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Autore: Harriet    19/03/2011    3 recensioni
Un articolo commemorativo politically correct, che non rende l'idea di una vita coraggiosa.
Un post su un blog, che forse si avvicina un po' di più al cuore di un'esistenza breve e straordinaria.
Un confronto con i fantasmi. Due maestre, una conosciuta e una misteriosa.
(Storia assolutamente di fantasia. Le notizie biografiche su Angela Carter sono vere, il suo legame con la protagonista ovviamente è inventato.)
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La signorina Stalker e i fantasmi





Articolo di Nathalie C. Reid, pubblicato sulla rivista "Treasure Box" (pubblicata a Limerick), uscito il 5 dicembre 1992



Catherine Olive Moran - Una vita per la cultura



A dieci anni dalla morte di uno dei personaggi meno conosciuti e più interessanti della città di Limerick, Treasure Box ha deciso di dedicarle uno spazio che funga sia da dovuto memoriale, sia da mezzo per far conoscere un membro eminente della nostra comunità.
Catherine O. Moran, nata e vissuta a Limerick, è stata una delle più meritevoli figure dell'educazione e della cultura per un periodo di circa dodici anni. Un periodo breve, nel quale però Catherine Moran è riuscita a dare la sua impronta specifica sia al liceo femminile Saint Margaret, sia alla piccola biblioteca di Springhill, una collezione privata che, grazie all'impegno di Catherine, si è trasformata in un tesoro fruibile da tutti.
Nata nel 1950 da una famiglia agiata, Catherine Moran studiò presso quello stesso liceo femminile che in seguito sarebbe divenuto per lei il centro del suo impegno educativo. Da alcune lettere scritte alla sorella Christine si evince che il rapporto con il Saint Margaret non fu positivo: in un'epoca che ancora non garantiva alle donne una piena possibilità di dedicarsi alla cultura, agli studi e alla letteratura, Catherine viveva con sofferenza l'approccio agli studi pragmatico e poco creativo che il liceo offriva alle studenti. La stessa Catherine più di una volta sarebbe arrivata a scontrarsi in particolar modo con una delle insegnanti, la professoressa Emma B. Foley, alla quale la giovane studente imputava l'assenza di supporto nei confronti delle allieve con propensione artistica.
"Elizabeth e io abbiamo chiesto alla Foley di lasciarci usare la sala di musica per le prove del piccolo spettacolo che vorremmo organizzare per Natale" - scrive nel 1967 la Moran alla sorella, "ma lei si è rifiutata, portando la più ridicola delle motivazioni: il nostro piccolo esperimento musicale sarebbe una perdita di tempo per delle giovani donne all'ultimo anno di scuola, donne che tra non molto si troveranno a dover affrontare questioni ben più importanti che la musica, come il matrimonio e la gestione dell'economia domestica.
Mi domando: ma che genere di giovani donne saranno, quelle educate qui, persone incapaci di concepire la poesia o di ingentilire la propria esistenza con l'arte, la riflessione e la conoscenza? A che giova una donna che sa gestire perfettamente una casa o educare un figlio secondo i canoni dei suoi progenitori, ma non ha una sua creatività interiore, un pensiero o un'intuizione da donare a quel figlio? Se poi la sua progenie sarà di sesso femminile, allora il destino della figlia è segnato: diventare vuota e sciocca come la madre, che ha imparato tutto sull'economia domestica, ma non si è mai avvicinata alla parte più profonda di se stessa, che non è una prerogativa unicamente maschile."
Mossa da un desiderio affine a quello che nello stesso periodo cominciava ad animare il movimento femminista, Catherine Moran spinse la sua vita verso la ricerca di quella "intuizione" di cui parla nella lettera alla sorella.
Dopo il liceo, mentre studia Lettere all'università, trova lavoro come giornalista presso un settimanale locale, per il quale scrive cronache di eventi culturali del circondario, e nel 1970 trascorre sei mesi in Giappone, soggiorno ottenuto grazie a una borsa di studio universitaria.
Quando la giovane donna ritorna in Irlanda è cambiata, è più coraggiosa e libera, e si getta negli studi con rinnovata energia. Risale a questo periodo l'immagine più famosa che ci è rimasta di lei, tramandata da una bellissima fotografia scattata dalla sorella: un viso grazioso, capelli corti, occhi truccati di nero, lo sguardo di chi osserva il mondo con curiosità e interesse infiniti.
Nel 1975 diventa insegnante di Letteratura Inglese al liceo femminile Saint Margaret: è come tornare nel passato, con la possibilità di cambiare qualcosa. Catherine fa della scuola una delle avanguardie femministe dell'Irlanda, oltre che una vivace fucina di idee e creatività. Dal Saint Margaret escono due cantanti liriche, tre attrici di teatro, una scrittrice, una pianista e cinque giornaliste (tra cui due corrispondenti estere, Sarah Dunne, vivente e operante tutt'ora in America, e Martha Craig, che ha trascorso metà della sua esistenza tra le popolazioni aborigene dell'Australia. E tra esse va inserita anche la sottoscritta, che, indegnamente, si sente fiera di chiamarsi "figlia" della professoressa Moran.)
La seconda delle grandi vittorie di Catherine è di sicuro la rinascita della piccola biblioteca di Springhill: possedimento privato della decaduta contessa Ellen Mary Craven, risvegliò l'interesse di Catherine, che ebbe la sfrontatezza di chiedere alla contessa ottantenne di aprire quel piccolo ricettacolo di tesori, alle allieve del liceo. Il brusco rifiuto iniziale si muterà in risposta affermativa in seguito all'invito che le studenti di Catherine fanno alla contessa, chiedendole di presenziare alla messa in scena di un'opera teatrale scritta e interpretata da loro: una riedizione di alcune leggende tradizionali irlandesi, riscritte in chiave moderna e velatamente femminista. Un lavoro non privo di controversie, che però conquista la signora Craven: il giorno dopo la chiave della biblioteca è sulla scrivania della professoressa Moran.
Il terzo campo in cui Catherine dimostra il suo valore è quello sociale. Si impegna per aprire la scuola a ragazze meno abbienti, e cerca di aiutarle a superare i disagi derivati dall'ambiente problematico da cui provengono. É proprio questo suo generoso dedicarsi alle sue allieve che la conduce a una morte tragica: il cinque dicembre 1982 Catherine Moran viene chiamata d'urgenza dalla famiglia di una sua studente, malata e impossibilitata a spostarsi per ricevere cure adeguate in ospedale. L'insegnante si reca nel quartiere periferico nel quale vive la ragazza, e qui incontra la sua fine. Non arriverà mai alla casa della sua allieva: viene aggredita per la strada e uccisa con una pugnalata alla schiena. Il caso viene presto chiuso: omicidio a scopo di rapina, operato da ignoti.
Termina modo silenzioso e discreto un'esistenza che, pur nella sua brevità, ha lasciato un segno importante, anche se in apparenza non vistoso, nella città di Limerick. A dieci anni dalla morte di Catherine Moran, è importante ricordare con gratitudine una persona che, seguendo senza paura la propria indole, è riuscita a dare molto alla comunità attorno a lei, oltre che a realizzare una vita rispondente ai propri desideri. La storia di Catherine ci insegna che, citando una frase che amava ripetere alle allieve, "c'è sempre un universo di luce, davanti a noi."



Estratto da una lettera spedita da Nathalie Reid a Emily Evans, insieme all'articolo

Ti mando l'articolo che ho scritto per il giornale. Non mi convince e sai benissimo perché. Ma non posso certo scrivere della signorina Stalker e dei fantasmi, ti pare? Eppure mi sembra comunque che manchi il punto centrale di tutta la storia.



Estratto dalla risposta di Emily Evans a Nathalie Reid

Non puoi scrivere di quelle cose, purtroppo. Ma non ti tormentare per questo. Magari troveremo il modo di parlarne. Un giorno. Beh, non sulla più prestigiosa rivista di Limerick, forse. Ma non importa.



Post pubblicato da Emily Evans sul suo blog, "The haunted toyshop", il 7 dicembre 2002

http://thehauntedtoyshop.com/blog/what-happened-in-japan

Riordinando la posta (cartacea) ho ritrovato qualcosa che risale a dieci anni fa, qualcosa che mi ha ossessionata per anni. Solo che non lo sapevo: era un'ossessione piuttosto inconscia. Ma quando mi sono ritrovata tra le mani "quella cosa", ho capito che era il momento di parlarne.
Si tratta di una prima versione di un articolo scritto dalla mia amica N. R. per il i>Treasure Box, una rivista che si occupa prevalentemente della vita culturale di Limerick. Un periodico non privo di meriti, ma banale, noioso, accademico e politically correct oltre ogni limite sopportabile.
L'articolo riguardava una persona che ha segnato le nostre vite: la nostra professoressa di letteratura del liceo, Catherine Moran. Una donna libera e sincera, che ha lottato per insegnare alle sue allieve come pensare in modo autonomo, e ha regalato loro la più straordinaria biblioteca che si possa desiderare. Ci ha rese tutte più folli, meno imprigionate in schemi mentali non nostri; ci ha portate più vicine ai nostri sogni.
Probabilmente non vivrei girando il mondo e suonando il pianoforte, se non fosse per lei.
L'articolo raccontava in modo chiaro e conciso la vita di Catherine Moran. Beh, e qual è il problema?, vi chiederete voi.
Semplice: manca la cosa fondamentale. L'inizio di tutto.
L'inizio di tutto è una donna della quale si sa poco o niente. A dire la verità, io e N. R. abbiamo giocato a fare le investigatrici e abbiamo scoperto la sua identità, ma arriviamoci con calma.
Nell'articolo di N. R. si cita un soggiorno di sei mesi in Giappone, avvenuto nel 1970. Un'opportunità sorprendente, offerta a Catherine dall'università. Di questo soggiorno alle sue studenti raccontava spesso piccoli aneddoti, immagini e frammenti, ma non svelava mai troppo, come se volesse preservare il segreto. A volte citava frasi che attribuiva a una misteriosa compagna di viaggio.
Un giorno mi prestò uno dei suoi libri, per una ricerca che mi era stata assegnata dall'insegnante di storia, un lavoro interdisciplinare, che univa storia e letteratura, e la professoressa che me lo aveva richiesto era una delle persone più conservatrici (e odiose) della scuola. Catherine Moran mi diede la sua "letteratura riveduta e corretta": un banale manuale di letteratura tutto pieno di cancellature, annotazioni, parodie e aggiunte fatte da due mani. Le chiesi informazioni su quel testo unico al mondo. Mi rispose che era stato fatto da lei e dalla signorina Stalker, in Giappone. Mi confessò che gran parte delle sue idee sulla donna, sull'emancipazione femminile e sulla ricerca di se stessi erano frutto dei suoi sei mesi in Giappone, e della sua amicizia con questa donna, la signorina Stalker. Provai a chiederle maggiori informazioni: mi disse solo che era londinese, che aveva dieci anni più di lei, che avevano lo stesso secondo nome (Olive) e che "a suo modo, vedeva i fantasmi".
Mi affezionai alla signorina Stalker senza averla mai conosciuta, quando studiai sulla letteratura corretta che lei e la mia professoressa avevano riscritto. Era come se secoli di storia femminile fossero stati riportati alla luce, scavando e ribaltando quelle teorie letterarie stantie e maschiliste, grazie ai commenti arguti e all'ironia coraggiosa che le due donne avevano riversato nelle loro note al testo.
Inutile dire che la professoressa di storia criticò molto il mio lavoro. Non che mi aspettassi altrimenti. E non che me ne fregasse granché, per essere chiari.
Catherine Moran, in seguito, mi parlò ancora delle sue giornate giapponesi, dell'inverno, di quel mondo così lontano dal nostro, e della signorina Stalker, che in realtà non era signorina: era sposata, ma il suo matrimonio era alla fine, quindi Catherine aveva preso a chiamarla con il suo nome da nubile, Stalker. Non credevo fosse un cognome per davvero... Insomma, non so se sarei felice di chiamarmi così. Comunque, le due donne condividevano un grande amore per certi autori e generi letterari, tra i quali c'erano di sicuro le fiabe. Lo spettacolo sulle storie irlandesi che Catherine ci aveva fatto mettere in scena era un'idea germogliata sotto il cielo del Giappone.
Le domandai di parlarmi dei fantasmi che "vedeva" la sua amica misteriosa.
"Sono quelle ombre che il mondo, per troppo tempo, ha rifiutato di guardare. Soprattutto il mondo femminile. Ma non è possibile chiudere gli occhi. Le ombre ci rendono vivi, se le lasciamo entrare nella nostra luce. Ci rendono vivi perché ci fanno capaci di avere una visione completa del mondo. E se accettiamo la loro vicinanza, non dobbiamo più avere paura della loro presenza. Una persona, e più che mai una donna, che vive solo nella luce brillante della sua piccola casa, avrà sempre paura di quelle cose oscure, strane, misteriose, disturbanti, che dormono nella sua anima. Se invece facciamo amicizia con i fantasmi... La paura svanirà. Saremo persone complete. Libere. Capaci di scegliere quali fantasmi mantenere come compagni di viaggio, e quali, invece, cacciare via per sempre."
Ricordo quel discorso quasi a memoria, perché trasformò il mio modo di pensare, di sognare, di vivere. Paradossalmente, quel discorso che sembrava mettere in crisi anche certi modi di pensare cristiani (quel discorso fatto da un'atea appassionata, tra l'altro), riuscì a non farmi abbandonare la fede: mi insegnò il dubbio, e io credo che la fede non possa respirare, senza la benedizione del dubbio.
Insomma, la signorina Stalker e i fantasmi non avevano cambiato solo la vita di Catherine Moran, ma anche la mia, e quella delle mie compagne. Imparammo a discutere, ad affrontare i temi che ci facevano paura, a non vergognarci dei nostri sogni di arte e viaggi, a non vergognarci nemmeno di noi stesse e dei nostri mondi interiori, dei nostri desideri, della nostra mente e neppure del nostro corpo. Imparammo anche a leggere anche certi libri non proprio consigliati dagli altri professori (ma che per noi non mancavano mai, nella biblioteca di Springhill.)
La morte di Catherine Moran mi spezzò davvero il cuore. Non ho mai smesso di pensare che non si sia trattato di un omicidio a scopo di rapina, commesso da ignoti. In cuor mio, ho sempre creduto, irrazionalmente ma fermamente, che a farla morire sia stato qualcuno di quei fantasmi che lei aveva affrontato, sconfitto, ridicolizzato e cacciato. Un fantasma vendicativo, che aveva voluto portarcela via.
Ma noi siamo ancora qui e non abbiamo paura dei fantasmi: alla fine, è la professoressa Moran ad avere vinto.
E la signorina Stalker?
Come vi dicevo, le sue allieve erano allenate all'indagine.
Tra il 1968 e il 1970 ci fu una scrittrice londinese che visse in Giappone. Una femminista convinta, una personalità poliedrica, una mente originale e brillante: proprio il tipo di persona che avrebbe potuto incantare Catherine Moran. Questa donna, di dieci anni più vecchia della mia professoressa, in seguito avrebbe riscritto le fiabe tradizionali, estraendone il contenuto latente. E avrebbe raccontato del "suo" Giappone.
Cominciate a capire di chi sto parlando, vero? Voi che seguite questo blog mi avete sentita parlare mille volte di questa scrittrice. Qualcuno avrà riconosciuto una citazione dei suoi libri persino nel titolo del blog!
Se c'è una donna ossessionata dai fantasmi, eppure allo stesso tempo perfettamente capace di domarli e trasformarli, quella è di sicuro la Carter.
Leggendo A souvenir of Japan di Angela Carter non posso fare a meno di chiedermi se la donna lì descritta, la sua relazione senza speranza con il giovane giapponese e gli occhi che filtrano quel mondo, fosse la stessa Carter, oppure la nostra Catherine. Non lo so, ma mi piace immaginare.
Angela Carter, il cui cognome da nome da nubile era "Stalker", e il cui secondo nome era "Olive" - lo stesso di Catherine Moran. Considerato l'amore di questa scrittrice per "le ombre", mi chiedo perché non abbia deciso di usare il cognome con cui era nata, come nome pubblico. Sarebbe stato davvero appropriato.
Non so perché Catherine abbia voluto nascondere al mondo questa amicizia. E mi dispiace che il mondo ricordi solo il volto "lucente" di questa donna, e non sappia nulla invece delle ombre, che sono altrettanto importanti.
Anche la signorina Stalker è stata un fantasma, per noi: uno dei tanti che la professoressa Moran si era portata dietro dal suo viaggio. Uno dei tanti, eppure, forse, quello più importante. Il seme di tanti cambiamenti, propagati anche nelle nostre vite. Un fantasma a cui sarò sempre grata, uno di quelli che non manderò mai via. Perché, crescendo, mi sono accorta che la professoressa Moran aveva ragione, quando diceva che "c'è sempre un universo di luce, davanti a noi. E c'è una schiera di fantasmi alle nostre spalle. E se volete davvero raggiungere tutta quella luce, le ombre che vi seguono, quelle non dovete dimenticarle mai."






***






(Partecipante al concorso Collapsing Night. Ispirata a questa icon di Boundary. Temi: biografia, legame con un personaggio o un evento storico, morte del personaggio.)
Qui per eventuali informazioni sul personaggio di Angela Carter.


In uno dei momenti più incasinati e meno piacevoli della mia esistenza, ho dovuto leggere The Bloody Chamber di Angela Carter. Non proprio l'opera adatta, se hai problemi di fantasmi.
Beh... In realtà, ha funzionato in modo inaspettato.
Grazie, signorina dal cognome che non fu mai tanto adatto.
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