Film > The Phantom of the Opera
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Autore: kenjina    20/03/2011    2 recensioni
[Dal prologo] Quanto tempo era passato da quel giorno? Non lo ricordava, ma sentiva che era troppo poco, insufficiente per sbiadire il dolore che ancora provava forte e vivido, ogni istante, come se fosse accaduto solo pochi attimi prima. [...] Ma perché rimaneva ancora così attaccato alla vita? Aveva per caso qualche ragione per cui valesse la pena continuare a nascondersi per tenersi stretta l’unica cosa che odiava con tutto se stesso? I fantasmi continuano a vagare per il mondo dei vivi finché non risolvono le loro questioni in sospeso... Forse anche lui ne aveva una? Non lo sapeva, non voleva saperlo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bonjour

La Vita Nova.

 

Capitolo XV

 

 

Era più di una settimana che Erik non si faceva vedere, e lei stava iniziando a spazientirsi. Gli aveva fatto promettere di non sparire più come l'ultima volta, di tenerla informata su qualsiasi follia gli venisse in mente, ma a quanto pareva sapeva mantenere la parola data come un bugiardo. Sparito nel nulla, ecco tutto.

«Dios, la smetti de sbuffare? Me innervosisci!», sbottò Rosalinda, mettendosi le mani sui fianchi, parecchio seccata. «Sto cercando de concentrarme, se non te ne fossi accorta!»

Phénix spostò lo sguardo sul libro di ricette che la domestica aveva aperto sul tavolo e che continuava a leggere da qualche minuto con la fronte corrugata. «Cosa devi preparare?»

«Una torta alle mandorle. La señorita Meg fa follie quando la mangia.»

«Ti serve una mano o posso uscire per un po'?»

Rosalinda la guardò perplessa, scuotendo il capo. «E dov'è che vuoi andare a quest'ora? Sta già facendo buio.»

Phénix si alzò dalla sua sedia e si buttò in testa uno scialle a frange colorate. «Voglio solo respirare un po' di aria fresca, tutto qui. Non tarderò, tranquilla.»

«Me raccomando, stai attenta.»

La ragazza neanche le rispose, limitandosi ad annuire e ad uscire di casa, sperando che Madame Giry non si accorgesse di nulla. Se c'era una cosa che, infatti, le era proibito fare era proprio uscire dopo il tramonto. Una delle tante regole dettate da Erik ma che lei, in quel momento, voleva solo mettere sotto i piedi in segno di ripicca nei suoi confronti. Non sarebbe accaduto niente quella sera se per una volta decideva di andare a trovare la nonna. Erano settimane che non passava a trovarla, non aveva neanche avuto la possibilità di farle sapere la sua nuova sistemazione.

Fuori l'aria era frizzante, ma non pungente come qualche giorno prima. Aprile non era mai stato un mese soleggiato e neanche quell'anno si stava smentendo. Si strinse nel suo cappotto di lana, un tempo di Claire, e si diresse verso il quartiere di periferia dove abitava la nonna. Non era certo l'ambiente migliore da frequentare, ma era convinta di non avere niente da temere. Non aveva mai avuto nemici, di conseguenza nessuno avrebbe dovuto alzare un dito su di lei.

Tranne quei due che han fatto fine brutta, ricordi Phénix?

Accelerò il passo quando attraversò un vicolo deserto e buio, dall'altra parte del quale si trovava la mansarda in cui era diretta. L'abitazione era desolata come sempre, tranne per la luce tremula di una candela che proveniva dall'ultimo piano. Forse l'avrebbe trovata ancora sveglia, si disse.

Bussò tre volte quando si trovò di fronte alla logora porta in legno, mangiata dai tarli e parecchio sghemba; dopo qualche istante sentì dei passi lenti e pesanti che si avvicinavano, e subito dopo una voce burbera e roca, che chiedeva: «Chi è?»

«Nonna, sono io, Phénix.»

Un gemito eccitato provenne dalla stanza e, poco dopo, la donnina aprì la porta, abbracciando la nipote adottiva. «Bambina mia, ma ti sembra modo di sparire?»

Phénix si morse un labbro nel pensare a qualcuno di conoscenza che ormai ci aveva preso l'abitudine, ma si sforzò di non pensarci e di concentrarsi unicamente sulla donna davanti a lei. «Scusami, è che son successe talmente tante cose...»

La donna sorrise ed il suo viso s'illuminò tra le decine di rughe che le solcavano la pelle. «Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, raccontami.»

Phénix si accomodò al tavolo, mentre la nonna le preparava una tisana calda. «Non saprei da dove iniziare...»

«Inizia dalla fine: è il modo migliore per rimettere insieme tutti i pezzi del rompicapo.»

La ragazza annuì, rimescolando le idee. «Non sono più una zingara. O meglio,», si affrettò a dire appena si accorse dell'occhiata perplessa e un po' infastidita dell'altra. «Non lo sono nel senso proprio del termine. Non abito più al mulino, ma in una casa. Una casa vera, nonna!»

«Una casa?»

Phénix annuì, entusiasta. «Sì, proprio una casa! Di quelle belle, eleganti, nel centro aristocratico della città! Oh nonna, dovresti vedere come son fatte dentro!»

«Hai per caso fatto fortuna sposandoti un ricco?»

«No, no! È successo tutto così, all'improvviso... ricordi l'uomo di cui ti avevo parlato l'ultima volta?»

«Sì, il Fantasma dell'Opera.»

«È stato lui ad aiutarmi.», disse con più dolcezza, sorridendo. «Mi ha servito il suo aiuto senza che io gli chiedessi niente. Il Cambiamento è avvenuto, nonna, e io son stata pronta ad affrontarlo, hai visto?»

La donna rimase in silenzio, respirando rumorosamente. «Niente in cambio?»

«Niente. Oh, dovresti conoscerlo, nonna! È l'uomo più incredibile che abbia mai conosciuto, anche se delle volte è insopportabile. Te ne innamoreresti anche tu!»

«E tu? Ne sei innamorata, non è così?»

Phénix ammutolì di colpo, arrossendo peggio dei suoi capelli. «Io... non saprei. Ci sono molto affezionata e farei qualunque cosa pur di renderlo felice. È amore, questo?»

La nonna controllò l'acqua nella teiera, poi si voltò a guardarla nuovamente. «Phénix, non farti ingannare dalle buone maniere. Spesso colui che si presenta gentile d'animo è più furfante di chi invece lo ammette.»

«Erik non è falso.», replicò duramente la giovane. «È sincero e lo capiresti anche tu se lo guardassi negli occhi.»

«Erik? Hai detto che si chiama così?», domandò d'improvviso la donna, curiosa.

«Sì, Erik. Perché?»

L'altra rimase in silenzio, rimuginando per conto proprio. «No, non è niente.», disse poi con un sorriso. «Le mie orecchie non funzionano bene come una volta.» Versò l'acqua calda in una ciotola, in cui mischiò una polvere di qualche erba. «E dimmi, cosa fai ora?»

Gli occhi di Phénix si accesero d'entusiasmo. «Ballo per il teatro, sempre grazie a lui.»

«Bene, bene. Son veramente contenta per te, piccola mia. Ma stai attenta: Lucas non ti lascerà andare per molto, lo sai.»

 

"Stai scappando, mia dolce Phénix?

Scappa, scappa per ora.

Sei libera di fare quello che vuoi.

Ma non andrai molto lontano, tu mi appartieni.

Siamo indissolubilmente legati, io e te.

Tu mi appartieni, e lo sai bene."

 

«Sì, purtroppo lo so.», sospirò la rossa, abbassando lo sguardo sulla tisana fumante e stringendosi nelle spalle ai ricordi. «Lo so.»

 

 

Scioccato.

Ecco come si sentiva.

Scioccato dalla sconcertante scoperta che aveva fatto pochi giorni prima: non amava più Christine. O meglio, l'amava ancora, certo, ma non più con quella morbosa passione che l'aveva portato in rovina. No, non l'amava più così disperatamente, e la situazione gli sembrava così strana da apparirgli anche ridicola. Come doveva reagire a quella novità? Rallegrarsene o disperarsi per aver perso uno dei suoi pochi punti fermi nella vita? Agganciarsi all'amore per la sua musa gli era servito ad andare avanti, ad avere un valido motivo per continuare la sua opera, la sua vita. Quella stessa vita che, nonostante la sconfitta, aveva deciso di non buttare via con un cappio solo perché ancora aggrappato a quell'amore viscerale e doloroso che gli aveva riempito le giornate.

E ora sentiva, lo sentiva che si stava allontanando da lei come mai avrebbe pensato. La figura di Christine non era mai stata così lontana, svaniva a poco a poco, sbiadendo in un mare di nebbia, mentre al suo posto si delineava la sagoma di una figura ancora troppo misteriosa per capir bene di chi si trattasse. Poteva solo tirare ad indovinare, e la risposta a quel rompicapo lo spaventava.

La sua questione in sospeso.

Ancora non riusciva ad interpretare bene tutto quel dedalo di emozioni che ogni volta provava quando era con lei o semplicemente la pensava, ma percepiva perfettamente quanto pericoloso fosse. Doveva sopprimere tutto prima che fosse tardi, prima che quella situazione potesse sfociare in qualcosa di più che lo terrorizzava e gli faceva mancare il respiro. La paura di essere soggiogato nuovamente dall'amore, proprio ora che se ne stava liberando pian piano, era troppa anche per lui; non voleva ricadere in quel labirinto che riusciva a disorientarlo, non voleva sentire il proprio cuore fermarsi per paura di essere nuovamente rifiutato per il suo aspetto.

Era per questo che aveva deciso di starle lontano per qualche tempo, sperando che tutto sarebbe passato grazie alla distanza. Ma era andato totalmente fuori strada, quella volta: starle lontano faceva accrescere in lui l'irrefrenabile desiderio di vederla, di sentire il suono della sua voce, di poter guardare ancora in quegli occhi smeraldini che tanto l'avevano messo in soggezione, ma di cui ormai non poteva fare più a meno.

La musica che fragorosa s'infrangeva contro le pareti di pietra della sua casa sotterranea s'interruppe brutalmente, quasi a voler sottolineare il suo disappunto che sovrastò tutto quel magma di pensieri pericolosi. Si passò la manica della camicia bianca sulla fronte imperlata di sudore per l'impegno e rimase immobile, seduto davanti al suo organo per minuti interi. Suonava ormai da ore ininterrotte, aveva anche perso il senso del tempo ormai. Ma la musica era la sua unica amica, l'unica confidente su cui poteva fare cieco affidamento senza essere mai tradito. Gli toglieva le energie, alla fine delle ore passate a suonare, ma contemporaneamente lo rinvigoriva nell'animo, dandogli la forza che gli mancava.

Quando decise di alzarsi, fu l'ennesimo brutto colpo della giornata. Guardandosi intorno si rese conto di quanto desolante fosse la sua casa: per quanto l'avesse arricchita con un arredamento raffinato ed aristocratico, per quanto calore e magia potesse regalare la vista di quel lago sotterraneo, a lui ora appariva solo come una caverna, triste e deserta. Solo la sua musica e la sua voce potevano darle vita. Ma mancava un ingrediente che non aveva tenuto in conto prima di allora: la compagnia di qualcuno. Era sempre vissuto isolato dal mondo, i contatti sociali per lui erano il nulla totale; solo Claire era stata, e lo era ancora, l'unica persona degna di parlare con lui, e successivamente Christine. Ma cosa poteva saperne lui del vero significato della compagnia? Niente.

Ed ora che l'aveva scoperto si rendeva sempre più conto di quanto solo fosse stato fino a quel momento. Le lunghe chiacchierate con Phénix ed il calore del piccolo Dante erano due novità che si erano trasformate in consuetudine, e di cui ne sentiva fortemente la mancanza.

Perché non posso semplicemente essere libero di vivere normalmente?

Odiava non saper dare risposta a quella domanda che molti avrebbero trovato scontata e sciocca. Lui non poteva essere libero, non ne aveva il diritto.

Si passò stancamente una mano sul viso, togliendosi la mezza maschera che perennemente glielo nascondeva. Mosse qualche passo verso i grandi specchi rotti coperti dai drappi cremisi in velluto, che fece scivolare via, per potersi riflettere sulla superficie lucida. L'immagine distorta che lo specchio rotto gli restituì non fu poi tanto diversa da come sarebbe stata se fosse stato integro. Il suo stesso viso, del resto, era distorto.

Tra tutte le persone del mondo... perché hai scelto proprio me, Signore?

I suoi pensieri furono improvvisamente interrotti da un suono metallico che proveniva dal ventre del teatro, di una qualche trappola che era scattata. Rimase in silenzio, aspettando di sentire qualcos'altro; poi il gelo totale.

«Stupida!», ringhiò a denti stretti, infilandosi in uno dei tanti corridoi nascosti e correndo verso il grido soffocato che era riuscito a percepire in tutto quel silenzio. «Phénix, parlami!», gridò freneticamente, nel tentativo di capire in quale delle decine di trappole fosse caduta. Che diavolo le era saltato in mente?

La voce della ragazza gli giunse alle orecchie flebile e lontana, ma si rese subito conto di averla proprio sotto i suoi piedi.

Il signore delle botole.

Mostro, era solo ed esclusivamente un mostro!

Tirò una leva nascosta posta dietro una delle pietre umide della parete, e immediatamente la botola si aprì. Afferrò brutalmente una torcia quasi del tutto consumata e cercò di illuminare il piccolo antro in cui stava Phénix, impigliata in una serie di corde.

«Tieni sempre una mano sopra gli occhi, eh? Ora capisco che intendevi dire.», borbottò, cercando di liberarsi e tossendo per la polvere e per qualcos'altro.

«Ferma, o le corde continueranno a stringersi.»

Erik, avendo riacquistato il suo sangue freddo nel vedere che tutto sommato la ragazza stava bene, iniziò a sciogliere sapientemente quella matassa di cappi e corde, fremendo di rabbia e di qualcos'altro ogni qualvolta la guardasse negli occhi o la sfiorasse involontariamente. Dire che stava ardendo come un tizzone appena tolto dal camino non rendeva bene l'idea. E tutto per quel maledettissimo mancato bacio, ne era sicuro.

Appena finì il lavoro, le porse una mano per farla alzare e lei gli si gettò tra le braccia, ancora troppo spaventata per la brutta sorpresa.

«Stolta, ti ho sempre detto che è pericoloso aggirarti qui sotto se non ci sono io con te.», le mormorò, stringendola forte per paura di perderla. Era incredibile quanto un gesto semplice come un abbraccio potesse rinvigorirlo come l'acqua per uno disidratato.

La sentì accoccolarsi meglio contro il suo petto, praticamente nudo dato che la camicia bianca che indossava era una di quelle che tanto adorava, dal colletto aperto e svolazzante.

«Dovevo vederti.»

«Perché?», domandò allarmato, temendo che ci fossero brutte novità.

Phénix alzò lo sguardo su di lui, sospirando. «Ci deve essere un motivo?» Rise quando lo vide imbarazzato, nel tentare di dire qualcosa, anche se quel qualcosa stentava a venir fuori. «Sai, Erik, stai decisamente meglio così, senza maschera.»

Il sangue gli si gelò nelle vene, rendendosi conto solo allora di non aver indossato la sua protezione, troppo preso dal salvataggio della ragazza per ricordarsene. Voltò il capo per nasconderle, almeno un poco, la vista di quell'orrore e chiuse gli occhi, maledicendosi per la stoltezza della dimenticanza, ripetendosi che era ancora troppo presto per mostrarsi a lei, che sarebbe scappata via impaurita, che...

«Erik, se non te ne fossi accorto io sono ancora qui, e non ho intenzione di andarmene.», gli sussurrò, accarezzandogli il viso che tanto odiava.

Aprì le palpebre lentamente, come se si fosse appena svegliato cercasse invano di riportare alla memoria le immagini di un bel sogno, temendo che potessero svanire nel nulla. Ma lei, invece, era sempre lì, tra le sue braccia, che lo guardava con i suoi occhioni verdi e rassicuranti. «Non ti faccio paura?», le chiese con un filo di voce.

Phénix sorrise, alzandosi sulle punte e baciandogli con tenerezza la guancia piagata. «Non potrei mai avere paura di un Angelo.»

Con le lacrime agli occhi, Erik la strinse tra le braccia, alzandola quasi da terra per la troppa foga. «Oh, Phénix, Phénix! Dimmi, dimmi che non sei un sogno e che sei qui con me, ora!»

«Sì, ma se continui a stringermi così forte non so per quanto possa ancora rimanere!», scherzò lei, nonostante non avesse alcuna voglia di staccarsi da quel calore che era il corpo dell'uomo.

«Perdonami, non volevo farti male.», disse subito lui, allentando la presa e facendo scivolare  le sue mani fino a farle intrecciare con quelle di lei.

Sotto quello sguardo penetrante e profondo quanto un oceano, Phénix non poté non trovarsi in soggezione, e preferì abbassare il capo per sviare l'attenzione da quegli occhi acquamarina... e da quelle labbra tentatrici. «Che fine avevi fatto?»

Erik sospirò pesantemente, cercando una scusa plausibile da darle. «Componevo.»

«Componevi?», chiese lei perplessa.

«Sì. Quando comincio a scrivere musica niente ha più valore intorno a me. Perdo completamente il senso del tempo.», spiegò, cercando di essere convincente. Non che stesse raccontando totalmente frottole, ma era ben ovvio che quella volta la musica non aveva niente a che vedere con la questione.

«Capisco... e potresti farmi ascoltare qualcosa?»

«No, ancora no. Ci devo lavorare sopra.» Erik s'intenerì al viso imbronciato di lei, ma riuscì a strapparle un sorriso subito dopo. «In cambio posso suonarti qualcos'altro, se ti fa piacere.»

Gli occhi di lei s'illuminarono subito, ed Erik fu ben felice di poterla allietare con la sua musica. Sempre tenendola per mano la condusse al suo giaciglio e si accomodò davanti all'organo. «Questa che sto per suonare è un'opera scritta da un compositore del secolo scorso, Johann Sebastian Bach, e s'intitola Toccata e Fuga. Perdonami se commetterò qualche errore, è molto complessa.» Aggiunse poi, con falsa modestia, dato che sapeva per certo che non avrebbe sbagliato una nota.

Phénix non rispose, accomodandosi sullo sgabello accanto a lui. «Disturbo qui?»

E come potresti?, avrebbe voluto dirle. «No, tranquilla.»

Quando le dita di Erik si posarono sui primi tasti dello strumento, Phénix temette che le pareti sopra la sua testa sarebbero crollate per la potenza di quei suoni gravi che fuoriuscirono dalle canne dell'organo. La composizione che sentì fu un continuo crescendo di toni  potentissimi, poi calmi, poi veloci così tanto che a stento riusciva a seguire i movimenti delle mani dell'uomo sulla tastiera, poi ancora lente, lentissime. Guardarlo mentre suonava quella musica sublime che sembrava uscire dalla pietra per insinuarsi affondo nella sua anima fu indicibile. Concentratissimo sul suo lavoro sembrava che fosse veramente estraniato dal mondo, come se lei non esistesse più e fosse solo, lui con la sua adorata musica. Si chinava sulla tastiera, come a volerle sussurrare parole confortanti, si dondolava a seconda dell'andatura delle note, gli occhi chiusi per assaporare meglio ogni nota, le sue mani che saltavano da una parte all'altra per andare a pizzicare i tasti con bravura e superbia... Era indescrivibile a parole quello che vide e quello che provò.

La musica terminò con un'unica nota grave, che risuonò per tutta la caverna anche dopo parecchi secondi dopo che Erik aveva staccato le dita dai tasti.

Phénix non riuscì a proferir parola, troppo inebetita per la bravura e la maestria che risiedeva tutta in un solo uomo. «Erik, io... sono senza parole.»

«Il che è un bene o un male?», chiese sarcastico, incrociando le braccia.

«Non so cosa tu sia, se veramente umano o no, ma... quello che ho sentito ora può provenire solo da un angelo, non da un semplice uomo.», gli disse semplicemente, sorridendogli poi. Gli prese una mano, studiandone il palmo con attenzione e passando delicatamente un dito sulle linee che glielo segnavano. «Vedi questa piccola linea? È la linea del destino. Ti dice in che modo la tua vita verrà influita a seconda di com'è.» Erik non parlò, cercando di frenare i brividi che lo percorrevano ogni qualvolta il polpastrello di lei lo sfiorava. «La tua è piccola, parte solo dalla linea della testa...  E sai cosa vuol dire?»

Lui scosse la testa, con l'aria incuriosita di un bambino.

«Vuol dire che otterrai grandi risultati nel tuo campo. Sarai un compositore famoso in tutta Parigi e chissà, magari in tutta la Francia.», gli spiegò, sorridendo. Poi guardò ancora la sua mano. «Oh, è anche molto sottile...»

«Quindi

«Ecco, significa che hai una particolare predisposizione a subire duri colpi dalla sorte.»

«Non è una novità.», commentò amaramente lui.

Phénix gli strinse la mano, dolcemente. «Ma non è detto che sarà così per sempre.»

«Quelle che dicono?», le chiese, indicando con un cenno del capo il palmo della sua mano.

La ragazza abbassò lo sguardo, studiando ancora i movimenti delle curve. «Oh, questa è bella! È la linea della salute e dice che sei instabile di umore e di carattere capriccioso! Direi che ha azzeccato.», disse pensierosa, facendogli alzare un sopracciglio.

«Spiritosa.» Phénix scoppiò a ridere divertita, e anche lui si lasciò andare ad un sorriso. «E così sai leggere il futuro.»

«Sono una strega io, ricordatelo.», ammiccò strizzando un occhio.

«E dimmi, cosa sto per fare ora?»

Phénix arrossì indecentemente quando lo vide avvicinarsi ancora di più. Stai per baciarmi?, gli avrebbe voluto chiedere. , sarebbe dovuta essere la risposta.

E invece no, niente di tutto quello che nel giro di due secondi era riuscita ad immaginare. Erik, con un sorrisino birichino, l'aveva presa in braccio, sollevata dal sedile e portata dentro il lago, con il chiaro intento di farle fare un bel bagno.

«Non pensarci nemmeno, Erik!», esclamò lei, aggrappandosi al suo collo. «Non so nuotare!»

Lui si fermò, l'acqua all'altezza delle ginocchia, e la guardò curioso. «No? Pazienza, avevo comunque intenzione di affogarti.»

«Disgraziato che non sei altro! Mettimi immediatamente giù!», strillò lei, tra il divertito e la reale paura che la buttasse dentro veramente.

Ma lui non le fece niente che potesse farla arrabbiare. La mise giù, facendole bagnare solo l'orlo dell'abito e le scarpe, poi le circondò la vita con un braccio, mentre l'altra mano cercava la sua.

Fu quando lui iniziò a cantare, che Phénix si sentì leggera come una piuma.

 

 

Continua...

 

 

Torno dopo un mese circa, è stato l'Inferno ma è praticamente finita! E tra nove giorni parto per Siviglia per tre mesi in tirocinio! Spero solo di non sparire definitivamente! :D

Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire questo racconto e chi invece ha iniziato da poco! Spero possiate perdonare questa scribacchina degenere che aggiorna una volta ogni morte di Papa. :)

Un saluto a tutti!

Marta.

   
 
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