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Autore: heywilliam    18/03/2011    3 recensioni
Era un bastone impiantato nel terreno. Però sembrava di ferro, ed era interamente ricoperto di edera rampicante.
Io, insieme ai miei fratelli, mi avvicinai per osservarlo meglio. C’era una luce in alto.. Sì, era un lampione!
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Edmund Pevensie, Lucy Pevensie, Peter Pevensie, Susan Pevensie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'armadio!

Narnia. Età dell'Oro.

«Grazie signora Castoro, potete andare, gli abiti sono perfetti» dissi educatamente, specchiandomi.
La mia fidata amica si allontanò, squadrandomi «Ha ragione Re Peter, Le calzano a pennello. Se Sua Eccellenza necessita del mio aiuto, può trovarmi nella stanza di Suo fratello»
L’animale fece un inchino e sparì dietro la porta. Sistemai la corona d’oro sul capo, e mi sedetti sulla poltrona in velluto blu che dominava la mia camera da letto.
Da quel punto potei ammirare il sorgere del sole. La linea dell’ orizzonte era spalmata di un rosa candido, con riflessi arancioni e ombre più scure.
Il sole sorgeva su Narnia, e il suono dei corni in festa annunciava l’inizio della caccia.
La luce del sole si espanse, fino ad illuminare tutto il paesaggio che potevo ammirare dalla finestra della mia sontuosa camera da letto.
Pensai a come fosse la vista in quel momento, dalla sala dei troni. Essa si trovava sulla torre più alta del palazzo.
Confrontai quella visione col tramonto che avevo potuto ammirare il giorno dell’incoronazione mia e dei miei fratelli.
Ricordai Aslan allontanarsi, accarezzando con le sue zampe felpate le piccole onde che giungevano sulla riva del mare.
E pensai a me. Dov’era finito il ragazzino di allora? Quand’è che aveva lasciato posto all’uomo che ero diventato?
La barba regnava indomata sul mio volto; insisteva nel nascondere qualche piccola ruga, ma non ci riusciva molto bene.
Accarezzai i braccioli della grande poltrona. Il desiderio di poterla vedere riempita dolcemente da una bella fanciulla, non si era ancora realizzato.
Sognavo fughe notturne, nascondigli, incontri segreti, e infine un matrimonio felice, una vita felice, e piena d’amore.
Sognavo un figlio, sognavo vederlo cullare amorevolmente dalle mie sorelle. E lo immaginavo un giorno re, Re Supremo di Narnia.


La signora castoro mi svegliò non appena il primo raggio di sole fece ingresso dalla finestra della mia camera da letto.
«Re Edmund? Ho portato gli abiti che mi ha chiesto» una testa pelosa fece capolino dalla porta. Le feci segno di entrare, mentre mi alzai per lavarmi la faccia, ancora impastata di sonno.
«Giorno importante, vero Mio Signore?» sorrisi alla buffa creatura, e annuii.
«Non vediamo l’ora di partire. A proposito, a che punto sono i preparativi?» domandai ammirando i vestiti confezionati alla perfezione.
«Le Vostre sorelle sono pronte, per quanto riguarda i cavalli, lo stalliere sta provvedendo a sellarli» disse timidamente la signora castoro, accarezzandosi nervosamente le zampe.
«Eccellente!» infilai i vestiti dopo averli portati dietro il separé, e poi uscii, lasciando che la sarta di corte facesse gli ultimi ritocchi.
Mi specchiai. La giacca, i calzoni e il mantello erano di un colore difficile da definire: viola, forse lilla, o addirittura grigio.
In ogni caso, erano davvero meravigliosi. Feci i miei complimenti alla signora castoro, per poi perdermi nei miei pensieri, fissando il mio viso nello specchio.
Nonostante fossero passati anni, potevo ancora scorgere l’espressione sconsolata di quando avevo tradito i miei fratelli.
Riuscivo ancora a ricordare ogni singolo momento. La figura di quella donna (se così la si può chiamare) altezzosa, bella e gelida come il ghiaccio, era ancora impressa perfettamente nella mia memoria.
Come agitava la sua bacchetta, tutto diventava di pietra. E mi chiedevo ancora come avesse fatto a far tramutare anche il mio cuore, in pietra.
Non era bastato un ruggito del Grande Leone a sciogliere l’incantesimo: c’erano voluti anni per riprendermi, per tornare ad amare, per tornare a specchiarmi senza provare disgusto.
E nonostante tutto, i miei fratelli mi amavano ancora. E mi avrebbero sempre amato, con o senza quel cuore di pietra.


Era uno dei giorni più importanti, da quando eravamo re e regine di Narnia.
Nonostante questo, io non ne ero entusiasta. Avevo sempre considerato la caccia un atto ignobile, ma dopotutto era una tradizione, e non sarei stata di certo io a romperla.
No, non mi piaceva deludere la gente, e non mi piaceva che il popolo potesse disprezzarmi.
Ero la regina Susan, la Dolce; non potevo certo interrompere le tradizioni. E per qualche strano motivo, quel giorno era particolarmente importante.
In attesa che la caccia cominciasse, passeggiavo in giardino, in un angolo buio, nascosto, dove nessun membro della corte si era mai spinto.
L’edera morbida rivestiva interamente le basse mura che circondavano una tavola di pietra molto dura, lunga e stretta, perfetta per starci seduti sopra.
Mi misi seduta in modo elegante; in caso fosse passato qualcuno, non avrei potuto farmi trovare in disordine.
Ammirai il mio vestito lilla, perfettamente cucito dalla signora castoro, che probabilmente doveva essere in camera con Edmund, al momento.
Mi accarezzai i lunghi capelli castani, che ricadevano morbidi e perfettamente lisci sulla mia spalla destra, quando sentii un rumore, e sussultai.
I miei occhi ruotarono automaticamente verso terra, e poterono constatare che era stato il corno, a produrre quel tonfo. Dovevo averlo urtato col braccio.
Lo raccolsi e, dopo molti anni, mi soffermai sugli intarsi e le profonde incisioni fatte sull’avorio bianco e puro.
La parte più larga raffigurava la bocca di un leone; il disegno era così realistico che potevo quasi vedere la luce del sole riflettersi sui grandi denti di Aslan.
Non avevo mai dimenticato il giorno in cui avevo ricevuto quel corno. E mi soffermavo spesso a pensarci.
Nonostante il mio solito scetticismo, Babbo Natale esisteva. Ci ero abituata ormai da anni, ma ogni volta che pensavo a lui sorridevo divertita.
Ricordai come un soffio in quel magico corno aveva salvato me e Lucy da morte certa. Peter era immediatamente accorso in nostro aiuto.
Era questo il bello dei miei fratelli: c’eravamo sempre, gli uni per gli altri.
Spesso mi soffermavo a parlare con Lucy, di sera, quando gli dei di Narnia non acconsentivano a versarci il sonno sulle palpebre.
Le parlavo di quanto fossi felice della nostra vita, ma non facevo che ripeterle che mi mancava qualcosa.
Nonostante non lo avessi mai rivelato a lei, sentivo un vuoto dentro di me, che solo un uomo avrebbe potuto colmare.
E non un uomo come Peter o Edmund, ma qualcuno con cui potessi presentarmi ai banchetti reali.
Qualcuno che tutte le driadi mi avrebbero invidiato. Un cavaliere bello e galante.
Chiunque avrebbe potuto dirlo, ero ormai una bella donna. Ma nonostante ciò, non trovavo un uomo alla mia altezza.


Ero oltremodo eccitata. Dopo che la signora castoro mi ebbe aiutato ad indossare la veste rossa per l’occasione, mi sedetti all’ombra di un albero, cingendomi le ginocchia con le mani.
Sorrisi. Era il primo anno che io e Susan partecipavamo alla caccia del cervo bianco. Prima eravamo considerate troppo piccole, anche se i miei fratelli amavano dire «C’è bisogno di voi a palazzo!»
Crescendo avevo imparato a non far troppo caso a quello che dicevano Peter ed Edmund.
Mi trovavo proprio davanti al lago dell’immenso giardino di Cair Paravel. Il sole era appena sorto, e i colori non ancora ben definiti della luce si specchiavano sulla distesa di acqua piatta.
Chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi, assaporando il leggero vento che quella mattina sembrava gioire, insieme a me, per l’inizio della caccia.
Mi tolsi la sottile corona dal capo e la poggiai sull’erba fresca; era piuttosto scomoda.
In quei giorni mi resi conto che i miei fratelli stavano cominciando a prendermi di più sul serio.
Forse perché mi vedevano più cresciuta. In ogni caso, io mi sentivo sempre la stessa.
Ovviamente ero più alta, più responsabile e, diciamocelo, anche più bella, ma i miei pensieri e il mio metro di giudizio rimanevano gli stessi.
Quel giorno però mi sentivo molto diversa. Le tradizioni erano importanti per me, e le adoravo.
Andare a caccia con i miei fratelli e Susan sarebbe stata un’esperienza favolosa.
Il mio vortice di pensieri fu interrotto dal signor Tumnus, che mi si avvicinò.
Aveva una bellissima sciarpa di lana blu avvolta attorno al collo, e un’aria piuttosto viva, nonostante non fosse proprio un fauno giovane.
«Regina Lucy, i re e la regina La aspettano all’ingresso principale, è tutto pronto per la caccia» mi disse sfoderando un dolcissimo sorriso.
«Grazie mille, li raggiungo subito» dissi sistemando la corona e poi dandogli un leggero abbraccio.
Trovai i miei fratelli già a cavallo, impazienti (o almeno Peter e Edmund) di partire.
«Muoviti Lu!» mi urlò Peter sorridente. Raggiunsi il mio cavallo e con un agile salto vi salii in groppa.
Tutta la corte si dispose in tre file ordinate davanti al grande portone di Cair Paravel.
Subito dietro di noi i centauri, con la loro aria regale, suonavano i corni intonando una musica decisa e penetrante.
In seconda fila si trovavano tutti i consiglieri, per la maggior parte fauni, che nonostante l’aspetto altezzoso, non potevano evitare di scalpitare per la gioia.
In fine, all’ultima fila, cameriere, dame di compagnia, stallieri e giardinieri fremevano di contentezza.
I corni annunciarono la partenza, e io e i miei fratelli partimmo verso il bosco, accompagnati da grida di incoraggiamento e applausi.
I rumori si affievolirono sempre di più fino a sparire, quando ci ritrovammo nel pieno del bosco.
Dopo qualche ora ci mettemmo sulle tracce del cervo, per poi perderle dopo pochi minuti.
Vagammo per il bosco quasi tutta la giornata, scorgendo a tratti l’animale bianco che si spostava tra gli alberi e inseguendolo, senza risultati.
Finalmente, a pomeriggio inoltrato, riuscimmo a stargli dietro per un lungo tratto di foresta.
Susan e io provammo a colpirlo con una freccia, ma entrambe mancammo il colpo.
I cavalli correvano veloci come fulmini che illuminao il cielo in piena notte quando, voltatami verso i miei fratelli, non vidi Edmund.
«Ragazzi, dov’è Ed?» chiesi. Dovemmo tutti fermarci, perdendo ovviamente le tracce del cervo.
Edmund ci raggiunse subito, riferendoci che Philip, il suo cavallo, aveva rallentato la corsa; dopotutto, non era nel fiore degli anni.
Vidi Peter fissare un punto in alto, come ipnotizzato da qualcosa di mangico, e scendere da cavallo. Seguii il suo sguardo.
«Che cos’è?» domandò confuso.
Era un bastone impiantato nel terreno. Però sembrava di ferro, ed era interamente ricoperto di edera rampicante.
Io, insieme ai miei fratelli, mi avvicinai per osservarlo meglio. C’era una luce in alto.. Sì, era un lampione!
Un lampione..
«E’ come in un sogno..» suggerì Susan.
La sottile fiamma che bruciava nella lanterna di vetro mi era familiare.
Non so perché, ma cominciai a correre, verso destra.
«Lucy! Lucy, dove vai?» dissero i miei fratelli in coro, ma senza troppe storie, mi seguirono.
Correvo tra gli arbusti, e ogni passo che facevo era un ricordo: c’era una casa.. una casa enorme..
E una stanza vuota.. Oh no, non era vuota.. C’era qualcosa dentro.. Un mobile?
Sì, era un mobile!
Continuai a correre con i miei fratelli, e nonostante sapessi di dovermi fermare e tornare indietro, la curiosità era troppa.
Qualcosa dentro di me mi diceva “Torna indietro Lucy, non andare!” ma io dovevo sapere.
«Lucy cosa.. Ma cos’è questo?» disse Edmund schiacciandosi contro il mio corpo, e toccando qualcosa di morbido e peloso.
«E’ un cappotto!» suggerì Susan.
«Ma cosa.. Un altro! Ce ne sono un infinità!» urlò Peter, facendosi spazio tra rami e pellicce.
L’armadio! Non ebbi il tempo di pensarci, che sentii come una parete contro la spalla, che si aprii immediatamente. Era di legno. Ed era una porta.
Caddi per terra, imitata dai miei fratelli. Terra.. Era un pavimento, di legno. Mi voltai verso Peter e.. Cosa? Quello non era.. E anche Susan, e Edmund.. E io. Eravamo ritornati ragazzi.
Il viso di Peter accoglieva un’espressione preoccupata, confusa, simile a quella di Susan.
Edmund invece aveva gli occhi vuoti, e le labbra che tremavano.
Ricordavo tutto. Adesso ricordavo ogni cosa. Strinsi forte gli occhi per non piangere, ma le lacrime, pungenti, mi costrinsero a farle uscire dalle palpebre.
Era finito. Era tutto finito.

---


Angolo autrice.
salve a tutti :D oggi ho passato il pomeriggio a leggere,
perciò mi è venuta l'ispirazione *-*
è una one shot che descrive gli avvenimenti
avvenuti prima che i Pevensie ritornassero nel loro mondo.
sinceramente non sapevo se mettere OOC, perchè i personaggi
sono descritti secondo il mio punto di vista, cioè il modo in cui io,
attraverso il libri, li ho classificati.
Peter è un re gentile, che ama il suo popolo. ha uno smisurato bisogno d'amore,
ma non riesce a comunicarlo. in generale, non è una persona a cui piace esprimere i propri sentimenti.
Edmund vuole molto bene ai suoi fratelli, e impara ad amarli ancora di più dopo
il suo tradimento. cambia profondamente, cresce, ma i segni di quel periodo rimangono impressi dentro di lui, incacellabili.
Susan è una persona (questo è davvero un giudizio mooolto soggettivo O:) superficiale. si cura troppo
di ciò che pensa la gente, vuole avere un uomo che le faccia fare bella figura, e non le piace essere al centro
dei pettegolezzi neagativi del popolo, ma solo in quelli positivi (per quanto un pettegolezzo possa esserlo D:).
Lucy è un'eterna bambina. una bambina valorosa, intelligente e dall'animo profondo.
ho pensato di affidare a lei il compito di narrare la parte finale, perchè secondo me
è il personaggio che prova emozioni più forti e riesce ad esprimerle meglio, senza vergogna.
insomma, spero vi piaccia e scusate per essermi dilungata in questo punto D:
un bacio
ine.


ps: in alcuni punti avevo sbagliato i tempi verbali, li ho corretti
appena me ne sono accorta, scusatemi çç

  
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