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Autore: MrEvilside    17/03/2011    1 recensioni
[ Replica ]
Io sono Regina.
Sono la regina di cuori, vivo tra le rose e danzo per lui. Ballo e ballo, sorridendogli e contemplando il mio abito svolazzare tra gli steli verdi e le corolle rosse, ballo sino a quando sono tanto stremata che crollo in ginocchio così d’improvviso da tagliarmi le gambe nude con le spine.
Ma non ha importanza: non sono umana, la mia non è pelle autentica, non mi fa male.
«Ti sei ferita, Regina?»
Eppure lui si preoccupa.

[ partecipante alla Clash Of The Writing Titans con prompt "death character" ]
[ main: AAA/Regina one-sided ~ side: hints of Zenri/AAA♥ ]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primissima fanfiction su Replica del fandom italiano
Una AAA/Regina one-sided, con accenni Zenri/AAA ♥
Spero che qualcuno conosca, perché questi quattro volumi meritano davvero ♥
Lo dicono i cuoricini ♥
SPOILER del terzo volume, però.

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La bambola che piange
 
«Ecco, è pronto: il nuovo modello di Alice».
Parla da solo in un’enorme stanza vuota, fingendo che Zenri sia con lui, che lo stia osservando con interesse e curiosità mentre lavora, come ha sempre fatto. La verità è che è solo, solo dinanzi questa bambola che ha il volto di sua sorella e la mente di una sconosciuta. Le darà un nome – non Alice, naturalmente: Alice non può essere paragonata a questi giocattoli – perché la sua presenza sia almeno un po’ più sopportabile, dal momento che dovranno trascorrere insieme molto tempo.
«Buongiorno, Regina. Ben svegliata, bambina mia».
 
Io sono Regina.
Sono la regina di cuori, vivo tra le rose e danzo per lui. Ballo e ballo, sorridendogli e contemplando il mio abito svolazzare tra gli steli verdi e le corolle rosse, ballo sino a quando sono tanto stremata che crollo in ginocchio così d’improvviso da tagliarmi le gambe nude con le spine.
Ma non ha importanza: non sono umana, la mia non è pelle autentica, non mi fa male.
«Ti sei ferita, Regina?»
Eppure lui si preoccupa. Si accovaccia accanto a me e mi studia con attenzione per sincerarsi che il mio corpo non si sia graffiato. Poi sorride, sollevato – o, perlomeno, credo che un tempo quella smorfia sia stata un sorriso – e si rialza.
«Meno male, non è niente di grave. Puoi mostrarmi ancora come danzi?»
Mi prende una mano nella sua, calda, inguantata di bianco, mi aiuta ad alzarmi in piedi e fa un passo dietro, per lasciarmi lo spazio necessario a muovermi.
Si preoccupa per me, AAA. Quando cado, è sempre accanto a me per soccorrermi.
Fa tutto per me, AAA. Ha creato per me questo enorme giardino e ha piantato queste meravigliose rose scarlatte.
Eppure non credo che mi ami, AAA. Non sorride mai, non mi tocca mai se non è strettamente necessario e mai senza guanti, non mi parla mai con alcun genere di calore nella voce – né il calore di un padre, né di un fratello, né quello di un amante – e non sembra neppure accorgersi dei miei sentimenti.
Non vede quanto io sia sfinita e malgrado questo riprenda a ballare per lui, non sente il mio pianto, di notte, quando la nostra distanza mi affligge più che mai, non guarda altro che quella sua dannata macchina, all’ultimo piano di Alice. Soltanto allora i suoi occhi si colmano di un amore indescrivibile e le sue labbra vengono solcate da un sorriso affettuoso.
Io lo spio da dietro una colonna e mi chiedo se quell’espressione sarà mai tutta per me.
Se AAA sarà mai felice con me quanto io sono felice con lui.
«Oh, Regina, sei proprio brava» approva, applaudendo alla mia esibizione. Prendo due lembi del mio vestito e mi inchino con grazia, mentre lui mi scruta con quello sguardo intenso e malinconico che mi mette a disagio, come se volesse riconoscere qualcun altro, in questo corpo, che io non sono e non potrò mai essere. Mi fa una carezza sulla testa, un tocco fugace e privo d’emozione, quasi fosse dovuto a che io non lo tradisca mai – come se ce ne fosse bisogno, come se io potessi mai lasciarlo. «Ti voglio tanto bene, figlia mia».
Odio quando mi chiama così. “Figlia mia”. In fondo, per quanto lui possa essere anziano, abbiamo l’aspetto di due coetanei e, riconoscendomi come sua figlia, non fa che innalzare l’ennesima parete tra di noi.
«Tu non te ne andrai, vero? Non farai come Cal, che non ha voluto danzare per me nemmeno una volta, non è così, Regina?»
Me lo domanda sempre più spesso, di recente, e ogni volta il suo tono è così intriso d’aspettativa e desiderio nel pronunciare il nome di Cal che nessuno potrebbe pensare che AAA lo detesti per averlo abbandonato. E, sebbene io non abbia mai visto Cal, che è fuggito da Alice prima che io venissi costruita, so che lo odio come non ho mai odiato nessun altro.
«No, signore, io non me ne andrò».
Gli sorrido, anche se mentre lo faccio il mio cuore si riempie di odio e bile che quasi potrei vomitare, se avessi uno stomaco come ogni essere umano. Lui, nonostante sia il mio creatore, non se ne rende conto; ormai ho perso la speranza che prima o dopo possa farlo. Che possa vedermi per davvero.
«Che brava bambina» approva AAA, mi getta un ultimo sguardo nostalgico e mi lascia sola nel mio giardino. È davvero un bellissimo giardino, il cui suolo è ricoperto da un lenzuolo di rose.
Un bellissimo giardino, costruito soltanto per me. Per imprigionarmi in una gabbia dorata, di modo da rendermi felice e impedirmi di desiderare di lasciare il mio padrone. Mi distrugge riscoprire ogni volta, guardando questi fiori, quanto poco lui mi conosca: è davvero convinto che io potrei andarmene, come Cal – lui vede Cal in me, non Regina.
 
«Ah, è inutile!»
Colpisce con un pugno il tubo verticale in cui, a suo tempo, andrà inserito il nucleo per attivare Alice. Se ne pente l’istante successivo e sfiora con una carezza gentile il vetro infrangibile.
«Mi dispiace, Alice, scusami… Non voglio arrabbiarmi con te, ma Regina è così inutile…»
Appoggia la fronte contro il tubo, abbattuto, desiderando che esso sia il viso di sua sorella e al tempo stesso la spalla di Zenri.
Alice è morta, Zenri se n’è andato. AAA è un uomo solo.
È un vecchio abbandonato alla sua stessa pazzia.
«Non fa alcun progresso! Anche se lei è il nuovo modello, ricorrerò a Cal…»
Nascosta dietro una colonna, una bambola piange.
 
Io lo odio, lo odio.
Vedere il mio volto su di lui accresce ancor di più il mio odio, perché so che questo viso è anche quello di lei. Di Alice. Della donna che ha preso il mio posto nel cuore di AAA.
Perché questa stupida scimmia non si toglie di mezzo? Perché non mi lascia andare da Cal?
«Ti ammazzo!»
Lo distruggo, questo insulso vecchio modello che mi separa da lui. Dal fulcro dei pensieri del mio padrone, che io farò a pezzi per divenire la sua degna sostituta.
Grazie al vecchio che lo accompagna, però, questo burattino è potente.
E continua a ridere, ridere, ridere… Ride di me, come se sapesse ogni cosa, come se soltanto guardandomi avesse intuito tutto. Sebbene io sappia che lui è Sattsu, la bambola che ride – me ne ha parlato AAA nell’espormi il mio ruolo in questo suo progetto – non riesco a sopportare quel ghigno sul suo viso sfregiato.
Improvvisamente, in preda a non so quale istinto suicida, si infila a testa bassa tra le rose che mi circondano. Non sento quel che dice al vecchio, sembra che abbiano un legame molto stretto.
Forse, se anche io avessi fatto un patto con il mio padrone, adesso avremmo un rapporto simile.
Poi mi è davanti. Lui, con quello stupido sorriso. Mi colpisce.
Non ho neppure il tempo di capire che sto per morire: utilizzo l’ultimo colpo a mia disposizione per distruggere il suo nucleo, mentre lui manda in frantumi il mio e io cado riversa a terra, senza sapere bene cosa fare di quei momenti che mi restano grazie all’energia d’inerzia del nucleo.
A poca distanza da me, il vecchio è in ginocchio accanto a Sattsu.
AAA, al contrario, è da qualche parte a cercare Cal.
Chiudo gli occhi. Io non sono mai stata amata dal mio signore come questa scimmia è stata amata da quest’uomo, non sono mai stata degna di una così alta considerazione.
Ma perché? Che cosa ho fatto? È stato soltanto perché la prima emozione che ho appreso è stata l’amore e quella successiva la gelosia e non la paura, prima, e poi l’odio, come Cal? È stato perché non ne ho più apprese altre, se non l’odio, la rabbia e la disperazione che scaturiscono da questa gelosia non corrisposta?
Avrei dovuto essere come Cal per essere amata?
Non avrei mai potuto essere come lui. Non avrei mai potuto accantonare il mio amore per AAA, sebbene lui non l’abbia mai voluto. Ancora adesso, non saprei dire che cosa voglia davvero.
Forse soltanto la sua Alice, che però non tornerà mai da lui.
Mentre io, che sono una brava bambina, danzerò per lui per tutta la vita, anche quando avrò i piedi distrutti e l’abito ridotto a brandelli.
Io sono Regina.
Sono la regina di cuori, vivo tra le rose e danzo per lui. Ballo e ballo, sorridendogli e contemplando il mio abito svolazzare tra gli steli verdi e le corolle rosse, ballo sino a quando sono tanto stremata che crollo in ginocchio così d’improvviso da tagliarmi le gambe nude con le spine.
Ma non ha importanza: quel che rimane delle mie gambe sono fili scoperti e qualche pezzo di metallo. AAA non si inginocchia accanto a me, non mi chiede come mi senta.
Mi guarda. Attende.
Aspetta che io riprenda a danzare per lui, ancora e ancora.
 
Cal osserva l’ologramma in cui si riflette il volto di Manji, contratto dall’ira, quello teso di Shirahime e quello divertito di AAA. Quest’ultimo ha in mente soltanto il modo per insegnare a Cal la tristezza: non c’è altro tra i suoi pensieri, se non che Zenri è dentro Alice, come un tempo.
Regina dev’essere morta, non ha importanza ormai.
Gli è sempre risultato quasi insostenibile doverla guardare in faccia e vedere il volto bello e sano che sua sorella avrebbe dovuto avere di diritto e sapere che apparteneva, invece a una stupida macchina.
Non ci sono colonne dietro le quali nascondersi, questa volta.
Ma, d’altra parte, non c’è neppure una bambola che possa piangere.
 
  
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