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Autore: Kokky    20/03/2011    2 recensioni
Un'altra fic su Dave e la mia personale interpretazione di come egli sia potuto divenire così: niente spoiler quindi, ma solo la mia fantasia.
"si fece forza e si disse che per non essere più un debole, doveva vincere se stesso. E dimenticarsi di quello che era, perché non valeva niente."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dave Karofsky: storia di un’inconsistenza


Gli spalti erano gremiti di gente vociante e Dave, fin troppo piccolo, riusciva a stento a vedere cosa gli stava dinnanzi: il campo verde e le giubbe bianche, la palla rapida, le mazze lignee e le linee confuse dei corridori, disperse nell’aria azzurrina.
Non era inusuale che Dave finisse con l’avere paura: la folla lo terrorizzava, con quell’odore di sudore misto a cibo e sporcizia, con quel calore prepotente e la spigolosità del corpo. Era irrazionale: la fobia di quell’unica massa, quel animale dai mille occhi e dalle mille bocche.
Anche quella volta si sentì male, ma trattenne il fiato e quell’emozione finì nell’affanno. Non voleva sfigurare e farsi additare di nuovo come ‘una femminuccia fragile e in cerca di un cavaliere’.
Si girò verso il suo amico, Johnny, che per primo aveva infierito su di lui. Il bimbo teneva in mano un guantone e lo guardava con un sorrisetto.
“Va tutto bene, Dave?”, un ghigno.
“Certo”, sbottò. L’aria gli uscì violentemente dal petto insieme a quella parola, un unico accento d’ira; si fece forza e si disse che per non essere più un debole, doveva vincere se stesso. E dimenticarsi di quello che era, perché non valeva niente.

Dave sedeva con impazienza, aspettando che il match iniziasse. Suo padre teneva in mano una Coca e guardava pacificamente il cielo; il suo corpo era accasciato per la rassegnazione, quello non era il suo posto, ma suo figlio era tanto desideroso di andare alla partita di football che aveva fatto uno sforzo.
“Papà”, borbottò Dave, prendendogli la bibita con uno strattone.
“Dave, che c’è?”
“Un vero uomo ama il football, smettila di sospirare. Non c’è niente di meglio, vedrai”, il bimbo aveva la convinzione negli occhi, una storia tutta sua costruita sulla perfezione dei preconcetti e delle favole bambinesche. Ogni cosa combaciava, tranne se stesso: ma Dave sapeva negarsi talmente bene da rientrare nel quadro idilliaco.
“Un vero uomo non è determinato da queste cose”, sussurrò suo padre, ma le sue parole vennero coperte dal boato della folla: i giocatori entravano in campo.
Dave già fissava quelli che lui riteneva uomini, dimenticando la scialba immagine del padre.
Pochi scaloni più in basso c’era Johnny e la sua famiglia: il loro tifo sembrava spaccare i timpani dello stadio. Sì, Dave guardava anche loro, oltre i giocatori, e capiva cos’era giusto seguire... cosa doveva fare, ancora una volta.

Adesso Dave si trovava dall’altra parte: era lui a correre per prendere una palla e segnare un punto. Ora sapeva cosa si provava nell’essere perfettamente normale, un ragazzo qualunque senza alcuna paura, senza tremolii di labbra e ginocchia piegate dalla fifa.
Si specchiò e si sorrise. Eccolo. Le sue mani erano capace di frantumare i sogni disperati degli sfigati, il suo cipiglio incuteva terrore negli altri; ed era la quintessenza del ragazzo americano.
Camminava fiero nei corridoi, tra la folla esultante dopo una partita.
...
Una menzogna, di nuovo. Come la sua intera vita, che stava iniziando a crollare a pezzi.
Prima, erano stati due occhi, pieni di quel sentimento che aveva conosciuto molte, molte volte: la paura più pura, l’insolenza del terrore cieco. Si rivedeva da bimbo, con in mano un leccalecca e qualche dollaro, mentre il suo amico gli diceva che quella era un cibo da ragazzina. Femminuccia.
Poi, erano state le sue parole, capaci di scalfire quella corazza di… di nient’altro che paura, ancora una volta. L’inconsistenza del suo spirito si richiudeva in quell’unica, temibile condanna: non l’aveva superata, ma era stata questa stessa a spingerlo a nascondersi. Dalla fobia della folla, era nata la debolezza; dall’accusa di Johnny, il dubbio di non essere accettato.
Ecco cosa si specchiava negli occhi di Kurt. La stessa situazione, eppure un’animosità diversa che lo spingeva a lottare.
Lui ci credeva. Ancora. Lui era lì a rinfacciargli quello che non aveva osato fare. Kurt era la nemesi della sua scelta.
Dave chiuse l’armadietto con una manata, allontanando lo specchio e i suoi pensieri. La rabbia lo colmava, doveva sfogarsi.
Odiava se stesso. Odiava chi, a suon di idee macchiate di pregiudizi, l’aveva piegato fino a renderlo vuoto.
Poggiò le mani ruvide e stanche sulla fronte, inspirando ed espirando. L’aveva imparato da bambino: il panico andava affrontato con un respiro profondo. Aria ai polmoni, sangue al cervello. Un’altra volta, un po’ di pazienza...
“Ehi, hai visto cos’ha indossato oggi quel frocetto? Sembra un uovo di pasqua”, gli gridò nell’orecchio un suo compagno.
Dave aprì gli occhi. Si entrava in scena. Nuovamente indossava la maschera che da solo si era affibbiato, calava nei panni della normalità, negando quello che si era detto.
La verità faceva troppo male: essere codardo non lo rendeva un vero uomo, anzi, era soltanto un vile; e questo era insostenibile, quasi quanto l’idea di aver tradito se stesso per chi per primo l’aveva disprezzato.
Mentre si burlava di Kurt, ricordò lo sguardo di suo padre rivolto verso il cielo. Pregava, forse, che il supplizio finisse in fretta? Cos’era stata quella calma nei suoi occhi? Forse era l’accettazione, forse era l’amore per il proprio figlio che l’aveva colmato e l’aveva portato a fare ciò che non desiderava.
Quello ti rendeva un uomo. Dave lo sapeva e ne aveva codardamente paura.








N/A:
L'ho scritta qualche mese fa, rimuginando su Dave. Ancora non si sa perché egli è diventato così e io mi sono immaginata tutta questa storia per motivare il suo atteggiamento. Qualcosa c'è sotto, come sempre.
Ricorda molto l'altra mia fic su Dave e Kurt, ma qui ho cercato di sviluppare ancora di più la psicologia del personaggio e di dargli una solida base. E' una riflessione, più che una storia.
Spero che vi piacerà :) e ringrazio la mia Clò per averla letta in anteprima, un po' di tempo fa.
   
 
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