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Autore: sakura_hikaru    19/03/2011    2 recensioni
Post-Hades. Shura fa i conti con i sensi di colpa e Aiolos giunge a parlare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Capricorn Shura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminava, in preda ad un nervosismo che ogni volta non riusciva a spiegarsi: che cos’era che lo turbava così intimamente? Cosa riusciva ad accelerare i suoi battiti del cuore … a mozzargli il fiato e a renderlo così sensibile ad ogni fatto o persona che si trovasse a incrociare la sua strada?
Era il suo attuale stato, ciò che aveva significato quell’ultimo anno di guerra … no, quei tredici anni di continua guerra … di una situazione sospesa sul filo di un equilibrista … spesso si chiedeva ancora come fosse riuscito ad andare avanti, nonostante quei sensi di colpa che aveva recato con sé, riposti in un recondito luogo.
Aveva sempre saputo, dentro di sé, che prima o poi avrebbe dovuto affrontare quella sua macchia … ciò che era stato una semplice esecuzione di ordini, ordini che erano andati oltre il suo profondo senso di amicizia, rispetto, fiducia.
Tredici anni che, esternamente, si sarebbero detti passati come se l’insensibilità in quel corpo avesse preso il sopravvento su tutto il resto … eppure quel malessere era cresciuto dentro come un cancro, la consapevolezza di qualcosa che sfuggiva ancora al suo istinto e di qualcosa … qualcuno che aveva tradito …
Eppure, lui stesso aveva gridato a traditore …
E quegli occhi, solo pochissimo tempo prima, lo avevano in qualche modo perdonato … e quella bocca aveva aggiunto allo sguardo parole di comprensione: aveva senso il perdono, quand’egli aveva creduto fermamente di essere nel giusto, di perseguire la legge della divinità che egli venerava con tale spirito?
Senso di colpa incancellabile … era stato ligio al dovere, ma aveva chiuso occhi e cuore alla verità, seppure cruda, dei fatti … non aveva fermato la propria mano, non aveva visto … non aveva capito … o non aveva voluto capire?
Era questo il pensiero che lo atterriva più di qualunque cosa … il sapersi così spietato, senza avere una giustificazione completa, assoluta … da lui sentita, percepita con tutto se stesso … totalmente accettata.
Si rigirò tra le coperte per l’ennesima volta, incapace di prendere sonno dopo un’ora di snervante insonnia … un’ora che gli aveva riportato alla memoria pensieri troppo oscuri per essere sopportati alla sola luce di quella luna pallida … le stelle, quella sera, sembravano essere state inghiottite dall’oscurità, per dare modo all’infida compagna dalle due facce di poter brillare ancora più prepotentemente del solito.
Luna piena … era luna piena anche quella sera … era luna piena e ogni volta che lei sfoggiava le sue perfette fattezze tondeggianti si sentiva quella strana energia addosso, quell’intrattabilità che potevano avere solo i lupi mannari, trasformati dalla sua luce infida. Lunaticità, aggressività, puro istinto violento …
Si ritrovò a ridere di se stesso e di quei pensieri che non lo sorprendevano da un’infinità di anni, da prima che la sua vita si legasse al Santuario … quando era ancora un bambino tra le braccia di quella nonna di cui, ormai, non ricordava più bene le fattezze.
Il riso scemò e i pensieri si volsero a quella lontana epoca della quale, l’unica traccia rimasta erano i racconti di quell’anziana signora dal viso provato da anni e preoccupazioni, dall’aria a volte arcigna, ma che sapeva incantare il bambino con favole dal vago sapore gotico: si chiese per la prima volta come avesse fatto quel bimbo dagli occhi sparuti a non soffrire di orribili incubi. O forse ne era stato tormentato … il ricordo di quegli anni si era affievolito così tanto, la nuova vita aveva spazzato via quel poco che la sua giovane mente aveva immagazzinato; in fondo, constatò, era normale … nessun adulto ricorda i primissimi anni d’infanzia, se non sprazzi di racconti, o d’immagini.
La luna … la luna piena di quelle sere, trascorse ad ascoltare racconti … che cosa strana che tutto gli fosse tornato in mente proprio allora. Che motivo c’era, in fondo? Rinvangare ricordi non era certo il suo passatempo preferito … ne avrebbe fatto volentieri a meno, soprattutto ora che memorie ben più dolorose affioravano alla mente. Perché aggiungere piccoli dolori a quelli che già vivevano, dominando tutto il resto, nella sua coscienza?
Si alzò infine dal proprio giaciglio, stufo di quel continuo vagare con il corpo su quella superficie fredda che riusciva a trasmettergli solo un senso di soffocamento e di inquietudine: si gettò addosso una leggera casacca a coprire parte dei pantaloni che usava a dormire, ed uscì dalla camera, marciando con una certa fretta verso l’esterno del tempio, dal quale proveniva una lieve brezza dall’odore salmastro.
Erano rare le occasioni in cui il vento riusciva a recare con sé il profumo del mare da così lontano … per lui che era nato tra le montagne, odiando la severità e l’asprezza dei paesaggi attorno a sé, quel profumo era confortante, aveva il dono di tranquillizzarlo e di portargli alla mente immagini di onde placide che avanzavo ed arretravano come in un lento ballo ritmato, ipnotico. In quel modo, solitamente, riusciva nel suo intento ed il nervosismo che l’aveva catturato svaniva tra un sospiro e l’altro. Proprio come ora … si sedette placido sull’ultimo gradino, poggiando la schiena a una colonna, gli occhi chiusi, il viso rilassato, sgombro di ogni nube di preoccupazione.
Erano quelli gli unici momenti di pace … momenti preziosi e così rari, una tregua con la propria mente, seppur breve ma tregua rimaneva. Inspirò a fondo ancora una volta e, solo allora, si accorse della presenza di qualcuno davanti a sé.
Riaprì gli occhi di scatto e la rigidità si riappropriò delle sue membra, quando riconobbe quella figura avvolta dal manto della notte. Eppure gli occhi verdi brillavano chiari e lucidi, nonostante la luna fosse alle sue spalle: si chinò in un mezzo inchino e tornò alla sua posizione iniziale, non senza una punta di disagio.
“Spero di non averti spaventato …” fece lui titubante, glissando lo sguardo del giovane moro.
“No, certo che no …” le parole gli uscivano strangolate, come sempre quando si trovava al suo cospetto. “E’ solo che non mi aspettavo …”
“Di trovarmi qui?” lo anticipò il compagno. “A dire la verità non ero sicuro se la mia visita …” avrebbe voluto continuare, esprimendo quel disagio, quella tensione che tra loro non accennava mai a diminuire. Eppure non riuscì a chiederglielo.
“No … non è che …” si zittì anche il moro, indeciso sulle parole da usare. Temeva di allargare ancora di più quella fenditura che li divideva, temeva di ferirlo ancora … le sue parole, avrebbero potuto ferirlo più di quanto la sua spada aveva saputo fare in passato?
Chi diceva che le parole avevano il potere di ledere più di una spada nel cuore, non sapevano ciò che dicevano: avevano mai provato, sulla propria pelle, cosa significasse davvero ricevere un colpo mortale, perpetrato da mano amica?
Eppure, il ragazzo dagli occhi versi non sembrò far caso a tutto quello e, sebbene ogni sua mossa avesse la parvenza di qualcosa di studiato e composto, perfino timido, prese posto a qualche centimetro da dove il moro pareva non volersi ancora muovere.
Il ragazzo dagli occhi verdi portò al petto le ginocchia, stringendole in un gesto tanto infantile da sconcertare il moro: per la prima volta, si rendeva conto di come, per il compagno, il tempo non fosse affatto trascorso. Stupido gioco del destino … eppure era sua la colpa, anche di ciò che, apparentemente, pareva un semplice scherzo della natura.
Ed ecco il passato a colpirlo ancora … non era possibile nascondersi dalle proprie colpe, e quella serata era giunta per avvisarlo di come ogni suo tentativo di fuga fosse inutilmente sciocco e ironico.
“Non riuscivi a dormire?” tornò a riecheggiare nella sua mente la voce di quel ragazzo, sempre uguale a se stesso, sempre lo stesso compagno dal sorriso rassicurante. Sempre Aiolos.
“No …” mormorò in risposta l’altro, lasciando un sospiro pesante, come se avesse appena trattenuto il fiato per un interminabile momento.
Cosa aspettava? Cosa? L’aveva evitato, per tutto quel tempo … i suoi sguardi, la sua presenza, se non quand’era accompagnato da qualche altra persona … aveva evitato tutto, anche il solo sfiorarsi, come se sfiorare la sua pelle sarebbe stato come gettare la propria mano in preda alle fiamme degli inferi. Perché non gli diceva ciò che si meritava … le dure parole che attendeva paziente, dalle quali non c’era scampo alcuno.
“La luna piena mi ha sempre messo una strana sensazione addosso … e stasera non ci sono nemmeno le stelle a rincuorarmi, almeno un poco …” Aiolos inclinò leggermente la testa, per osservare con più attenzione l’enorme sfera biancheggiante. “Ti piace la luna … Shura?” pronunciò quel nome con difficoltà, scoprendo così che per la prima volta, dopo tredici anni, la sua voce tornava a proferire quel nome.
Il moro si mosse nervosamente sul suo posto, lasciando che le proprie mani vagassero attorno a sé, alla ricerca di una qualsiasi distrazione per il nervosismo che stava prendendo il sopravvento: cosa sarebbe successo allora? Sarebbe scappato via, senza una parola? Oppure gli avrebbe gridato in faccia tutta la sua disperazione … tutta la sua colpa … tutto ciò che lo stava uccidendo, lentamente, dentro?
Il silenzio aveva seguito la domanda ed il giovane greco sentiva quel noto senso di frustrazione premergli dolorosamente contro il petto: era così difficile, per lui, rispondere a una domanda talmente innocente? Era così difficile per lui riuscire a tornare, almeno per un breve lasso di tempo, al ragazzo loquace di un tempo … anche solo una parola gli sarebbe bastata per attenuare quella fitta dolorosa, per dargli uno spiraglio di speranza…
“Mi rende … inquieto …”.
… perché in fondo egli non aveva mai serbato rancore per quella notte …
“Inquieto?” la voce fluttuava nell’aria molto più leggera di prima. Era forse quello spiraglio di luce che stava attendendo? Non una mera illusione?
Shura lanciò una breve ma intensa occhiata al compagno, prima di rivolgere lo sguardo a quella luna dalla parvenza perfetta. La sferica faccia che mostrava al mondo, celando l’inganno del suo doppio … dotata di luce non propria, infida cacciatrice di brillio altrui.
‘Se il divino sole non fosse disposto, ogni volta a illuminare quel lato che poi tu ci sveli, saresti solo un’invisibile sfera in preda all’oscurità, tua unica e più accomodante veste.’
“La luna … non permette di distinguere i colori, dona a tutte le cose un riverbero diverso dalla realtà: tutto appare alterato … parole di affetto divengono calunnie … e gli amici diventano nemici …”.
Ecco, finalmente, quelle parole uscire dalla bocca.
Ecco, infine, l’inizio del suo fio, a lungo rimandato … una pena cui avrebbe dovuto sottostare molto tempo prima, per mano di colui che egli aveva immolato a una ‘giusta causa’.
E, infine, il tempo era giunto anche per lui.
“Era una notte come questa, vero?”
“Sì, era di luna piena …”.
Un nuovo silenzio a interporsi tra i due, come invisibile barriera: i ricordi che lentamente fluttuavano nella mente del giovane ragazzo, ricordi che sembravano lontani e spenti come fantasmi dalla veste ingrigita. E i ricordi del giovane uomo che si facevano forti e violenti come l’onda improvvisa di una mareggiata … eppure erano sempre presenti nella sua mente, messi in un angolo, ma sempre pronti a spuntare fuori appena una parola, un cenno, un semplice particolare lo facessero tornare a quei maledetti momenti di un passato da cancellare.
Maledetta, maledetta luna … protagonista e silenziosa spettatrice di una tragedia conclusasi nel sangue … cosa aveva fatto?
Cosa aveva fatto?
Quella domanda che lo perseguitava di notte e di giorno, fin da quando la verità gli era stata schiaffata in viso con quella stessa violenza che egli aveva usato contro l’amico.
Luna che l’aveva accompagnato sempre, ogni notte della sua vita a ricordargli quello che era … come una severa madre dagli occhi inquisitori e il dito puntato sul viso, con sorriso ironico, beffardo, eppure maligno … a ricordare e ricordare …
Perché peccato più grande sarebbe stato dimenticare la colpa che lo rendeva reo di fronte al mondo, di fronte ai compagni, di fronte a se stesso e a ciò che amava da sempre e sempre aveva giurato di proteggere.

E, infine, di fronte a lui …

“Io …” esordì di nuovo Aiolos, ma le parole gli morirono in bocca quando, voltatosi verso il compagno, vide sul suo viso brillare inconfondibili strisce argentate, lasciate libere da occhi celati da una frangia troppo lunga, abbassata di proposito, per poter celare quello sfogo, ammutolito già da quella bocca che si era serrata per evitare qualsiasi suono.
La mano di Shura era scivolata verso la casacca, all’altezza del cuore, dove si era stretta con veemenza e rabbia: non erano per lui le lacrime … che diritto aveva di versarle, proprio lui … colui che aveva offeso e non meritava di affogare il proprio dolore in lacrime amare … e inutili.
Si odiava con tutto se stesso: per ciò che aveva fatto, per ciò che anche ora stava facendo … per tutto quello che non era ancora riuscito a dire al compagno, quella semplice parola che la sua vista gli faceva morire in gola. Eppure lo sapeva… era suo dovere, era un dovere assoluto … con che coraggio ancora non aveva proferito quella parola?!
“Perdonami … perdonami … perdonami!” disse in un crescendo di voce e di agitazione.
Infine essa era giunta, eppure …
Non era riuscito nemmeno a dirglielo guardandolo negli occhi … ma come poteva alzare lo sguardo sul suo? Non aveva il diritto di guardare chi aveva offeso con mano implacabile … sarebbe stato mancargli di rispetto, come se già il crimine da lui commesso non fosse abbastanza.
“Sono stato uno stupido … non ti ho dato ascolto … ti ho tradito, ho tradito il mio migliore amico!” le mani affondarono sul suo capo, tra i fitti capelli neri, stringendosi su di essi con violenza, fino a fargli male. “Non ho nemmeno avuto il coraggio di chiederti scusa … fino ad ora. Sono uno stolto… nemmeno merito di parlarti …” e a quelle parole si alzò, pronto a vertere il suo cammino all’interno del suo tempio che, mai come allora, gli sembrò così perfetto rifugio di salvezza.
“Non te ne andare …”.
Era una preghiera quella, non una semplice richiesta … una preghiera indirizzata a lui. Quel tremito nella voce che, per un attimo, gli aveva dato una sensazione così strana … era la voce di un guerriero o quella di un ragazzo smarrito?
Non l’aveva mai sentita, prima di allora … era un po’ come se si fossero invertiti i ruoli, anche se era difficile da accettare che fosse lui il ‘grande’, ora. Era un pensiero tormentoso, quasi destabilizzante … non sapeva più che altro fare o dire.
E ancora … quella sua mano che gli aveva afferrato il lembo dei pantaloni, trattenendolo e tirando il proprio capo contro le sue gambe tremanti. Cosa stava succedendo? Era lui, Shura, a doversi comportare a quel modo … ad aggrapparsi a lui come faceva da bambino, sperduto al suo arrivo nella terra straniera di Grecia. Quante volte si era appoggiato a lui, cercandone la forza, l’incoraggiamento … spesso destando la gelosia del fratello?
Ed ora il capo poggiato a lui era il suo … era una chiara richiesta di … aiuto? Sostegno? Perché, proprio lui?
Sembrava crudeltà di destino … era difficile rimanere vicino a una persona per la quale si provava la vergogna di essere quello che si era … un assassino. Ed ora la sua antica vittima era in ginocchio, ai suoi piedi … in una disperata ricerca di conforto e di aiuto. Perché proprio lui?
Si sentiva così male …
“Aiolos … perché fai tutto questo? Sono …” la voce si spezzò, ancora quel pianto nascosto a perseguitarlo. “Sono io che dovrei farlo … io dovrei inginocchiarmi di fronte a te … e meritare la punizione che merita un traditore … un doppiogiochista … un infido e malfidato amico che-”.
Si ritrovò a terra.
Scosso, disorientato, stupito … il cuore in gola, la mente completamente vuota… era mai possibile che fosse successo davvero?
Era accaduto tutto così in fretta che la sua mente riusciva a formulare un unico pensiero: mi sta abbracciando.
“Non dirlo … mai più …”
Non aveva più dubbi … ora li sentiva quei singhiozzi, così teneri e struggenti, riempirgli le orecchie, completamente, tanto da non sentire più nulla attorno a sé. E quel tocco delicato, eppure deciso, quella stretta calda e tremante, come quella di un bimbo che ha paura di perdere la propria mamma in una folla.
Quel calore e quella sicurezza che temeva di aver perduto per sempre, in quel lontano passato di tredici anni prima … ecco che si rifaceva vivo prepotentemente, nella maniera più inaspettata.
Ma ancora non riusciva a togliersi di dosso quelle domande, quel senso di colpa … inestinguibile.
E sempre, a ricordargli ciò che era … c’era lei, maledettamente perfetta, splendida e fredda … luna piena, regina di inganni intessuti con sadico sorriso.
Lei, a ricordargli che certe ferite non possono essere cancellate, nemmeno con un semplice abbraccio… seppure così dolce, sincero … e confortante …
Luna dagli occhi di lupo … lupo mannaro … occhi che lo scrutavano, in attesa di cosa? Cosa avrebbe dovuto fare ora? Se l’avesse scostato da sé, allora avrebbe ferito ancora di più l’amico … ma se l’avesse tenuto al suo fianco, senza dire una parola … cosa avrebbe pensato? Che anche lui cercava conforto, che cercava un appoggio … una spalla su cui versare le proprie lacrime.
Ma come avrebbe potuto fare una cosa simile proprio a lui?!
Affogare il proprio pianto su colui che era la causa del pianto?! Era un pensiero assurdo, inconcepibile … eppure l’idea di potersi lasciare andare in quell’abbraccio familiare, di poter gettare alle proprie spalle, anche solo per un attimo, tutto … quella notte maledetta … quegli anni passati ad odiarlo e giustificarsi per quella scelta che aveva compiuto, senza battere ciglio.
Figlio di luna, di amico traditore … non aveva il diritto di appropriarsi di quell’abbraccio, di cogliere tra le proprie mani quel viso triste e lavare via, con quelle dita impure, lacrime che solo lui avrebbe dovuto piangere … lui, l’assassino di quell’amicizia che egli stesso, un tempo, aveva chiamato sacra.
“Shura …”
Aiolos strofinò il proprio viso sul petto del compagno, come per darsi forza a quelle parole, per prepararsi alla sua reazione, qualunque essa sarebbe stata. Non l’aveva abbracciato … era rimasto immobile, senza una parola, una reazione, seppur minima: niente.
Tutto ciò che il ragazzo non si sarebbe mai aspettato.
“Aiolos … non me lo merito … non io …” ed ecco quella stretta che aveva sperato tramutarsi in qualcosa di freddo e distante: lo stava staccando da sé, allontanandolo con mano ferma da quel corpo tiepido. Un brivido freddo lo percorse … per la prima volta si accorse di quanto potevano essere fredde le primavere greche. Era strano che non ci avesse mai fatto caso.
“Allora ti do davvero fastidio … che sciocco!” si passò una mano tremante tra i capelli arruffati, un sorriso amaro, un vago tentativo di coprire il dolore che, impietoso, continuava a scorrere sulle sue guance arrossate. “Non mi hai ancora perdonato, vero?” un sospiro pesante, sembrava che qualcosa di enorme opprimesse il suo petto.
Shura aprì bocca, spalancò gli occhi che rimasero quasi accecati da quella luna che attendeva: ancora però non sapeva cosa.
Troppo lo stupore, la sopresa … il totale smarrimento in quelle parole che avrebbero dovuto uscire dalla sua bocca, non certo da quella di una persona la cui unica colpa … era quella di aver donato fiducia e amicizia ad uno stolto che nulla meritava di quell’affetto.
Non riuscì a parlare: così l’altro, ormai rassegnato a quella confessione, seppure dolorosa, riprese a parlare, rispondendo a quella confusione di occhi neri.
“Ti capisco … è stata colpa mia. Quella notte … avrei dovuto dirtelo … in un modo o nell’altro …” si mosse con un gesto quasi meccanico, ritraendosi su se stesso, il più lontano possibile da quello sguardo scuro, ormai inevitabilmente puntato su di lui.  “Avrei dovuto spiegarti come stavano le cose … e invece … tutto è andato maledettamente … come è andato. Se solo ti avessi spiegato cos’era davvero successo, ora tutto questo … accidenti a me!” affondò il viso nelle ginocchia, abbracciandosi con tale forza, come se volesse in quel modo scomparire completamente, nascondere la sua colpa, ciò che non riusciva a perdonarsi.
Era colpa della sua mancanza di tempismo … avrebbe voluto … avrebbe DOVUTO riuscire a spirgargli come stavano le cose. E invece non era riuscito fargli comprendere nulla, tutto si era fatto confuso per lui … per loro …
Quella sua stupida incapacità aveva rovinato tutto … era stato lui a portare Shura sulla strada sbagliata, a guidarlo dove mai sarebbe dovuto andare. Come se, tutti quegli insegnamenti, di cui anni prima si era voluto fare carico, non avessero avuto più senso alcuno … doveva riuscire nel suo intento, ed invece aveva fallito miseramente…
Un silenzio carico di attesa, fatto di sospiri sofferti e arrancanti, prima che un urlo stridulo fendesse l’aria.
“Ma che dici?!”
L’aveva fatto.
L’aveva fatto davvero … proprio con l’unica persona con la quale si era ripromesso di usare tono dolce e gentile, se mai egli gli avesse concesso di rivolgergli ancora la parola. Ed ora si ritrovava a bloccarlo con violenza contro la colonna del proprio tempio, con gli occhi infuocati da una rabbia esplosiva, quasi incontenibile: avrebbe fatto una sciocchezza e, probabilmente, tutta quella frustrazione, il dolore … la collera verso se stesso  … si sarebbero materializzati in una percossa che tutto avrebbe mandato all’aria.
Se solo non li avesse guardati.
Enormi, lucidi e spaventati … rivedeva in essi quel barlume di sorpresa agghiacciata di quella notte di sangue, quando la consapevolezza di quella presenza si fece strada, come un violento fendente di lama nel suo cuore, in quegli occhi sorpresi. Quando si accorse che, ad ‘accogliere’ la sua fuga, la fuga del ‘traditore’ era stata mandata l’unica persona che aveva pregato di non incontrare.
Rivisse quegli istanti in cui la freddezza aveva preso il sopravvento in lui, ignorando quel lento serpeggiare nella sua testa, quel dubbio scioccante, quella domanda alla quale, per anni, non aveva saputo dare una vera risposta: c’è un senso a tutto questo?
Non c’era allora, come non c’era adesso un senso a tutto quel discutere, a tutta quella sofferenza … e quelle incomprensioni che, invece di scemare, parevano crescere a dismisura senza il suo controllo.
Colei che un tempo l’aveva accecato, aveva colpito inesorabile anche il compagno … tutta la realtà pareva distorta, ogni giusto pensiero, ricordo … filtrato, manipolato da quel sorriso ironico e maligno, da quella malsana luce che li bagnava come un’onda bianca e mortale. Lei, ancora tra loro… pronta a distruggere ciò che poteva rinascere, a poco a poco e con fatica.
Alzò quel pugno, ancora teso allo spasimo, pronto a colpire il compagno … lo alzò e con violenza lo rivolse al pallido spettro che, come spaventato dal quel gesto insolito – lei invocata dagli amanti, lei simbolo di quel sentimento romantico così caro ai mortali … lei, così vergognosamente insultata da un suo stesso figlio – si nascose dietro una spessa patina di grigi nubi e mai più tornò ad illuminare quella notte.
Lasciò andare quel braccio, stanco e spossato, lungo il proprio corpo, e osservò come quegli occhi verdi lo stessero fissando, incerti, addirittura sorpresi.
Ora che tutto era immerso nell’oscurità, senza più una luce naturale ad illuminarli, poteva distinguere di quel viso solo pochi tratti … gli occhi lucidi, la bocca semiaperta, i boccoli castani che cadevano su quella fronte liscia, la spalle ricurve sotto il peso del dolore e quelle mani richiuse l’una sull’altra con veemenza.
Non seppe mai né il come né il perché, ma un istante dopo si ritrovò ad abbracciare quel corpo che solo chiedeva tenerezza e calore … e strofinare la propria guancia contro quella del compagno, antico gesto che credeva di aver perduto negli anfratti dell’infante memoria… e quell’abbraccio così rassicurante che egli ricambiava con uguale forza e slancio…
Sì … chiudendo i suoi occhi poteva ritornare indietro, a quei momenti di gioia, gli ultimi di quella vita malinconica, affogata nella falsità di una facciata che era solo necessaria a nascondere a se stesso il proprio dolore … quando era felice … quando sorridere era così spontaneo … quando scambiarsi gesti affettuosi era segno di una totale fiducia  … quando le parole ‘ti voglio bene’ erano così semplici da dire…
Cullati e avvolti da quell’oscurità sovrana, oscurità che stava tornando a bagnarsi del tenue ma benigno lume delle stelle … la luna perduta in qualche anfratto, forse arresasi a quel chiaro e violento rifiuto di un figlio che non era mai voluto essere tale.
Rialzarono infine gli sguardi, l’uno sull’altro, scostandosi da quel tepore, eppure le mani ancora vicine, intrecciate; le fronti abbandonate sulle spalle del compagno; nella mente lo stesso nervoso pensiero, parlare, confessare ciò che dentro di loro sentivano con un dolore unico, immenso … cosa potevano proferire quelle labbra, senza dover ferire in qualche modo la persona che avevano di fronte?
Abbozzò un sorriso, mentre col dito percorreva la linea delle guance che spesso, in passato, si ritraevano in quelle fossette, ogni qual volta il sorriso catturasse il suo volto: più lo guardava più l’immagine del passato si sovrapponeva a quella del presente, come se il tempo, le sofferenze, i turbamenti … nulla di tutto questo avesse avuto effetto su di lui. Era rimasto uguale a se stesso, come si era ripromesso di essere, sempre.
E, alto tra le stelle, ormai padrone del cielo intero, si levò un mormorio delicato, flebile, solo per loro. Parole di un inizio, o forse solo la prosecuzione di ciò che, per tredici lunghi anni, aveva atteso, impaziente.
“Ti voglio bene …”
 
‘A volte ci sentiamo abbandonati, sprofondati in una notte profonda. Ma se alziamo lo sguardo e guardiamo il cielo, vedremo le stelle che ci illuminano e ci ricordano che non siamo soli’.
  
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