Era una bella notte quella, l’aria fresca sembrava per una volta esente dagli opprimenti fumi grigi di Londra, per una volta. Le stelle scintillavano nel cielo nero, nemmeno le avessero accese due secondi prima, e la luna faceva da padrona, altera e superba come sempre.

 
Sempre più forte, sempre più forte
risuona una voce che canta nella torre del dolore

-Gooood save the queen!-

C’era da dire che Londra era veramente lugubre, perfino lui doveva ammetterlo.
Eppure era bella. La cosa più bella che potesse desiderare.

 
-
Haaaappy and gloriouuus, long too reign over uus..-

Il biondo fermò quel suo canto stonato, un canto da ubriaco, per qualche secondo. Lo sguardo era perso nel vuoto, ben oltre il limite concessogli dalla visiera del cilindro che indossava storto.

-Shit..Goooooooood save the queen-

Le parole che seguivano quei tre miseri versi restavano a lui oscure, ma non importava. Veramente. Anche se era il suo inno, non importava.

chi è la persona che sta tremando lassù,

aggrappata alla vetta?

 E continuava in quel suo stonato canto, mentre barcollava per uno dei più lerci vicoli londinesi. Il sudiciume pareva fargli da tappeto, mentre il nero mantello lo seguiva strascicando ai suoi piedi, e la bottiglia veniva sballottata al ritmo di quell’inno mancato.

 -Gooood save the Queen Elizabeth!-

Piccoli dolori che non riuscivo ad abbandonare,
nonostante volessi lasciarli,
si sono accumulati.

 L’ubriaco si fermò di nuovo, e stavolta non cercò di ricordare quale verso seguisse quale. Si accasciò contro un muro e bevve un altro sorso da quella bottiglia. Ma che cosa stesse bevendo ancora non lo sapeva.
Elisabetta. Al suo pensiero fece una risata strana, una di quelle che a ben pensarci non hanno nessun motivo d’esistere.
Lei si che era una vera donna. L’unica che ha saputo condurre il suo popolo verso la vittoria. L’unica che ha saputo farlo crescere.
Perché il tempo era così inesorabile?

Li ho conservati sempre tutti,
e alla fine sono arrivato a riempirne una scatola.

 Cercò di continuare a cantare il biondo, mentre scivolava lentamente, ora a qualche centimetro dalla sudicia pietra che piastrava la strada.
Gli occhi gli si illuminarono, allora. Si vedeva il Tamigi da lì, il grande e maestoso fiume da cui tutta la sua grandezza era partita. Da lì il suo impero aveva avuto inizio, insieme a tutti i suoi dolori.
Chissà com’era l’acqua a quell’ora?

Sai, ormai non mi provocano neanche più sofferenza,
però se qualcuno mi vedesse,
avendo almeno questi, chissà…
non potrebbe essermi concesso
di venir trattato con un po’ di dolcezza?

 Certo, era notte…però un bel tuffo non gli pareva una cattiva idea. Sarebbe stato bello, cantare l’inno della regina Elizabeth mentre nuotava nudo. Magari avrebbe convinto quell’unicorno in fondo al vicolo ad unirsi a lui.
Un'altra risata, questa volta più forte, si fece strada nella sua gola, mentre si alzava verso il suo amato fiume. O almeno così credeva, invece scivolava sempre più verso terra, finendo per toccare il suolo.
Tamigi…ricordava che ne aveva paura un tempo, ma in quella grande isola si sentiva terribilmente solo. Voleva vedere chi c’era in quel pezzo di terra che scorgeva dai suoi confini. Magari lo stava aspettando.

 -Francis…stupid frog..-

 Raccogliendo anche i dolori che avevo abbandonato
ho riempito fino all’orlo intere scatole.

 Si accorse fin troppo presto che la gola era ormai secca, quindi alzò la mano destra e portò sgraziatamente alle labbra la bottiglia, bevendone il liquore che ne usciva e lasciandone scivolare alcune gocce per la gola.
Era ubriaco fradicio, ed era contento di esserlo.
Era un re lui, era un re e doveva fare tutto. Anche ubriacarsi, ed andare a nuotare.

 -Eeeeeehi sir unicornoooo!-

Abbandonò la mano destra a terra, sempre stringendo la fidata bottiglia fra le dita, mentre muoveva convulsamente la sinistra, come a voler richiamare l’unicorno seduto davanti quel bar. Perché non veniva da lui?! Si sarebbero divertiti, e se avrebbe portato da bere sarebbe stato anche meglio, seh.

 Guardando di sfuggita
le persone che mi passavano accanto
ho riempito dieci scatole

 Continuò a gridare, ma l’amico unicorno non voleva proprio avvicinarsi.

 -Peggio per te! Damned stupid!

 Alla fine abbandonò la bottiglia per terra, mentre distolse lo sguardo da quel traditore d’un cavallo mal riuscito e si rannicchiò su se stesso di lato, quasi a sdraiarsi in quel buio vicolo di pessima categoria. Socchiuse gli occhi, aspettando che qualcosa succedesse, o anche di addormentarsi.

 -Codardi…mi abbandonate sempre…-

 Lamenti di un ubriaco, solamente quelli, ma almeno questa è una delle rarissime volte in cui è sincero. L’alcool ha un effetto liberatorio sul biondo, in effetti.

Gli occhi erano ormai chiusi del tutto su quel volto arrossato dall’alcool, quando si sentì un rumore lieve, come di vetro, eppure l’inglese non se ne accorse nemmeno.

 Ho capito, anche così non è ancora sufficiente
è come se fosse invisibile agli occhi di tutti,
in questo caso dovrò renderla sempre più alta
così che potrà essere vista dal mondo intero!

 Avvicinò quella bottiglia al viso, con un’aria alquanto disgustata.
Scotch, vodka e…cos’altro? Non riusciva a distinguere nulla, in quella miscela letale di liquidi.

 -Aah, mon cherie. Quando bevi devi sempre chiamarmi.

 Disse sconsolato, mentre versava il liquido sospetto sulla nuda e sudicia pietra e poi abbandonava la bottiglia ormai vuota lì vicino.
Adesso almeno nessuno l’avrebbe raccolta e bevuta, non poteva fare più danno.

 -Petit Angleterre, ancora ti ostini a non bere vino, mh?

 Parlava all’altro biondo, cosciente che stesse dormendo in quel momento, e cosciente anche di non poter semplicemente tacere.
Si avvicinò all’inglese, guardando lo stato in cui si trovava. Era rannicchiato come un bambino, il mantello si allargava fino a raggiungere i piedi del francese e il cilindro era rotolato qualche passo più in là. Si formò un sorriso intenerito sulle sue labbra, a guardare il suo petit Angleterre col volto reso rosso dall’alcool ed i capelli disordinati, dormire come il più piccolo degli infanti.
Fece ancora qualche passo, scostando il pesante mantello d’egli, e si abbassò per poter essergli più vicino.
Adesso la cosa che più notava era il tanfo che lo impregnava, lo stesso sconosciuto di prima.
Il sorriso s’accentuò, mentre gli sfiorò con due dita la spalla. L’inglese rabbrividì appena e continuò il suo beato sonno, per il divertimento del francese.

 Sempre più alta, sempre più alta
la torre del dolore che raggiunge anche gli uccelli

 Senza difficoltà alcuna lo prese prima per le spalle, e poi fra le braccia, libero così di riportarlo a casa, ed il tutto senza che il dormiente aprisse occhio.
Si diresse così il biondo verso il Tamigi, che in quella notte risplendeva dolcemente della luce della luna. Non era certo sua intenzione camminare ancora per vicoli bui e lerci, e sicuramente era meglio far respirare aria pulita ad Arthur. E poi cosa c’era di più romantico di quel paesaggio?
E così fece Francis, camminando verso la maestosa residenza dell’inglese, mentre gli occhi erano incatenati al volto dell’altro. Era uno spettacolo raro quello che aveva di fronte, e voleva imprimerselo al meglio nella mente. Chissà quanti secoli sarebbero passati prima di poterlo avere nuovamente per sé?

 -Francis..-

 Il francese si fermò per un attimo incredulo. Gli era sembrato che si fosse svegliato, eppure gli occhi erano ancora chiusi, ed il respiro pesante. E poi era stato fin troppo educato.

 -Oui, mon Angleterre?-

 L’inglese si agitò appena, mentre Francis continuava a camminare, stavolta lo sguardo posato verso le case lontane che riusciva a scorgere in quella fredda notte londinese.

 -Uhm…Francis….-

 Per un attimo il silenzio si fece pesante e tangibile. Forse un po’ troppo.

 -W-WHAT?! Y-You stupid pervert! Lasciami andare subito!-

 Il francese si sciolse in una calda risata, mentre abbandonava il braccio che sosteneva le sue gambe e lo lasciava libero. Ma vedendo come fosse vicino ad un’inesorabile caduta, lo sostenne mettendo un braccio sotto le sue spalle.

 -Ben svegliato, Angleterre.-

 chi si crede di essere la persona
che ne scala la vetta sentendosi un re?

 -Shut up, frog.-

 Disse seccamente, mentre appoggiava la testa alla sua spalla, il volto ancora in fiamme e gli occhi che sfuggivano verso il suolo.
Riprese a camminare Francis, accompagnando e sorreggendo Arthur, capendo come l’altro fosse ancora fortemente ubriaco.
Ed accettò l’ordine datogli. Perché Arthur era il suo piccolo re, ed ogni sua parola era un sacro ordine da rispettare. Si concesse un solo sorriso.

 Ho guardato in basso verso gli spettatori curiosi
che si chiedevano a bocca aperta
di cosa si trattasse.

 -Cosa sei venuto a fare?-

 Gli chiese, il volto ancora rivolto al suolo, e la mente impegnata in chissà quali pensieri, con scarso senso logico, presupponeva.

 -A salvarti dalle grinfie dell’alcool. So come ti riduci ogni volta che bevi anche un bicchierino di barbon.-

 -Stai zitto ti ho detto. E poi non sono ubriaco!-

 -Ah no?-

 L’inglese alzò lo sguardo, incontrando quello del francese intento a deriderlo con quel sorriso così strafottente.
Abbassò il capo e si mise ad insultarlo in lingua madre, con parole che l’altro non fu ben sicuro di comprendere. Eppure andava bene così, lui era il suo Arthur.

 Pensando che visti da quassù
sembrano proprio delle formiche
ho riempito la centesima scatola.

 Ben presto quello scambio di battute, così normali per le due nazioni, lasciò spazio ad un profondo silenzio.
Camminavano a qualche metro di distanza dalla ringhiera che li divideva dalle fredde acque del Tamigi, mentre una lieve e gelida brezza si faceva largo sui loro volti in quella strana e silenziosa notte londinese.
L’inglese teneva ancora il volto appoggiato alla spalla del francese, mentre gli occhi erano ritornati chiusi, e l’espressione pareva un po’ più serena in quel momento.
Sospirò Francis nel constatare come fosse riuscito nuovamente ad addormentarsi, specialmente in quelle condizioni.

 -Sono sulla vetta, sai?-

 Si sorprese nel sentirlo parlare lì, con gli occhi chiusi e l’aria dormiente.

 -Oui, mon cheri?-

 Voleva che continuasse a parlare. Bisogna sempre ascoltare un ubriaco, perché solo allora il suo cuore non ha barriere, e parla sinceramente.
Se poi è Arthur, allora il consiglio vale il doppio.

 A voi tutti che siete radunati,
questo è il mio dolore!

 -Yes, frog.-

 Incredibile come anche in un momento di tale incoscienza continuasse ad insultarlo, ed è inutile dire che Francis ne rimase un po’ deluso. In un certo senso sperava in qualche parola dolce, ma dopotutto Arthur era anche quello.

 -Sotto ci sono troppi…troppe cose.-

 In quel momento le sue folte ciglia si aggrottarono, troppe emozioni e troppi ricordi di una vita intera lo stavano assalendo nello stesso istante.
Ai suoi piedi c’erano millenni di storia, di dolori che non riusciva a reggere da solo.

 -C’è India proprio sotto di me.-

 -È una tua colonia, la più importante.-

 Cercava Francis di farlo parlare di più. Dalla bocca dell’inglese uscivano solo parole frammentate, aveva bisogno di dar loro un senso.

 E io mi trovo ad un’altezza
alla quale la vostra consolazione
non può nemmeno raggiungermi!

 -È una mia prigioniera damned frog!-

 Arthur s’irrigidì e si fermò dal camminare, talmente era adirato dal fatto che Francis non lo capisse. Dannazione, era tutto così semplice, perché non capiva.. perché non riusciva a vederlo?

 Francis dal suo canto riprese a camminare, addolcendo la presa sulla spalla di Arthur con l’intenzione di farlo calmare.

 Senza ombra di dubbio io sono speciale
qualcuno che tutti dovrebbero ammirare.
È perché sono stato scelto dal dio della solitudine
che sono arrivato nel mezzo di questo paesaggio.

 -C’è anche Alfred.-

 Non ne sapeva il motivo, ma Francis già sapeva che doveva esserci pure lui.
Alfred, il suo piccolo fratello. Ogni volta che ci pensava, ricordava solo le immagini di quando era piccolo. Le risate per le sue storie su fate e folletti, il suo piccolo volto prima di addormentarsi, la felicità che provava quando erano insieme.
E il dolore al petto di quella giornata di pioggia.
L’aveva abbandonato, era un traditore. E faceva troppo male.
Ed ogni giorno doveva sopportare quel dolore tanto simile alla morte, e continuare a vivere.
Non era giusto.

 -E poi ci sei tu, Francis.-

 Sempre più alta, ancora più alta
la torre del dolore che raggiunge anche le nuvole

 -Moi, Arthur? Sono sempre stato al tuo fianco. Non ti ho mai abbandonato.-

 Adesso era il francese ad essere confuso. Era sin dalla loro nascita che ammirava quell’isola sconfinata che scorgeva dai suoi porti più a nord. Qualcosa di irraggiungibile, di perfetto nella sua superiorità.
Qualcosa da ammirare, da coltivare.
Qualcosa da amare.
Cosa stava dicendo dunque?

 -Tu sei quello più grande Francis. Tu sei quello più difficile, damned.-

e il re che, sentendosi dio
siede sulla vetta a gambe incrociate.

 Il francese non disse nulla. Non capiva, quindi non diceva nulla. E con l’espressione di chi non si capacita di cos’abbia fra le mani, continuava a camminare.

 -I..io, io ti ho fatto troppo male Francis. Ti ho tolto Seychelles, lei se n’è andata per colpa mia!-

 Una fitta al cuore colpì il francese. Adesso capiva, la sua Sesel. Per lui era una figlia, la sua più cara, e Arthur l’aveva condotta ad abbandonarlo.
Forse capiva cosa stava dicendo l’inglese.

 -Lei è ancora lì, a casa sua. Ormai questa è una vecchia questione, dimenticala.-

 Il tono dolce, perché davvero l’aveva perdonato, tanto tempo fa.

 -No, non è solo lei.-

 Francis era davvero una stupida rana, si ripeteva l’inglese in continuazione. Si ostinava a non capire.
C’erano troppi anni, troppe guerre, troppo sangue.
Battaglie, quante ne avevano fatte loro due! Il suolo dei due stati erano intrisi del sangue di troppi innocenti sacrificati in loro nome. Quanti ne avrebbero potuti risparmiare? Quanti errori potevano contare?

 Potevo sentire solo il suono del vento
mentre riempivo la millesima scatola

 -E c’è anche lei.-

 L’inglese si fermò, chissà per quale motivo. E Francis temette il peggio.

 -Lei..ti ho rubato Jeanne.-

 Jeanne. Eccolo, il colpo finale, ecco quello che Francis temeva.
Una ferita mai completamente chiusa.
E se il ricordo delle parole di Sesel facevano male, quello del volto di Jeanne erano mille frecce al cuore. Una semplice, graziosa ragazza, che sorrideva mentre prometteva di proteggerlo.
Che sorrideva sotto al sole, con l’armatura addosso e pronta alla battaglia.
Che sorrideva mentre la bruciavano viva, tutto per lui.

 guardando di sotto ho avuto le vertigini
e la scala che avevo appoggiato alla torre
è volata via.

 E Arthur in fondo non se l’era mai perdonato quello che aveva fatto. Lei non era morta in campo di battaglia, non era caduta con tutti gli onori che il popolo francese desiderava porgerle.
Era stata condannata da Arthur stesso ad ardere viva davanti gli occhi di Francis.
Arthur l’aveva uccisa con le sue stesse mani, e tutto per un simbolo, tutto per far soffrire il suo nemico.
Questo non se lo sarebbe mai perdonato, mai.
Gli aveva inflitto lo stesso dolore per cui lui moriva ogni giorno di più, se non mille volte peggio.

 E così sono rimasto davvero solo
come se fossi invisibile agli occhi tutti.

 Francis non disse nulla. No, stavolta aveva compreso tutto anche troppo bene. Solamente non riusciva a parlare.
E i due continuavano a camminare, ogni passo sempre più vicini alla residenza dell’inglese, con il vento che diveniva gelido ad ogni passo di più.

 L’inglese invece aveva finito di parlare. Era arrivato a guardare fino alla base della sua torre, e adesso, seduto sulla vetta nel suo trono dorato, non riusciva a scendere.
Era destinato a soffrire e a rimanere solo per tutta la sua esistenza?

 Avevo tanta paura che non riuscivo neanche a parlare

 
-C-c’è freddo quassù in cima, Francis.-

 Ormai Arthur era completamente stravolto dall’alcool, con gli occhi arrossati da qualcos’altro adesso, cominciava a delirare. Anzi, cominciava a dire fin troppo all’uomo che lo sosteneva, ed era troppo pericoloso quello.

 
ed è stato allora che all’improvviso
ho sentito la canzone del martello.

 
Francis allora reagì.
Arthur, nella sua intera esistenza era andato troppo oltre, aveva fatto troppo, anche più di quello che gli era permesso fare.
Qualcuno doveva svegliarlo da quel sonno ad occhi chiusi.
Dunque si fermò, e lasciò la presa.

 
Dal basso, in ordine,
ogni scatola veniva eliminata
e qualcuno cantava la canzone del martello

 
L’inglese rimase sorpreso da quello che fece il francese, non capendo nulla in effetti.
Barcollò per qualche secondo sulle sue gambe, per poi cadere pesantemente a terra.
L’effetto ancora vivido dell’alcool gli permise di non sentire alcun dolore al momento, l’unica conseguenza fu che si ritrovò con le spalle contro il suolo.
Allora aprì gli occhi, gli stessi che aveva tenuto chiusi fino a quel momento.
E vide le stelle, la luna e il cielo color pece.
Era magnifico.
E poi il volto di Francis fece capolino nella sua visuale, mentre sorrideva.
E Arthur non ci stava capendo nulla.

 “Vogliamo tutti parlare con te,
scendi alla nostra stessa altezza!”

 
-Hai finito di parlare, mon Angleterre?-

 L’inglese non disse nulla, ancora confuso dalle azioni del francese e dallo splendore del firmamento.

 -Hai parlato tanto, e hai detto cose vere. Eppure sono cose di tanto tempo fa, Arthur.-


Sempre più forte, ancora più forte

Il sorriso si fece ancora più largo, non lo stava deridendo, no.

-Le cose vecchie devono essere seppellite. Si, anche onorate, ma prima o poi vanne dimenticate in un cassetto.-

 risuona una voce che canta nella torre del dolore
e il dio col naso che cola
aggrappato alla sua vetta.

 
Il francese si abbassò sulle ginocchia e avvicinò il suo volto a quello dell’altro.
 

-Dicevi di essere su in cima, no? Lo vedi questo?-

E poggiò una mano sul suolo lastricato di pietra.

-Sei a terra, Arthur. Adesso sei alla mia stessa altezza, sei riuscito a scendere.-

 Il me stesso che pretendeva di sentirsi come dio
era l’opposto anche di me stesso.

 
L’inglese guardò il volto raggiante del francese, per poi soffermarsi sulla luna.
E chiuse di nuovo gli occhi, questa volta per addormentarsi sul serio.
Questa volta sorridendo sereno.

 Chi sono io davvero?

 
Francis sospirò stanco, mentre lo prendeva fra le braccia con cautela.
Finalmente sorrideva, ed anche se l’indomani mattina non avrebbe ricordato nulla, era sicuro che avrebbe sorriso sicuramente.
 

-Sei uno stupido, mon Angleterre- 

Disse mentre gli posava un leggero bacio sulle labbra ancora umide di alcool, e riportava il principe caduto alla sua magione.

  Post it

Oh. Oww. Alla fine l'ho scritto, ci ho messo due giorni, seh °-°" E alla fine ho avuto il coraggio di pubblicarlo.. Siate clementi con me, ditemi pure che fa schifo ma evitate di linciarmi please °w°" Ok, io mi vado a riparare, in caso di pietre xD E insomma, alla prossima *u*

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: chaska