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Autore: Silver Pard    18/03/2011    2 recensioni
Un’ombra vuota. Un idolo vacuo.
Tu la chiami tortura, ma in cuor tuo sai che è giustizia.
Genere: Generale, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Sephiroth, Un po' tutti, Zack Fair
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII, Advent Children
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(Stige) (La promessa)





Nonna – che non era davvero la nonna di Tifa, o la nonna di chicchessia, per quel che ne sapeva lei, bensì una donna saggia, una völva (ogni paese rurale ne ha una: un’anziana che preserva le antiche tradizioni. Gongaga ne ha una. Cosmo Canyon ne ha un’intera tribù) – le spiegò la natura del dolore del lutto quando era una bambina.

Sua madre era morta un anno prima, e non c’era bisogno di essere una donna saggia per leggere sul viso di suo padre che il dolore gli stava risucchiando la vita. Le si era seduta ai piedi e le aveva chiesto perché papà sospirasse tanto, perché le sembrasse che, trasportato alla deriva dalla tristezza, si stesse allontanando da lei.

« Le donne sopravvivono agli uomini » disse Nonna. « Il Padre di Tutto ha voluto così. »

Quelli di Nibelheim sono gli dei del ghiaccio e della neve, divinità crudeli per terre crudeli. (Esistono nove mondi, e il mondo più basso è la terra di Niflheimr, la terra della nebbia (delle nuvole).

Quando Loki concepì Hel, Odino la confinò nel Niflheimr, e le delegò il potere di regnare sui nove mondi, di assegnare dimora a coloro che le venivano mandati, ovvero agli uomini morti di malattia o di vecchiaia…

Grazie al cazzo che poi a Nibelheim sono tutti schizzati, con questo tipo di leggenda dietro l’angolo.

Gongaga era indifferente agli dei, ma imprecavamo più spesso in nome di Shiva e Ifrit – e che bestemmie creative che erano! – e a volte di Titan. È impossibile sentire uno di noi spergiurare sulle fiamme del Múspell e sul sangue che imporpora la lancia di Odino che il ghiaccio ricopra la tua tomba scoperchiata fino al Ragnarok. Brrr.)

Sorrise, il volto segnato da rughe profonde trasfigurato per un attimo dal tipo di comprensione che solo l’età e la saggezza possono conferire.

« Gli uomini come tuo padre non riescono a sopravvivere alle loro donne. Comincerà a vagare senza meta, le cose quotidiane perderanno significato. Si arrenderà, e presto o tardi si spegnerà. » Fece un gesto per allontanare il malocchio. « Il Signore dei Morti verrà a prenderlo. Forse nuoterà al largo dal suo dolore abbastanza a lungo da vederti adulta, ma il tuo papà è uno di quegli uomini che non riescono a sopravvivere alla morte della propria moglie. »

« Ma- »

« Non essere triste. È solo il corso delle cose, cara. » Scrollò le spalle sottili ammantate dallo scialle pesante.

Solo il corso delle cose, cara. (Non troverete mai persone più crude e insensibili di quelle che vivono all’ombra del Nibel.)

All’epoca Tifa la odiò, ma adesso inizia a capire.

(E poi che avete da ridire, Nonna aveva ragione. Suo padre non ha vissuto a lungo. Certo, strada facendo è stato aiutato da una lama affilata, ma il naturale ordine delle cose non presta molta attenzione ai particolari.

E chi può dire che magari non sia stato un atto di suicidio assistito mosso dal dolore? Quanto spesso pensate che capiti che il Sindaco di una qualunque città entri in un Reattore Mako, anche quando non vi si nasconde dentro un pazzoide con una spada di due metri?)

Era questo che intendeva: solo i deboli si ammalano e muoiono, crogiolandosi nel dolore. Tifa non è debole. E neanche Cloud, a dispetto dei suoi sforzi per convincersi del contrario.

È questo il corso delle cose: la vita è fatta per i vivi, non per i morti. Lasciate i morti sotto terra o come cenere al vento, come preferite. Ricordateli, se volete, dimenticateli, se dovete, ma vivete, vivete, vivete – non andateli a cercare nelle ombre e nei frammenti di memoria.

La madre di Cloud lo diceva sempre. (Marmocchio irriconoscente che non sei altro, Cloudy, avresti dovuto ascoltare la mamma; sapeva il fatto suo.

—Una Madre lo sa, hmm? Sephiroth scoppia a ridere fortissimo, senza inibizioni.

Esisteranno persone familiari quanto me a quel terrore che serpeggia alla bocca dello stomaco? —Io non – non intendevo-

-provateci voi a discutere con lui.

Merda. Merda. Merda!

Aeris mi abbraccia con delicatezza, come se potessi rompermi. È una panacea, vi giuro.

Sephiroth ci degna solo di un’occhiataccia, uno sguardo risentito, quasi amaro. È lo sguardo di un bambino, un’espressione di bimbo che dice: voglio quello che avete voi.

Non mi è mai mancato tanto il mio amico come in questo momento.)

Quando io sono morto – quando mi sono ritrovato qui invece che – oh, insomma. Quando capii che ero legato a Cloud per il resto della sua vita, quando capii ciò che aveva fatto, ciò che avevo fatto-

È stata una mia scelta. Di questo non ho mai dubitato nemmeno per un secondo. Però io – non puoi perdere tutto ciò che eri senza sentire-

Dolore. Sì, è questo il termine giusto. Proprio come diceva Nonna. Sentii il dolore mozzarmi il fiato; lo sentii serrare i denti su di me come le mascelle di un cane nero alla gola. Ero morto. Io, il prodigio, il SOLDIER, l’immortale. Gridai, piansi, m’infuriai.

(Io avrei dovuto vivere! Io, io, io, IO! Come osi rubarmi tutto questo!)

Avevo visto tantissime persone morire – nemici, amici, alleati – e quella fu la prima volta che conobbi veramente il dolore della morte.

Guardo continuamente Cloud e vedo il dolore in ogni suo movimento, lo percepisco in ogni suo respiro, e vorrei poter essere fulminato dall’ipocrisia quando gli chiedo se nessuno gli ha mai detto che dopo un po’ le cose si lasciano andare.

(—Smettila, bisbigliai una notte di tanto tempo fa. —Lasciaci andare. Non ce l’avremo con te.

Anche mentre lo dicevo desiderai non averlo fatto, desiderai di essere a chilometri di distanza, dall’altra parte di questo maledetto mondo invece che lì accanto a Cloud, che aggrottò lievemente la fronte nei suoi sogni lontani con Tifa raggomitolata al suo fianco.

Senza Cloud, come staremmo noi? Senza Cloud, cosa diventeremmo e dove andremmo? Senza Cloud noi non abbiamo significato, né scopo, e senza di noi, cosa ne sarebbe di lui, come potremmo essere certi che stia bene?

È un segreto, ma ci piace, il bisogno che ha di noi. È un segreto, ma vogliamo continuare a essere il sole e la luna e le stelle della sua vita. O forse non è un gran segreto, nel caso di Sephiroth, che preferirebbe che Cloud non pensi mai a qualcosa che non sia lui.)

Mi sbagliavo, ho mentito davanti alla Candela, io sono capace di dire addio alla vita tanto quanto Seph. Ma un giorno potrò, così come potrà Cloud, e questo pensiero mi consola.

Vedete:

Amai amo amerò. Il tempo si schiude e si piega, il tempo ti racchiude nel suo abbraccio. Raggiunge la sua fine, e ti prende, ti dà un bacio di addiobenvenuto, ti avvolge fino a farti tornare a esistere. Nulla finisce davvero. Semplicemente gira e gira, e per alcuni questa è la consolazione, e per altri questa è la tragedia.

Per noi, è così e basta. Impari ad accettare, impari a lasciare andare, impari a lasciar passare il tempo, a permettergli di riempirti invece di provare tu a riempirlo.

E un giorno, apri gli occhi e puoi pensare alla morte (la tua o quella degli altri, non importa) senza dolore. È questo il momento che sto aspettando. Sarà il momento in cui riuscirò finalmente a comprendere, e se io posso comprendere, può anche Cloud.

Visto? Persino nel mio egoismo so essere altruista.



« Vieni, ora. Torna a casa con noi » dice Tifa.

Quando smetterai di fidarti dell’istinto di scappare? Quando accetterai il fatto che non ti sentirai mai a casa, ovunque tu vada? Quand’è che ti costringi a restare e basta?

(Qui. Adesso.)

Per metà è sveglio, per metà sogna; il mondo è una vertiginosa combinazione di cose che sa essere reali, e cose che sa essere ancora più reali.

Lentamente, lentamente, ci arriveremo.

Alza gli occhi dalla fiamma, annuisce e la segue docilmente, mansueto. I nostri sussurri si fanno sempre più fiochi alle sue orecchie. Resterà.

(Questa presenza non è per sempre, dice il lupo al suo orecchio.)



La notte dopo l’Anniversario scivoliamo nei suoi sogni. Non è per dire addio. Quella parola qui non esiste. C’è “arrivederci”, c’è “a dopo”, c’è di tutto e di più tranne che addio, perché questa non è la fine, non lo è mai stata.

—Non sarà sempre così, gli sussurro. —Prima o poi imparerai ad essere normale, oppure imparerai a far finta di esserlo, e forse col tempo non farà più tanto male, guardarti. Un giorno tutto questo non sarà nulla di che. Sarà solo una cosa che è successa, tanto tempo fa, e non ci sarà dolore, solo rassegnazione. Col tempo sistemeremo tutto. Okay?

Pazienta e sopporta; un giorno questo dolore ti sarà utile. Lentamente, lentamente, ci arriveremo.

Non credo che Cloud lo ricorderà, ma si volta automaticamente verso Seph, come un bambino che cerca l’approvazione del genitore. Lui reclina il capo all’indietro, e Cloud quasi trasalisce per la delusione che gli intravede negli occhi (fino a non molto tempo fa Seph era il suo idolo; un poco brucia ancora, tocca i nervi senza più sensibilità dell’adorazione dell’eroe).

—Sei più forte di così, lo ammonisce, la voce che trasuda disapprovazione, nello stesso tono che usava con i nuovi SOLDIER, severo e ostile, e se non ti faceva venir voglia di essere degno della sua approvazione, potevi pure essere il SOLDIER più bravo del mondo, ma eri nell’esercito sbagliato.

—Sai fare di meglio. La sua voce è seta e acciaio, acido e neve, divora gli scudi che Cloud si è costruito con i pezzi di me e arriva dritta al ragazzino che voleva essere un eroe e che tra beffe, incoraggiamenti, convincimenti e pretese è partito e si è messo alla prova.

E ovviamente, Cloud farà del suo meglio. È quasi rivoltante che Sephiroth riesca ancora a suscitare in lui risposte tanto profonde.

Riesco quasi a vedere i fili invisibili della comunicazione non verbale che intercorre tra di loro, ora che si scambiano uno sguardo.

Perché non potevo avere degli amici normali? Amici normali che non diventano nemici mortali e non sentono il bisogno di infilzarsi periodicamente a vicenda? O che conoscono la mente dell’altro così bene da non aver bisogno di parole per discutere?

Pff. Ma non sarebbero divertenti nemmeno la metà.

—La prossima volta che ci rivedremo, avverte Seph ad alta voce per noi poveri mortali che non abbiamo bizzarri rapporti in cui ci si scanna reciprocamente la testa, e non abbiamo pertanto idea di come si condividano i pensieri. —Faresti meglio ad essere più forte. Non spreco il mio tempo con i fallimenti.

Quando Sephiroth era il mio capo e non totalmente fuori di testa, parlava all’incirca così. Con la differenza che all’epoca non aveva capito come mirare alla giugulare emotiva, essendo completamente indifferente ai molesti sentimenti umani altrui; non riusciva mai a spiegarsi come delle semplici parole potessero provocare pianti e scatti di collera incoerenti ad alcuni dei suoi SOLDIER migliori.

Adesso colpisce dritto alla gola senza un battito di ciglia che sia uno. La frecciata verbale affonda in profondità. E anche di più. Abbatte un muro di metallo.

Fallimento. Non è giusto che una parola possa avere tanti significati.

… Lo strangolerei all’istante, se non fosse che a ogni secondo non so mai se sia dell’umore di assecondarmi o decapitarmi. Ha una qualche idea del male che sta facendo?

Sì che ce l’ha, dal divertito orgoglio con cui osserva il contrarsi dei lineamenti di Cloud.

—Perché non mi lasci in pace? chiede lui, ora sarcastico, come se fossero vecchi amici che si incontrano, invece che cattivo/buono burattinaio/burattino dio/ex discepolo. (Okay, l’“ex” dell’ultima designazione ogni tanto va in forse; voi non fate domande in proposito e io non vi darò risposte che non vi aggradano, intesi?

Sapete una cosa? Quando lo vedo sorridere così capisco perché tutti abbiano rinunciato a definire il loro marchio speciale di follia. Non si può, è impossibile, come un Palmer senza lardo nel suo tè, o un Vincent che invita un clown ad allietare le sue serate vittimistiche, o un Hojo che chiude con la scienza e con i capelli unti. Non si può fare e basta.

A volte penso che Cloud sia pazzo quanto Seph quando a quest’ultimo gira male. Anzi, rettifica: lo so che è così.)

—È davvero questo che vuoi? ribatte Sephiroth, accennando uno di quei sorrisi saccenti che irritava pesantemente tutti quanti durante le riunioni.

—Sarebbe… Si ferma, prova a trovare le parole per quello che vuole dire. Quando cerca di parlare, le sillabe vengono fuori esitanti e fiacche – non è mai stato molto bravo nello scontro verbale con Seph; le loro dispute sono sempre state fisiche, sono fatte per essere fisiche, per risolversi in una questione di forza sulle braccia che reggono le spade, di abilità con la lama, di velocità e grazia che riescono a spremere dai corpi spossati – a loro piace combattere così, è più facile.

—Sarebbe davvero possibile?

Sephiroth sogghigna, lo spintona via, nel mondo dei vivi che ha abbandonato per parlare con noi (si sveglierà, ma non urlerà).

—Non credo, risponde, pragmatico, guardandolo svanire (la televisione prende malissimo da queste parti). —Ma prima o poi lo scopriremo, no?

Sì. Lo scopriremo.

Lentamente, lentamente, ci arriveremo, disse. Sì, è difficile. Sì, è doloroso. Ma ciò che non può essere rimosso lo alleggerisce il tempo. Non siamo perduti.



Nella chiesa c’è un nuovo biglietto, risalente a un giorno fa, che nessuno vedrà mai. Si annida al centro del letto di fiori, che nessuno calpesterà per timore di disturbare il suolo sacro.

È stato vergato con cura; il messaggio e la calligrafia sono stati limati alla perfezione perché non deturpino in nessun modo l’emozione che racchiudono, anche se presto o tardi il tempo e la pioggia faranno sbiadire e sbavare l’inchiostro.

Sopra c’è scritto: “Pensavo avessi detto ‘tornerò’?”



È finita così:
C’è un ragazzo. Un tipetto pallido e smunto, con gli occhi taglienti come vetro rotto, eppure il sopravvissuto è lui. È stato battuto, rotto, rimodellato e rinforzato dall’inarrestabile martello del dio, al punto da riuscire a uccidere il dio. Adesso è vuoto, un guscio in cui riversare sogni, ma va bene così, perché questa è la fine, e chi ha bisogno degli eroi dopo che è calato il sipario?

O forse finirà così:
C’è un uomo. Sta morendo, di una monte lenta ma terribilmente certa, di una malattia che non ha cura, o quantomeno, non ha cure che il Pianeta sia disposto a offrire. Ha ventidue, ventitré anni, e ha già compiuto l’impresa più grande della sua vita. Avvizzisce, si ripiega su se stesso e scompare, come tutti i vecchi eroi, e quando un giorno il Pianeta urlerà non ci sarà più nessuno a rispondergli.

C’è un breve spasmo che dura una manciata di secondi, ed è così che finisce il mondo, non con un grido, e nemmeno con un lamento, ma con un sospiro.

(—Oh, mormora Aeris. —Oh no.

Sephiroth ci rivolge pigramente un sorriso. —A te piace dire le cose con i fiori. Il bagliore nei suoi occhi è quello della Mako, non della ragione. —Prendi, dice, e le getta un bouquet all’indietro mentre si allontana.

Rose bianche e convolvolo, cordoglio e speranza infranta. Se avesse potuto dar fuoco ai campi di fiori, l’avrebbe fatto.

Elementare aritmetica. Jenova + Vestigia di Sephiroth = …?)

Ho mentito. Una via di scampo c’è.



(—Promettimi che lo farai, disse Sephiroth, seduto al pozzo al centro di Nibelheim, mentre beveva lunghi sorsi alla sorgente della disperazione, dalle acque di ghiaccio e veleno. —Promettimi che non cederai. Promettimi che non lascerai che accada mai più. Promettimi che mi ucciderai.

—Promettimelo.
)

Come un idiota, Cloud promise.







NdA: 1) Tutto questo casino di storia è quello che a quanto pare succede quando ascolto Enya a ripetizione. *le lancia un’occhiata stranita*

2) Questo è quanto Sephiroth ha fatto per buona parte della fic:

Sephiroth: *fissa Cloud* (forse progetta di ucciderlo; più semplicemente potrebbe essere irritato dal fatto che un individuo così insulso l’abbia ucciso)
Cloud: *angsta, si deprime, e altri sinonimi per “essere di una noia mortale”*
Sephiroth: *lo fissa*
Cloud: *comincia a preoccuparsi*
Sephiroth: *lo fiiiiiissaaaa*
Cloud: *fa per nascondersi sotto il letto… Ma ce l’ha il letto? Diciamo di sì.*
Sephiroth: *gli lancia sassi, penne, spade e freddure sagaci*

NdT: Ma cosa…? xD
Ovviamente, clouds = nuvole. E “remnant”, qui tradotto come “vestigia”, è il termine solitamente usato per indicare i tre bambocci con i capelli d’argento di voi sapete cosa.

Quesito più che lecito e che mi sono realmente posta all’epoca della prima lettura: che Advent Children in realtà (gasp gasp) AVESSE UN SENSO PROFONDO? Che fosse in realtà l’ultima, definitiva, totale, sensata catarsi di Cloud, la cui involuzione non era che la logica conseguenza di una somma di fattori e frutto di due anni di sofferto, comprensibile pellegrinare? Che la presenza in AC del fantasmino non solo di Aeris, ma anche di Zack, che nel migliore dei casi avrebbe dovuto essere l’aculeo di un cactus da più di due anni, non fosse un plot-hole grande quanto una casa, ma fosse anzi una scelta coerente, sfaccettata, pregna di significato, oculata, ponder- sì, vabbè, ciao. xD
Advent Children resta una boiata di proporzioni epiche e nessuna storia o essay di questo mondo potranno mai convincermi che Sephiroth fosse così concentrato su Cloud nel gioco originale e abbia addirittura cercato di aiutarlo più o meno consapevolmente a superare i suoi traumi. Anche se è un’idea a cui non posso negare il suo fascino.
STILL. Come avevo detto all’inizio, posso non essere d’accordo, ma non posso non apprezzare un parere articolato espresso con tanta bravura.

TRA L’ALTRO! *rullo di tamburi* La traduzione italiana, che consta di ben 87 pagine (uh, uh! Parlando con Silver ho scoperto che in realtà la leggera differenza tra il primo capitolo e gli altri si deve al fatto che in origine questa storia doveva essere pubblicata come one-shot. PFFFF-), non ha neanche ecceduto particolarmente nel numero di parole, nel senso che il testo italiano ha solo un tremila parole in più del testo inglese – ovvero meno del 10%! ;O;
*viene freddata dalla condivisibile indifferenza generale*
(Per chi se lo stesse chiedendo: no, non controllo sempre la differenza di parole e le percentuali. Giuro. Di solito non so neanche quante pagine sto traducendo/ho tradotto perché uso un programmino leggerissimo. Lo faccio solo con le long-fic per curiosità, specie se mi ci sono impegnata. Go Not Gently per esempio mi è venuta un po’ troppo più lunga… ;_;)

La cosa divertente è che io per anni ho conosciuto Silver Pard (che, ve lo garantisco, oltre ad avere talento è anche incredibilmente umile e sinceramente modesta, e alla mia richiesta di tradurre Eidolon ha risposto all’incirca così: “… Eidolon? Ma sei sicura? Cioè, no, tipo, okay, prego. … Ma proprio Eidolon? Guarda che ho scritto anche cosine leggibili – però fai tu ;o;”) per quella che è probabilmente la storia demenziale più famosa della sezione, ovvero Why Waist Lenght? (letteralmente: Perché [i capelli] fino alla vita?), che comincia con Sephiroth che cede alle lusinghe di Jenova perché lei gli promette un paio di forbici per tagliarsi i capelli o qualcosa di altrettanto assurdo e finisce col tempo per analizzare scherzosamente – ma sempre acutamente – il gioco. Non l’ho letta tutta, ma un giorno la tradurrò per partito preso.
Però, ecco, un po’ mi fa strano pensare che anni dopo l’ho ritrovata con questa notevolissima storia. O forse no.

Considerazioni random a parte (e mi sono contenuta), spero che il viaggio lungo e tortuoso vi sia piaciuto e che magari vi abbia lasciato qualcosa. Di sicuro non ho mai scritto note più lunghe in vita mia, e vuol dire tanto xD
Ringrazio un’ultima volta i recensori (in particolare alister che si è addirittura sorbita più volte lo spezzone del combattimento per riferirmi le traduzioni esatte – santa subito.) e la mia carissima beta, Bakabeans, celere e paziente come al solito. Perché le acque sono appagate e tu lo sai.

Till next time (e stavolta lasciamo passare un po’, dai. /ultime parole famose),

youffie
   
 
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